Paccheri

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I paccheri sono un tipo di pasta tradizionale napoletana aventi la forma di maccheroni giganti, generalmente realizzati con semola di grano duro.
Il termine deriva del greco antico (da πας, "tutto" e χειρ, "mano") dei primi fondatori di Parthènope e ancora usato nella lingua italiana come "pacca", ovvero uno schiaffo dato a mano aperta, senza intenzioni ostili. Da qui il nome del tipo di pasta, dalla taglia molto superiore alla norma, in genere accompagnato da sughi succulenti. I paccheri possono essere anche farciti, con ricotta o altri ingredienti, e serviti con il ragù.

Curiosità

Il termine pacchero è impiegato anche con il significato di schiaffo, in alcune espressioni popolari:
  • Stare sotto al pacchero: stare sotto i comandi di qualcuno
  • Dare un pacchero a mano smerza: dare uno schiaffo con il dorso della mano

Gnocchi alla sorrentina

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Gli gnocchi alla sorrentina sono un piatto tipico della cucina napoletana.
Sono preparati con gnocchi fatti di patate, farina ed acqua, cotti e conditi con salsa di pomodoro, fiordilatte, parmigiano e basilico. Quindi, sono infornati, in un piccolo tegame di coccio (pignatiello), nel quale vengono poi serviti, molto caldi.
In Campania gli gnocchi venivano detti strangulaprievete da cui l'impropria traduzione nell'odierno strangolapreti, tuttavia l'etimo seppur suggestivo, non è da ricondurre agli ordini religiosi, bensì a più antiche radici greche.

Spaghetti allo scoglio

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Gli spaghetti allo scoglio sono un primo piatto a base di molluschi (cozze e vongole) e crostacei (scampi o gamberi) tipico della cucina campana.
Gli spaghetti allo scoglio si possono presentare in due versioni: con o senza pomodoro (in genere pomodorini).

Mortadella di Campotosto

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La mortadella di Campotosto (popolarmente detta coglioni di mulo) è un salume tipico prodotto in limitate quantità nel territorio del comune di Campotosto in provincia dell'Aquila e zone limitrofe.

Storia

Per un periodo di tempo la città di Amatrice si era appropriata della paternità del salume, in seguito al dominio che nel periodo medioevale aveva avuto sulle zone di Campotosto e paesi vicini. La tradizione della mortadella di Campotosto è molto antica, si ritiene abbia più di 500 anni, per come la conosciamo oggi, solo pochi campotostari continuano la tradizione della mortadella, e solo pochi palati hanno oggi la possibilità di degustarla, causa la rarità del prodotto.

Descrizione

La mortadella è composta solamente da carne di suino, che i pastori e i vari fattori allevavano nel territorio dei Monti della Laga. Ha una forma ovoidale (ed un peso tradizionalmente individuato in 330 gr). Ha una grana fine e all'interno, ha infilata su tutta la sua lunghezza una barretta di lardo che caratterizza il prodotto rispetto agli altri salumi. Quando viene tagliata, la sezione presenta un colore roseo, mentre la barretta centrale di lardo ha un colore bianco. La preparazione dell'insaccato avviene nella seguente maniera:
  • macinazione molto fine delle carni;
  • condimento con sale, pepe e vino bianco;
  • maturazione dell'impasto per almeno 24 ore all'interno di un contenitore di legno (lo scifone) oppure di acciaio. L'impasto viene rimescolato più volte con infuso di chiodi di garofano e cannella.
L'insaccatura avviene manualmente, con cucitura del budello attorno all'impasto. Nella parte inferiore del salame viene apposto un tralcetto che avvolge lo spago durante l'allentamento dovuto alla stagionatura.
Il prodotto può essere consumato dopo almeno tre mesi dalla macinatura.

Salame Aquila

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Il salame aquila è un insaccato ottenuto dalla macinazione di tagli di carne magra e grassa di maiale, originario dell'Aquila, capoluogo abruzzese da cui esso prende il nome.
La carne viene tritata e amalgamata con pepe, sale e vino bianco, quindi viene insaccata in budelli naturali o artificiali, legati infine con spago alle due estremità.
In seguito viene sottoposta a pressione, per farne fuorisucire l'aria all'interno che potrebbe rovinare la carne. La forma finale ne risulta appiattita e irregolare.
Spesso, nelle preparazioni artigianali, vengono sconciati i prosciutti per utilizzarne la carne nell'impasto del salame.

Cuccìa

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La cuccìa è un piatto tipico della provincia cosentina, a base di grano bollito, carne di capra e/o di maiale e spezie. Viene preparato tradizionalmente nei comuni della fascia presilana della provincia di Cosenza. La preparazione del piatto richiede circa 3 giorni e passa attraverso diverse fasi: la pulizia del grano, la successiva macerazione, la bollitura e la cottura nel tradizionale forno a legna. Per la preparazione si usa un contenitore tradizionale in terracotta che prende il nome di Tinìellu. I primi accenni relativi a questa antica tradizione sono stati scritti da Vincenzo Padula, prete poeta di Acri. Si segnala una pietanza simile in Sicilia che però è un dolce.

Origini

Attualmente non ci sono certezze sull'origine. Per assonanza e somiglianza un'ipotesi è quella della derivazione dal cus cus, il tipico piatto arabo e saraceno. Per tale ragione il piatto risalirebbe alle origini dei casali presilani, quando i saraceni invasero Cosenza. Degno di nota è la particolarità dell'aggiunta di carne di maiale a quella della capra (della tradizione saracena) che sembra come l'appropriarsi di una pietanza per negarla a chi è di religione musulmana e ritiene il maiale un animale impuro.

Frittole

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Il termine frittole di maiale (in dialetto reggino frittuli, raramente al singolare frittula) indica un piatto tipico della città di Reggio Calabria e zone limitrofe. I frammenti di carne di piccole dimensioni che si depositano sul fondo della pentola di bollitura vengono comunemente detti curcuci. Le frittole di maiale sono tipiche della città di Reggio Calabria. Al di fuori di essa (se non nel diretto circondario) esistono preparazioni simili, prodotte con tecniche largamente differenti, che assumono nomi come risimoglie, scarafuagli o sprinzuli.

Preparazione

Le frittole si ottengono riscaldando il grasso macinato del maiale (grossolanamente privato di carne e altre impurità), in un pentolone di rame stagnato, detto caddàra (quadàra o cardara in altri paesi vicino al capoluogo). Durante la laboriosa fase di preparazione la pentola viene letteralmente foderata di grasso macinato. In tal modo esso si scioglie con aggiunta di poca acqua leggermente salata. Quando il grasso è parzialmente sciolto si dispongono, con particolari accorgimenti in relazione alle dimensioni ed al tipo di carne, le costine e le parti meno nobili del maiale (collo, guancia, lingua, muso, orecchie, gamboni, pancia, rognoni, cotenna e tutte quelle parti che non possono essere consumate in altro modo) e si lasciano bollire a fuoco lentissimo nel grasso per almeno sei ore, aggiungendo solo sale e rimescolando frequentemente. Con questo procedimento la carne si impregna del sapore del grasso e diventa molto tenera, rendendo edibili anche le parti cartilaginee.
Tradizionalmente la caddàra veniva allestita fuori dalle abitazioni contadine quando si macellava il maiale, evento che si verificava una volta all'anno viste le condizioni economiche della zona. Oggi la si vede sobbollire accanto alle macellerie reggine, che il sabato preparano la cottura per servire già a metà mattino la pietanza, accompagnata a pane e cosparsa di pepe nero. La caddàra va consumata necessariamente calda, meglio se appena levata dalla pentola. Ciò che resta viene poi venduto per il pranzo del sabato.
Come accennato sopra, una volta esaurite le parti di maggiori dimensioni, tutto quello che rimane sul fondo del pentolone, come piccoli pezzi di carne, cotenna e sugna, si solidifica e prende il nome di curcùci (Reggio) o salimorati (zone limitrofe) o risimoglie (catanzarese). Il prodotto è molto simile ai ciccioli napoletani. Grazie alla conservazione sotto lo strato di sugna, le curcùci possono essere successivamente consumate in diversi modi. Alcune preparazioni tipiche sono la a pulenta chi brocculi e curcuci (che si consuma durante l'inverno) e la pitta ca ricotta, l'ovu e curcuci, una sorta di pizza chiusa in crosta che costituisce anche il piatto tipico della scampagnata del Lunedì dell'Angelo.

