Il giorno in cui ho ordinato un lecca-lecca... e ho ricevuto pollo piccante

Ci sono momenti, nella nostra infanzia, che restano impressi nella memoria non perché siano straordinari, ma per la loro disarmante semplicità. Uno di questi, per me, è legato a un nome di piatto fuorviante e a una delusione culinaria tanto ingenua quanto esilarante.

Ero solo un bambino quando i miei zii ci portarono — me, i miei cugini e tutta la famiglia — in un ristorante piuttosto elegante. Era una serata speciale: niente regole, niente “mangia quello che ti dico io”. Ognuno poteva scegliere dal menù ciò che voleva. Per un bambino, era un potere assoluto. E come molti bambini, mi affidai a ciò che conoscevo.

Sfogliando il menù pieno di parole che sembravano uscite da un altro pianeta, i miei occhi si fermarono su una voce che risaltava come una stella nel buio: “lecca-lecca di pollo”. Lecca-lecca! Conoscevo quella parola! La associavo a qualcosa di meravigliosamente dolce, zuccheroso, colorato. Era la promessa di una caramella travestita da piatto principale. L’eccitazione era alle stelle.

Nessuno al tavolo pensò di dirmi che forse avevo frainteso. Nessuno si preoccupò di spiegarmi che i “lecca-lecca di pollo” sono in realtà alette di pollo speziate, arrotolate su se stesse e infilzate in uno stecco — un antipasto popolare della cucina indo-cinese, noto per la sua piccantezza.

Quando il piatto arrivò, la mia espressione passò in pochi secondi da estasi a orrore. Mi aspettavo un bastoncino dolce, magari colorato di rosso ciliegia o verde mela. Quello che ricevetti fu... pollo. E nemmeno un pollo qualunque: piccante, fumante, speziato, completamente all’opposto di qualsiasi cosa un bambino assocerebbe alla parola “lecca-lecca”.

Ricordo ancora quella sensazione. Non rabbia, non vergogna. Solo una pura, ingenua delusione. Quella che provi quando il mondo adulto si svela nella sua logica bizzarra e ti fa capire che no, un lecca-lecca non è sempre un lecca-lecca.

Non toccai quasi nulla di quel piatto, anche perché all’epoca non amavo particolarmente il pollo. Ma il vero sapore che mi è rimasto impresso non è quello della spezia: è quello della sorpresa tradita, del confronto tra aspettativa e realtà — una realtà che a volte è salata quando pensavi sarebbe stata dolce.

Col senno di poi, ci rido su. Trovo teneramente ridicolo il mio entusiasmo infantile e ancora più comico il fatto che nessun adulto al tavolo abbia pensato di intervenire. Forse volevano proprio vedere cosa sarebbe successo. Forse, come spesso accade, erano troppo occupati a divertirsi tra loro per notare il piccolo fraintendimento del più piccolo del gruppo.

Ma in fondo, non è così che si formano i ricordi più vivi? Non nelle esperienze perfette, ma in quelle storte, un po’ assurde, piene di malintesi.

E ancora oggi, ogni volta che in un menù leggo “Chicken Lollipop”, non posso fare a meno di sorridere — e di chiedermi quante altre persone ci siano là fuori che, da bambini, hanno sperato di ricevere una caramella e si sono ritrovate con un’ala di pollo piccante.

Se vi è successo qualcosa di simile... sappiate che non siete soli.



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