Quando uno chef stellato pubblica un libro di cucina, viene naturale chiedersi: "Ci sta davvero svelando tutto?" La risposta, più che un secco “sì” o “no”, è una questione di contesto, di limiti pratici e, soprattutto, di buon senso editoriale.
No, gli chef non trattengono deliberatamente uno o due ingredienti “segreti” per timore che qualcuno replichi i loro piatti a casa. Ma nemmeno consegnano al pubblico la versione esatta delle ricette che propongono nei loro ristoranti. Quello che fanno — o meglio, quello che fanno i redattori e i team editoriali che curano i loro libri — è semplificare, e per motivi ben precisi.
La prima differenza sta nell’attrezzatura. La cucina di casa, anche se ben attrezzata, non è paragonabile a una cucina professionale. Prendiamo il forno: nei ristoranti di alto livello, i forni sono progettati per mantenere la temperatura costante anche quando vengono aperti di continuo. Sono macchine che costano quanto (o più di) una piccola auto. In casa, invece, basta aprire lo sportello del forno una sola volta per far crollare la temperatura e compromettere una cottura delicata.
Poi ci sono gli strumenti di precisione: abbattitori, mixer ad alta potenza, stampi su misura, piastre a induzione calibrate al decimo di grado. Tutto questo influenza profondamente il risultato finale.
Uno dei grandi segreti della cucina di qualità è l’ingrediente perfetto. Ma quel livello di qualità spesso è irraggiungibile per il consumatore medio. Non perché sia “nascosto”, ma perché non è distribuito su larga scala.
Un esempio emblematico: il leggendario chef Paul Bocuse indicava un fornaio di Lione come il migliore in assoluto. Alla domanda su quale fosse il suo segreto, il fornaio rispose: “La terra.” Non una tecnica, non un additivo, ma il suolo dove cresceva il grano per la farina. Una terra specifica di un villaggio del Massiccio Centrale. Quella farina non si trova nei supermercati, e probabilmente nemmeno online.
Oppure pensiamo a Marco Pierre White, che in una sua ricetta chiede di fare una salsa al basilico partendo da un brodo di rombo. Il rombo è un pesce eccellente ma costoso, che nei ristoranti viene servito spesso, quindi le carcasse sono disponibili in abbondanza per preparare il brodo. In casa? Difficilmente troverai anche solo le spine.
Un altro punto critico è il tempo. Molte delle preparazioni di alta cucina richiedono ore, se non giorni. I brodi, le fermentazioni, le riduzioni, gli infusi: in un ristorante tutto viene preparato con largo anticipo e conservato con precisione. Un singolo cucchiaino di salsa umami, magari usato per esaltare un piatto, può aver richiesto 20 ore di cottura lenta e controllata.
In un libro di cucina destinato al grande pubblico, è impensabile proporre simili procedimenti. La ricetta viene quindi semplificata, magari usando una salsa già pronta o suggerendo un'alternativa che, pur non replicando il sapore originale, ne richiami vagamente l’effetto.
Infine, c’è un aspetto fondamentale spesso sottovalutato: i grandi piatti sono il risultato del lavoro di più persone. In un ristorante stellato, diversi cuochi si occupano delle singole componenti di una portata. C'è chi cura le salse, chi si dedica alle proteine, chi impiatta con la pinzetta. A casa, si è soli davanti ai fornelli. Non si ha né il tempo né il personale per orchestrare piatti composti da una decina di elementi che devono arrivare in tavola alla temperatura perfetta.
In molti ristoranti di fascia alta, esistono addirittura cuochi addetti esclusivamente all’impiattamento — una fase finale che, nella cucina casalinga, viene spesso trattata come un ripensamento.
Gli chef non temono che i clienti “rubino” i loro segreti leggendo un libro. La verità è che replicare fedelmente la cucina di un grande ristorante è praticamente impossibile in un ambiente domestico, per ragioni strutturali, logistiche e qualitative.
I libri di cucina degli chef stellati sono, nella migliore delle ipotesi, omaggi adattati delle loro creazioni: raccolte di versioni semplificate, pensate per essere realizzabili (con buoni risultati) da chi cucina per passione, non per professione. Il che non toglie nulla al loro valore. Anzi, è proprio grazie a questa semplificazione che possiamo avvicinarci — almeno un po’ — alla cucina d’autore.
Per parafrasare un pensiero divenuto virale: anche se Leonardo da Vinci avesse scritto un manuale su come dipingere la Gioconda, non per questo saremmo in grado di replicarne l’opera. Così è anche con la cucina: il talento, l’esperienza e il contesto restano insostituibili. E il libro di cucina resta un ponte, non una copia carbone.
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