Perché negli Stati Uniti non viene servito pollo fritto a colazione?

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Perché il “cibo della colazione” nasce da alcune tradizioni contadine, unite a tradizioni urbane più recenti.

In una fattoria, ti svegli all'alba e fai i "lavoretti" per prenderti cura degli animali. Poi fai colazione e poi inizi la tua vera giornata di lavoro.

Quindi, dal momento che esci a prenderti cura dei polli, raccogli le uova in questo momento. E così le uova fanno un pasto facile per la colazione. Hai munto le mucche, quindi hai latte fresco. Ci vogliono ore per fare il pane, quindi prendi il pane avanzato di ieri e lo tostini per riportarlo in vita. Non hai tempo per macellare un animale, quindi qualsiasi carne è carne conservata, probabilmente maiale. Cucinare salsiccia/pancetta/prosciutto crea grasso, nessun contadino lo sprecherà, quindi è perfetto per cucinare patate o frittelle o torte di mais. La frutta conservata e i dolcificanti fatti in casa come lo sciroppo d'acero sono già pronti.

Ecco qua, una classica colazione americana.



Come si cucina la carne in forno senza seccarla?

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Per non far seccare la carne nel forno, occorre adottare un'adeguata tecnologia di cottura. Nella ristorazione si ha la possibilità di usare dei forni con ventola e generazione di vapore/umidità direttamente nella cella di cottura. Questo consente di non disidratare la carne, come del resto qualunque tipo di cibo.

La carne in genere viene cotta principalmente con la tecnica dell'arrosto. Se cotta a regola d'arte risulta una carne per niente secca e stopposa. In genere si mette in un bacinella/teglia la pezzatura di carne, la si inforna e la si rosola (reazione di Maillard, doratura in superficie). Successivamente si prolunga la cottura a temperatura più bassa. Gli chef spennellano l'arrosto con grassi e condimenti ma non con brodo o vini, che lo seccherebbero. La carne al forno è cotta quando la temperatura al nucleo del prodotto raggiunge i gradi desiderati ed è per questo che si usa una sonda di temperatura. Durante la cottura l'arrosto viene glassato manualmente. Un altro metodo di cottura, che non secca la carrne è la tecnica del brasato. La carne viene scottata in un recipiente e dopo viene messa in una pirofila con vino rosso e brodo. Successivamente la si mette nel forno dopo averla coperta. Questo tipo di cottura produce carni ricche di liquidi e aromi. Ma la tecnica che fa seccare meno la carne è la vaso cottura. Si mette la carne in barattoli in forno da 60°C a 150°C circa con acqua per il tempo rilevato da una sonda all'interno di un barattolo a campione che viene forato.


Quale cibo italiano non è così popolare nel mondo come lo è nella stessa Italia?

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Sicuramente la polenta

All'estero è conosciuta più che altro da immigrati italiani



Un piatto messicano famoso

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I Tacos




Un taco è un alimento tradizionale messicano costituito da una piccola mano di mais o grano tortilla a base di ripieno. La tortilla viene poi ripiegata attorno al ripieno e mangiata a mano. Un taco può essere preparato con una varietà di ripieni, tra cui manzo, maiale, pollo, frutti di mare, fagioli, verdure e formaggio, consentendo una grande versatilità e varietà. Sono spesso guarniti con vari condimenti, come salsa, guacamole o panna acida, e verdure, come lattuga, cipolla, pomodori e peperoncini. I tacos sono una forma comune di antojitos, o cibo di strada messicano, che si è diffuso in tutto il mondo.

I tacos possono essere contrastati con cibi simili come i burritos, che sono spesso molto più grandi e arrotolati anziché piegati; taquitos, che vengono arrotolati e fritti; o chalupas / tostadas, in cui la tortilla viene fritta prima di farcire.

Le origini del taco non sono note con precisione e le etimologie per l'uso culinario della parola sono generalmente teoriche. Il taco nel senso di piatto tipico messicano comprendente una tortilla di mais piegata attorno al cibo è solo uno dei significati connotati dalla parola, secondo la Real Academia Española, editore del Diccionario de la Lengua Española. Questo significato della parola spagnola "taco" è un'innovazione messicana, ma la parola "taco" è usata in altri contesti per significare "cuneo; batuffolo, spina; stecca da biliardo; cerbottana; bacchetta; basso, tozzo persona; [o] pezzo di legno corto e spesso." L'origine etimologica di questo senso della parola è germanica e ha affinità in altre lingue europee, tra cui la parola francese "tache" e la parola inglese "tack".

In Spagna, la parola "taco" può essere usata anche nel contesto dei tacos de jamón si tratta di pezzi di prosciutto tagliati a dadini, o talvolta pezzetti e scaglie di prosciutto rimanenti dopo che un pezzo più grande è stato affettato. Possono essere serviti da soli come tapas o street food, oppure possono essere aggiunti ad altri piatti come salmorejo, omelette, stufati, empanadas o melón con jamón.

Secondo una teoria etimologica, l'origine culinaria del termine "taco" in Messico può essere fatta risalire al suo impiego, tra i minatori d'argento messicani, come termine che significa "spina". I minatori hanno utilizzato cariche esplosive sotto forma di spine, costituite da un involucro di carta e riempimento di polvere da sparo.

