Ciabatta

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La ciabatta è un classico tipo di pane italiano con un alto contenuto di liquidi almeno il 70% sul peso totale della farina, generalmente senza lipidi, riconoscibile dalla grande alveolatura della mollica, dalla crosta generalmente bruna e dalla sua croccantezza.
Il procedimento di questo pane venne messo a punto ad Adria (in provincia di Rovigo) da Arnaldo Cavallari assieme al già noto panificatore Francesco Favaron. Nel 1982, Cavallari lo registrò come marchio commerciale con il nome di "Ciabatta Italia".
L'impasto è formato in gran parte da biga a cui verrà aggiunta poi nella fase di impastamento una ulteriore quantità di farina.
Dosi per l'impasto:
  • 14,5 kg di biga (10 kg di farina W 320, 100 grammi di lievito di birra fresco e 4,5 L di acqua impasto lasciato riposare 18—24 ore)
  • 2 kg di farina di rinfresco tipo 0 (w 260)
  • 3,9 L d'acqua (70% sul totale del peso della farina, ma si può arrivare anche all'80% dipende dalla farina utilizzata)
  • 80 g malto
  • 200 g sale
  • 40 g lievito di birra
Impastare bene aggiungendo l'acqua un po' alla volta, e una volta terminato lasciar riposare in mastella per 25 minuti, quindi schiacciare l'impasto per far fuoriuscire l'anidride carbonica e taglia l'impasto delle pezzature desiderate. Una volta terminato di tagliare tutto l'impasto, lasciar lievitare per 40—45 minuti per prodotti con pezzature fino a 200 grammi e circa 1 ora per prodotti fino a 1 kg.
Per pezzature da 70 a 200 g cuocere a 235—240° C per 25/35 minuti a seconda del peso, per prodotti da 1 kg cuocere a 210° C per 1 ora.

Bourride

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Il bourride è un piatto di pesce di mare, simile al bouillabaisse, nativo della Provenza e della Linguadoca. È particolarmente noto a Sète (Hérault).
Il termine bourride è preso dal provenzale bourrido, che è derivata da boulido, bollito.
È preparato con pesce bianco, tra cui la rana pescatrice (nome mediterraneo della coda di rospo), che vengono cotti a vapore. Poi nella casseruola viene aggiunta verdura cotta a dadini (sedano, porri, carote, cipolle, ecc.). Si aggiunge poi maionese e olio d'oliva. Il tutto è portato sul tavolo insieme con crostini strofinati con aglio.
Simile come nome, ma di differente preparazione, è la zuppa di pesce ligure chiamata buridda.


Dentro la vita turbolenta di un famoso critico gastronomico

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Tra tentativi di corruzione, chef arrabbiati e problemi con l'anonimato.
Qualche mese fa Mac van Dinther ha festeggiato i suoi vent'anni di carriera critica. Bazzica l'ambiente da così tanto tempo che non solo è il critico più esperto e noto d'Olanda, ma è anche il più temuto. Ogni settimana nel corso degli ultimi due decenni ha setacciato il suo paese alla ricerca di piatti innovativi, ingredienti sorprendenti ed esperienze uniche. Dopo aver mangiato, scrive, e poi condivide le sue misurate osservazioni con i lettori del quotidiano nazionale olandese de Volkskrant.
Farti pagare per cenare fuori potrebbe sembrare il lavoro perfetto, ma non è proprio tutto qui. MUNCHIES ha parlato con Mac van Dinther di chef con problemi di gestione dell'ira, di tutti i modi in cui hanno tentato di corromperlo, e di che trucchi usa per cercare di rimanere anonimo.

Come sei diventato un critico culinario?
Mac van Dinther: Venticinque anni fa ho cominciato a scrivere, sempre sullo stesso quotidiano, di socioeconomia — cose come il mercato del lavoro e l'assegno di disabilità. Ma nel tempo libero potevo fare quello che volevo. Prendevo gli inviti alle degustazioni o alle aperture dei ristoranti che nessuno voleva e poi ci scrivevo qualche riga. All'inizio i miei colleghi mi prendevano in giro, ma allora sui media si parlava davvero poco di cibo. Alla fine, sia i colleghi che il pubblico del giornale si sono sempre più interessati alla ristorazione. Hanno cominciato a passarmi automaticamente gli inviti, e ci ho costruito sopra una carriera.

