Cotoletta alla bolognese

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La cotoletta alla bolognese è uno dei piatti tipici di Bologna, di origine molto antica e molto ricco, che consiste in una cotoletta di carne (di vitello o pollo), prima fritta in strutto.
Viene quindi brevemente immersa in brodo di carne, per insaporirla ed "inumidirla" quindi la si mette in una teglia, la si ricopre con una abbondante fetta di prosciutto e una generosa manciata di parmigiano reggiano. La si passa quindi al forno caldo fino a che il formaggio sovrastante si scioglie. Particolarmente ricca è la versione con il tartufo. Una volta uscita dal forno la si ricopre di tartufo (o meglio di "trifola", un tartufo bianco piccolo e molto profumato degli appennini circostanti Bologna). È usanza di alcuni mettere anche una punta di concentrato di pomodoro nella teglia da passare al forno. La ricetta è stata depositata dalla Accademia italiana della cucina presso la Camera di Commercio di Bologna il 14 ottobre 2004.

Garganelli

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I garganelli (in dialetto romagnolo: garganéi" oppure "macaró ruzlé") sono un formato di pasta all'uovo rigata tipica della Romagna. Vengono ottenuti arrotolando una piccola losanga di pasta sfoglia intorno ad un bastoncino che viene pressato su un pettine da tessitura oppure, in assenza, su un rigagnocchi.
L'aspetto è simile alle penne, se si esclude che nel punto di sovrapposizione dei due lembi di pasta il garganello ha una diversa consistenza. Sono altresì molto simili ai maccheroni al pettine prodotti in Emilia, i quali sono però più grandi rispetto al garganello romagnolo.

Storia

Esistono diverse leggende sulla nascita del garganello, che sarebbe stato inventato dai cuochi di Caterina Sforza, moglie di Girolamo Riario, signore di Imola e Forlì nella seconda metà del XV secolo.
Un'altra tradizione racconta che nel 1725 una razdora del cardinale Cornelio Bentivoglio d'Aragona stava preparando il pranzo per molti invitati, tra i cappelletti. Mentre stava tirando la pastasfoglia con il mattarello (s-ciadur), si accorse che qualche animale si era mangiato il preparato per ripieno dei cappelletti. Bando alla disperazione, le venne in mente un'idea: staccare un pettine dal telaio di casa e, con l'aiuto di una sottile canna (generalmente usata per accendere il fuoco), arrotolarci sopra i quadretti di pasta. I garganelli vennero poi cotti nel brodo di cappone, e serviti ai commensali, con grande successo, riscossero la generale approvazione dei commensali.

Tutela

I garganelli sono riconosciuti prodotto tipico della regione Emilia-Romagna.

Consumo

I condimenti più usati sono comunemente rappresentati dal prosciutto, dai piselli e da abbondante parmigiano reggiano, oppure un ragù all'emiliana arricchito con l'impasto della salsiccia.
Possono altresì essere preparati al forno, pasticciati, con il burro, con il sugo di tartufi e funghi e anche nel brodo di carne (in questo caso però devono essere ancora più piccoli).

Eventi

A Codrignano, piccola frazione del comune di Borgo Tossignano (BO), dal venerdì che precede la prima domenica di settembre al martedì successivo, si tiene la sagra del garganello, dal 1989.


Pasticcio di maccheroni alla ferrarese

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Il pasticcio di maccheroni alla ferrarese, chiamato più comunemente pasticcio di maccheroni (o pastiz in dialetto ferrarese), è un primo piatto tipico della città di Ferrara. Si presenta come un involucro di pasta frolla a forma di cupola ripieno di maccheroni, ragù, besciamella e tartufo, il tutto cotto al forno in un apposito contenitore di rame. La sua particolarità risiede nell'accostamento fra il dolce dato dalla pasta con il salato del ripieno. Data la sua complessità di esecuzione, viene ritenuto un piatto molto raffinato e necessita di una buona manualità nelle fasi di preparazione.