Vengono proposte anche origini indigene. Una possibilità è che la parola derivi dalla parola nahuatl "tlahco", che significa "metà" o "nel mezzo", nel senso che il cibo sarebbe posto nel mezzo di una tortilla. Inoltre, si sapeva che nella società precolombiana esistevano piatti analoghi al taco, ad esempio la parola nahuatl "tlaxcalli" (un tipo di tortilla di mais).

Esistono molte varietà tradizionali di tacos:

  • I tacos al pastor ("stile pastore") o tacos de adobada sono fatti di sottili bistecche di maiale condite con condimento adobo, quindi infilzate e sovrapposte l'una sull'altra su un girarrosto verticale cotto e grigliato alla fiamma mentre gira.

  • I tacos de asador ("tacos allo spiedo" o "alla griglia") possono essere composti da uno dei seguenti: carne asada tacos; tacos de tripita (" tacos di trippa"), grigliati fino a renderli croccanti; e, chorizo asado (salsiccia tradizionale in stile spagnolo). Ogni tipo viene servito su due piccole tortillas sovrapposte e talvolta guarnito con guacamole, salsa, cipolle e coriandolo (foglia di coriandolo). Inoltre, preparato alla griglia è un taco a sandwich chiamato mulita ("piccolo mulo") fatto con carne servita tra due tortillas e guarnita con formaggio in stile Oaxaca. "Mulita" è usato per descrivere questi tipi di tacos a sandwich negli Stati settentrionali del Messico mentre sono conosciuti come Gringa nel sud del Messico e sono preparati utilizzando tortillas di farina di grano. I tacos possono anche essere serviti con salsa.

  • Tacos de cabeza ("tacos di testa"), in cui è presente una piastra metallica forata e piatta da cui fuoriesce il vapore per cuocere la testa della mucca. Questi includono: Cabeza, una porzione dei muscoli della testa; Sesos ("cervelli"); Lengua ("lingua"); Cachete ("guance"); Trompa ("labbra"); e, Ojo ("occhio"). Le tortillas per questi tacos vengono riscaldate sulla stessa piastra fumante per una consistenza diversa. Questi tacos sono tipicamente serviti in coppia e includono anche salsa, cipolla e coriandolo (foglia di coriandolo) con uso occasionale di guacamole.

  • Anche i tacos de camarones ("tacos di gamberetti") sono originari della Baja California in Messico. Vengono utilizzati gamberi alla griglia o fritti, solitamente con gli stessi contorni dei tacos di pesce: lattuga o cavolo cappuccio, pico de gallo, avocado e una panna acida o salsa di agrumi/maionese, il tutto adagiato sopra una tortilla di mais o farina.

  • Tacos de cazo (letteralmente "tacos a secchiello") per i quali una ciotola di metallo riempita di strutto viene tipicamente utilizzata come friggitrice. Le carni per questi tipi di tacos includono tipicamente la tripa ("trippa", di solito da un maiale invece che da una mucca, e può anche riferirsi all'intestino); Suadero (tagli teneri di manzo), Carnitas e Buche (letteralmente, "raccolto", come nel raccolto di uccelli; o l'esofago di qualsiasi animale.

  • Tacos de lengua (tacos di lingua di manzo), che vengono cotti in acqua con cipolle, aglio e alloro per diverse ore fino a quando sono teneri e morbidi, quindi affettati e saltati in poco olio. "Si dice che a meno che una taqueria non offra tacos de lengua, non sia una vera taqueria".

  • I tacos de pescado ("tacos di pesce") sono originari della Baja California in Messico, dove consistono in pesce grigliato o fritto, lattuga o cavolo, pico de gallo e una panna acida o salsa di agrumi/maionese, il tutto posto sopra un mais o tortilla di farina. Negli Stati Uniti, sono stati resi popolari per la prima volta dalla catena di fast food Rubio's e rimangono i più popolari in California, Colorado e Washington. In California, si trovano spesso presso i venditori ambulanti e una variante regionale è servirli con condimento di cavolo e insalata di cavolo sopra.

  • Tacos dorados (tacos fritti; letteralmente, "tacos dorati") detti flauta s ("flauto", per via della forma), o taquitos, per i quali le tortillas sono ripiene di pollo, manzo o barbacoa sminuzzato precotto , arrotolati in una cilindro allungato e fritto fino a renderlo croccante. A volte vengono cotti nel forno a microonde o alla griglia.

  • I tacos sudados ("tacos sudati") si preparano riempiendo morbide tortillas con un composto di carne piccante, quindi ponendole in un cesto coperto con un panno. La copertura mantiene i tacos caldi e intrappola il vapore ("sudore") che li ammorbidisce.

Come accompagnamento ai tacos, molti stand di tacos serviranno ravanelli rossi interi o affettati, fette di lime , sale, peperoncini sottaceto o grigliati (peperoncini piccanti) e occasionalmente fette di cetriolo o cipolle cambray grigliate.


Variazioni non tradizionali


Tacos dal guscio duro

Il taco dal guscio duro o croccante è una tradizione che si è sviluppata negli Stati Uniti. Il tipo più comune di taco negli Stati Uniti è la versione a guscio duro, a forma di U, descritta per la prima volta in un libro di cucina nel 1949. Questo tipo di taco è tipicamente servito come una tortilla di mais fritta croccante ripiena di carne macinata condita, formaggio, lattuga e talvolta pomodoro, cipolla, salsa, panna acida e avocado o guacamole. Tali tacos sono venduti dai ristoranti e dalle catene di fast food, mentre i kit sono prontamente disponibili nella maggior parte dei supermercati. I tacos con guscio duro sono talvolta conosciuti come tacos dorados ("tacos dorati") in spagnolo, un nome che condividono con i taquitos.