Tradizioni

L'uccisione del maiale, in Calabria, era un vero e proprio avvenimento collettivo, di tipo liberatorio e allo stesso tempo propiziatorio, durante il quale il pericolo delle forze della natura veniva imprigionato in un rito simbolico e culturale. In passato, infatti, il maiale calabrese era detto il nero, appellativo che sta a rappresentare non solo il colore, ma, al pari del cinghiale, anche lo stato selvaggio nei boschi. Il tipico detto popolare ru pòrcu non si jètta nènti ("del maiale non si butta via nulla") sta a indicare che durante tutta la fase dell'uccisione e della macellazione si trae qualcosa di utile da ogni parte dell'animale.
Le frittole a Reggio Calabria vengono consumate tradizionalmente in occasione della Festa della Madonna della Consolazione, patrona della città e più in generale durante alcuni periodi di festività (Natale, e soprattutto nel periodo di Carnevale, particolarmente nel giorno di Giovedì Grasso). In questi periodi, lungo le strade del centro cittadino è possibile sentirne il profumo che contribuisce a creare il pittoresco e caratteristico ambiente festivo popolare. Tradizione vuole che il maiale si macelli solo nel periodo compreso fra la festa della Patrona e il martedì grasso. Naturalmente in epoca recente, per motivi commerciali, questa usanza è disattesa, ma dopo Carnevale (specie nel periodo della Quaresima e ancor di più nei mesi caldi) è difficile che vengano prodotte frittole.
Il giorno della macellazione del maiale, risorsa di lusso per molte famiglie, ancora oggi nei paesi di montagna sopravvive un'antica usanza di fare la serenata, festeggiando con amici e parenti l'assaggio delle rinomate "frittuli". Si lasciando le parti più nobili per la conservazione nei vasi con la sugna. In queste occasioni anticamente il padrone di casa faceva assaggiare diversi pezzi di carne agli ospiti ed ogni pezzo aveva un significato differente, ad esempio la coda del maiale si dava alle donne incinte per propiziare la nascita di un figlio maschio.
Ancora oggi è molto diffuso un antico proverbio calabrese sul maiale: "Cu si marita è cuntentu nu jornu, cu ammazza u porceju è cuntentu n'annu" (Chi si sposa è contento un solo giorno, chi ammazza il maiale è contento un anno intero)

Ristorazione sostenibile

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La ristorazione sostenibile è un tipo di approccio gestionale alla ristorazione finalizzato a ridurre gli impatti negativi sull'ambiente e ad incrementare, allo stesso tempo, i benefit di natura socio-economica. Semplici procedure e tecnologie innovative permettono infatti di incrementare significativamente le prestazioni ambientali di una piccola - media impresa, di ridurne i costi fissi di gestione e conseguentemente offrire un servizio ad un prezzo concorrenziale.

Introduzione

L'ambiente ha acquisito negli ultimi anni un ruolo sempre più importante nelle scelte e nelle decisioni degli amministratori pubblici e dei cittadini, questi ultimi declinati nei loro molteplici ruoli di “consumatori” di territorio, tradizioni locali, prodotti e materie prime. In effetti, oltre agli aspetti legati alla qualità e alla sicurezza, organizzazioni e imprese si trovano a fronteggiare un numero crescente di richieste relative alla qualità ambientale dei propri prodotti e servizi. Come per gli altri settori economici, la domanda di ristoranti eco-compatibili nel settore della ristorazione è cresciuta negli ultimi anni. Non a caso la gestione sostenibile di un ristorante si sta configurando sempre più come una best practice a livello internazionale e anche nel nostro Paese negli ultimi anni diversi sono i progetti avviati.

Panoramica

Internazionale

Nello scenario internazionale sono già molteplici i progetti sviluppati nell'ottica di un miglioramento della qualità ecologica del servizio di ristorazione; negli Stati Uniti ad esempio: l'etichetta Green Restaurant Certification 4.0 Standards e la Green Seal GS-46, l'iniziativa ecologica della National Restaurant Association denominata Conserve Solution for Sustainability, le linee guida della American Beverage Association che affrontano i temi della sostenibilità ambientale e sono rivolte a tutti gli attori protagonisti nella produzione e nella commercializzazione delle bevande; progetti simili sono stati sviluppati anche in Nuova Zelanda (The Better Cafè and Restaurant) e dal Dipartimento per la Protezione Ambientale di Hong Kong chiamato GreenRestaurants.
In ambito europeo invece è di rilevante importanza l'etichetta ecologica sviluppata dalla Nordic Ecolabel, volta a migliorare la qualità ambientale del servizio di ristorazione, mirando ad una riduzione significativa degli impatti ambientali causati dalle diverse attività connesse a tale servizio.
Nordic Ecolabelling for Restaurants In Europa lo standard di riferimento per il settore della ristorazione è rappresentato dalla certificazione Nordic Ecolabelling for Restaurants, sviluppata nel 2006 dal comitato Nordic Ecolabel. Il Nordic Ecolabel for restaurants, etichetta volontaria per la ristorazione, presuppone l'ottenimento della certificazione a fronte del superamento di una soglia minima di prestazione ambientale. Presuppone una verifica di terza parte per garantire la soddisfazione dei criteri obbligatori e volontari previsti nella checklist.

