Dal banchetto medievale alla tavola moderna: l’evoluzione del gusto in tre piatti storici

La cucina medievale è spesso immaginata come un’esplosione di spezie, contrasti estremi e ricette dal gusto opulento, se non addirittura bizzarro. Ma più che stravaganze da romanzo storico, molte delle ricette di quell’epoca erano raffinate espressioni culturali e simboliche, e alcune sono sopravvissute fino a oggi, trasformandosi nel corso dei secoli. Tre piatti in particolare — Sauerbraten, Pfefferpotthast e Blancmanger — offrono uno spaccato sorprendente sull’evoluzione della cucina europea, e mostrano quanto il nostro modo di cucinare e mangiare sia cambiato (o resti profondamente legato al passato).

Il Sauerbraten, oggi un piatto simbolo della cucina tedesca, affonda le sue radici nei banchetti medievali delle corti mitteleuropee. Originariamente preparato con carne di cervo — riservata alla nobiltà che deteneva il monopolio della caccia — è un piatto costruito sul contrasto di sapori forti: dolce e aspro, speziato e robusto. La marinatura lunga, a base di vino rosso e aceto, è una tecnica medievale volta a ammorbidire le carni frollate e a conservarle in assenza di refrigerazione.

All’epoca, la salsa veniva addensata con pane speziato o pan di zenzero, un tratto distintivo della cucina medievale, dove il pangrattato sostituiva la farina. Le spezie utilizzate — pepe lungo, pimento, chiodi di garofano, ginepro — erano costosissime, e il loro uso massiccio era un modo per esibire ricchezza e prestigio.

Oggi, il Sauerbraten si prepara più spesso con manzo (o occasionalmente cavallo), e le spezie sono usate in modo più misurato. Il risultato è un piatto più armonico, ma anche meno estremo. La carne di cervo è diventata ingrediente per cucine raffinate, più che rustiche, e raramente viene sacrificata per preparazioni così complesse e dominanti.

Il Pfefferpotthast, ancora diffuso nella Vestfalia tedesca, è uno degli stufati più antichi d’Europa: la sua prima menzione scritta risale al 1378. A base di manzo e una generosa quantità di cipolle, è un piatto che parla la lingua del Medioevo: lunghi tempi di cottura, forte presenza di pepe nero, alloro, pimento e una punta acidula — una costante nella cucina dell’epoca.

Una ricetta ottocentesca conserva l’uso delle fette di limone, un tempo apprezzatissimo per conferire freschezza ai piatti. Oggi, questa acidità è spesso introdotta con l’aggiunta di cetriolini sottaceto, che reinterpretano la funzione originale in chiave popolare. Anche in questo caso, le spezie sono state ridotte, rispecchiando il gusto moderno per i sapori più equilibrati e meno aggressivi.

Interessante è anche la tecnica di addensamento naturale con le cipolle: un elemento che affonda direttamente nella pratica medievale, in cui farina e amidi erano poco usati o riservati ad altre preparazioni. Se necessario, il brodo veniva arricchito con fette biscottate sbriciolate, un altro tratto arcaico sopravvissuto fino ai giorni nostri.

Il Blancmanger, oggi noto come blancmange, è forse la trasformazione più radicale. Oggi lo associamo a un dolce cremoso a base di latte, mandorle e vaniglia, ma le sue origini medievali raccontano tutt’altra storia. Nella versione del XIV secolo, contenuta nel Viandier di Taillevent o nel Forme of Cury inglese, il piatto era una preparazione semidolce a base di petto di pollo sfilacciato, latte di capra, mandorle pestate, riso e spezie floreali come le violette. Un cibo nobile, servito come piatto di mezzo nei banchetti aristocratici, dal gusto delicato ma complesso.

Nei periodi di digiuno religioso, il pollo veniva sostituito con pesce magro, spesso luccio, in una variante che dimostra l'adattabilità e l'importanza simbolica di questo piatto nella cultura gastronomica medievale.

La versione moderna ha completamente abbandonato gli elementi salati: il pollo è scomparso, il latte di capra è stato sostituito da quello vaccino, le mandorle restano come eco aromatica. Ma la struttura è diventata un dolce gelatinoso, oggi raro, se non dimenticato. Solo in Turchia, con il Tavuk Göğsü, si conserva la preparazione originale con il pollo, mantenendo viva una tradizione culinaria millenaria che in Occidente è ormai sparita dalla tavola.

L’analisi di questi tre piatti mostra come la cucina sia un archivio vivente della cultura umana. In ogni trasformazione si leggono cambiamenti nel gusto, nella disponibilità di ingredienti, nelle tecnologie e nei valori sociali. L’abbondanza di spezie un tempo serviva a dimostrare potere, oggi le usiamo con moderazione per esaltare l’equilibrio. Le marinature forti nascevano da esigenze di conservazione, oggi sono scelte stilistiche. I sapori estremi si sono addolciti, ma la memoria sensoriale del Medioevo resiste, a volte in modo palese, altre volte nascosta in una salsa, in una spezia, in un gesto tecnico tramandato.

Mangiare medievale non è impossibile. Ma lo facciamo spesso senza nemmeno saperlo. Basta guardare con occhi nuovi ciò che abbiamo nel piatto.


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