Rostin negàa: la ricetta milanese dei nodini di vitello annegati nel gusto della tradizione

C’è una Milano che non indossa cravatte, non parla inglese e non si esprime in hashtag. È la Milano delle cucine col soffritto del giovedì, delle ricette tramandate a voce, dei sapori che resistono alla moda. In questa Milano più vera che patinata, vive il "rostin negàa", letteralmente “arrosto annegato”, un secondo piatto robusto, contadino, nato per sfamare con gusto e sostanza.

Non lasciatevi ingannare dal nome: non si tratta di una semplice carne arrosto. Qui il vitello si fa tenero a furia di cottura lenta e affettuosa, annegato – appunto – in un mare di burro, cipolle e brodo. È un piatto domestico, che sa di grembiule e cucina vissuta, e che un tempo occupava un posto d’onore nelle domeniche meneghine, secondo solo al risotto giallo o all’ossobuco. Oggi, come molte ricette storiche, rischia di essere dimenticato. Ma basterebbe prepararlo una volta per capirne il valore, tra comfort food e memoria collettiva.

Il rostin negàa ha origini popolari. Non c’è un documento che lo dati con precisione, ma si presume che la ricetta sia comparsa già nel XVIII secolo, forse come evoluzione di piatti medievali lombardi in cui la carne veniva stufata per ore per ammorbidirla. Il termine “negàa” – annegato – indica il metodo: una lunga cottura nel burro e nel fondo di cipolla che, più che cuocere, avvolge la carne in un abbraccio caldo e persistente.

I protagonisti sono i nodini di vitello, ossia le costolette con l’osso, tagliate alte e polpose, spesso ricavate dalla lombata. Vanno trattati con cura, senza fretta, senza aggiungere aromi che sovrastino il gusto pieno della carne e del suo fondo. Niente pomodoro, niente spezie. Solo brodo, burro, cipolle, sale e – se vogliamo esagerare – un bicchierino di vino bianco secco.

Ingredienti per 4 persone

  • 4 nodini di vitello (costolette alte con osso, circa 250 g ciascuna)

  • 2 cipolle bionde grandi

  • 80 g di burro

  • ½ bicchiere di vino bianco secco (facoltativo ma consigliato)

  • Brodo di carne q.b. (almeno 500 ml)

  • Farina 00 per infarinare

  • Sale e pepe

  • Prezzemolo fresco tritato (facoltativo, per guarnire)

Preparazione

  1. Preparate il brodo: potete usare un buon brodo di carne fatto in casa o, se proprio serve, un brodo già pronto purché non troppo salato. Deve restare di supporto, non diventare protagonista.

  2. Affettate le cipolle sottilmente e tenetele da parte.

  3. Infarinate leggermente i nodini, scrollando via l’eccesso. Questo aiuterà a formare una leggera crosticina nella fase iniziale e ad addensare il fondo di cottura.

  4. In una casseruola ampia e dal fondo spesso, sciogliete metà del burro e rosolate i nodini su entrambi i lati, fino a che non risultano dorati. A questo punto, salate, pepate, e se gradite sfumate con il vino bianco. Lasciate evaporare l’alcol.

  5. Aggiungete le cipolle, il resto del burro e iniziate a versare il brodo caldo, poco alla volta, abbassando la fiamma al minimo.

  6. Coprite e lasciate cuocere per circa 90 minuti, aggiungendo brodo man mano che evapora. I nodini devono rimanere umidi, quasi “affogati”. È importante non lasciare asciugare la carne: il segreto sta proprio nella lentezza e nell'umidità costante.

  7. A fine cottura, il burro, le cipolle e il brodo avranno creato una salsa vellutata e densa, perfetta da raccogliere con una fetta di pane rustico.

  8. Servite caldissimo, cospargendo – se volete – con un filo di prezzemolo tritato per dare un tocco di freschezza. Il contorno ideale? Un purè di patate classico, oppure una polenta morbida che raccolga ogni goccia di sugo.

Consigli dello chef (di casa)

  • Mai fretta: il rostin negàa non si fa per un pasto veloce. È un piatto lento, paziente. Fate altro mentre cuoce, ma lasciategli tutto il tempo.

  • Burro buono, nodini giusti: la qualità degli ingredienti è tutto. Un burro di montagna e nodini tagliati dal macellaio (con l’osso, mai disossati!) fanno la differenza.

  • Il giorno dopo è ancora meglio: come molte preparazioni in umido, riposare aiuta i sapori a legarsi. Scaldatelo dolcemente, magari con un goccio di brodo nuovo, e servitelo come piatto rinforzato.

Il rostin negàa è più di una ricetta: è un gesto culturale. È la risposta milanese all’ossessione contemporanea per l’efficienza e la leggerezza. Qui si cuoce con il tempo, si mangia con calma, si assaggia con rispetto. È l’ideale da riscoprire nelle stagioni fredde, quando una casa che profuma di burro e cipolla può ancora essere la più grande forma di accoglienza.

Riportarlo a tavola è un modo per restituire profondità alla nostra memoria gastronomica. E se un giorno dovesse tornare di moda, che sia per le ragioni giuste: non per nostalgia, ma per gusto. Perché un arrosto annegato, se fatto come si deve, è capace di rimettere in ordine il mondo. Almeno fino al dolce.



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