Nazionale

Il panorama nazionale manca invece di una vera e propria certificazione esclusiva per il settore della ristorazione. Le etichette ecologiche presenti in Italia e che trattano la gestione sostenibile di un ristorante sono quelle riguardanti il settore della ricettività turistica: EU Ecolabel, Legambiente Turismo, ICEA Eco-Bio Turismo e AIAB Agriturismo Bio-Ecologico. Le etichette ambientali per le strutture turistiche considerano le attività di somministrazione pasti esclusivamente se associate ad una offerta di pernottamento. Tuttavia in Italia sono diversi i progetti partiti in questi anni che trattano la tematica della ristorazione sostenibile in maniera organica, sia a scala regionale che a scala locale:
Ecoristorazione Trentino - Provincia Autonoma di Trento
La Provincia Autonoma di Trento è attualmente impegnata nello sviluppo di una etichetta ecologica di terza parte, che verrà rilasciata solo agli esercizi di ristorazione che garantiscono elevate prestazioni ambientali. L'intento infatti è di migliorare il già eccellente servizio offerto dai ristoratori trentini, aumentandone e valorizzandone l'attenzione ai temi ambientali. Linea comune del progetto è lo sviluppo sostenibile, nella accezione più larga del termine (ambientale, etica e sociale), nel quale, all'ottimizzazione nell'uso delle risorse, si associano comportamenti e tecnologie per ridurre i carichi ambientali e i costi superflui di un settore tra i prioritari per lo sviluppo territoriale.
In particolare il disciplinare di certificazione verterà sui seguenti ambiti di lavoro:
  1. alimenti e bevande > priorità ai prodotti biologici, locali, solidali;
  2. rifiuti > priorità alla riduzione, in particolare della frazione organica;
  3. energia > priorità al risparmio energetico;
  4. acqua > priorità al risparmio idrico;
  5. acquisti non alimentari > priorità ai prodotti ecologici;
  6. informazione, comunicazione, educazione ambientale > per il coinvolgimento della clientela nelle buone pratiche ambientali.
Carta Volontaria del Ristorante Sostenibile - Emilia-Romagna La Carta Volontaria del Ristorante Sostenibile è un progetto promosso da CONFESERCENTI Emilia-Romagna e sviluppato grazie al supporto scientifico di ARPA.
Cuore della fase di sviluppo del disciplinare è stata la fase di sperimentazione in cui sono stati coinvolti nove esercizi di ristorazione diversi per tipologia di servizio offerto e numero di coperti e scelti in maniera da essere eterogenei in tutta la regione. Per aderire al circuito dei “ristoranti sostenibili” gli esercizi di ristorazione emiliano romagnoli sono tenuti a soddisfare una serie di criteri ambientali orientati alla riduzione degli impatti ambientali causati dalle normali attività dei ristoranti e alla sensibilizzazione/esortazione a stili di vita sostenibili. Il rilascio dell'etichetta ambientale è vincolato al superamento di una soglia minima di prestazione ambientale, che, a sua volta, si traduce a seconda del punteggio ottenuto dall'esercizio in tre livelli di certificazione sequenziali: 1. Basso, 2. Medio e 3.Alto. I requisiti da soddisfare per ogni livello di certificazione sono ripartiti in otto macroaree:
  • Alimenti e bevande;
  • Prodotti chimici;
  • Energia;
  • Acqua;
  • Rifiuti;
  • Prodotti ecologici e solidali;
  • Sistema di gestione;
  • Trasporti ed emissioni.
Progetto RISTECO - Sotral Spa
RISTECO, nasce come divisione ambiente della Sotral SpA, che si occupa di servizi di logistica per la ristorazione e raccoglie al proprio interno le competenze in campo ambientale sviluppate da Life Cycle Engineering ed Environment Park di Torino.
In particolare gli obiettivi di RISTECO sono:
  • Implementare la raccolta differenziata nelle mense con avvio a idoneo recupero dei rifiuti generati;
  • Progettare le piattaforme ed i sistemi di gestione dei rifiuti generati nella preparazione e somministrazione dei pasti;
  • Implementare sistemi gestione ambientale per le aziende di ristorazione;
  • Erogare moduli di formazione su tematiche ambientali per operatori della ristorazione;
  • Fornire servizi di educazione ambientale e didattica rivolte ai bambini.
Progetto Sportello Mense Bio - Regione Emilia-Romagna
Nell'ambito delle politiche agricole, il progetto Sportello Mense Bio sostiene le produzioni agroalimentari certificate, legate al territorio d'origine, ottenute con metodi produttivi controllati, rispettosi della salute e dell'ambiente. Tale attività è stata di recente regolamentata dalla legge regionale n. 29/2002 "Norme per l'orientamento dei consumi e l'educazione alimentare e per la qualificazione dei servizi di ristorazione collettiva". La norma esorta al consumo, nell'ambito della ristorazione collettiva pubblica, di prodotti provenienti da coltivazioni biologiche, integrate, nonché di prodotti tipici e tradizionali regolamentati ai sensi della normativa comunitaria, nazionale, regionale vigente. Ciò anche nella consapevolezza di dover tutelare la salute dei propri cittadini e in particolare delle categorie più esposte come i giovani, i malati e gli anziani, oltre che per favorire il consumo di produzioni locali e quindi promuovere lo sviluppo di attività agricole ecocompatibili nel proprio territorio.

Progetto Km Zero - Regione Veneto
Si chiama Progetto Km Zero l'operazione con cui Coldiretti Veneto vuole convincere mense, chef e grande distribuzione a proporre ai consumatori preferibilmente prodotti stagionali del territorio. Il progetto “Km Zero” oggi è regolamentato attraverso una Legge Regionale, la n. 7 del 25 luglio 2008, la prima a livello nazionale che riconosce gli esercizi che adottano la produzione enogastronomia veneta, nella misura percentuale dal 30 al 50 percento.
Menu a km zero - Parco Nazionale Appennino tosco-emiliano
Il Parco Nazionale dell'Appennino tosco-emiliano, in collaborazione con le federazioni Coldiretti di Massa, Lucca, Reggio Emilia e Parma, dall'autunno 2008 propone una competizione tra ristoranti in cui vengono proposti menu con prodotti, locali e di stagione, provenienti dalle campagne vicine. I pasti offerti nell'ambito del progetto Menu a Km Zero, oltre a garantire qualità e freschezza nel rispetto dell'ambiente, riducono l'inquinamento causato dai trasporti. Il progetto intende recuperare e valorizzare il patrimonio agro-alimentare e gastronomico locale, promuovere negli esercizi di ristorazione la valorizzazione dei prodotti agro-alimentari del territorio del Parco nazionale, incentivare forme di turismo correlate alle eccellenze del territorio in una stagione turisticamente ancora marginale come l'autunno ed incentivare le filiere agro-alimentari locali e tradizionali, avvicinando produttori e consumatori, contribuire alla riduzione dei gas "effetto serra" derivanti dal trasporto delle merci.