Origini

La storia del pasticcio ferrarese risale al Rinascimento dove, nelle corti ducali, vi era la consuetudine di preparare pietanze fatte con ingredienti diversi al fine di poterli conservare nel tempo, da qui la forma a cupola che serve appunto a "racchiudere" gli ingredienti. Una prima testimonianza del pasticcio arriva dall'antica ricetta del pastelle, appartenente al cuoco della corte estense Cristoforo di Messisbugo. Sebbene il termine "pasticcio" fosse assai diffuso in tutta Italia per indicare proprio questo tipo di pietanze, quello ferrarese subì invece delle modifiche derivanti dalle vicende politiche e culturali fra la corte degli Este e quella di Napoli: infatti, Eleonora d'Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli, sposa Ercole I d'Este nel 1473, dando quindi vita a scambi culturali fra le due signorie. Questo spiegherebbe l'inserimento nella ricetta del pasticcio dei maccheroni, che erano un tipo di pasta diffusa al sud e che ebbero i natali o nella cucina napoletana o in quella siciliana. La ricetta del pasticcio subì quindi varie modifiche sino ad arrivare al 1700, quando iniziarono a circolare le prime ricette documentate. Il pasticcio di maccheroni si presenta come un piatto dalla preparazione molto laboriosa e che coniuga l'accostamento fra dolce e salato, sebbene a Ferrara sia presente anche la variante con la sola pasta salata.

Ingredienti e preparazione

Il pasticcio di maccheroni necessita di una lunga lavorazione dovuta alle diverse tipologie di ingredienti che occorrono. Esso si compone di tre parti principali: l'involucro di pasta frolla, il contenuto (ovvero i maccheroni) e il condimento (cioè i funghi secchi). A questi ingredienti vanno aggiunti il ragù, la besciamella, il parmigiano e le scaglie di tartufo.
Secondo la tradizione, la cottura del pasticcio deve avvenire in un apposito contenitore di rame detto appunto piatto da pasticcio, il quale permetterebbe un'adeguata cottura del composto. Inoltre, in base alla famiglia che lo preparava, ogni pasticcio di maccheroni recava sulla pasta frolla una decorazione diversa data proprio dal contenitore di rame, modellato a piacimento.

Tortelli alla piacentina

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Si definiscono tortelli alla piacentina (turtéi in piacentino) un tipo di pasta ripiena tipico della provincia italiana di Piacenza. Tradizionalmente sono considerati un piatto di magro, cioè quelli privi di carne il cui consumo era concesso dalla Chiesa cattolica nei giorni di venerdì, durante la Quaresima o alla vigilia delle principali festività cristiane. Sebbene siano frequentemente confezionati con due caratteristiche "code" (turtéi cun la cua, turtéi cun il cui in piacentino), che conferiscono loro la distintiva "forma a caramella", sono anche preparati in forma rettangolare.

Ricetta

All'impasto, composto da farina, acqua, uova e sale, si aggiunge un ripieno costituito da ricotta, spinaci, Grana Padano, noce moscata, uova e sale.
Vengono generalmente conditi con il burro fuso, che può essere insaporito con qualche foglia di salvia, e formaggio grana. A differenza che in altre zone del Nord Italia, in cui i tortelli di "magro" vengono condititi solo con burro fuso, in provincia di Piacenza è abbastanza diffuso servire il piatto con un intingolo a base di funghi porcini (che può contenere anche la salsa di pomodoro, oppure essere "in bianco").

Origini

La tradizione delle paste ripiene dell'Italia settentrionale viene fatta risalire al Medioevo. La ricetta del territorio di Piacenza era nota a Giovanni Boccaccio, che definiva semplicemente piasentino la varietà locale del tortello. Secondo alcune ricerche, la caratteristica chiusura della pasta con due "code" alle estremità è menzionata a partire dal 1351, l'anno in cui il nobile piacentino Bernardo Anguissola ospitò Francesco Petrarca al castello di Vigolzone (PC). Fu il feudatario a chiedere al personale di cucina di modificare dei comuni ravioli in un qualcosa di più originale e visivamente gradevole per i canoni estetici del poeta laureato a Roma in Campidoglio. Con la stessa conformazione furono apprezzati e descritti anche da un altro poeta, Giosuè Carducci, ospitato al castello nel 1888 dal conte Cesare Anguissola.

