Paccheri

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I paccheri sono un tipo di pasta tradizionale napoletana aventi la forma di maccheroni giganti, generalmente realizzati con semola di grano duro.
Il termine deriva del greco antico (da πας, "tutto" e χειρ, "mano") dei primi fondatori di Parthènope e ancora usato nella lingua italiana come "pacca", ovvero uno schiaffo dato a mano aperta, senza intenzioni ostili. Da qui il nome del tipo di pasta, dalla taglia molto superiore alla norma, in genere accompagnato da sughi succulenti. I paccheri possono essere anche farciti, con ricotta o altri ingredienti, e serviti con il ragù.

Curiosità

Il termine pacchero è impiegato anche con il significato di schiaffo, in alcune espressioni popolari:
  • Stare sotto al pacchero: stare sotto i comandi di qualcuno
  • Dare un pacchero a mano smerza: dare uno schiaffo con il dorso della mano

Gnocchi alla sorrentina

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Gli gnocchi alla sorrentina sono un piatto tipico della cucina napoletana.
Sono preparati con gnocchi fatti di patate, farina ed acqua, cotti e conditi con salsa di pomodoro, fiordilatte, parmigiano e basilico. Quindi, sono infornati, in un piccolo tegame di coccio (pignatiello), nel quale vengono poi serviti, molto caldi.
In Campania gli gnocchi venivano detti strangulaprievete da cui l'impropria traduzione nell'odierno strangolapreti, tuttavia l'etimo seppur suggestivo, non è da ricondurre agli ordini religiosi, bensì a più antiche radici greche.

Spaghetti allo scoglio

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Gli spaghetti allo scoglio sono un primo piatto a base di molluschi (cozze e vongole) e crostacei (scampi o gamberi) tipico della cucina campana.
Gli spaghetti allo scoglio si possono presentare in due versioni: con o senza pomodoro (in genere pomodorini).

Mortadella di Campotosto

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La mortadella di Campotosto (popolarmente detta coglioni di mulo) è un salume tipico prodotto in limitate quantità nel territorio del comune di Campotosto in provincia dell'Aquila e zone limitrofe.

Storia

Per un periodo di tempo la città di Amatrice si era appropriata della paternità del salume, in seguito al dominio che nel periodo medioevale aveva avuto sulle zone di Campotosto e paesi vicini. La tradizione della mortadella di Campotosto è molto antica, si ritiene abbia più di 500 anni, per come la conosciamo oggi, solo pochi campotostari continuano la tradizione della mortadella, e solo pochi palati hanno oggi la possibilità di degustarla, causa la rarità del prodotto.

Descrizione

La mortadella è composta solamente da carne di suino, che i pastori e i vari fattori allevavano nel territorio dei Monti della Laga. Ha una forma ovoidale (ed un peso tradizionalmente individuato in 330 gr). Ha una grana fine e all'interno, ha infilata su tutta la sua lunghezza una barretta di lardo che caratterizza il prodotto rispetto agli altri salumi. Quando viene tagliata, la sezione presenta un colore roseo, mentre la barretta centrale di lardo ha un colore bianco. La preparazione dell'insaccato avviene nella seguente maniera:
  • macinazione molto fine delle carni;
  • condimento con sale, pepe e vino bianco;
  • maturazione dell'impasto per almeno 24 ore all'interno di un contenitore di legno (lo scifone) oppure di acciaio. L'impasto viene rimescolato più volte con infuso di chiodi di garofano e cannella.
L'insaccatura avviene manualmente, con cucitura del budello attorno all'impasto. Nella parte inferiore del salame viene apposto un tralcetto che avvolge lo spago durante l'allentamento dovuto alla stagionatura.
Il prodotto può essere consumato dopo almeno tre mesi dalla macinatura.

Salame Aquila

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Il salame aquila è un insaccato ottenuto dalla macinazione di tagli di carne magra e grassa di maiale, originario dell'Aquila, capoluogo abruzzese da cui esso prende il nome.
La carne viene tritata e amalgamata con pepe, sale e vino bianco, quindi viene insaccata in budelli naturali o artificiali, legati infine con spago alle due estremità.
In seguito viene sottoposta a pressione, per farne fuorisucire l'aria all'interno che potrebbe rovinare la carne. La forma finale ne risulta appiattita e irregolare.
Spesso, nelle preparazioni artigianali, vengono sconciati i prosciutti per utilizzarne la carne nell'impasto del salame.

Cuccìa

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La cuccìa è un piatto tipico della provincia cosentina, a base di grano bollito, carne di capra e/o di maiale e spezie. Viene preparato tradizionalmente nei comuni della fascia presilana della provincia di Cosenza. La preparazione del piatto richiede circa 3 giorni e passa attraverso diverse fasi: la pulizia del grano, la successiva macerazione, la bollitura e la cottura nel tradizionale forno a legna. Per la preparazione si usa un contenitore tradizionale in terracotta che prende il nome di Tinìellu. I primi accenni relativi a questa antica tradizione sono stati scritti da Vincenzo Padula, prete poeta di Acri. Si segnala una pietanza simile in Sicilia che però è un dolce.

Origini

Attualmente non ci sono certezze sull'origine. Per assonanza e somiglianza un'ipotesi è quella della derivazione dal cus cus, il tipico piatto arabo e saraceno. Per tale ragione il piatto risalirebbe alle origini dei casali presilani, quando i saraceni invasero Cosenza. Degno di nota è la particolarità dell'aggiunta di carne di maiale a quella della capra (della tradizione saracena) che sembra come l'appropriarsi di una pietanza per negarla a chi è di religione musulmana e ritiene il maiale un animale impuro.