Ambiti d'intervento

Gli impatti ambientali dei servizi di ristorazione sono molteplici: consumi energetici e idrici, trasporto delle risorse alimentari, consumo di prodotti (per: pulizia, promozione, somministrazione pasti, etc.), produzione di rifiuti, etc.; pur non essendo disponibili molti dati di letteratura a questo riguardo sembra che l'interesse stia rapidamente crescendo e diversi studi e analisi sono stati effettuati nel corso degli ultimi anni.
Menù La scelta degli alimenti, ingredienti e bevande offerti al cliente può contribuire notevolmente alla sostenibilità di questo comparto.
  • Alimenti e ingredienti stagionali e a "km zero" garantiscono una riduzione dei consumi di energia altrimenti associati al trasporto e alla conservazione degli alimenti e, allo stesso tempo, sono una spinta all'economia locale; gli acquisti alimentari rappresentano infatti, nel settore ristorazione, la fonte principale di impatti negativi sull'ambiente (Baldwin C., Wilberforce N., Kapur A., 2010). Inoltre sono ampiamente dimostrati dalla comunità scientifica (Joshipura et al. 1999; Lampe, 1999; Cox et al. 2000) gli effetti benefici sulla salute in quanto verdura e frutta di stagione hanno concentrazioni maggiori di vitamine ed elementi nutritivi rispetto agli stessi alimenti che subiscono processi di trasporto e conservazione.
  • Alimenti, ingredienti e bevande certificati secondo lo standard da agricoltura biologica della Comunità Europea. "La filosofia dietro a questo diverso modo di coltivare le piante e allevare gli animali non è unicamente legata all'intenzione di offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o concimi chimici di sintesi, ma anche (se non di più) alla fondata volontà di non determinare nell'ambiente esternalità negative, cioè impatti negativi sull'ambiente a livello di inquinamento di acque, terreni e aria" (fonte: agricoltura biologica), oltre che a contrastare la perdita di biodiversità, considerata da diversi studi scientifici come uno dei principali impatti negativi dovuti alla conversione degli ecosistemi naturali in agricoltura intensiva (Rockstrom, 2009).
  • Alimenti, ingredienti e bevande (non reperibili a "km zero" come ad es. spezie e frutta tropicali) provenienti dal commercio Equo&Solidale (certificati secondo lo standard internazionale Fairtrade). In maniera da essere coerenti con la "sfera" etica della sostenibilità, supportando progetti etico-sociali nei quali si cerca di far crescere aziende economicamente sane e di garantire ai produttori ed ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso.
Energia Il consumo di energia rappresenta una delle criticità principali per quanto riguarda la gestione ambientale di un ristorante, si pensi alle numerose apparecchiature presenti: forni, congelatori, stanze del freddo, lavastoviglie, ecc. Se i consumi vengono normalizzati alla superficie unitaria, il settore della ristorazione arriva a essere la tipologia di attività commerciale più energivora in assoluto, come si desume da uno studio condotto nel 2003 dall'Autorità Americana per l'Energia (EIA), sul consumo energetico per edifici commerciali statunitensi (Fonte: Commercial Buildings Energy Consumption Survey (CBECS), Autorità Americana per l'energia). La riduzione dei consumi energetici di un ristorante ha come ricaduta positiva, diretta, una riduzione dei costi fissi di gestione e indirettamente un aumento di competitività legato all'ottimizzazione del servizio. Inoltre si avrà un nuovo appeal presso i consumatori più attenti all'ambiente.
Acqua I consumi idrici sono tra i principali aspetti da prendere in considerazione per ridurre i carichi ambientali connessi alla ristorazione: si stima che ad ogni pasto sia associato un consumo idrico di 20-40 litri/pasto. Questo dato considera solo l'uso di acqua imputabile agli aspetti diretti (da bere, per cucinare, lavastoviglie, sanitari, etc.), mentre i carichi ambientali “nascosti”, imputabili alla coltivazione e alla lavorazione del cibo (allevamento, agricoltura), sarebbero ancor più intensi, si pensi che: l'impronta idrica associata ad una bistecca di manzo è di circa 4.650 litri d'acqua! Come per il consumo di energia, ci sono diverse tecnologie o semplici scelte per ridurre l'ammontare di acqua consumata. Questi accorgimenti ridurranno anche le pressioni delle acque reflue prodotte dal ristorante, che necessitano di essere opportunamente depurate e smaltite. Si possono ottenere grandi riduzioni nei consumi di acqua senza investire soldi in tecnologie, ma semplicemente cambiando abitudini e informando/formando lo staff.
Prodotti ecologici La preferibilità ambientale nelle forniture di prodotti e servizi implica l'introduzione di criteri ambientali (minimi impatti su acqua, suolo, aria, energia, rifiuti) nelle politiche di acquisto. Lo scopo di questa politica green è ridurre gli impatti ambientali associati alla domanda e al consumo di beni e servizi lungo tutto il loro ciclo di vita: dalle fasi di estrazione delle materie prime a quelle di smaltimento del prodotto a fine-vita; questo approccio permette di estendere il proprio impegno ambientale a tutte le filiere connesse alla propria attività ristorativa.
I sistemi di etichettatura ambientale consentono di scegliere prodotti a minore impatto ambientale. L'Ecolabel europeo, il sistema di etichettatura ecologica pubblico regolamentato dall'Unione Europea, comprende tra i prodotti: detergenti multiuso; detersivi per lavastoviglie; detersivi per piatti; detersivi per bucato; carta da ufficio; tessuto carta; ecc. .
Rifiuti
I ristoranti producono grandi quantità di rifiuti, tra le principali criticità associate alla produzione di materiali di scarto figurano gli imballaggi e i rifiuti organici. In proporzione i più impattanti sono gli scarti organici, costituiti dai cospicui avanzi di cibo pre e post-consumo: “… se si donasse il 5% degli avanzi alimentari annui si riuscirebbero a nutrire 14 milioni di persone” (fonte: Feeding America - associazione non profit americana). Nella maggior parte dei casi i rifiuti organici sono assimilati all'indifferenziato, causando l'incremento delle emissioni in discarica per fermentazione anaerobica metano-genica, condizione che rappresenta, in accordo con studi effettuati dall'EPA, la principale fonte di metano antropogenico (gas con un potenziale di effetto serra superiore all'anidride carbonica).

Pita

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La pita (in greco πίτα, in ebraico פִּתָּה o פיתה, in arabo كماج) è un tipo di pane piatto lievitato, rotondo, a base di farina di grano. È un cibo tradizionale delle cucine del Medio Oriente e del Mediterraneo, dal Nord Africa all'Afghanistan. Viene anche chiamata pita greca o pane arabo.

Etimologia

Nei dizionari italiani, il termine "pita" è abbastanza recente in quanto risale alla seconda metà del Novecento, riferendosi ai Balcani, e in special modo alla cucina greca. Molti linguisti attribuiscono l'origine della parola al greco moderno di "torta", "dolce" (es. Vasilopita) oppure "pane", che deriverebbe a sua volta dal termine greco antico pēktos col significato di "denso"; a differenza di altri che pensano derivi dall'ebraico פת (pat), che significa "pagnotta" o "pezzetto". La parola "pita" (come פיתא), esiste ancora nell'aramaico del Talmud babilonese e indica il pane in generale. Un'altra possibile etimologia viene dalla parola "pită", che in rumeno arcaico (all'epoca parlato anche nel nord della Grecia), vuol dire pane. Un'altra etimologia si rifà a un particolare tipo di pino (Pinus Rigida) costituito da strati, proprio come il pane pita, che però non condivide l'origine con l'italiano pizza, come taluni pensano, in quanto questa parola deriva dal romano pinsa.
Da segnalare la relazione con il termine romagnolo "pìda" (e le sue varianti "piê", "pièda"), ad indicare la piadina, di origine bizantina. Stessa genesi avrebbe la calabrese pitta, un pane bianco a forma di ciambella schiacciata, cotto al forno. Il termine è talvolta impiegato per indicare lo stesso prodotto da forno, come in pitta 'nchiusa (un dolce contenente miele e frutta secca).

Abitudini alimentari

La pita è utilizzata per raccogliere sughi o salse come lo hummus, il baba ganush, la shakshuka e per avvolgere sandwich come kebab, gyros (ricetta greca a base di carne) e falafel (polpette egiziane). La maggior parte dei pani assimilabili alla pita vengono cotti al forno ad alte temperature (700 °F o 370 °C), facendo sì che i dischi appiattiti di pasta crescano velocemente. Una volta rimossi dal forno gli strati di pasta cotta restano separati all'interno della pita sgonfia, consentendo che il pane presenti un'apertura a forma di tasca, da usare in varie farciture.
A partire dagli anni settanta, molta della popolarità della pita è dovuta a queste tasche; infatti invece di essere usate per raccogliere salse, esse vengono riempite di vari ingredienti per formare un panino farcito. Queste sono di solito chiamate "tasche di pita". Alcuni fabbricanti specificano sulle loro confezioni la differenza fra la pita classica (senza aperture) e le pita con tasche.
In Turchia, la pita, chiamata pide e alquanto diversa dalla pita greca o araba, è utilizzata per fare una pietanza simile alla pizza italiana, chiamata lahmacun. L'impasto viene modellato come una canoa e riempito con carne, verdure e a volte uovo, per poi essere cotto in forno.
In Gran Bretagna, la parola "pita" è talvolta usata erroneamente per indicare il naan o il khubz arabo, dal momento che entrambi presentano il medesimo aspetto della pita.
In Grecia, la pita si mangia tradizionalmente con varie salse quale lo tzatziki, oppure con pietanze come il gyros.
Nella cucina bulgara, la pita si serve per le occasioni speciali. La sua preparazione e consumo hanno un significato rituale. Per esempio, nella notte prima della vigilia di Natale (bulgaro: Бъдни вечер - badni vecher), ogni casalinga prepara le pite e le decora con simboli augurali di fertilità per il bestiame e un raccolto ricco dai campi, nonché prosperità per ogni membro della famiglia. In ognuna di esse, nasconde una monetina di nichel; secondo la tradizione, chiunque lo trovi diventi il più sano e il più ricco della famiglia. La pita inoltre, è preparata quando sono previsti cari ospiti a pranzo o a cena. Una tradizionale festa di benvenuto in Bulgaria, prevede che siano serviti la pita sale o miele. Il significato di questo rituale può essere trovato nell'espressione "accogliere qualcuno con pane e sale" (dal momento che il pane è un elemento fondamentale della cucina bulgara - e come dice un proverbio bulgaro: "nessuno è più grande del pane", mentre il sale è quell'ingrediente base che insaporisce ogni pasto). Ciò dimostra come i padroni di casa desiderano avere ospiti e condividere pietanze con loro.
La pita libanese è simile a quella cipriota, anche se la prima è due volte più lunga della seconda. Il pane di pita, cotto come la pita di Agio Basilio, è una tradizione cristiana bizantina, condivisa da tutte le nazioni che un tempo facevano parte dell'Impero Romano d'Oriente, rinforzando nuovamente la cultura Cristiana Ellenica che ha diffuso la pita. Il pane di pita o "pita di Basilio" è come un dolce o una torta, con un singolo strato di pan di Spagna o di pane, posti generalmente in piani circolari.
Nei paesi balcanici (Grecia compresa) il termine "pita" ha un significato più ampio rispetto a quello convenzionale di pane. Indica infatti una pietanza a strati (o arrotolata), dolce o salata, fatta di molteplici strati di pasta, di solito non lievitata, alternati con degli strati di condimento e cotta nel forno. Alcune di queste pite in Italiano potrebbero essere intese come "torte" (dolci o salate), ma nei paesi in questione il termine "torta" è riservato ai dolci stratificati fatti con la pasta lievitata, o eventualmente senza pasta (alcune torte di frutta). Per alcuni tipi di pita si usa la pasta sfoglia o la pasta frolla, ma la più frequente è la pasta fillo. Nel forno gli strati esterni di questa pasta diventano molto croccanti, mentre quegli interni assorbono una grande quantità d'acqua diventando molto soffici e formando una specie delle membrane interne. Alcune ricette prevedono una spennellata superficiale d'uovo ed esistono anche alcuni tipi di pita dove lo strato di copertura non è rappresentato da pasta, ma dal condimento. Come condimento si usano diversissimi prodotti, vegetali o animali, ad esempio, per le pite dolci: formaggio non stagionato (simile alla ricotta), noci, mandorle, varia frutta (mele, amarene, frutti di bosco, prugne, pere, more, lamponi, fragole), zucca (pita "bundevara"), semi di papavero (pita "makovnjača"), panna, carrube, lardo o ciccioli con eventuale aggiunta di uva sultanina, vaniglia, cannella, noci di moscato ecc., tutto cosparso di zucchero a velo, mentre per le pite salate si usano: carne macinata (suina, bovina, ovina, mista..), formaggio non stagionato o semi-stagionato, funghi, spinacio, erba brusca (pita "zeljanica") o varie altre verdure a foglia, porro, patate, melanzane, cavoli ecc. con pepe nero, aglio e altre spezie. Tradizionalmente le pite erano riservate per le festività e altre occasioni speciali. Oggi sono una pietanza abbastanza comune, si trovano anche nei negozi di strada, come fast food, si preparano regolarmente nelle cucine casalinghe e nei ristoranti, vengono consumate a colazione, a merenda, come snack, a pranzo, come antipasto, o come dessert, ma anche come pasto unico a cena. Anche lo strudel e il burek sono considerati tipi di pita.