Varie fonti attribuiscono a diversi individui l'invenzione del taco dal guscio duro, ma una qualche forma del piatto probabilmente è antecedente a tutti loro. A partire dalla prima parte del ventesimo secolo, vari tipi di tacos divennero popolari nel paese, specialmente in Texas e California, ma anche altrove. Verso la fine degli anni '30, aziende come Ashley Mexican Food e Absolute Mexican Foods vendevano elettrodomestici e ingredienti per cucinare tacos con guscio duro e i primi brevetti per apparecchi da cucina per taco con guscio duro furono depositati negli anni '40.

A metà degli anni '50, Glen Bell aprì Taco Tia e iniziò a vendere una versione semplificata dei tacos venduti dai ristoranti messicani a San Bernardino, in particolare i tacos dorados venduti al Mitla Cafe, di proprietà di Lucia e Salvador Rodriguez dall'altra parte della strada da un altro dei ristoranti di Bell. Negli anni successivi Bell possedeva e gestiva numerosi ristoranti nel sud della California, inclusi quattro chiamati El Taco. A quel tempo, Los Angeles era segregata razzialmente e i tacos venduti nei ristoranti Bell's erano la prima introduzione al cibo messicano per molti americani bianchi. Bell vendette gli El Tacos al suo partner e costruì il primoTaco Bell a Downey nel 1962. Kermit Becky, un ex agente di polizia di Los Angeles, acquistò il primo franchise di Taco Bell da Glen Bell nel 1964, e lo trovò a Torrance. L'azienda crebbe rapidamente e nel 1967 fu aperto il centesimo ristorante al 400 di South Brookhurst ad Anaheim. Nel 1968, la sua prima sede in franchising a est del fiume Mississippi è stata aperta a Springfield, Ohio.

Tacos dal guscio morbido

Tradizionalmente, i tacos dal guscio molle si riferivano a tortillas di mais che venivano cotte in uno stato più morbido di un taco duro, di solito grigliato o cotto a vapore. Più recentemente, il termine è arrivato a includere tacos a base di tortilla di farina principalmente da grandi produttori e catene di ristoranti. In questo contesto, i tacos morbidi sono tacos fatti con tortillas di farina di frumento e ripieni con gli stessi ingredienti di un taco duro.


Taco da colazione

Il taco per la colazione, che si trova nella cucina tex-mex, è una tortilla morbida di mais o farina ripiena di carne, uova o formaggio e può contenere anche altri ingredienti. Alcuni hanno affermato che Austin, in Texas, è la casa del taco per la colazione. Tuttavia, lo scrittore di cibo ed editore di OC Weekly Gustavo Arellano ha risposto che una tale affermazione riflette una tendenza comune a riferire sui percorsi alimentari "imbiancati", osservando che San Antonio, in Texas, prevalentemente ispanico "non ha mai dovuto vantarsi del suo amore per i taco a colazione - gente lì chiamala semplicemente 'colazione'".


Taco indiano

I tacos indiani, o tacos Navajo, sono fatti con il pane fritto al posto delle tortillas. Sono comunemente mangiati in occasione di pow-wow, festival e altri raduni da e per gli indigeni negli Stati Uniti e in Canada.

Non si sa che questo tipo di taco fosse presente prima dell'arrivo degli europei in quelli che oggi sono gli Stati Uniti sudoccidentali. La tradizione Navajo indica che il frybread è entrato in uso nel 1860 quando il governo ha costretto la tribù a trasferirsi dalla loro terra natale in Arizona in un viaggio noto come il Lungo Cammino dei Navajo. Era composto da ingredienti forniti loro dal governo per integrare la loro dieta poiché la regione non poteva sostenere la coltivazione dei prodotti agricoli che erano stati precedentemente utilizzati.

Almeno dal 1978, una variazione chiamata "puffy taco" è stata popolare. Henry's Puffy Tacos, aperto da Henry Lopez a San Antonio, Texas, afferma di aver inventato la variazione, in cui le tortillas di mais crude (palline appiattite di pasta masa) vengono rapidamente fritte in olio bollente fino a quando non si espandono e diventano "gonfie". I riempimenti sono simili alle versioni hard-shell. Da allora, ristoranti che offrono questo stile di taco sono apparsi in altre città del Texas, così come in California, dove il fratello di Henry, Arturo Lopez, ha aperto l'Arturo's Puffy Taco a Whittier, non molto tempo dopo l'apertura di Henry's. Henry's continua a prosperare, gestito dalla seconda generazione della famiglia.

I kit sono disponibili nei negozi di alimentari e nei minimarket e di solito consistono in gusci di taco (tortillas di mais già fritte a forma di U), mix di condimenti e salsa di taco. I venditori commerciali per il mercato interno commercializzano anche kit di taco morbidi con tortillas invece di gusci di taco.

Il tacodilla contiene formaggio fuso tra le due tortillas piegate, somigliando così a una quesadilla.


Come mai il cibo spazzatura è più buono del cibo sano?

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Non è così.

Prima di tutto vorrei sottolineare che non esiste un'alimentazione sana. Si può avere una dieta sana o una dieta malsana. Una dieta sana può includere un po' di cibo spazzatura, mentre una dieta malsana è fatta solo di cibo spazzatura o si basa su un'idea sbagliata di ciò che costituisce un cibo sano ed è troppo restrittiva.