Hai festeggiato di recente i tuoi vent'anni da critico culinario. Pensavi di durare così a lungo nella professione?
Be', era quello che volevo. Dal primo giorno ho detto al mio caporedattore che non solo sarei stato il critico più magro della storia, ma anche il più longevo. Sono sicuro della seconda cosa, della prima non così tanto.

Pensi di essere anche il più temuto?
Ah, dipende dallo chef a cui chiedi. Funziona che un ristorante di una cittadina ha forse più paura della stampa locale, mentre un ristorante i cui clienti leggono il Volkskrant ha più paura di me. Altri, di me se ne sbattono proprio.

La tua faccia è abbastanza ignota al pubblico. Come sei riuscito a mantenere un relativo anonimato?Mi ci sono impegnato, non mi sono mai fatto fare foto come molti altri critici. E poi non vado agli eventi, giusto a un paio di presentazioni della guida Michelin. Comunque, cerco di volare basso.

Come fai a non farti riconoscere quando entri in un ristorante?
Prenoto sotto falso nome, porto qualcuno con me, e cerco di farmi i fatti miei. Questo è tutto. Metto il bloc-notes di fianco al piatto. Quando un cameriere mi chiede cosa scrivo, rispondo, "Mi appunto sempre quello che mangio". È la verità. Se insistono, gli dico che non sono fatti loro. A volte si arrabbiano perché pensano che gli stia rubando le ricette.

Ti sei mai mascherato?
No, non lavoro per i servizi segreti, sono un critico culinario. Mi rifiuto di mascherarmi.
Alcuni critici mentono sul lavoro che fanno, quando incontrano persone nuove…
Io dico che faccio il giornalista, e se continuano a pressarmi, gli dico che faccio il critico per de Volkskrant. A volte mi rispondono "Ooh, ma sei quel Mac van Dinther." Non è un segreto, amici e famiglia sanno cosa faccio.

Succede che ti riconoscano "sul lavoro"?
Certo. Una volta mi hanno accolto all'ingresso di un ristorante dicendomi, "Buonasera signor van Dinther, a che nome ha prenotato questa sera?" Probabilmente il miglior benvenuto della mia vita. Ovviamente preferisco rimanere anonimo perché voglio vivere la stessa esperienza degli altri clienti. Non voglio nessun trattamento speciale. So benissimo che se lo staff mi riconosce, sarò meno buono. Mi aspetterò qualcosa di più.

I ristoratori fanno una "caccia ai critici", per riconoscervi?
Ho sentito dire che i grandi ristoranti tengono le foto dei critici più noti in cucina. Ma penso che succeda soprattutto all'estero. In Olanda non tanto.

Cosa fanno, una volta che ti hanno riconosciuto, per assicurarsi che tutto vada bene?
Be', di solito mi continuano a portare vino, anche vino costosissimo che non ho chiesto. Una volta mi hanno servito del vino della cui straordinarietà mi sono immediatamente accorto. Ho guardato sulla carta, e costava 150 euro la bottiglia. Una bottiglia così non è solitamente consigliata per gli abbinamenti con il cibo. Sono trucchetti di cui ti accorgi subito. Uno chef un'altra volta insisteva per non farmi pagare quello che avevo bevuto — ridicolo. Ho detto, "Senti, paga il giornale, non io". Ma lui insisteva. Cosa avrei dovuto fare? Non potevo mettergli un coltello alla gola.
"Una volta uno chef arrabbiato ha scritto una lettera al caporedattore dopo una recensione sfavorevole, chiedendo in pratica che venissi licenziato"

Qual è la risposta più memorabile che hai ricevuto, dopo una recensione?
Non mi rispondono spesso, a volte magari un'e-mail carina dopo una recensione positiva. Ma una volta, uno chef arrabbiato ha scritto una lettera al caporedattore dopo una recensione sfavorevole, chiedendo in pratica che venissi licenziato. Il tono era tipo, "Chi si crede di essere il vostro critico? Non sa di che parla." Gli ho mandato una risposta amichevole, "Senti, faccio questo lavoro da vent'anni, sono abbastanza certo di sapere di cosa parlo. Invece che prendertela con me, usa queste energie per migliorare i tuoi ristoranti. I clienti apprezzeranno."

Che cosa hai imparato in questi vent'anni?
Più cose scopro su cucina e cibo, meno netto divento. In passato ero più duro. Ora penso spesso: chi sono io per dirlo?