Tarator

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Il taratòr o taratur (albanese: tarator, bulgaro: таратор, macedone: таратур, persiano: آب دوغ خیار, serbo: таратор) è un piatto tradizionale ottomano.

Preparazione

Il taratòr viene preparato con yogurt, cetrioli, aglio, noci, aneto, olio vegetale e acqua; è servito freddo o anche con ghiaccio. Esistono tuttavia molte varianti regionali.

Diffusione

Si tratta di una zuppa fredda popolare in estate in Bulgaria, Albania, Macedonia, nel sud-est della Serbia, Turchia, Iran, Armenia e Cipro (dove è conosciuto come ttalattouri).

Zampone Modena

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Lo Zampone Modena è un salume a Indicazione geografica protetta (IGP).

Produzione

Esso viene prodotto con un impasto di carni suine (gola, guanciale, spalla, testa) sale e spezie, avvolto dall'involucro formato dalla zampa di un maiale. Ha una consistenza soda ed uniforme ed un colore rosa brillante tendente al rosso.
La tradizione colloca il primo zampone agli inizi del XVI secolo a Mirandola, durante l'assedio di Papa Giulio II dell'inverno 1510-1511. I cittadini macellarono tutti i suini per non lasciarli nelle mani dei nemici e ne conservarono le carni nel tipico budello di cotenna.
La zona di produzione dello zampone di Modena comprende, oltre a Mantova, Cremona ed alcune altre zone del Nord Italia. Stesso impasto ma differente forma e peso ha il cotechino, che condivide anche gli stessi usi gastronomici.
Dal 1991 il paese di Castelnuovo Rangone in provincia di Modena, famoso centro mondiale per la lavorazione del maiale, detiene il record del mondo dello zampone più grande del mondo, regolarmente iscritto nel Guinness dei primati: nel 2000 ha raggiunto un peso di 450 kg, nel 2006 di 751 kg, nel 2008 di 942 kg. Al 2014 risale l'ultimo primato di 1038 kg. Tuttavia, negli anni successivi si è deciso di diminuire la pezzatura per ottenere risultati ottimali (ad esempio, 775 kg nel 2017). Il Superzampone viene cotto in un'apposita zamponiera in acciaio, dove viene posto con un argano, e monitorato costantemente mediante sonde termorilevatrici. L'occasione per la cottura e distribuzione gratuita alla popolazione, con la partecipazione di personalità della cultura e dello sport al momento del taglio, cade ogni anno attorno alla solennità mariana dell'Immacolata (8 dicembre). Gli alunni delle scuole del primo ciclo assistono anche al taglio di uno zampone loro dedicato dal peso di circa 50 kg. L'evento fu ideato dal cav. Sante Bortolamasi (1944-2012), protagonista dello sport e dell'artigianato locale e nazionale, fondatore dell'Ordine dei Maestri Salumieri di Castelnuovo Rangone.

Valori nutrizionali

Nel 2011 l'INRAN ha pubblicato l'esito delle analisi nutrizionali sui salumi italiani, ivi compresi Cotechino Modena e Zampone Modena IGP. I valori nutrizionali attuali, paragonati a quelli risultanti dalle precedenti analisi del 1993 dello stesso Istituto, mostrano una riduzione del 33% dei grassi nello Zampone Modena IGP. Buona presenza di proteine nobili, contenuto di sodio tra i più bassi nel mondo dei salumi.
I valori per 100 g di prodotto sono:
  • Energia = 262 kcal
  • Proteine = 23,7 g
  • Carboidrati = 2,6 g
  • Lipidi = 17,4 g
  • Saturi totali = 5,4 g
  • Vitamina B6 = 0,0 mg
  • Vitamina B12 = 0,5 mg
  • Vitamina E = 0,2 mg
La tradizione modenese vuole che lo zampone sia accompagnato dai fagioli bianchi di Spagna in umido, anche se la pietanza può essere servita con purè di patate o lenticchie (generalmente in occasione del cenone di San Silvestro) o altre verdure. La versione di gran lunga più diffusa è ormai quella industriale precotta in stagnola, di più veloce e semplice preparazione (35'-50'). La versione artigianale fresca, opera di esperti norcini ed assai meno impiegata in cucina, richiede lunghi tempi di cottura (oltre 150') e qualche accorgimento per non lacerare l'involucro di cotenna alle alte temperature. Va detto che pure tra le versioni precotte esiste una discreta gamma in termini di qualità e prezzo. Diffusa è la tradizione di ritrovarsi tra amici da dicembre a gennaio per gare di degustazione alla cieca tra diversi marchi.

Cotechino

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Il cotechino è un tipo di insaccato consumato cotto, probabilmente originario del Friuli-Venezia Giulia, e diffuso successivamente in tutte le regioni del nord Italia. Deve il suo nome alla cotica, la cotenna di maiale, e prende nomi locali a seconda della zona in cui viene prodotto. La tradizione vuole che sia il piatto che si consuma il primo giorno dell'anno (o l'ultimo) accompagnato dalle lenticchie. Un prodotto simile è lo Zampone di Modena.