Riconoscimenti

I tortelli alla piacentina sono iscritti nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali stilato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e sono valorizzati con la Denominazione comunale d'origine a Vigolzone (PC).


Tortelli verdi

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I tortelli verdi o tortelli d'erbetta sono un piatto italiano tipico dell'Emilia ed in particolare dell'area Parmense e Reggiana.
Si tratta di una minestra asciutta di involtini di sfoglia all'uovo ripieni di un impasto composto da spinaci o bietole verdi anche in abbinamento con aromi, condimento, formaggio e ricotta.
Gli ingredienti di base del ripieno possono variare nella proporzione della composizione secondo le tradizioni locali e familiari.

Origini di questo piatto e similari

La ricetta reggiana dei tortelli verdi si inserisce nell'antica e nobile tradizione culinaria delle paste ripiene, risalente almeno al Basso Medioevo.
Scopo di tali preparazioni era riunire in un unico piatto gustoso, nutriente e fantasioso quel poco che la cucina contadina forniva.
La relativamente facile disponibilità delle verdure, che costituiscono la parte principale del ripieno, ne hanno fatto un piatto facilmente realizzabile da tutti gli strati della popolazione anche se è rimasto, per lungo tempo, un piatto dedicato ai giorni di festa.
I tortelli d'erbetta della provincia di Parma sono stati riconosciuti prodotto tipico dalla Regione Emilia-Romagna ed inseriti nell'apposito elenco dal Ministero per le Politiche Agricole.

Caratteristiche principali

La caratteristica più saliente di questo piatto è la presenza delle verdure nel ripieno che ne fanno un alimento abbastanza leggero e digeribile sebbene sia ricco di sapore e di gusto.
La presenza di tanta parte dei prodotti caseari quali: ricotta e formaggio (nel ripieno), burro e formaggio per il condimento finale, ne fanno un alimento tipico delle zone, qual è l'Emilia, dove questi alimenti sono prodotti tipici e di uso quotidiano.
Nel ripieno, in luogo degli spinaci e/o delle bietole, si possono utilizzare altre verdure o erbe: verza, catalogna, radicchio, borragine e, perfino, ortiche.
Nell'area parmigiana i tortelli sono riempiti con un impasto dove prevale la ricotta mentre la quantità delle erbette è molto ridotta. Lo stesso avviene in Romagna (cfr. Pellegrino Artusi - La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene).
Il ripieno viene avvolto in una sottile sfoglia di uova e farina formando dei piccoli rettangoli di dimensione massima come una carta di credito e minima come la sua metà.

Condimento

La classica preparazione reggiana "impone" che i tortelli siano conditi soffregando un pezzo di burro su ogni strato degli stessi cotti e posti nella zuppiera (o ne nel piatto se è una preparazione singola) cospargendo poi di formaggio Parmigiano-Reggiano stravecchio.
Volendo, si possono condire anche con burro fuso, tenendo presente che risulteranno meno delicati e si dovrà utilizzare una maggiore quantità di burro. Sempre il formaggio grattugiato, sopra.
Sconsigliabile l'utilizzo di burro nocciola. Ammissibile il burro aromatizzato con salvia.

La tradizione

Nelle famiglie reggiane è tradizione preparare i tortelli come primo piatto della cena della Vigilia di Natale, eventualmente tortelli verdi e tortelli di zucca abbinati. Si vuole così proporre un piatto ricco e gustoso rispettando il precetto di magro della Vigilia.
Nell'area del parmigiano la tradizione vuole che per non passare da conigli (ovvero per mangiatori d'erba, detto popolare), i tortelli siano riempiti con un impasto in cui prevale la ricotta mentre la quantità delle erbette è molto ridotta.
I tortelli d'erbetta parmigiani sono gustati tradizionalmente la sera del 23 giugno, vigilia di San Giovanni Battista.
Anche in Romagna il ripieno è povero di erbette. Ciò è dovuto alle motivazioni riportate anche da Pellegrino Artusi: "I Romagnoli, per ragione del clima che richiede un vitto di molta sostanza e un poco fors'anche per lunga consuetudine a cibi gravi, hanno generalmente gli ortaggi cotti in quella grazia che si avrebbe il fumo negli occhi, talché spesse volte ho udito nelle trattorie: - Cameriere, una porzione di lesso; ma bada, senza spinaci. - Oppure: - Di questi (indicando gli spinaci) ti puoi fare un impiastro sul sedere."

