Marco Gavio Apicio (in latino:
Marcus Gavius Apicius; ... –
...) è stato un gastronomo e cuoco romano.
È vissuto a cavallo fra il I secolo
a.C. e il I secolo d.C. Descritto come amante dello sfarzo e del
lusso dalle fonti, egli costituisce la nostra principale fonte sulla
cucina romana.
Biografia
Origini familiari
Non sappiamo nulla sulla famiglia di
Apicio. Sappiamo tuttavia che agli inizi del I secolo a.C. visse un
altro Apicio, anch'egli amante del lusso e descritto come l'uomo che
ai suoi tempi più di tutti spese soldi per puro sfarzo. Constata
l'esistenza di un terzo Apicio, più tardivo degli altri due, vissuto
nel II secolo d.C., è possibile che il cognomen non fosse
trasmesso tramite rapporti familiari, ma più che altro fosse un
soprannome che si dava a certi personaggi per il loro amore per lo
sfarzo.
Carriera
Non esiste un vero e proprio corpo
biografico del personaggio, e più che altro ci sono stati trasmessi
vari aneddoti sconnessi gli uni dagli altri. Quello temporalmente più
antico pare essere quello tramandatoci da Marziale, secondo il quale
Apicio avrebbe cenato a casa di Mecenate. Sembra inoltre che si sia
abbandonato a delle pratiche sessuali con un giovane Seiano,
prostituitosi per denaro.
Forte sembra essere stato il suo
rapporto con la famiglia imperiale, specialmente con Tiberio. Sembra
infatti che Apicio e Druso minore, figlio dell'imperatore, fossero in
buoni rapporti o che almeno si conoscessero. Infatti Plinio il
Vecchio ci dice che una volta il gastronomo convinse Druso a non
mangiare delle cymae (semi o cime di cavolo) in quanto cibo
popolare. Inoltre sembra che una volta Tiberio, vedendo una grossa
triglia in un mercato, scommise che l'avrebbero comprata Apicio o
Publio Ottavio; i due iniziarono allora a contendersi il pesce finché
Ottavio se lo aggiudicò.
Morte
Anche la morte di Apicio ci è stata tramandata come un aneddoto a sé stante, con delle dinamiche quasi satiriche. Infatti pare che egli morì suicida quando s'accorse che il suo patrimonio, ridotto a soli dieci milioni di sesterzi, non gli avrebbe più consentito il tenore di vita a cui s'era abituato.De re coquinaria
Nel III o forse IV sec. dell'era
volgare fu compilata una raccolta di ricette a nome di Apicio, il De
re coquinaria (L'arte culinaria), in dieci libri, forse un
rimaneggiamento di un antico ricettario di Marco Gavio. Altra ipotesi
è che l'autore di tale opera sia stato un certo Celio (il cui nome
compare in alcuni codici dopo quello di Apicio), ma probabilmente il
nome Celio appare un inserimento congetturale di epoca umanistica. Si
tratta di appunti frettolosi e disordinati che costituiscono,
tuttavia, la principale fonte superstite sulla cucina nell'antica
Roma.
L'importanza del condimento
I commensali di Roma antica disponevano
di numerosi prodotti provenienti da ogni parte dell'impero. Le classi
più elevate potevano così organizzare sontuosi banchetti con cui
intrattenere e spesso stupire i propri ospiti. Il ricco apparato di
piatti, sia semplici sia elaborati, prevedeva carne, pesce e verdura
generosamente condite da salse dolci e salate.
A dispetto delle tecniche di
preparazione del cibo, sono i condimenti i veri protagonisti della
cucina romana: la salsa base di pesce (garum o
liquamen), il mosto cotto e rappreso (defrutum), il miele,
verdure, spezie, venivano usate in abbondanza come condimenti, sia
singolarmente che mescolate tra loro, generando un'infinità di gusti
diversi (molti dei quali disgustosi al palato del commensale
moderno).
I vari frammenti di Apicio testimoniano
l'importanza del condimento: in particolare del garum,
utilizzato ovunque come ai giorni nostri viene impiegato il comune
sale da cucina; nei diversi appunti del cuoco le ricette che
prevedono questa salsa sono ben venti. Di fatto, la composizione e la
modalità di preparazione del garum appaiono tuttora di natura
incerta: questo è dovuto probabilmente al fatto che, essendo così
popolare, nessun cuoco aveva la necessità di scriverne la ricetta.
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