Detto questo, alimenti come questi non hanno un sapore migliore. In realtà hanno un sapore piuttosto orribile. Sono aspri, troppo salati e allo stesso tempo zuccherini, ma piatti sotto tutti gli altri aspetti, spesso unti e poco delicati.

Ora, confrontateli con:


cuscus alla trapanese


melanzane alla parmiggiana



cotolette alla palermitana


insalata di peperoni arrostiti



granita di gelsi

Sono tutti piatti ricchi di sapore, estremamente gustosi, eppure perfettamente adatti a una dieta sana, nelle giuste quantità.


Qual è la carne più costosa?

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Il Kobe (o Wagyu), una specialità giapponese, è in genere indicata come quella più costosa. Probabilmente ne esistono altre, ma questa è quella in cui potreste imbattervi più facilmente in un buon ristorante o una raffinata macelleria.



Costa alcune centinaia di euro al chilo ed è una carne molto particolare.

Si tratta di bovini di razza Wagyu allevati nella città di Kobe (a dire il vero esistono anche allevamenti di Wagyu in altre località, sono altrettanto buoni ma in genere il più conosciuto è il Kobe, chiamato anche Japanese Black).

Questi bovini hanno una percentuale di grasso elevata e questo grasso si scioglie a temperature molto basse per cui la carne risulta morbidissima e molto gustosa.


Ci sono varie leggende metropolitane su come i giapponesi rendono così tenera la carne Wagyu: si parla di massaggi continui con la birra e amenità del genere.

In realtà questi animali hanno quella carne perché in Giappone, ancora nel 19° secolo, era vietato mangiare carne per cui i bovini erano utilizzati solo per il lavoro nei campi e sviluppavano una muscolatura particolare, con notevoli riserve di grasso per fornire energia. E' così che è nata la razza Wagyu.

E' vero che talvolta i manzi vengono massaggiati, ma questo avviene quando non hanno la possibilità di pascolare a lungo e serve per mantenere tonica la muscolatura.


Non è vero che i massaggi si facciano con la birra ma è vero che a volte agli animali viene fatta bere birra, ma non per alterare il sapore della carne, bensì per stimolare l'appetito e farli mangiare e ingrassare di più.



Anche in Italia ci sono allevamenti che hanno iniziato ad allevare questa razza di manzo e a produrre la carne di Wagyu.

Personalmente, continuo a preferire un ottimo (e decisamente più economico) taglio di carne "tradizionale" ma la carne di Kobe è sicuramente molto particolare per consistenza e gusto e merita un assaggio.


Parlando di pasta, che senso hanno le penne lisce?

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La migliore pasta è quella che si cuoce più uniformemente ma che trattiene meglio il condimento.

Sebbene questo risultato sembra meglio raggiungibile con la pasta rigata, in realtà la miglior pasta in assoluto è una pasta liscia ma molto ruvida, ossia quella che ha una superficie come questa:



Perché?

Perché sebbene le rigature della pasta rigata trattengano molto bene il condimento, risulta impossibile avere una cottura uniforme e quindi quando le sporgenze delle rigature sono cotte, le parti più spesse non lo sono, quando invece le parti più spesse sono cotte, le rigature sono scotte.

Ovviamente sono sottigliezze, io compro la pasta integrale rigata di sottomarca dal penny market…

Uso la pasta buona solo quando invito qualcunǝ a mangiare da me…


Cosa è tipico della cucina greca?

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Direi che un piatto tipico della cucina greca che, in genere, incontra il favore degli italiani è la moussakà.



Arancini, panelle e interiora: le meraviglie dello street food Siciliano.

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Arancini, pani câ meusa, stigghioli, panelle, pidoni: breve viaggio tra alcuni street food rappresentativi della Sicilia.



Lo street food in Sicilia è da sempre un fenomeno immersivo. Da molto prima che si usasse quest’anglicismo, il cibo di strada trinacrio è una summa di colori, profumi, di tradizioni, di insegnamenti che si tramandano di generazione in generazione. Perché quello che da tempo si vende nei bar, sui camioncini, ai chioschi, agli angoli di strada non è solo appannaggio dei commercianti della ristorazione sicana ma è retaggio antico, di un rito culinario che quotidianamente si consuma nelle case, tra le famiglie.

Arancini


Nota personale, Arancini vengono chiamati nel catanese, arancine nel palermitano.



Il primo e più celebre rappresentante dello street food siciliano è sicuramente l'arancino. O anche arancina. In base alla forma - piramidale o sferica - o alla zona della Sicilia in cui ci si trova. Gli arancini sono preparazioni tipiche della rosticceria sicula, a base di riso allo zafferano, condito con ragù e piselli, che viene panato e fritto.

Non si conosce realmente da dove venga la tradizione degli arancini. C’è una leggenda che parla di sant’Agata, vissuta nel III secolo, che portò degli arancini tondi da Palermo a Catania, meta del suo viaggio: l’ultimo le cadde per terra e la religiosa lo risistemò dandogli la forma conica, facendo di fatto nascere l’arancina. C’è invece chi fa risalire questo cibo all’influenza della dominazione araba nel IX-XI secolo, e chi invece afferma che la panatura, che rende gli arancini a lunga conservazione, sia addirittura opera di Federico II - una “meraviglia del mondo " anche in cucina.