Preparazione

Si prepara riempiendo il budello con un impasto fatto di:
  • cotenna;
  • carne, solitamente non tagli pregiati;
  • pancetta
condito con sale e spezie, nella produzione industriale vengono aggiunti per la conservazione nitriti e nitrati. Simile al cotechino, in Veneto e Friuli esiste il musetto, esso è fatto principalmente con carni derivanti dal muso del maiale.
La pezzatura varia da pochi etti (formato salsiccia) a più di un chilo (formato grosso salame). Richiede tempi lunghi di cottura, a fuoco basso per non rompere il budello, in modo che le cotenne diventino morbide.
Si procede bucando la pelle del cotechino con uno stuzzicadenti in parecchi punti per permettere la fuoriuscita del grasso durante la cottura, poi lo si avvolge in un tovagliolo, lo si lega e lo si mette in una pentola di acqua fredda, tanta che ne sia ricoperto. Mettere la pentola, con coperchio, su un fuoco medio e attendere che inizi a bollire. A questo punto abbassare il fuoco in modo che dal coperchio esca solo un filo di vapore. Deve bollire così per altre quattro ore. Alcuni sostituiscono l'acqua dopo un paio d'ore con altra già bollente.

Riconoscimenti

Il cotechino di Modena è un salume a Indicazione geografica protetta (IGP).
Cinque regioni hanno inserito il cotechino nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali:
  • Emilia Romagna:Cotechino di Modena insieme allo Zampone Modenese.(Cùdghèin in dialetto modenese)
  • Lombardia: cotechino (bianco, cremonese, della bergamasca, mantovano, pavese)
  • Molise: cotechino (formato salsiccia)
  • Trentino: cotechino di maiale
  • Veneto: sono riconosciuti sette diversi prodotti: coeghin nostrano padovano; coessin co la lengua del basso vicentino, coessin del basso vicentino, coessin della Val Leogra, coessin in onto del basso vicentino, coessin co lo sgrugno, cotechino di puledro, codeghin de Lavagno

Polpettone

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Il polpettone è una pietanza solitamente a base di carne tritata o verdure, spezie, aromi e ingredienti leganti (ad esempio l'uovo e il pangrattato o la farina), servita a tavola di norma come seconda portata o piatto unico.

Il termine polpettone

La parola "polpettone" è l'accrescitivo di polpetta e, in effetti, è la sua variante tutta d'un pezzo. Al di là degli ingredienti, che sono grossomodo gli stessi - macinati, tagliuzzati o spezzettati - ciò che cambia è la forma finale della pietanza portata a tavola. Se le polpette sono molte e piccole, il polpettone è costituito da un unico grande pezzo, dalla forma più o meno cilindrica, il quale viene servito ai commensali affettandolo al momento. Per la sua la cottura si privilegia la lessatura, l'umido o il forno. Meno usata, anche a causa delle dimensioni, la frittura. In alcune ricette, il polpettone può essere farcito, ad esempio, di verdure (specialmente spinaci) e formaggio.
In alcune regioni d'Italia, il termine "polpettone" viene usato anche per indicare un tipo di torta di verdure ricoperta non dalla pasta sfoglia ma dal pan grattato, come - ad esempio - il Polpettone di fagiolini, tipico della Liguria.

Il polpettone nel mondo

Argentina

In Argentina il polpettone viene chiamato Pan de Carne ed è solitamente riempito di formaggio, carote e prosciutto.

Austria

In Austria il polpettone si chiama Faschierter Braten e non è ripieno, bensì ricoperto di formaggio prima di essere cotto in forno. Come contorno, gli austriaci utilizzano solitamente le patate (quando la pietanza è calda) o cosparso di salsa Cumberland (quando la pietanza è fredda).

Belgio

La versione belga del polpettone è chiamata Vleesbrood in tedesco e Pain de Viande in francese. Viene mangiato ancora caldo ed è solitamente condito con delle salse.

Bulgaria

Il polpettone bulgaro si chiama Ruto Stefani (Руло Стефани) ed è tipicamente cotto al forno con un ripieno di uova sode.

Cile

Il polpettone cileno, conosciuto col nome di Asado Aleman (letteralmente "carne tedesca arrostita"), è un piatto tipico del sud del del Cile. Questa ricetta prevede di riempire il polpettone con uova., carote e pangrattato, e di accompagnare il piatto con patate o riso.

Cuba

Il polpettone cubano si chiama Pulpeta. È realizzato con carne macinata di manzo e prosciutto cotto, riempito con uova sode e cotto sul piano di cottura.

Danimarca

Il nome del polpettone danese è farsbrød ed è un mix di macinato di suino e manzo. Sulla cima del polpettone vengono poi riposte delle strisce di pancetta. Viene servito assieme alle patate, al forno o bollite, ed accompagnato con un gelatina rossa di ribes.

Finlandia

In Finlandia il polpettone si chiama lihamureke ed è realizzato come un'unica, grande polpetta. Come condimento si utilizzano solo pepe e sale. Solitamente non viene accompagnato con nulla, e viene solo guarnito da una salsa al fine di rendere la pietanza meno stopposa al palato.
In Grecia il polpettone è molto simile a quello italiano, e si chiama rolo (Ρολό). Viene fatto con carne macinata di manzo e riempito con uova sode, prosciutto cotto e formaggio.

Libano

Con "Kafta" o "Kofta" (in arabo كفتة‎‎) ci si riferisce alla versione medio orientale del polpettone. Viene realizzato con carne macinata di manzo o di agnello e riempito con cipolle e prezzemolo. Viene poi ricoperto da una salsa al pomodoro condita con spezie locati e cotto al forno, accompagnato da un contorno di patate. Non è inusuale (soprattutto nei mesi estivi) poter ordinare nei locali libanesi del Kebab di polpettone o un polpettone cucinato sulla griglia.

Mongolia

Il piatto si chiama хучмал (khoochmal) ed è servito assieme a dei funghi cotti al forno assieme al polpettone.

Olanda

La versione olandese del polpettone si chiama gehaktbrood e può essere mangiato caldo o freddo.

Polonia

Il piatto si chiama pieczeń rzymska ("Arrosto Romano") ed è servito assieme a cipolle ed aglio. Viene rigorosamente riempito con uova sode.

Romania

Nella cucina rumena il polpettone è chiamato drop, ed è molto simile alla preparazione dei rispettivi piatti in Bulgaria ed Ungheria. Tuttavia, a differenza di questi ultimi, il drop rumeno è solitamente fatto con carne ed interiora di agnello (al massimo mixate con carne di maiale), ed il ripieno a base di uova sode è opzionale.

Regno Unito

Nel Regno Unito esiste una versione di polpettone a base di carne di maiale ed erbe aromatiche originario del Lincolnshire. Il suo nome è Haslet. Il piatto viene solitamente mangiato freddo, a volte come ripieno per i sandwich. La versione gallese del piatto prevede un ripieno di patate, interiora e cipolla.
Piatti simili si rinvenivano anche nel sud degli Stati Uniti d'America, ma l'utilizzo delle interiora è stato abbandonato nel corso degli anni, sostituito da uova e prosciutto.

Stati Uniti d'America

Durante la Grande Depressione degli anni '30, cucinare il polpettone era un modo semplice ed economico per sfamare la famiglia, utilizzando spesso gli avanzi della macellazione. All'epoca, era anche molto comune allungare la carne con grano e pangrattato.
Il tipico polpettone americano dei giorni nostri è un macinato di carne condito con erbe aromatiche. Quasi sempre, si tende ad utilizzare una salsa di pomodoro con cui viene spennellata la parte superiore del polpettone, al fine di creare una crosta gustosa e croccante durante la cottura nel forno. In alternativa, tale operazione di doratura si può realizzare con un sugo di cipolle. In alcune ricette si utilizza la salsa Barbecue o un mix di Ketchup e mostarda.
Contorno classico di questo piatto americano sono le patate al forno, condite con un pizzico di burro durante la cottura.
Viene considerato come piatto da portata principale e può essere mangiato sia caldo che freddo. È facilmente reperibile nei diner americani e nei ristoranti di carne.