Frittole

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Il termine frittole di maiale (in dialetto reggino frittuli, raramente al singolare frittula) indica un piatto tipico della città di Reggio Calabria e zone limitrofe. I frammenti di carne di piccole dimensioni che si depositano sul fondo della pentola di bollitura vengono comunemente detti curcuci. Le frittole di maiale sono tipiche della città di Reggio Calabria. Al di fuori di essa (se non nel diretto circondario) esistono preparazioni simili, prodotte con tecniche largamente differenti, che assumono nomi come risimoglie, scarafuagli o sprinzuli.

Preparazione

Le frittole si ottengono riscaldando il grasso macinato del maiale (grossolanamente privato di carne e altre impurità), in un pentolone di rame stagnato, detto caddàra (quadàra o cardara in altri paesi vicino al capoluogo). Durante la laboriosa fase di preparazione la pentola viene letteralmente foderata di grasso macinato. In tal modo esso si scioglie con aggiunta di poca acqua leggermente salata. Quando il grasso è parzialmente sciolto si dispongono, con particolari accorgimenti in relazione alle dimensioni ed al tipo di carne, le costine e le parti meno nobili del maiale (collo, guancia, lingua, muso, orecchie, gamboni, pancia, rognoni, cotenna e tutte quelle parti che non possono essere consumate in altro modo) e si lasciano bollire a fuoco lentissimo nel grasso per almeno sei ore, aggiungendo solo sale e rimescolando frequentemente. Con questo procedimento la carne si impregna del sapore del grasso e diventa molto tenera, rendendo edibili anche le parti cartilaginee.
Tradizionalmente la caddàra veniva allestita fuori dalle abitazioni contadine quando si macellava il maiale, evento che si verificava una volta all'anno viste le condizioni economiche della zona. Oggi la si vede sobbollire accanto alle macellerie reggine, che il sabato preparano la cottura per servire già a metà mattino la pietanza, accompagnata a pane e cosparsa di pepe nero. La caddàra va consumata necessariamente calda, meglio se appena levata dalla pentola. Ciò che resta viene poi venduto per il pranzo del sabato.
Come accennato sopra, una volta esaurite le parti di maggiori dimensioni, tutto quello che rimane sul fondo del pentolone, come piccoli pezzi di carne, cotenna e sugna, si solidifica e prende il nome di curcùci (Reggio) o salimorati (zone limitrofe) o risimoglie (catanzarese). Il prodotto è molto simile ai ciccioli napoletani. Grazie alla conservazione sotto lo strato di sugna, le curcùci possono essere successivamente consumate in diversi modi. Alcune preparazioni tipiche sono la a pulenta chi brocculi e curcuci (che si consuma durante l'inverno) e la pitta ca ricotta, l'ovu e curcuci, una sorta di pizza chiusa in crosta che costituisce anche il piatto tipico della scampagnata del Lunedì dell'Angelo.

Tradizioni

L'uccisione del maiale, in Calabria, era un vero e proprio avvenimento collettivo, di tipo liberatorio e allo stesso tempo propiziatorio, durante il quale il pericolo delle forze della natura veniva imprigionato in un rito simbolico e culturale. In passato, infatti, il maiale calabrese era detto il nero, appellativo che sta a rappresentare non solo il colore, ma, al pari del cinghiale, anche lo stato selvaggio nei boschi. Il tipico detto popolare ru pòrcu non si jètta nènti ("del maiale non si butta via nulla") sta a indicare che durante tutta la fase dell'uccisione e della macellazione si trae qualcosa di utile da ogni parte dell'animale.
Le frittole a Reggio Calabria vengono consumate tradizionalmente in occasione della Festa della Madonna della Consolazione, patrona della città e più in generale durante alcuni periodi di festività (Natale, e soprattutto nel periodo di Carnevale, particolarmente nel giorno di Giovedì Grasso). In questi periodi, lungo le strade del centro cittadino è possibile sentirne il profumo che contribuisce a creare il pittoresco e caratteristico ambiente festivo popolare. Tradizione vuole che il maiale si macelli solo nel periodo compreso fra la festa della Patrona e il martedì grasso. Naturalmente in epoca recente, per motivi commerciali, questa usanza è disattesa, ma dopo Carnevale (specie nel periodo della Quaresima e ancor di più nei mesi caldi) è difficile che vengano prodotte frittole.
Il giorno della macellazione del maiale, risorsa di lusso per molte famiglie, ancora oggi nei paesi di montagna sopravvive un'antica usanza di fare la serenata, festeggiando con amici e parenti l'assaggio delle rinomate "frittuli". Si lasciando le parti più nobili per la conservazione nei vasi con la sugna. In queste occasioni anticamente il padrone di casa faceva assaggiare diversi pezzi di carne agli ospiti ed ogni pezzo aveva un significato differente, ad esempio la coda del maiale si dava alle donne incinte per propiziare la nascita di un figlio maschio.
Ancora oggi è molto diffuso un antico proverbio calabrese sul maiale: "Cu si marita è cuntentu nu jornu, cu ammazza u porceju è cuntentu n'annu" (Chi si sposa è contento un solo giorno, chi ammazza il maiale è contento un anno intero)

 
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