Vai mai fuori a cena per divertimento?
Sì, ma a volte succedono cose strane. Per esempio, una volta io e mia moglie volevamo andare a cena al ristorante di un amico. Ma dato che era tutto pieno, lui ci ha prenotato un tavolo in un altro posto. Gli ha detto chiaramente che non ero lì per scrivere una recensione, ma comunque lo staff quando siamo arrivati era molto nervoso — ci riempivano i bicchieri fino all'orlo e continuavano a parlare. Non troppo divertente.

Hai qualche consiglio per i critici in erba?
No. Dovete fare da soli. È il modo migliore per imparare.


Ceppe

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Le ceppe (più propriamente maccheroni con le ceppe) sono un tipo di pasta all'uovo tipiche della provincia di Teramo, in particolare di Civitella del Tronto. Sono una sorta di bucatini corti 8-10 cm, ottenuti arrotolando la pasta (farina, acqua, uova) intorno a un bastoncino di legno, la ceppa appunto. Con il tempo, per metonimia, con il termine ceppa si è passati ad indicare non solo lo strumento, ma il tipo di pasta stesso.
All'originale ceppa in legno è andata via via sostituendosi un sottile ferro in acciaio inox.

Brodetto di Porto Recanati

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«Quant'è bonu el brudettu purtannaru
che gustu sapuritu, marinaru
é 'n'arte antiga sempre più deffusa
nun ve so' di pe' fallu cusa s'usa.
De l'arte sua ve giuru so' un sumaru
però quannu lu magnu é celu e maru»
(Luigi Sorgentini)

Il brodetto di Porto Recanati è un piatto unico a base di pesce, tipico della cittadina marchigiana.
Del brodetto Porto Recanati detiene una delle quattro ricette storiche della gastronomia marchigiana, assieme a Fano, Ancona e San Benedetto del Tronto, fra le quali sembra sia la più antica, come testimonierebbe l'assenza del pomodoro. Nato dall'estro del cuoco Giovanni Velluti, titolare di uno dei più antichi chalet dell'epoca, questa variante portorecanatese risale ai primi del ‘900 e si impose ben presto alla tradizione gastronomica marinara della città.
Risale ad una pubblicazione del Touring Club Italiano del 1923 l'indicazione del “Brodetto Bianco che si prepara a sud del Monte Conero”; nell'articolo si nota che già da allora il brodetto veniva inviato già cotto a Milano; la variante portorecanatese prevede infatti l'assenza di pomodoro e l'aggiunta di zafferanella o zafferanone (zafferano selvatico del Conero) che dà al piatto un colorito giallognolo (occhiu de gallu), caratteristica comune anche alla provenzale bouillabaisse, in cui però entra il più nobile Crocus sativus.
Il colore giallo dell'intingolo secondo alcuni fa riferimento all'oro, nella tradizione cristiana emblema della santità e di riflesso della salubrità del piatto.
Al brodetto bianco di Porto Recanati è dedicata un'importante manifestazione, “La settimana del brodetto” che si svolge ogni anno nella prima settimana di giugno e che vede la possibilità di degustare presso i ristoranti locali aderenti a prezzo promozionale.
Come in tutte le zone di mare, anche a Porto Recanati il brodetto nasce come piatto povero, nato dalla necessità di utilizzare anche il pescato meno richiesto dal mercato (a volte anche il ghiozzo, detto localmente guàtto), o quello che avanzava dalla vendita perché troppo piccolo.
E il Brodetto nacque così: tanti tipi di pesce povero, acqua di mare e come condimento solamente un po' d'olio; per satollarsi non rimaneva che far ammorbidire nel "brodetto" le durissime gallette portate a bordo.
Via via il piatto ha subito evoluzioni sempre più raffinate, conquistando una ben meritata fama in tutto il territorio Nazionale e diventando prerogativa indiscutibile delle Marche.
Per tradizione, il piatto necessita di non meno di nove, o meglio undici varietà di pesce, tra seppia, merluzzo, gallinella (Mazzulina), palombo (Stèra), pesce prete ('Occa'in cà'u), scorfano (Scòrfenu), tracina (Ragnu), cicala (Pannocchia), coda di rospo (Rospu), sogliole (Sfòja), triglia (Rusciòlu), razza (Ràggia), pesce San Pietro (Sampietru).
Far soffriggere in una grande casseruola a due manici in olio di oliva abbondante, la cipolla finemente affettata; aggiungere poi delle seppie precedentemente tagliate a pezzi, lasciarle insaporire e rosolare a fuoco lento, ricoprire poi le stesse di brodo di pesce ed aggiungere la zafferanella.
Aggiungere sale e pepe e portare a cottura sempre molto lentamente. In altra grande casseruola sistemare a strati i vari pesci (precedentemente infarinati) avendo cura di lasciare per ultimi quelli più teneri. Ad operazione ultimata versare tutto il brodetto precedentemente ottenuto con le seppie ( già sistemate tra gli strati di pesce di cui sopra ); aggiungere in parti eguali, acqua calda e vino bianco secco, regolare con sale e pepe e portare a cottura a fuoco allegro per 15/18 minuti circa.
Non toccare mai il pesce con mestoli o palette ma utilizzare i due manici della casseruola per smuovere di tanto in tanto il brodetto in cottura, evitando così di rompere i pesci. A cottura ultimata disporre delle fette di pane abbrustolito su appositi piatti, ricoprirle di pesce e versare la preparazione.

