Può un piatto senza il suo ingrediente principale continuare a chiamarsi allo stesso modo? È questa la domanda che nelle ultime ore infiamma social, critici gastronomici e cultori della tradizione milanese, dopo la nuova – e controversa – proposta dello chef stellato Carlo Cracco nel suo ristorante di alta cucina nel cuore di Milano: una “cotoletta” priva di carne, realizzata con pane raffermo ammollato in brodo d’ossa e scarti, poi fritto in burro e olio come si farebbe con la celebre orecchia d’elefante.
Il piatto, presentato con il nome volutamente provocatorio di “cotoletta di recupero”, è stato subito battezzato dagli utenti più polemici come “bruschetta fritta a 40 euro”, mentre altri ne hanno esaltato la creatività e l’approccio anti-spreco, in linea con i più recenti canoni della cucina sostenibile e circolare.
Cracco, del resto, non è nuovo a scelte che dividono. “È un omaggio alla città di Milano”, ha spiegato, “che parte dal recupero, dalla cucina povera, dalla capacità tutta lombarda di trasformare ciò che resta in qualcosa di degno. Non è una cotoletta tradizionale, è la sua eco culturale, la sua ombra gustativa”.
Nel piatto, niente vitello o maiale: solo pane vecchio, legato e ristrutturato dalla sapidità concentrata di un brodo ottenuto da ossa, cartilagini e ritagli, per poi essere impanato e fritto secondo i canoni classici. L’idea – dice lo chef – è quella di “cogliere l’essenza del piatto milanese per antonomasia, pur privandolo della carne, in un’ottica di riflessione contemporanea sullo spreco e sul consumo.”
Ma se l’alta cucina si nutre anche di narrazioni, i social non perdonano. L’indignazione di alcuni utenti non si è fatta attendere. “Cracco sta cercando di vendere una fetta di pane fritto a peso d’oro. Altro che cotoletta, questo è un crouton extralusso!” scrive un utente su X (ex Twitter). “Innovativo? Sì, nel prendere in giro la gente,” ironizza un altro.
Altri, però, difendono lo chef: “È un messaggio forte. Usa il linguaggio dell’alta cucina per far riflettere su quanto sprechiamo. E ci riesce.” E ancora: “Se lo avesse fatto un giovane cuoco etiope in un documentario Netflix, avremmo gridato al genio. Ma siccome lo fa Cracco a Milano, scatta la polemica.”
Al di là del clamore mediatico, il caso solleva interrogativi profondi sulla semantica del cibo: fino a che punto un piatto può essere destrutturato senza perdere la sua identità? Una “carbonara” senza uova e guanciale resta tale? Un “tiramisù” senza mascarpone può reggere il nome?
Cracco, da sempre al confine tra provocazione e classicismo, qui sembra voler sfidare il dogma della nomenclatura gastronomica, mantenendo il nome pur mutando la sostanza. È un gesto estetico e concettuale, più vicino all’arte contemporanea che alla trattoria di quartiere.
In realtà, il gesto dello chef milanese si inserisce in un movimento più ampio dell’alta cucina mondiale: quello che cerca valore nel recupero, nella materia di scarto, e che rilegge la tradizione come “contenitore fluido” piuttosto che come ricettario fisso. René Redzepi (Noma), Massimo Bottura (Osteria Francescana) e persino lo spagnolo Ángel León, definito “lo chef del mare”, hanno più volte costruito piatti iconici da elementi poveri o dimenticati.
Ma è evidente che il prezzo e il contesto fanno la differenza. La cotoletta di Cracco, servita in uno dei ristoranti più esclusivi di Milano, non è solo un piatto: è un discorso. Ed è proprio quel discorso a dividere: chi lo interpreta come riflessione alta sul consumo e sulla cultura alimentare, e chi invece lo considera un esercizio di stile snob, per palati ricchi e stomaci vuoti.
In definitiva, la “cotoletta senza cotoletta” è molto più di un piatto. È uno specchio della società contemporanea, dove le identità si scompongono e ricompongono, dove la memoria gastronomica si confronta con la crisi climatica, con i nuovi bisogni e con l’estetica dell’imperfezione. Cracco lo sa. E rilancia.
Che piaccia o no, il suo pane fritto parla. E, per una volta, ci costringe a chiederci: che cos’è davvero una cotoletta? E chi ha il diritto di dirlo?
0 commenti:
Posta un commento