Panelle


In Sicilia diversi street food sono incarnati da panini preparati in un determinato modo. Come ad esempio il “pane cunzatu”, che altri non è che un panino con pomodoro, primo sale, origano e olio d’oliva, da sempre merenda per bambini siciliani e meridionali (con alcune piccole varianti). Molto celebre in quanto a ricette sicule è invece il pane con le panelle, originario nello specifico di Palermo ma presente in un po’ tutta l’isola.

Si tratta fondamentalmente di frittelle a base di farina di ceci, anche queste probabilmente legate all’influenza della dominazione araba. Lo scrittore Giuseppe Pitrè testimoniò anche la nascita delle cosiddette “piscipanelle”, che erano delle padelle a forma di pesce, per dare l’idea di questo ingrediente quando la popolazione del mare era alla portata di poche tasche.


Pani câ meusa


Un altro panino trinacrio molto speciale è il pani câ meusa, ovvero un panino con semi di sesamo farcito da interiora di vitello bollite e ricotta. Le interiora sono, nello specifico, milza - da cui il nome dialettale dello street food - ma anche polmone e cartilagini della trachea. Pare che fosse una tradizione ebraica del Medioevo, poi continuata in seguito, nel corso dell’Età Moderna, dalle fasce di popolazione subalterne, che utilizzavano in questo modo gli scarti della carne “nobile”.


Altri street food siciliani


Restando nell’ambito della carne e soprattutto delle interiora, uno street food siciliano molto noto è rappresentato dalle stigghiole, ossia involtini a base di budello d’agnello, farciti da cipolla e limone, legati tra loro da uno spiedino e arrostiti. La ricetta è invece proveniente questa volta, con grande probabilità, da influenze greche.



Personalmente a questo post voglio aggiungere la Caldume o in palermitano Quarumi, un mix di trippa, calletti, il Mussu e Carcagnola o ancora u pani ca frittula anche questo ottenuti da "scarti" di lavorazione.



A Palermo era famoso il frittolaro e il suo paniere che stazionava al Capo.


Accanto alla carne, ci sono anche i cibi legati alla panificazione. Come la scaccia ragusana o agrigentina, una sorta di focaccia schiacciata farcita con pomodoro e ortaggi, ma anche ricotta, salsiccia, gamberetti, olive o cipolla: si tratta di una ricetta “povera”, nata dalla tradizione contadina del XVII secolo.

E c’è anche la cartocciata, che è originaria di Catania e consiste da un calzone cotto in forno, con pomodoro, mozzarella e altri ingredienti. Vi è affine il pidoni messinese, che è invece fritto, e solitamente farcito con scarola riccia, acciughe e tuma.


Chi fu l’inventore della pizza Margherita?

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Piccolo spoiler: non fu Raffaele Esposito come la tradizione narra.



Nel 1883, Esposito rilevò una pizzeria e la sera dell’11 luglio di sei anni dopo, nelle cucine reali della Reggia di Capodimonte, lui e sua moglie furono chiamati a corte per cucinare.

Insieme prepararono la più celebre pizza Margherita di sempre.. ma non fu di certo la prima!

La ricetta infatti non era stata inventata dalla moglie di Esposito come si sosteneva, ma compariva già in un libro del 1886 intitolato “Usi e costumi di Napoli”.



Scritto da un napoletano di origine Svizzera, Francesco De Bouchard, decanta la ricetta di questo piatto prelibato.

Esposito però fu di certo colui che ne creò il marketing. Ulteriore vicenda che dimostra come sovente la storia sia nota, ma la verità lo sia molto meno.


Bammy

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Il bammy o bami è un pane basso tipico giamaicano.

Il bammy viene realizzato con la manioca amara, che viene grattugiata, pressata, battuta con un mortaio, ed infine setacciata per ottenere una farina. Alla farina viene aggiunto il sale ed eventualmente - soprattutto nella preparazione domestica - burro e spezie, ed il composto viene poi cotto su una piastra per tre minuti. In alternativa, prima della cottura l'impasto può essere inzuppato nel latte di cocco, e può anche essere fritto o cotto al forno.

Viene utilizzato sia come contorno che come snack. Tipicamente accompagna l'Escovitch fish, l'Ackee and saltfish, ed in generale i piatti a base di pesce.

Il piatto deriva dalla focaccia di manioca che consumavano gli Aruachi.

Tradizionalmente diffuso nelle campagne, a partire dal secondo dopoguerra il suo consumo conobbe un rapido declino, in favore del pane di farina di frumento, più economico. Solo a partire dal 1992, grazie ad un progetto della FAO in collaborazione con il governo giamaicano, si riuscì a rilanciare il prodotto: la produzione riprese rapidamente e già alla fine degli anni Novanta il bammy era tornato ad essere molto diffuso in tutto il paese.





Abbacchio

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L'abbacchio è un agnello giovane, lattante o slattato da poco, destinato al macello.

  • quella puramente etimologica lo fa risalire ad abecula o avecula, a sua volta derivante da ovacula o ovecula, diminutivo del latino ovis (pecora);

  • un'interpretazione popolana fa derivare il termine da ad baculum, "vicino al bastone", ad indicare l'agnello da latte, non ancora svezzato e che, in quanto tale, si usa tutt'oggi legare ad un bastone conficcato nel terreno (ad baculum), al fine di costringere la madre a rimanere nei pressi senza allontanarsi;

  • un'altra interpretazione popolana la fa originare dal termine abbacchiare, nel senso di abbattere, uccidere con il bastone (dal latino baculum, quindi un agnello che è prossimo all'abbattimento "ad baculum", "vicino al bastone"). Questo verbo è tuttora in uso nel dialetto romanesco e da lì nell'uso colloquiale della lingua italiana, soprattutto con il participio passato e aggettivo abbacchiato, nel senso di persona abbattuta, affranta, distrutta, fortemente dispiaciuta. L'abbattimento dell'agnello era solitamente effettuato mediante bastonata in testa e poi taglio della gola con coltello.

