Si chiama Pizza Rossini e potrebbe
sembrare un'amenità della provincia. Invece è il simbolo della
cittadina marchigiana che la mangia anche a colazione.
Sono sempre stato convinto che la
provincia italiana, intesa
come l’insieme di tutte le città medio-piccole del Bel paese,
sfugga alle categorie con cui di solito cerchiamo di conoscere ogni
altro luogo del mondo.
Chi cresce in provincia e diventa
fuorisede trasferendosi, come nel mio caso, in posti come Milano
inizia in qualche modo a ripudiare la propria provenienza: quando si
torna ci si sforza di ricordare a tutti che “qua non c’è mai
niente da fare” e che “non vedo l’ora di tornare su, ché qua
dopo un po’ mi viene l’ansia”. Certo, a volte sono forzature,
ma io che vengo da Pesaro, città adriatica al confine tra Marche e
Romagna, quando torno per l’estate spesso avverto come una
sensazione Twin Peaksiana, che il tempo scorra ovunque tranne che
qua.
Chi vive in questa stagnazione deve
quindi riempirsi di abitudini precise, posti a cui giurare fedeltà,
una compagnia di amici ben definita e soprattutto una serie di
oggetti-culto locali che giustifichino perché qui sia meglio che in
qualunque altra provincia. A Pesaro questi simboli non mancano:
abbiamo Valentino Rossi, la Vuelle (squadra storicamente nota come
Scavolini, militante nella Serie A di basket), la Sfera Grande di
Arnaldo Pomodoro (che implicitamente fingiamo non sia presente in
altre città) e recentemente siamo stati addirittura capaci di
inventare a tavolino un palio medievale mai esistito prima.
L’elemento principale intorno a cui ruota l’intero marketing
cittadino è però Gioachino Rossini, a cui è stata dedicata anche
una pizza, che chiunque non abbia passato del tempo da queste parti
difficilmente troverebbe subito appettibile, ma che è probabilmente
l’unico culto cittadino ad essere accettato anche da chi da Pesaro
è scappato.
Un pesarese in Erasmus cercherà
obbligatoriamente di ricreare la Pizza Rossini
e di farla assaggiare a persone di
più nazionalità possibili, per diffondere il verbo. La Rossini è
l’unica cosa che anche i più duri di cuore ammettono gli manchi di
Pesaro.
Tornando all’appetibilità di questa
pizza: la Rossini è una pizza margherita con l’uovo sodo tagliato
a fette e tanta maionese. Quando ho mostrato una foto ad amici
milanesi la maggior parte ha mimato il gesto del conato di vomito, e
quando in Francia ho provato a commissionarla al mio pizzaiolo
pugliese di fiducia mi ha risposto “quindi mangiate proprio di
merda a Pesaro, eh?”.
Capisco benissimo la diffidenza di chi
con questo piatto davanti non ci è nato, ma sono certo che, salvo
eccezioni (chi non ama i singoli ingredienti è in parte
giustificato), tutti dopo il primo morso abbiano un’illuminazione
che sblocca il loro palato a questo gusto nuovo. Va inoltre detto che
la Pizza Rossini in realtà non è semplicemente una margherita con
due ingredienti in più, ma è una trinità esattamente come il Dio
cristiano e ognuna delle tre varianti racchiude un mondo a sé.
La versione al taglio, quadrata, è
quella che si presta meglio all’ambiente familiare:
la si prende rigorosamente da
asporto nella pizzeria di quartiere e la si mangia in compagnia a
casa. La versione al piatto è quella che richiede più dedizione e
che, ora, si sta adattando molto bene alle evoluzioni gourmet della
pizza. Ma la variante più caratteristica è senza dubbio la
mini-rossini da colazione:
di solito è tonda e grande più o
meno come un CD, ha l’impasto di una classica pizzetta rossa da
forno, una o più fette di uovo sodo centrali e una spirale di
maionese gialla. Questa rossini mattutina si trova in ogni bar di
Pesaro, ma la maniera più giusta di degustarla è tra le 2 e le 6
del mattino, possibilmente dopo una serata piena, in uno dei vari
laboratori di panetteria e pasticceria della città che di notte
aprono la loro porta sul retro per rimettere al mondo orde di zombie
raminghi. Visto il loro orario di servizio, il termine gergale - e
poco lusinghiero - usato da queste parti per chiamare questi
laboratori è “troie” e ce n’è almeno una per quasi ogni
quartiere della città, finché non viene chiusa per schiamazzi
notturni o finché chi ci lavora non si stufa della clientela
molesta.
Per farvi capire meglio e associare
delle immagini a questa descrizione ho deciso di visitare due
pizzerie e un laboratorio di Pesaro.
Pizzeria Otello
Comincio dai miei primi ricordi
d’infanzia, le passeggiate in centro con i miei e quell’odore di
pizza appena sfornata che emergeva da una delle vie minori: si tratta
della
Pizzeria Otello, un luogo
storico di Pesaro dove viene fatta una pizza al taglio più sottile
delle altre ma che inspiegabilmente in meno volume racchiude più
sapore e apporto nutritivo di qualunque altra pizza della città.