Tortel Dols di Colorno

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Il Tortél Dóls (dialetto parmigiano) è un piatto tipico della tradizione culinaria della bassa parmense ed in particolare del comprensorio di comuni tra Colorno, Mezzani, Sissa, Torrile e Trecasali.

Origini

La tradizione vuole che la nascita del Tortél Dóls risalga all'incirca all'epoca della Duchessa Maria Luigia d'Austria. Si narra infatti, che in occasione di particolari ricorrenze la Duchessa era solita offrire ai barcaioli di Sacca di Colorno (sabien) un primo piatto di tortelli dal ripieno agrodolce. Per questa sua particolarità fu chiamato così Tortél Dóls.

Usanza

Questo piatto è stato tramandato di famiglia in famiglia e oggi l'usanza vuole che venga preparato nel periodo invernale, specialmente in occasione della Vigilia di Natale, l'ultimo giorno dell'anno e la vigilia (cavdon) della festa di Sant'Antònni dal Gozén (16 gennaio).

Ingredienti

Il ripieno è formato da pan grattato, vino cotto (ricavato facendo bollire lentamente per 24 ore il mosto d'uva affinché di tre parti ne rimanga 1) e mostarda rigorosamente fatta in casa. In alcune varianti è possibile trovare anche marmellata di susine, aggiunta per rendere il ripieno un po' meno dolce. A questi ingredienti poi ogni "rezdóra" (la massaia-governante-cuoca che in passato amministrava con oculatezza e sapienza le risorse alimentari di casa) può aggiungerne anche altri personali. Il condimento è fatto in prevalenza con salsa di pomodoro e burro, anche se alcuni li condiscono in bianco" con burro fuso e Parmigiano Reggiano.

Mostarda

La mostarda deve essere rigorosamente preparata in casa ed è costituita da:
  • Pere nobili
  • Zucca da mostarda (cocomero bianco)
  • Mele cotogne
  • Limoni tagliati a fette
  • Zucchero
  • Senape da mostarda

Curiosità

Ogni secondo weekend di ottobre, la Piazza di Colorno vede protagonista il Gran Galà del Tortél Dóls, un evento culturale e gastronomico organizzato dalla Confraternita del Tortél Dóls e dedicato alla degustazione di questo tradizionale primo piatto. Durante la manifestazione, oltre ad assaporare i veri Tortéj Dóls, preparati secondo la ricetta originale della Confraternita, è possibile vedere tutte le fasi della preparazione del tortello direttamente dal vivo, dagli ingredienti della mostarda alla sfoglia. Momento topico dell'evento è la Gara delle Rezdore, disputa accesa tra le mani più esperte nella preparazione del piatto, provenienti dai comuni del comprensorio di produzione. Fanno da cornice alla giornata piacevoli intrattenimenti culturali, differenti ogni anno, che coinvolgono artisti di diverse discipline, chef, ma anche scuole e studenti.