In tutta la fascia centrale dell'Italia, Sardegna compresa, la pastorizia era la principale fonte di approvvigionamento di carne: nell'antichità si macellavano soprattutto montone e pecora adulta. La macellazione dell'agnello era vietata, tranne che nel periodo di Pasqua e fino a giugno.

Gli agnelli o abbacchi originariamente erano destinati alla mensa dei giudei e a quella dei meno abbienti, perché la loro carne era considerata di basso livello. Oggi la tradizione culinaria laziale, abruzzese e sarda della carne ovina è soprattutto rivolta all'agnello, che viene offerto non solo nel periodo pasquale (quando la macellazione di tali ovini è detta sbacchiatura), ma anche durante le festività natalizie.

La maggior parte dell'agnello è di produzione italiana, ma esiste una quota significativa (congelata) di importazione neozelandese.





Arròs negre

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L'arròs negre, in valenzano, o arroz negro, in spagnolo (riso nero), è un piatto della cucina spagnola, tipico della costa della provincia di Alicante e del quartiere marittimo di Castellón de la Plana, nella Comunità Valenzana. È inoltre diffuso sul litorale della Catalogna.

A causa della sua somiglianza con la paella, il piatto viene anche soprannominato paella negra. È popolare anche a Cuba e a Porto Rico, dove è noto come arroz con calamares. Nelle Filippine, dove è considerato un sottotipo della specialità locale conosciuta come paelya, è noto come paella negra o paelya negra.

Il piatto è così denominato perché uno degli ingredienti, che gli conferisce il caratteristico colore, è il nero di seppia: l'accompagnamento di questo "inchiostro" con il riso è in uso anche in altre cucine del Mar Mediterraneo, come nel risotto al nero di seppia italiano.

La ricetta tradizionale dell'arròs negre richiede nero di seppia o di calamaro, riso bianco, aglio, peperoni, cubanelle Sweet verdi, paprica dolce, olio di oliva e brodo di pesce. Tuttavia, molti cuochi aggiungono altri frutti di mare, fra cui granchi e gamberetti.

La fideuà negra è una variante fatta impiegando dei piccoli spaghetti (paragonabili ai fedelini corti italiani al posto del riso e viene solitamente servita con aioli.

L'arròs negre non va confuso con il riso nero, il nome collettivo di diverse cultivar di riso che hanno un colore scuro.




Allo Tiki

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L'Allo Tiki è un comune antipasto o snack indiano. Si tratta di una sorta di polpetta di patate miste a spezie, fritta per immersione.

La parola indiana Allo, o Aloo, significa patata; mentre con la parola Tiki, o Tikki, si intende generalmente una piccola cotoletta o una crocchetta di dimensioni che possono variare tra i 6 e i 15 centimetri. A volte è preparata con un ripieno a base di piselli o lenticchie. Viene servito solitamente assieme a salsa chutney di tamarindo (saunth chutney) o di coriandolo e menta (hari chutney), a volte anche con uno yogurt locale chiamato dahi o con dei ceci. A Bombay è nota con il nome della variante locale Ragda pattice, e viene venduta da ambulanti, soprattutto sulla spiaggia di Chowpatti.

I McDonald's indiani includono nel loro menù il McAloo tikki burger, ovvero un classico panino farcito con allo tikki, anche se questa versione si distacca molto dal tradizionale piatto.








Carpaccio

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Risultati immagini per Carpaccio


Con carpaccio si intende genericamente un piatto a base di fettine di carne o pesce crudi o semi-crudi, a cui vengono aggiunti olio o altri ingredienti (salse o scaglie di formaggio grana) a seconda della versione.

Descrizione

Il carpaccio proposto da Cipriani consiste in fettine sottilissime di controfiletto di manzo disposte su un piatto e decorate alla Kandinsky, con una salsa che viene chiamata universale. Trattandosi di un piatto da servire crudo, la carne deve sempre essere freschissima e mai decongelata.

Storia

Il nome del piatto si deve a Giuseppe Cipriani, proprietario e chef dell'Harry's Bar di Venezia, che un giorno del 1950 preparò il piatto, a base di carne cruda, appositamente per un'amica, la contessa Amalia Nani Mocenigo, quando seppe che i medici le avevano vietato la carne cotta. Il nome venne dato in onore del pittore Vittore Carpaccio, poiché a Cipriani il colore della carne cruda ricordava i colori intensi dei quadri del pittore, delle cui opere si teneva in quel periodo una mostra nel Palazzo Ducale di Venezia. Secondo alcuni il quadro del Carpaccio che avrebbe ispirato Cipriani sarebbe la Predica di santo Stefano (Museo del Louvre, Parigi).