Fare lo chef mi ha reso dipendente dal sesso

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Prima di cominciare a lavorare in cucina, ero uno studente di design e grafica. Ma le lunghe e faticose ore là dentro mi hanno fatto perdere interesse per le relazioni sentimentali. Alla fine del turno, non pensavo ad altro che al sesso.
Nelle cucine vige un meteo a se stante. L'aria è impregnata di grasso, fumo e odori pungenti di grembiuli zeppi di sudore. Non importa quale sia la temperatura fuori, durante il turno può sembrare di essere nel mezzo del Sahara.
Sono uno di quegli uomini che, nei mesi più caldi, è vittima di un potentissimo risveglio ormonale. Tutte quelle gambe nude, quelle clavicole, quei colli mi fanno girare la testa.
Come i temporali possono essere causa di improvvisa agitazione per alcuni, per me il caldo è un catalizzatore di eccitamento. C'è qualcosa di animalesco nel modo in cui il corpo umano reagisce al calore - il sudore, il rossore della pelle, il respiro affannato. E anche se non posso attribuire la mia (auto-diagnosticata) dipendenza dal sesso solo al calore dell'ambiente lavorativo, sicuramente ha giocato un ruolo.
Sì, avete letto bene: dipendenza dal sesso. Prima di lavorare in una cucina ero uno studente di design e grafica che amava l'erba e la McSweeney's [casa editrice]. Avevo una vita sessuale nella media - non nel senso di relazioni stabili e a lungo termine, ma nel senso di una buona dose di sesso soddisfacente con ragazze alle quali piacevo e a cui volevo dare piacere. Tutto ciò è cambiato quando ho abbandonato l'idea di far carriera nel mondo della grafica, per buttarmi in una cosa che mi faceva eccitava a livello viscerale: la cucina.
Nel mio primo lavoro, in un ristorante molto frequentato a Soho, non c'era tempo per guardare le cameriere. Ero chef-de-partie, responsabile di un piatto che consisteva in costolette di agnello e carote. Lavoravo 16 ore al giorno. Mi svegliavo, ingurgitavo due caffè, andavo al lavoro, tornavo a casa, e mi addormentavo vestito. Sei giorni a settimana. Sollevavo a malapena la testa per parlare con i miei colleghi in cucina, figurarsi quelli che lavoravano in sala. Anche se fisicamente facevo fatica - a un certo punto avevo vesciche blu su tutte le dita e una scottatura sul polso - lo adoravo. Lavorare con cibo di quella qualità ed essere pagato per farlo, per me equivaleva alla realizzazione di un sogno.
È stato solo quando ho cominciato a lavorare nel ruolo di junior sous chef in un altro locale molto frequentato di Londra che ho realizzato che stavo cambiando. Qualsiasi chef ti dirà che fino a che non sei al punto di poter aprire un tuo locale, in cui tu stesso decidi gli orari, non hai una vita. La prospettiva di avere una relazione è ridicola; ho provato, per un breve periodo, ma il fatto che ci vedessimo dopo mezzanotte o per le poche ore in cui ero sveglio la domenica ha fatto sì che la ragazza in questione presto decidesse di chiudere. Quando qualsiasi tipo di contatto intimo con un altro essere umano diventa una chimera, cominci a valutare le altre opzioni.
Non credo di passare per pervertito se dichiaro che ho bisogno di fare sesso. Spesso. Masturbarsi sotto la doccia prima di andare al lavoro non basta. Non voglio esclusivamente darmi piacere da solo.
E così mi sono trovato, durante tutte quelle ore calde e piene di sudore in cucina, a bramare il sesso più di quanto non mi fosse mai successo nella vita. Flirtavo continuamente con le cameriere. A fine turno andavo a sedermi al bancone con le bartender, mandavo via i clienti, e alla fine mi sono trovato a fare regolarmente sesso con le mie colleghe. E non ero il solo - si è scoperto che là dentro tutti si scopavano tutti.
C'era un rispetto implicito e reciproco per la natura di quegli incontri. Non commentavamo. Non volevamo dichiarazioni d'amore. Volevamo solo un corpo caldo accanto al quale dormire.