“Lele”, il titolare, mi spiega che
l’attuale sede del ristorante risale al 1994, ma che si tratta
dell’evoluzione naturale della pasticceria-pizzeria aperta da suo
padre Otello nel 1955, che già dal ’69 si trovava in questa via.
Nonostante frequenti questo posto da
tutta la vita scopro solo ora che la storia lavorativa della loro
famiglia si intreccia con la storia stessa della Pizza Rossini. “C’è
una discussione su chi l’abbia inventata”, mi spiega,
"maprobabilmente è nata nella pasticceria-pizzeria Montesi”,
che ora non esiste più, ma dove una volta lavoravano sua zia e suo
padre.
Ci tiene a precisare che
inizialmente esistevano solo la versione ridotta da colazione e il
trancio quadrato e che la mozzarella è stata aggiunta più
recentemente. “Montesi ha aperto nel ’46, quindi la rossini nasce
negli anni ’50”. Di suo, Lele prepara Rossini da prima del 1977,
anno in cui ha iniziato a lavorare per il padre, “ma gli davo già
una mano quando ancora andavo a scuola”.
Pizzeria Bartolo
Il secondo ristorante visitato è una
delle ultime pizzerie ad aver aperto a Pesaro nel quartiere di Baia
Flaminia, un luogo dall’architettura anni ’70 dove le colline
incontrano il mare. Bartolo, questo il nome della pizzeria, ha
aperto quest’estate e, in una carta che non disdegna i piatti di
pesce, propone un’evoluzione della
pizza pesarese: la Rossini Evo,
con pomodoro biologico della Maremma, mozzarella di latte di bufala
marchigiana a crudo, alici del Cantabrico riserva 18 mesi, uova di
quaglia sode, basilico e origano selvatico. Per l'impasto
semi-integrale sia usa farina macinata a pietra (Mulino Marino) tipo
1 e 2, che riposa 60 ore.
Guai a chiamarla “gourmet”, però:
“quella parola la sfruttano tutti solo perché mettono due robine
sulla pizza e poi magari non sono neanche fresche”, mi spiega il
titolare e pizzaiolo Federico, “noi non diamo la pizza tagliata a
spicchi, diamo una pizza normale, classica, però rivisitata a modo
mio, con prodotti eccellenti e cercando di seguire le stagioni”.
Alla domanda su come sia nata l’idea
della Evo, Federico mi risponde candidamente che le alici del
Cantabrico e le uova di quaglia gli piacciono “un bel po’”
(espressione pesarese doc); “abbiamo provato ad abbinare il tutto e
abbiamo deciso subito di metterla in menù, alla gente è piaciuta
molto e adesso è il nostro cavallo di battaglia”.
Il Fornaio Pasticcere
L’ultima tappa del mio viaggio arriva
tra notte e mattina nel mio quartiere, la zona portuale della città.
In una via in cui sembrano esserci solo vecchie case si apre una
porticina verde da cui si intravede uno stanzone rettangolare pieno
di macchinari e pile di teglie con brioches e salati. Sulla strada
parallela c’è l’ingresso principale con il negozio
Il fornaio pasticcere, ma
sono più interessato al lato underground del forno, dove incontro
Katia, una signora che sforna rossini dal 1987.
Considerando gli orari improponibili e
la quantità di cibo da infornare per il giorno seguente, mi chiedo
come possa affrontare anche l’invasione giovanile notturna. “Noi
la viviamo bene”, mi risponde prima di correggersi, “o meglio, la
vivremmo bene se non avessimo tutto il lavoro che abbiamo; noi qua
siamo contati e quando vengono i ragazzi dobbiamo lasciar perdere
ogni cosa per stare dietro a loro”.
Nonostante un addetto esclusivamente
alle vendite sarebbe una manna dal cielo, Katia mi confessa che
questa abitudine dei giovani pesaresi è una bella cosa e che è
contenta di questa parte del suo lavoro. Il signore che lavora con
lei e che si occupa dei dolci sottolinea che, ok, le rossini sono
buone, ma anche i panettoni a Natale non scherzano. Se sono buoni
come i salati dovreste preoccuparvi, milanesi.
Ad onor del vero, di varianti della
rossini ce ne sarebbero altre (come la rossiccia, rossini+salsiccia)
e sconfinano anche al di fuori del
mondo della pizza: ormai nella maggior parte dei ristoranti pesaresi
almeno un piatto composto da questi ingredienti è d’obbligo e non
è difficile trovare bruschette rossini, insalate rossini o focacce
rossini (per non parlare poi del merchandising). Per dare una vetrina
a questa tradizione locale l’anno scorso è stato inaugurato anche
un
festival dedicato alla pizza
pesarese, in cui i ristoratori della zona si sfidano nelle
rispettive categorie per aggiudicarsi il titolo di miglior rossini di
Pesaro;
quest’anno si terrà dal 28
al 30 settembre.
Se siete in vena di conoscere da vicino
la provincia marchigiano-romagnola con i suoi pregi e i suoi difetti,
e se avete lo spirito giusto per assaggiare un abbinamento che in
qualunque altro contesto vi avrebbe fatto passare l’appetito, vi
garantisco che il vostro coraggio verrà ricompensato.
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