«Se voi sfilettate della carne cruda, naturalmente freschissima e tagliata in fettine leggere come fosse un prosciutto, eccovi (con l’aggiunta di un tantino di salsa) il carpaccio. Con il carpaccio gli imbrogli sono proibiti. Il suo segreto è nell’essere interamente svelato, nudo come mamma l’ha fatto. Per questo, non riconoscendone tante qualità, non amo la cucina francese, che predilige invece i cibi in maschera. Come è nato il carpaccio? Alla contessa Amalia Nani Mocenigo i medici avevano ordinato una dieta strettissima. Non poteva mangiare carne cotta e così, per accontentarla, pensai di affettare un filetto molto sottile. La carne da sola era un po’ insipida; ma c’era una salsa molto semplice che chiamo universale per la sua adattabilità alla carne e al pesce. Ne misi una spruzzatina sul filetto e, in onore del pittore di cui quell’anno a Venezia si faceva un gran parlare per via della mostra e anche perché il colore del piatto ricordava certi colori dell’artista, lo chiamai carpaccio.»
(Giuseppe Cipriani, “L’angolo dell’Harry’s Bar”, 1978)

Altre preparazioni

Nella cucina piemontese esiste un piatto tradizionale molto simile, la carne cruda all'Albese (considerata solo un antipasto e non anche un secondo piatto), che consiste di carne cruda di manzo, arricchita di una marinatura di olio di oliva, scaglie di parmigiano o tartufo bianco.

I carpacci di pesce

Altra preparazione di questo tipo è il Carpaccio di pesce, ove le fette di carne sono sostituite da sottili fette di filetto di pesce crudo, di solito pesce spada, baccalà, Tonno rosso o salmone, conditi con solo olio, sale e pepe, o anche con una marinatura.
Il termine "carpaccio" viene utilizzato anche per indicare ricette a base di pietanze cotte. È il caso ad esempio del carpaccio di polpo, la cui ricetta prevede la cottura del polpo prima del procedimento di preparazione del carpaccio.