Per qualche anno questa situazione mi è andata bene. In qualsiasi ristorante nuovo andassi a lavorare, mentre facevo carriera, mi trovavo ad andare a letto con tutte le cameriere. Facevo pensieri sempre più perversi. Se arrivava una ragazza nuova, la presentavo agli altri e mi ritrovavo a pensare a cosa le piacesse fare a letto. A una certa ho cominciato a condividere questi pensieri con gli altri chef. Non fatevi fregare: un gruppo di uomini in un ambiente caldo, chiuso e teso genera inevitabilmente conversazioni orrende. Anche se non credi a metà delle cose che stai dicendo, c'è una specie di gara a chi la spara più grossa. Se nella cucina c'è una donna ci si dà una controllata, ma nella mia esperienza anche lei starebbe al gioco. È fantastico.
Comunque, con il tempo - ero uno chef professionista da circa otto anni- ho cominciato a provare disgusto per l'uomo che stavo diventando. Con il senno di poi mi accorgevo che, nonostante le mie qualità e la mia esperienza, stavo rinunciando all'idea di aprire un posto tutto mio o di ottenere un ruolo serio da qualche parte. Avevo molte offerte. A un certo punto ho rifiutato un'offerta in un ristorante due Stelle Michelin. Perché? Perché mi stavo affezionando a una vita in cui potevo flirtare continuamente, ignorare ogni possibilità di trovare una donna con cui costruire qualcosa di serio, e fare moltissimo sesso occasionale.
Per dirla con parole semplici, avevo sviluppato una dipendenza dal sesso con le cameriere.
Ho raggiunto il punto in cui ho cominciato a sentirmi un parassita del sesso. Mi sono ritrovato a dire alle cameriere frasi che non avrei mai pronunciato prima, a buttare occhiate alle loro scollature quando mi passavano davanti. Pregavo che le loro mani sfiorassero le mie quando prendevano un piatto. Ecco a che punto ero arrivato.
Sono cresciuto in una famiglia di donne, senza nessun modello maschile a cui fare riferimento. Mio padre - un ex musicista - ci ha lasciati quando ero molto piccolo, e mia madre e le mie sorelle mi hanno insegnato a rispettare le donne. Quindi, in termini di esperienze formative, non c'era niente che sembrasse giustificare il tipo di relazione che avevo con le donne da adulto. Non ho mai visto mio padre trattare male mia madre, né un qualsiasi uomo trattare male una donna. Forse è proprio questo il punto. Non sapevo nemmeno cosa stavo facendo.
Mi sento ridicolo ad attribuire questa mia specie di dipendenza dal sesso al lavoro in cucina, e sicuramente ho tutta un'altra serie di problemi, che adesso infatti sto affrontando con un analista. Ma da un punto di vista cronologico, l'ambiente lavorativo ha sicuramente fatto emergere il peggio di me.
La vita da chef mi ha permesso di concedermi un tipo di intimità che appagava i miei desideri fisici. Quegli orari mi hanno portato a convincermi che non potevo vivere in nessun altro modo, che era questo ciò che volevo e in cui ero bravo, e che avrei dovuto sfruttarlo al massimo. Se le mie uniche relazioni si svolgevano la notte, sempre con donne diverse, come avrei potuto anche solo immaginarmi di avere una relazione? Ovviamente non era questo quello che volevo. Mi nascondevo, per qualche paura di essere rifiutato.
Ho smesso di fare lo chef qualche anno fa, dopo esser finalmente andato da un analista, su consiglio di una ragazza attorno a cui bazzicavo in uno strano tentativo di coinvolgerla nella mia orbita sessuale. Non è stato facile farlo, ma tra un turno e l'altro, un giorno sono salito sulla metro e sono andato da un analista che mi ha detto, in modo molto chiaro, che quello che stavo facendo non mi faceva bene. Ha detto che vedeva che avevo bisogno di intimità, qualcuno che condividesse i miei desideri sessuali ma capace anche di darmi risate, stabilità, affetto, gentilezza, tutte queste cose. Mi ero semplicemente convinto di non volerle.
So che tutto quello che ho scritto mi fa sembrare un adolescente stronzo e arrapato che non ha alcun controllo sul proprio pisello, e alla fine della mia carriera mi sentivo proprio così. Adesso sto cercando di mettere a posto la mia vita, e lavoro freelance come grafico. Sono tornato dall'analista, che mi aiuta a sistemare i miei pensieri costantemente-arrapati-e-costantemente-sessuali. Perché quando incontrerò la donna giusta, voglio riuscire a darle il meglio di me.