Maltagliati

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I maltagliati sono un tipo di pasta riconosciuta come prodotto tipico della regione Emilia-Romagna.
Quando si fanno le tagliatelle la pasta viene arrotolata e quindi tagliata a strisce sottili, per ricavarne appunto le "tagliatelle". Quella parte di sfoglia che è rimasta, perché non permetteva di ricavarne delle tagliatelle, (generalmente i bordi), viene tagliata in modo irregolare tanto da ricavarne pezzetti di pasta del tutto disomogenei (i maltagliati). Trattandosi per lo più delle aree perimetrali della sfoglia, anche lo spessore è disomogeneo. Essi sono quindi pezzetti di pasta all'uovo che si differenziano per forma, dimensione e spessore. Tradizionalmente è consigliato l'uso della spronella per effettuare il taglio.
L'uso più classico dei maltagliati è con la minestra di fagioli, esistono comunque numerose ricette, per lo più povere, che prevedono l'utilizzo dei maltagliati.
Gli sfridi di pasta sono anche all'origine di un celebre piatto romagnolo, gli strozzapreti, questa viene attribuita alla obbligatorietà della "decima" a favore del clero. Qui le massaie romagnole, sempre utilizzando gli sfridi di pasta invece di tagliarli ulteriormente (come per i maltagliati) li arrotolavano sul palmo della mano ricavandone una sorta di gnocchetti allungati. Nel compiere questa operazione, si mormora, commentassero: "Che si possa strozzare quel prete". Alludendo al destinatario della decima.

Pisarei e faśö

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I pisarei e faśö anche pisarei cui faśö, sono un piatto di pasta tipico della provincia italiana di Piacenza, tra i più conosciuti della cucina piacentina. Si tratta di gnocchetti di farina e pangrattato conditi con un sugo a base di fagioli, lardo, cipolla e pomodoro. Antica ricetta contadina povera ma completa, ancora oggi è molto diffusa tra la gente e nei ristoranti del Piacentino.
Il piatto è stato valorizzato e disciplinato con il marchio De.Co. dall'amministrazione comunale di Piacenza.

Cenni storici

Una tradizione attendibile narra che la ricetta alla base dei pisarei e faśö si sviluppò nel Medioevo all'interno dei conventi del Piacentino grazie ai monaci che sfamavano i pellegrini diretti a Roma, in transito sulla Via Francigena, con ingredienti poveri ma nutrienti. Un tempo erano impiegati i fagioli di tipo dolico (Dolichos), anziché i borlotti, e la ricetta non prevedeva la passata di pomodoro, ingredienti che solo successivamente furono introdotti in Europa dall'Americhe.

Etimologia

È presumibile che a dare il nome al gnocchetto sia la vaga somiglianza con il pene dei bambini, che in dialetto piacentino è chiamato appunto pisarel. Il termine deriva dal verbo onomatopeico pisä, cioè urinare.

Preparazione

I pisarei sono ottenuti da un impasto di farina, pane grattugiato e acqua, che viene arrotolato a formare dei lunghi cilindri, i quali a loro volta saranno tagliati a tocchetti delle dimensioni di un fagiolo. I tocchetti, a loro volta, saranno schiacciati col pollice, avvolgendoli leggermente su se stessi, perché assumano la forma caratteristica.

Riconoscimenti

Su proposta della Regione Emilia-Romagna, i pisarei e fasö sono stati inseriti dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani tipici della provincia di Piacenza.

Haggis

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L'haggis è un insaccato tradizionale della cucina scozzese. Il preparato gastronomico è considerato un simbolo della tradizione scozzese, celebrato da Robert Burns come piatto nazionale della Scozia nel poema Address to a Haggis del 1787.

Preparazione

L'insaccato viene riempito con interiora di pecora (cuore, polmone, fegato), macinate insieme a cipolla, grasso di rognone, farina d'avena, sale e spezie, mescolati con brodo. Il ripieno, secondo tradizione, viene insaccato nello stesso stomaco dell'animale, che poi viene sottoposto a bollitura per circa tre ore.

Presentazione

L'insaccato, secondo tradizione, viene servito con "neeps and tatties" (rutabaga e patate), bollite a parte e passate in purea, accompagnate da un "dram", ovvero un bicchiere di Scotch whisky, in special modo come piatto principale della Burns supper, la celebrazione in memoria del poeta Robert Burns. Tuttavia è anche presentato in tavola con altri contorni, o servito con una salsa a base di whisky.
La tradizione prescrive che sia tagliato rigorosamente con una spada.