A 24 anni un pizzaiolo sta cambiando uno dei quartieri più temibili di Napoli

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I turisti a Rione Sanità non sono ben visti. Ciro Oliva con la sua pizzeria vuole cambiare le cose.
"Non è un quartiere per turisti. Non tanto per gli scippi, quanto per le stese,infatti in preparazione al vostro arrivo Ciro ha dovuto avvertire, fare un po' di "bonifica" — se così la vogliamo chiamare."
È questa la risposta che ricevo quando mi rivolgo a un signore che è con me, cercando di capire quanto la realtà di quel luogo differisca dai racconti che se ne fanno. Sono a Napoli per la prima volta e dall'aeroporto di Capo di Chino mi sono trovata catapultata nel mezzo del Rione Sanità—un quartiere popolare della città conosciuto soprattutto per l'elevata emarginazione sociale e l'alta diffusione di episodi di violenza legati alla camorra.
I miei compagni di avventura sono una decina di giornalisti, critici e insider gastronomici, e il nostro bonificatore—nonché il motivo per cui siamo qui— è Ciro Oliva: 24 anni, sposato, padre, e gestore della pizzeria Concettina ai Tre Santi.
Da qualche tempo, la pizzeria ha conquistato una fama sempre maggiore e il plauso di critica e pubblico: mentre ogni sera al suo ingresso stazionano code di aspiranti clienti, sempre più riviste di settore le hanno rivolto l'attenzione, e la sua pizza si è posizionata al primo posto sulla Guida alle Pizzerie d'Italia del 2017 del Gambero Rosso.
Di pari passo, il personaggio di Ciro Oliva si sta ritagliando un posto sempre più rilevante nel mondo della gastronomia. Al di là degli ovvi meriti del prodotto, a giocare un ruolo in quest'ascesa ci sono una personalità estroversa, una storia particolare, e una comunicazione—che passa per i social e arriva a eventi come questi—curata nei minimi dettagli.
È esattamente dall'incontro tra questi tre fattori che nasce l'evento a cui mi trovo a partecipare—una giornata aperta alla stampa che prevede tour del rione e pranzo—con l'intenzione di capire il successo della pizzeria e cosa rende un ragazzo di 24 anni il simbolo di un quartiere e uno dei migliori pizzaioli d'Italia.
L'appuntamento è alle 10:30 in piazza Vergini, la piazza che delimita l'inizio del rione Sanità. Bastano pochi passi per capire che il tour del rione non è una trovata pubblicitaria, né di contorno rispetto al pranzo. Al contrario, ne è parte integrante: la storia di Concettina ai Tre Santi, così come quella di Ciro e della sua famiglia, è visceralmente legata al rione nel quale sorge, ed è impossibile comprenderla appieno se estrapolata da quel contesto.
Come ci racconta mentre ci addentriamo nel cuore del quartiere, Ciro è nato e cresciuto nel Rione Sanità, dove ancora vive. Ha cominciato a lavorare a Concettina ai Tre Santi, il ristorante di famiglia da quattro generazioni e aperto nel 1951, giovanissimo. A 14 anni la sua ambizione—che a quel tempo era rappresentata dalle mance—lo portava a consegnare pizze in giro per Napoli con una sola mano, mentre con l'altra reggeva il manubrio del motorino.
Crescendo, il ruolo di Ciro all'interno della pizzeria si è fatto sempre più importante, mentre l'ambizione lo portava a esplorare nuovi orizzonti.
"Avevo 18 anni, lavoravo in pizzeria, e come molti ragazzi di quell'età passavo un sacco di tempo su internet. Mi piaceva guardare cosa facevano i colleghi più bravi, come gestivano i loro social. Prendevo moltissimi spunti da loro. Piano piano ho cominciato a rivolgermi a persone che mi potevano aiutare, a cui chiedevo consulto su vari aspetti, dagli ingredienti all'arredamento, e la pizzeria si è piano piano evoluta," racconta.
Del resto, pure in un mondo molto competitivo come quello della gastronomia, basta ascoltarlo per immaginarsi come possa essere facile farsi trascinare dal suo entusiasmo. Mentre camminiamo per il rione, passando sotto la casa di Totò—venerato come un Dio—tra molti motorini, pochi caschi e panni stesi come nelle migliore delle cartoline di Napoli, Ciro si ferma a salutare tutti e con tutti scambia due parole. Dai giovani è trattato come una specie di divo, ed è palese che quel ruolo, come ammette lui stesso, lo inorgoglisce. Oltre a fargli sentire un forte senso di responsabilità.
Da circa un anno, data della sua apertura, Ciro investe tempo e denaro nella "Casa dei Cristallini" —un luogo in cui volontari e il parroco di zona organizzano attività extrascolastiche pomeridiane per i bambini del rione, che vanno dai corsi di fotografia a quelli di cucina.
Dall'ultimo piano del palazzo, in cui come ci ripetono più persone i turisti solitamente non sono ben visti, Ciro ci parla del rapporto con il rione e con i suoi abitanti, specialmente i più giovani. "Tutti i ragazzi che lavorano con me sono del Rione. Questi ragazzi stanno imparando un mestiere e lo stanno imparando ai massimi livelli: se la gente viene da me e scrive che la nostra pizzeria non ha nulla da invidiare ai ristoranti due stelle, vuol dire che fuori da qui hanno la possibilità di lavorare in un ristorante di alto livello, possono avere una carriera in questo campo," spiega
Ma il discorso va ben oltre l'aspetto professionale. Oltre al curriculum, i ragazzi che lavorano da Ciro costituiscono all'interno del rione un'immagine alternativa di successo. Grazie al loro lavoro nella pizzeria hanno i soldi per uscire dal rione, conoscere determinati ambienti, farsi le vacanze, comprarsi i vestiti, fare l'assicurazione del motorino. Piccole soddisfazione che Ciro si augura possano essere d'ispirazione per i loro coetanei e i più piccoli.
Dopo un giro di due ore e mezzo per il Rione e dopo aver conosciuto un po' la storia della pizzeria, arriva finalmente l'ora di pranzo.
Il posto è più piccolo di come lo avevo immaginato dai racconti, l'arredamento ricercato e al tempo stesso semplice, l'atmosfera tra i dipendenti tesa. Ragazzi tatuati in giacca e cravatta si muovono veloci mentre continuano ad arrivare nuovi ospiti—tra cui vari nomi di punta del settore—che si aggiungono al pranzo organizzato.
Alla fine siamo circa 20 persone, sedute attorno a un tavolo rettangolare. Ciro ci parla un po' dell'arredamento: giustifica la scelta del non usare le tovagliette, i bicchieri con il ginepro dentro, le sedie che rimangono uguali a come erano quando la pizzeria ha aperto per la prima volta. Sul fronte innovazione, invece, a tavola ci vengono consegnati degli occhiali 3D dai quali degli iPhone mostrano un video a 360 gradi di Ciro e i ragazzi intenti a fare una delle loro pizza.
Nelle due ore successive si svolge il pranzo: tra antipasti, le montanarine e assaggi di pizza, il menù prevede 12 portate, con sette vini in degustazione. In quasi tutti i piatti, ingredienti della cucina tradizionale vengono associati in modo innovativo.
Non avendo un palato particolarmente fine, mi limito ad apprezzare tutto quello che mi passa tra le mani e ad ascoltare le conversazioni che si svolgono attorno a me. I commenti sul cibo sono quasi sempre positivi, anche se nessuno dei presenti sembra voler perdere occasione per cercare di mettere in difficoltà camerieri e personale.
Ciro spunta di tanto in tanto dalla cucina (a vista) per spiegarci la portata successiva, con un entusiasmo e un lessico che rappresentano una boccata di freschezza al clima patinato che vige a tavola.
Quando, superato anche lo scoglio del dessert, il vino e cibo stanno prendendo il sopravvento e gli occhi stanno per cedere, nasce una conversazione che risveglia la mia attenzione. A tavola due invitati discutono del ruolo che gioca il rione nell'ascesa della pizzeria.
Se il primo sostiene che pizzeria di Ciro sia vittima della sua posizione, argomentando che all'interno del rione Sanità non potrà mai sperimentare quanto serve per fare il salto, il secondo sostiene la tesi opposta. Secondo lui sono proprio il Rione e le storie di chi ci lavora a rappresentare la forza di quel posto, a rendere Concettina ai Tre Santi un luogo inedito in un mondo omogeneo come quello gastronomico.
La discussione potrebbe continuare all'infinito, ma Ciro interrompe tutti e ci richiama all'ordine per il momento del caffè, dichiarando di fatto il pranzo concluso.
Della discussione, che ascoltava mentre faceva avanti e indietro, sembrava non interessargli poi molto, e se solo il futuro ci dirà quali tra le due tesi si rivelerà giusta, per adesso questo suo atteggiamento sembra dirla lunga sul presente.
Ciro, come per le pizze che portava con il motorino a 14 anni, sembra riuscire a stare sempre in perfetto equilibrio in tutto ciò che al momento lo circonda: tra novità e tradizione, tra il mondo stellato e quello del rione, tra entusiasmo di fare e umiltà di farsi aiutare, tra il suo lavoro quotidiano e le attenzioni esterne.



 
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