Chuño

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Il chuño, voce originaria delle Ande centrali (aymara, quechua: ch'uñu "ruga" o "piega"), è il risultato della disidratazione o addirittura della liofilizzazione della patata, o altri tuberi di montagna.
La preparazione del chuño è la forma tradizionale di conservare e immagazzinare le patate per periodi lunghi, a volte anche anni. Questo prodotto è uno degli elementi centrali dell'alimentazione indigena e, in generale, della gastronomia delle regioni dove viene prodotto. Attualmente si produce e consuma chuño regolarmente nel nord-ovest dell'Argentina, nell'altipiano boliviano, nel nord del Cile e nella regione andina e costiera del Perù.
In Argentina e in Chile si chiama chuño anche l'amido che si ottiene tritando le patate ed in seguito alla decantazione di granuli di amido che galleggiano nel succo di patata prodotto. In Argentina con tale amido si preparano occasionalmente dolci simili ai flan.
Durante la Seconda guerra mondiale gli Alleati scoprirono le forme di liofilizzare patate e cereali; tale procedimento era uguale a quello utilizzato da secoli dai popoli andini. Da lì la comparsa sulle nostre tavole dei purè istantanei.

Borzat

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Il borzat è un insaccato di carne di pecora, prodotto esclusivamente nel comune di Livigno, in provincia di Sondrio, che è posto in una valle con una altezza minima di 1.800 metri, al di là della linea di displuvio delle Alpi, con un fiume lo Spöl, affluente dell'Inn che è tributario del bacino del Danubio.
Il borzat è stato riconosciuto come un prodotto agroalimentare tradizionale e consiste in un parallelepipedo di pelle di pecora, cucito a mano, ripieno di carne di pecora, aromatizzato con aglio, pepe, sale, cannella.
Il peso è di 1/3 kg. La carne di pecora è tagliata a pezzetti e viene introdotta nell'involucro che viene cucito con un filo di lana. Una bruciatura elimina la lana in eccesso.
Il prodotto viene consumato cotto previa bollitura.


Cavati e ravioli alla ragusana

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I cavati e ravioli sono uno dei primi piatti più tipici del ragusano, i ravioli sono conditi con la ricotta prodotta nell'altopiano, in alcune parti della provincia (Ragusa e zone montane) la ricotta viene dolcificata, nella restante parte (Modica e zone marine) la ricotta viene lasciata al naturale o condita con pepe nero e erba maggiorana. Mentre i cavati sono un tipo di pasta corta ottenuti con la stessa pasta dei ravioli.
Ravioli e cavatelli sono spesso consumati insieme conditi con il sugo di maiale. Questo sugo (a sarsa o u sugu) si ottiene mediante una lenta cottura di carne di maiale, salsiccia ragusana, cotenna, cotti con strattu (passata di pomodoro essiccata al sole) e passata di pomodoro.

Bracciatello

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Il bracciatello è un tipico prodotto da forno romagnolo preparato a base di farina e uova. Prima si cuoce in acqua bollente, poi si passa nel forno, normalmente quello del pane, dopo essere stato pennellato con albume d'uovo che da il caratteristico colore giallo dorato e lucido. Esso è tradizionalmente preparato anche a Pesaro e dintorni, in virtù della notevole comunanza culturale e gastronomica di quest'area con la vicina Romagna.
A forma di ciambella spesso contiene al centro un uovo sodo intrappolato nella pasta. Di colore giallo e consistenza solida e filamentosa, tradizionalmente si mangia da solo o insieme a salumi vari.
Viene preparato dalle massaie in occasione della Pasqua. In alcune zone è tradizione farlo benedire da un sacerdote e mangiato la mattina della domenica di Pasqua.
In dialetto romagnolo è chiamato comunemente brazadèl.
Nel comune di Portico e San Benedetto (FC) il bracciatello viene immerso nell'alchermes e spolverato di zucchero.
Per Pasquetta a Bocconi, una delle tre frazioni del comune, viene fatta la sagra del bracciatello.
Gli anziani del paese dicono che il bracciatello così colorato ricorda la corona di spine di Gesù Cristo.
Oltre al bracciatello intorno a Pasqua si prepara la panina, dolce simile al panettone con uvetta e canditi ma con consistenza più dura e sapore meno dolce.