Pie and mash

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Pie and mash è un tradizionale piatto londinese della classe operaia. Ristoranti che servono questo tipo di piatto sono presenti a Londra sin dal diciannovesimo secolo e sono ancora oggi molto comuni nelle zone meridionali ed orientali della città, in molte parti dell'Essex ed in alcuni luoghi all'estero, in particolare in Australia, dove esistono significative comunità di emigrati.
Il piatto principale consiste in un pasticcio (Pie) a base di carne e nel purè di patate (mash), comunemente servito su un lato del piatto insieme ad una salsa verde a base di prezzemolo, chiamata salsa al liquore o liquore (benché non sia affatto alcolica), tradizionalmente fatta con l'acqua dalla preparazione delle anguille in umido. Un'altra specialità servita nei ristoranti Pie and mash è l'anguilla in gelatina, servita con un particolare aceto piccante.
I pasticci, i purè di patate e le anguille in umido sono tutti preparati sul posto. Le anguille in gelatina invece sono di solito precucinate.
Recentemente alcuni negozi pie and mash hanno iniziato ad offrire una selezione di menu a base di verdure, pollo e frutta.

Crumble

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Il crumble è un piatto di origine inglese e irlandese, del quale esistono due versioni, dolce o salata.
La versione più diffusa è quella dolce, che viene preparata usando frutta cotta con zucchero, ricoperta da un impasto friabile di burro, farina e zucchero. La versione salata, invece, contiene carne, verdure salsa e formaggio. Il prodotto va cotto in forno fino a quando la copertura diventa croccante. La variante dolce viene servita con crema pasticciera o panna, mentre quella salata viene spesso accompagnata con verdure. La frutta solitamente utilizzata nel crumble, include mele, more, pesche, rabarbaro, uva, prugne e cocco. Alcune volte si possono abbinare alcuni di questi frutti in un solo crumble. La mela e il rabarbaro, per esempio, vengono spesso usati insieme. La copertura può essere preparata impiegando anche fiocchi d'avena, mandorle o altri tipi di frutta con guscio. Spesso viene aggiunto dello zucchero di canna, che caramellizza una volta cotto, oppure frammenti di biscotti e cereali.
La ricetta ha origine in Gran Bretagna nella seconda guerra mondiale a causa del ferreo razionamento delle risorse alimentari.

Bouillabaisse

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La bouillabaisse, in occitano bolhabaissa, in ligure intemelio bugliabasciu è una zuppa di pesce tradizionale della Provenza, regione geografica della Francia. Il piatto è diffuso anche in Italia, precisamente nella Liguria intemelia.

Nome

Il nome bouillabaisse deriva dall'occitano bolhabaissa (ˌbujaˈbajsɔ), una parola composta dai due verbi bolhir (bollire) e abaissar (cuocere a fuoco lento).

Composizione

La bouillabaisse è una zuppa di pesce stufata. La ricetta base comprende l'uso di almeno quattro pesci: scorfano (in francese rascasse), triglia (rouget), grongo (congre) e gallinella (in francese grondin), ma è uso aggiungere anche dentice, rombo, bottatrice, cefalo, nasello, nonché invertebrati come ricci, cozze e granchi. Nelle versioni più lussuose ed elaborate viene aggiunto anche il polpo e addirittura l'aragosta. Viene servita con la Rouille, una salsa d'accompagnamento fatta con pangrattato, olio d'oliva, zafferano e peperoncino.

Storia

Le origini del piatto vengono fatte risalire ai Focesi primi fondatori greci della città di Marsiglia nel 600 a.C., che usavano preparare la kakavia (in greco κακαβιά) una zuppa di pesce fatta col pescato che i pescatori non riuscivano a vendere.

Andouille

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L'andouille è il nome generico sotto il quale vengono indicate elaborazioni di salumeria diverse, anche fortemente differenziate, che riflettono tradizioni locali anche molto antiche, inegualmente codificate dal Code des usages de la charcuterie (Codice d'uso della salumeria), redatto come riferimento per gli operatori professionali.
Molto comunemente si tratta di salumeria composta di trippa del maiale: intestino crasso (40 % circa), intestino tenue (43 % circa), altre componenti di trippa (17 % circa), senza aggiunta di grassi né di leganti, con aggiunta invece di sale da cucina, pepe, spezie ed erbe aromatiche da cucina. Il concetto di utilizzo molto prevalente di elementi dell'apparato digerente del maiale non è tuttavia applicabile a certi tipi di andouille (andouille di carne, di cotenna, di cavallo, andouille rosse o sabardin).
Il termine andouille è frequentemente utilizzato dal medioevo, con significati spesso imprecisi e molto diversi.