Turchia

Nella cucina turca non esiste un polpettone totalmente a base di carne. Esiste tuttavia un piatto molto simile per forma ed aspetto, oltre che per metodo di cottura in forno, totalmente vegetariano. Il suo nome è dalyan köfte.

Altri significati di polpettone

La parola "polpettone" viene usata, con disprezzo, per indicare qualcosa di particolarmente noioso, pesante e farraginoso; ad esempio un libro, un film, un oratore ecc., in quanto si vuole alludere ad una vera (o presunta) difficoltà nel "digerire" la pietanza.

Gnocco fritto

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Gnocco fritto è una denominazione tipica nelle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna per un prodotto alimentare italiano tipico dell'Emilia, il cui nome varia da un'area all'altra. Nelle province di Modena e Reggio Emilia viene chiamato semplicemente gnocco fritto o gnòc frètt o gnòcch fritt dal dialetto locale.
In gran parte della provincia di Parma viene chiamato torta fritta e nella provincia di Ferrara viene chiamato pinzino. In provincia di Piacenza è tradizionale dell'area nord-orientale e orientale, dove è conosciuto con la dizione dialettale di chisulén (italianizzata in chisolino). A Bologna e provincia sono chiamate "crescentine", in contrasto con le crescentine modenesi.
Nelle province di Reggio Emilia e Modena il termine gnocco, non fritto, indica una focaccia fatta al forno con lardelli di maiale, molto diffusa. Fondamentale pertanto aggiungere l'attributo "fritto" che indica un prodotto piuttosto differente.

Preparazione secondo la ricetta modenese

Dapprima viene preparato un impasto composto da:
  • 1 kg di farina di frumento tipo "00"
  • 70 g di strutto di maiale
  • 400 ml di acqua gassata
  • Sale quanto basta
Alcune volte, soprattutto nelle zone dell'appennino, viene aggiunta una goccia di latte per ammorbidire l'impasto.
Dopo aver impastato il tutto, la pasta viene messa in un recipiente avvolta in un canovaccio ed ogni 20-30 minuti bisogna rimpastarla e muoverla, facendo sì che avvenga una sorta di lievitazione naturale grazie alla pressione dell'acqua gassata che sostituisce il lievito. Questo procedimento viene fatto secondo la ricetta modenese, dove appunto non va il lievito. Poi la pasta viene ridotta in una sfoglia alta pochi millimetri (da circa 2 a 6) e tagliata in rombi o a rettangoli di circa 10-15 cm di lato oppure in tondi di diametro di circa 25 cm, che vengono fritti secondo la tradizione in abbondante strutto di maiale bollente.
Lo strutto di maiale ha un punto di fumo molto alto (ca. 230 °C). Le moderne norme di sicurezza imposte a bar, ristoranti, mense e comunità rendono tuttavia difficile reperire in commercio friggitrici che superino la temperatura di 190 °C. Dovendo calare la temperatura di frittura, almeno negli ambienti industriali e della ristorazione, si è costretti ad usare vari olii al posto dello strutto, che alla temperatura di 190 °C lascerebbe la pietanza eccessivamente unta. Si ricorre quindi all'utilizzo di olii di semi o di palma, frazionato o bifrazionato ad una temperatura di frittura che può variare fra i 180 °C ed i 188 °C in relazione allo spessore della pasta da friggere. La pasta viene quindi fritta (normalmente circa un minuto per lato) e si gonfia formando delle bolle sulla superficie oppure una "pancia" nel caso di gnocco fritto di piccole dimensioni.
Quando non consumato come cibo da asporto tipico di fiere o manifestazioni locali, è consumato a pasto assieme agli affettati, eventualmente accompagnati con formaggi locali spalmabili.

Impasto della versione bolognese

Nella versione bolognese (denominata localmente "crescentina") l'impasto è composto da:
  • 1 kg di farina tipo "00"
  • 20 g di lievito di birra oppure istantaneo (1 bustina ogni circa 500 grammi di farina)
  • Sale quanto basta
  • Acqua (più raramente latte) per impastare
A volte si aggiunge anche un po' d'olio, ad esempio un paio di cucchiai per 1 o 2 kg di impasto, per far sì che la pasta durante la frittura assorba meno grasso.


Riconoscimenti

La regione Emilia-Romagna e il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali hanno incluso lo gnocco fritto, con la settima revisione, nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.).
Nel 2011 è nata a Modena la Confraternita del Gnocco d'Oro, per tutelare, promuovere e divulgare la cultura gastronomica modenese, un'associazione di gourmet, senza scopo di lucro che ha editato un volume sul gnocco fritto modenese, con riferimenti storici, letterari, gastronomici, ricette, e una guida ai 100 bar dove avviene ogni giorno la colazione alla modenese, dove cioè poter gustare fritto al momento, un fumante pezzo di gnocco. Nel novembre 2013 uscirà il nuovo volume, dedicato allo gnocco nella ristorazione.

Uso dell'articolo

Sebbene i puristi della lingua italiana pretendano l'uso dell'articolo "lo" davanti al gruppo consonantico "gn", tutta la letteratura culinaria e la popolazione locale rivendicano l'uso dell'articolo "il" giustificandolo come solecismo. Tullio De Mauro, a tal proposito, afferma che "talvolta un solecismo, una forma linguistica che la grammatica definisce scorretta, può essere giustificato se il suo uso risulta continuo e radicato in una determinata area geografica". Anche in tutta la provincia di Mantova, sebbene davanti a "gn" si usi l'articolo "lo" (p.es.: "lo gnomo"), quando si tratta di "gnocco" si dice sempre "il gnocco, i gnocchi". "Lo" viene percepito come una vera stranezza, o addirittura (alla rovescia!) come un errore di grammatica. Persino le persone colte considerano chi dice "lo" come minimo un pedante[senza fonte].

Primati

Il 17 ottobre 2016, durante la sagra di Castello di Serravalle (Bologna), è stato preparato il gnocco fritto più lungo del mondo di 42 metri, battendo il precedente primato di 41 metri del 2006.

Culatello di Zibello

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Il culatello di Zibello è un salume a denominazione di origine protetta (regolamento CE n°1263/96) tipico della provincia di Parma. Catalogato tra i Presidi di Slow Food dell'Emilia-Romagna, il Culatello, citato con certezza per la prima volta in un documento del 1735, è prodotto a partire dalla coscia di maiale insaccata nella vescica del maiale stesso.

Lavorazione

Il Consorzio del Culatello di Zibello ha stabilito che la lavorazione può avvenire solo in una determinata e circoscritta zona ed esclusivamente nel periodo tra ottobre e febbraio, quando la Bassa è avvolta dalla nebbia e dal freddo. È in quel periodo che la parte di carne ricavata dalla coscia dei suini adulti, allevati secondo metodi tradizionali, viene decotennata, sgrassata, disossata, separata dal fiocchetto e rifilata a mano, così da conferirle la caratteristica forma "a pera".
A queste operazioni seguiranno poi, dopo circa una decina di giorni, la salatura e la cosiddetta investitura, cioè l'insaccamento del salume nella vescica del suino e la legatura con lo spago che, dopo la stagionatura, dovrà risultare a maglie larghe e irregolari. La stagionatura in cantina accompagna il Culatello dalle nebbie invernali all'afa estiva, per arrivare sulle nostre tavole l'inverno successivo nel pieno delle sue più originali qualità di sapore.
Il periodo di stagionatura è da un minimo di 10 mesi per le pezzature inferiori (almeno 3 kg) fino ad una media di 14 mesi per tutti i pezzi. La produzione annua è di circa 50.000 pezzi di Culatello di Zibello DOP.

Carne macinata

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La carne macinata o carne trita è carne sminuzzata in maniera più o meno fine. Le normative comunitarie definiscono "carni macinate" le carni disossate che sono state sottoposte a un'operazione di macinazione in frammenti e contengono meno dell'1% di sale.