La vita di un ispettore sanitario nei ristoranti è piena di topi morti e salmonella

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"Vedere l’interno di una macchina per il ghiaccio completamente ricoperto di muffa è un’esperienza che ti segna. Per sempre"
La maggior parte dei proprietari di un ristorante conosce benissimo la sensazione di panico che suscita l'arrivo di un critico gastronomico nel proprio locale. Ma c'è un'altra visita non preannunciata che può avere conseguenze ben peggiori per la reputazione di un ristorante. Altro che la recensione negativa di un giornalista un po' troppo pignolo.
Parliamo delle visite degli ispettori sanitari. Come la storia ci ha ampiamente dimostrato, non è solo il paninaro all'angolo a beccarsi qualche multa durante l'ispezione: anche i pesi massimi della ristorazione possono beccarsi qualcosa in meno di un sorriso entusiasta, con conseguente tesserino giallo d'ammonizione. (In Danimarca, la valutazione dell'igiene di un ristorante viene fatta con faccine più o meno sorridenti).
Ciao Kent! Ti sei mai sentito a disagio durante un'ispezione?
Kent Kirkegaard Jensen: Personalmente, non mi sono mai sentito a disagio, né minacciato dal dover eseguire un'ispezione. La maggior parte di proprietari sa che le nostre visite fanno parte del gioco, quindi solitamente fila tutto abbastanza liscio.
Ma capita che ti chiedano di fare una seconda ispezione, perché durante la prima magari un tuo collega si è sentito minacciato o ha avuto qualche difficoltà. Ci sono persone che credono di poter risolvere i problemi intimidendo chi hanno di fronte, e tocca a noi far capire loro che non è così che funzionano le cose.
Cerchiamo sempre di essere corretti, ma se qualcuno si comporta da stronzo, tendiamo a interpretare le leggi (aka il codice sanitario) in modo più severo.

Certo. Probabilmente non sei l'ospite di cui tutti attendono con ansia l'arrivo. Qual è il peggior benvenuto che tu abbia mai ricevuto?
Sono stato attaccato verbalmente da un proprietario: si era piantato di fronte all'ingresso e ha continuato a urlare per dieci minuti buoni. Le temperature delle celle frigo che contenevano latte e carne erano troppo alte, quindi gli ho dovuto fare una multa e chiedere di buttare quanto contenuto al momento nel frigorifero. Era una faccenda davvero banale, e non si trattava neanche di chissà quanta carne, ma si è arrabbiato moltissimo. Alla fine si è rivelata la mossa sbagliata, perché mentre discutevamo tutto il ristorante l'ha sentito urlare e dare i numeri. Ma io non sono proprio piccolino, quindi non mi ha fatto paura. Mi sono quasi sentito in imbarazzo per lui, perché il suo comportamento era davvero ridicolo visto con gli occhi dei clienti presenti in sala.
Ma ci sono anche un sacco di storie dell'orrore. Tra le altre cose, ho sentito di un ispettore che è stato chiuso nella cella frigo da un ristoratore incazzato durante l'ispezione. Per fortuna, aveva il cellulare con sé e il segnale era abbastanza forte da chiamare qualcuno per farsi aprire la porta.

Come reagiscono i proprietari quando ti vedono entrare?
Ho visto persone saltare su come grilli e, nel panico più totale, iniziare a pulire. Tieni a mente che ai loro occhi noi siamo un'autorità, quindi alcuni hanno davvero paura di noi. È per questo che cerchiamo sempre di lavorare con tranquillità e proviamo a creare un ambiente sereno intorno a noi.

Quali sono le norme igieniche che non vengono mai rispettate?
C'è il classico errore di tagliare la carne ancora cruda sullo stesso tagliere usato per le verdure: è il modo giusto per servire una bella porzione di salmonella insieme al contorno. Ma è solo un esempio. Dal punto di vista alimentare, ci sono un mare di trappole ad attendere il personale di cucina. Il trasporto, i batteri, le possibili contaminazioni.
Poi c'è la preparazione - che dovrebbe eliminare i batteri naturalmente presenti negli alimenti crudi - e la pulizia della cucina stessa. Ultima, ma non per importanza, la documentazione, cioè tutta la noiosissima parte burocratica. Ecco, è questo il mio mondo.