Modi di produzione e denominazioni

L'andouille, nel contest attuale (così come la propongono salumieri con grandi superfici di lavorazione o meno), è di origine esclusivamente suina, salvo il caso molto particolare e marginale dell'andouille di cavallo. Secondo il Code des usages de la charcuterie, una mescolanza o un insieme eterogeneo di diversi costituenti, insaccato in un tubo cilindrico di diametro e lunghezza variabili. Il prodotto si presenta comunemente sotto la forma di un cilindro irregolare da 25 a 30 cm di lunghezza e da 4 a 6 cm di diametro, arrotondato alle estremità. A una di queste uno spago serve per appenderlo.
La maggior parte delle andouille sono affumicate (salvo le andouille dette "di carne" e sabardin; è obbligatorio precisare nella denominazione di vendita che un prodotto fa eccezione evitando l'affumicatura).
Certe andouille tradizionali, ma molto meno diffuse, vanno cotte lentamente, eventualmente dopo la dissalatura, in questo ben diverse dai tipi Vire o Guéméné ben noti, il più spesso affettati in rondelle per gustarsi come aperitivo (se non sono addirittura già vendute al dettaglio affettate).
È ancora possibile, in certe regioni e presso certi salumieri, acquistare delle andouille non affumicate e non cotte, come delle andouille affumicate ma non insaccate dal produttore.
Si distinguono numerosi tipi di andouille, non sempre molto chiaramente, dipendendo ciò dalle località e dai metodi di produzione, dall'esistenza di una clientela dal gusto più o meno formato da una "tradizione". Le denominazioni sono, per alcune, "ufficiali", riconosciute e descritte dal Code des usages de la charcuterie (che tiene conto dell'evoluzione degli usi e non è opera di storici esigenti); altre, seguendo l'esempio dell'Andouille du Val d'Ajol, che è un marchio depositato presso l'INPI (Istituto Nazionale della Produzione Industriale); altre, ancora, sono semplici denominazioni volontarie riprese dalla stampa locale, i cui autori mettono volentieri in risalto il "territorio".
  • l'andouille «campagnarde»(campagnola) (definizione facile, ma senza significato alcuno quanto alla composizione e alla preparazione);
  • l'andouille de Baye (denominazione locale d'un'andouille corrispondente, secondo il Code de la charcuterie, alla categoria Andouille de Vire);
  • l'andouille di Cambrai, citata nel Code des usages de la charcuterie come «denominazione particolare» ;
  • l'andouille di Charlieu;
  • l'andouille de Couenne, specialità del Sud-Ovest, citata nel Code des usages de la charcuterie come «denominazione particolare»
  • l'andouille di Couvin (Belgio) ;
  • l'andouille di Guémené, citata nel Code des usages de la charcuterie come «denominazione particolare» (uno dei prodotti più identificabili, con i suoi anelli concentrici) ;
  • l'andouille de Jargeau, citata nel Code des usages de la charcuterie ;
  • l'andouille du Val-d'Ajol, che proviene da un'area dei Vosgi molto delimitata (marchio depositato nel 1994);
  • l'andouille di Vire, citata nel Code des usages de la charcuterie come «denominazione particolare»;
  • l'andouille de Revin, citata nel Code des usages de la charcuterie come «denominazione particolare»;
  • l'andouille de Bretagne, o Bretonne supérieure, citata nel Code des usages de la charcuterie come «denominazione particolare» ;
  • l'andouille rouge o sabardin, specialità della Loira, aromatizzata al vino rosso, citata nel Code des usages de la charcuterie come «denominazione particolare».
  • il Grenier médocain, andouille non affumicata, composta di stomaco di maiale, repertoriata dal Code des usages de la charcuterie come «denominazione particolare» dal 2016;
  • diverse andouille di paese, di tipo "Vire", composte con la testa e il cuore del maiale, in proporzioni variabli, non determinate attualmente (2017) dal Code des usages de la charcuterie.
L'andouille de Vire è prodotta per riempimento (montaggio in forma ellittica delle budella attorcigliate). Quella di Guémené è prodotta per infilature successive in intestino crasso di maiale che funge da contenitore. Le differenze strutturali fra tali prodotti affumicati, i più commercializzati, sono evidenti alla vista.
Quelle di Vire e di Guéméné non sono necessariamente Vire e Guéméné. Tuttavia esse devono essere confezionalte completamente a mano quando la denominazione di vendita viene qualificata come authentique (autentica) o véritable (veritiera) (tutte le citazioni geografiche in etichetta implicano un'effettiva localizzazione: una véritable andouillette de Troyes, per esempio, deve provenire dal dipartimento dell'Aube e dai cantoni limitrofi.
La citazione di Andouille supérieure à, o aux, è lecita in Francia se è conforme alle prescrizioni del Code de la charcuterie, quando vi si aggiungono, in una certa percentuale, elementi di maiale, non usuali per questo prodotto, quali lardo o pancetta.
L'andouille de Couvin è costituita di un tratto d'intestino crasso, ove s'inseriscono altre budella sempre più sottili, mescolate a parti di lingua.
La 'nduja è un salame tipico della Calabria, molto speziato. Il suo nome proviene dal francese andouille, per allusione indubbiamente a un tipo di prodotto simile, a base di trippa e di altre parti povere del maiale.