Preparazione

In passato la carne veniva tritata con il coltello o con la mezzaluna, in tempi moderni la macinazione avviene tramite un attrezzo chiamato tritacarne. Lo sminuzzamento delle fibre della carne fa sì che la carne macinata cuocia molto più rapidamente della carne intera, in alcune preparazioni viene anche consumata a crudo.
La carne macinata viene ottenuta soprattutto da carne di manzo, vitello, maiale ma anche selvaggina, più rare le carni macinate di agnello e pollame.

Aspetti sanitari e normativa

La carne macinata cruda, a causa della maggiore superficie esposta e delle membrane cellulari danneggiate è un alimento delicatissimo ad alto rischio di contaminazione, le fasi di lavorazione e preparazione sono soggette a normative e anche nell'uso e nella conservazione casalinga è opportuno attenersi a quanto previsto dai protocolli HACCP.
Tra i batteri che possono proliferare nella carne macinata e possono provocare patologie in seguito al consumo vi sono l'Escherichia coli, la salmonella e la listeria.
Per impedire la proliferazione batterica e prolungare la conservazione sono state fatte sperimentazioni a livello industriale che prevedono l'aggiunta di Lactobacillales. Controversa è invece l'efficacia del metodo produttivo sviluppato negli USA (il cosiddetto pink slime) che prevede l'aggiunta alla carne trita di ammoniaca alimentare per eliminare i batteri.
L'etichettatura delle carni macinate in Europa è regolamentata dalla normativa che prevede delle definizioni e dei parametri precisi.

Preparazioni

Nella cucina italiana la carne macinata è usata in diverse preparazioni: polpette e polpettoni, crocchette di carne, sughi come il ragù. In alcune ricette, come ad esempio la tartare, viene consumata cruda. Viene inoltre usata per preparare gli hamburger e il ripieno di vari alimenti, come ad esempio ortaggi quali peperoni o zucchine.

Meze

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La meze (o mezze) è una selezione di antipasti (per la maggior parte di consistenza cremosa), che nella cucina levantina, nella cucina greca e nella cucina turca sono serviti all'inizio del pasto, prima delle portate principali.

Etimologia

Il termine meze deriva dal greco mezés (μεζές), che a sua volta deriva dalla parola turca meze, a sua volta importato dall'omofono persiano (مزه), che ha il significato di "gusto", "sapore", "condimento". Questa parola, comunque, esiste nella terminologia culinaria di tutti i territori appartenuti all'Impero Ottomano.
Se non accompagnata con alcolici, la meza è indicata con la parola araba muqabbilat.

Piatti che compongono la meza

Oltre alle olive, al formaggio, e ai vari sottaceti, le meze includono:
  • Acılı ezme, un purè piccante di pomodoro, cipolle ed erbe varie
  • Acuka, preparato con noci, concentrato di pomodoro e aglio
  • Arnavut ciğeri, piccoli pezzi di fegato fritto serviti con cipolle, prezzemolo e peperoncino
  • Bakla ezmesi, un hummus di fave
  • Börek, sfoglie di pasta sottile ripiene di formaggio, carne o verdure
  • Cacık o Haydari (in turco) o Tzatziki (in greco), crema a base di yogurt, cetrioli, aglio, menta e olio
  • Cevizli Biber, preparato con noci, peperone rosso, pasta di peperone, cipolle e cumino
  • Çiğ köfte, polpettine grezze preparate con bulgur e carne macinata
  • Dolma, involtini di foglia di vite farciti di riso macerato con spezie
  • Fasulye pilaki, fagioli cotti in olio con aglio, concentrato di pomodoro e carote
  • Fava, un purè di fave
  • Hummus di ceci
  • Kalamar tava, calamari fritti e serviti con salsa tarator
  • Kabak çiçeği dolması, dolma fatta riempiendo fiori di zucca
  • Kısır, meze molto popolare preparata con bulgur, concentrato di pomodoro, prezzemolo, cipolle, aglio, succo di melagrana e moltissime spezie
  • Köfte, tipiche polpette di carne
  • Patlıcan salatası (in turco) o Melitzanosalata (in greco), insalata a base di melanzane
  • Piyaz, un'insalata di fagioli bianchi o patate, con cipolle e aceto
  • Roka, insalata di rucola
  • Şakşuka, melanzane e peperoni tritati e fritti serviti con yogurt
  • Tabbouleh, meze libanese preparata con bulgur, prezzemolo, cipollotti, menta, pomodoro e cetrioli
  • Verdure fritte (melanzane, peperoni verdi, ecc), servite con yogurt e/o salsa di pomodoro e aglio
  • Insalata di polpo
  • Cozze fritte o riempite di riso

Tavë dheu

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Il tavë dheu è un piatto della cucina albanese tipico della capitale Tirana. La ricetta tradizionale esige che la cottura del piatto avvenga in una terrina di terracotta e che la carne utilizzata sia di fegato di vitello. Gli ingredienti che compongono il tavë dheu sono fegato di vitello o carne di vitello, ricotta salata, cipolla, pomodoro, peperoncino, olio, sale e aglio.

Tavë Kosi

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Il tavë kosi è un piatto tipico della cucina albanese, originario della città di Elbasan. E' considerato uno dei piatti nazionali del paese balcanico.
Gli ingredienti base del tavë kosi sono: agnello, riso, yogurt, burro, uova e farina.

Börek

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Il börek (altrove chiamato burek o lakror) è uno dei piatti e dei sapori tradizionali della gastronomia turca; è diffuso anche nei Paesi balcanici (soprattutto Albania) a seguito dell'espansione ottomana. Le sue origini, antichissime, risalgono addirittura ad ancor prima delle migrazioni dei Turchi dell'Asia centrale verso occidente e più precisamente verso l'Anatolia.

Etimologia

Con il termine börek, ci si riferisce in turco a ogni piatto a base di yufka e il nome deriva dal tema turco bur- "arrotolare" che, inoltre, può descrivere anche un qualsiasi piatto formato da una pasta arrotolata. Tuttavia, spesso, il termine börek è accompagnato, nella lingua turca, da un'altra parola per descrivere la forma, gli ingredienti, i metodi di cottura oppure una regione specifica del Paese dove è preparato in un modo particolare. Citiamo, ad esempio, sigara böreği ("a forma di sigaro"), kol böreği ("a forma di braccio", perché leggermente piegato al centro), talaş böreği ("a pezzettini"), Tatar böreği ("tartari") o Sarıyer böreği ("di Sarıyer").
La parola börek ha quindi un ampio ventaglio di significati e si può anche riferire a un impasto morbido chiamato nemse böreği oppure al su böreği (börek d'acqua) nel quale i fogli di pasta sono brevemente passati in acqua prima di essere stesi, oppure ancora al saray böreği ("börek del palazzo [imperiale]") nel quale un leggero strato di burro è spalmato fra i fogli di pasta o, ancora, al küt böreği preparato senza farcitura, spesso servito con zucchero. Nelle altre lingue, invece, che hanno preso a prestito sia il piatto che la parola, il termine è usato in un contesto molto più ristretto.

Preparazione e ingredienti

L'ingrediente principale del börek è la yufka, un foglio di pasta sfoglia sottilissima. Il börek va preparato farcendo la yufka con formaggio, carne macinata, spinaci, lapazio o con altre varie verdure a piacere. Prima di infornarlo, la yufka si spalma di giallo d'uovo sbattuto.
Ci sono alcune variazioni da paese a paese. In Grecia di solito la variante senza carne viene fatta col formaggio feta e gli spinaci, arrotolata e messa in forno. In Serbia, Bosnia e Albania, dove è oramai diventato uno dei piatti nazionali, questa variante viene fatta come una torta di pasta fillo a una decina di strati con solo formaggio non stagionato e tagliata a triangoli. La variante con la carne anche qui dipende da paese a paese.
Nei paesi/città di prevalenza musulmana non viene mai farcito con carne di maiale (proibita dal Corano), mentre in Serbia, paese cristiano, la variante ha un'alta percentuale di carne suina.

 
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