Associazioni

Numerose confraternite, incoraggiate dagli Uffici del Turismo locale, celebrano l'andouille e ne fanno l'oggetto-feticcio di festival e di cerimonie fantasiose.
  • La Confrérie des Chevaliers du Goûte-andouille di Jargeau organizza un concorso internazionale della migliore andouille.
  • La Docte Insigne et Gourmande Confrérie des Taste-Andouilles et Gandoyaux di Val d'Ajol attribuisce, ogni anno, il "Premio letterario dell'andouille", facetamente soprannominato localmente il "Goncourt della salumeria" Il testo deve essere redatto su carta solforizzata di macelleria).
  • La Confrérie des Chevaliers de la bonne Andouille di Aire-sur-la-Lys.
  • La Confréries des faiseurs d'andouille di Charlieu.

Etimologia ed evoluzione del termine

Dal Dictionnaire universel contenant généralement tous les mots français di Furetière, pubblicato nel 1690, fino alla nona edizione del Dictionnaire de l'Académie, passando per il Littré, un'etimologia è costantemente avanzata: la denominazione verrebbe dal latino inductilia (cose da introdurre), che deriva da inducere (introdurre).
Si noterà tuttavia che Furetière avanzò anche come etimo "un vecchio termine celtico o basso-bretone": Anduiller, secondo lui con lo stesso significato.
Il termine Andoile comparve, prima del 1200, in un episodio del Roman de Renart, che pone in scena la volpe e l'astuto gatto Tybert.
"Nuls ne puet bonne andouille faire de tels boiaus" (Nessuno può fare della buona andouille con tale budello), scriveva Jean de Meung, nel suo Testament, alla fine del XIII secolo.
Un secolo dopo, l'andouille (scritta Andoulle) ebbe gli onori del Ménagier de Paris, trattato d'economia domestica destinato all'educazione d'una sposa molto giovane:
« [...] les andouilles sont faites du boyau culier et autres boyaux gros, lesquels gros sont remplis des autres (...) » (le andouille sono fatte con la parte finale dell'intestino e altre parti, che sono sempre riempite delle altre…)
Nel XVIII secolo, l'erudito culinario Menon parlò delle andouille affumicate, ove la carne del coniglio si mescolava a quella del maiale, delle andouille de Troyes, delle andouille «di vitello, di manzo e di cotica».

 
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