Nel corso degli anni devi aver assistito a dei veri e propri casini. Qual è la cosa peggiore che tu ti sia mai trovato davanti?
Tolti i topi morti e i loro escrementi, sono stato abbastanza fortunato da non aver mai dovuto assistere a cose estreme. Una volta, stavo ispezionando un ristorante che aveva già ricevuto una multa per mancanza di documentazione. Dietro la cucina, c'era spazio per quattro o cinque celle frigo lungo il muro. Di fronte c'era un divano con un tavolino da caffè, dove ho trovato alcuni dipendenti seduti a fumare e guardare la TV tutti insieme, assurdo. Appena ci hanno visto si sono alzati in piedi alla velocità della luce e sono corsi fuori dall'uscita sul retro. È stato ridicolo, perché ovviamente li avevamo già visti.

Un lavoro come il tuo deve avere effetti sul lungo termine, o sbaglio?
Esatto! È una benedizione e una maledizione contemporaneamente. Ovviamente, tutto è potenzialmente pericoloso se non sai come gestire le diverse situazioni nel modo giusto. Ad esempio, non ho mai ordinato nulla che contenesse cubetti di ghiaccio prodotti da una macchina per il ghiaccio, perché possono essere un vero covo per la proliferazione dei batteri. Non berrò mai un drink con ghiaccio, poco ma sicuro. Vedere l'interno di una macchina per il ghiaccio completamente ricoperto di muffa è un'esperienza che ti segna. Per sempre.

Leggi sempre i resoconti delle ispezioni fatte dai tuoi colleghi quando vai a cena al ristorante?
Certo, lo faccio sempre. Non riesco a farne a meno. Una volta me ne sono andato perché il ristorante in questione era stato ammonito per il modo in cui preparava la carne. Non ho voluto rischiare l'intossicazione. Però, quando un collega ti consiglia di andare a cena in un posto che ha ispezionato, ecco, quello ti fa capire che quel ristorante è davvero buono.


Botvin'ja

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La botvin'ja in russo: ботвинья è una pietanza russa che consiste in una zuppa fredda a base di kvas, verdure cotte e pesce.
Ne esiste anche una variante più povera e più semplice da preparare priva di pesce.

Ingredienti

  • kvas
  • barbabietole rosse novelle
  • ortiche
  • acetosa
  • fusti di barbabietola
  • cima di cipolla
  • aneto
  • prezzemolo
  • cren
  • pesce pregiato
  • gamberi

Bolo do caco

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Il bolo do caco (letteralmente "pane di coccio") è un pane di grano tipico dell'arcipelago di Madera che si può trovare sia sull'isola di Madeira che su quella di Porto Santo. Viene consumato come antipasto, contorno o piatto principale.
È composto da farina di frumento, patate, lievito, acqua e sale. Con questi ingredienti viene fatto un impasto che viene fatto fermentare per tre giorni dopo i quali si fanno dei panini di circa dieci centimetri di diametro e spessi circa tre. Nella cucina tradizionale viene poi cotto su una pietra di basalto riscaldata a alta temperatura. Oggi, è possibile acquistare lastre di cemento che possono sostituire la pietra precedentemente utilizzato per la cottura. Il bolo do caco viene posto sulla pietra (chiamata caco) e cotto fino a quando si forma una sottile crosta leggermente bruciata. Successivamente lo si gira per cuocerlo su entrambi i lati.


Bobotie

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Il Bobotie, anche pronunciato bobotjie, è un piatto sudafricano a base di carne macinata speziata con una copertura a base di uova.
Si pensa che questa pietanza debba la sua origine al bobotok, piatto indonesiano a base di carne e crema, preparato in una pentola d’acqua nella quale si aggiungono le uova. Probabilmente furono i colonizzatori della Compagnia olandese delle Indie orientali a importare il Bobotie da Batavia nel Sud Africa. Difatti la prima ricetta del Bobotie appare in un libro di ricette olandesi del 1609. Più tardi viene importato in Sud Africa e viene accolto dalla comunità dei Cape Malay.
Il Bobotie è conosciuto a Capo di Buona Speranza dal XVII secolo e veniva realizzato con un impasto di carne di maiale e di montone. Oggi è più comune trovarlo cucinato con carne di manzo o di pecora, sebbene la carne di maiale lo renda più asciutto. Il Bobotie viene anche preparato con il curry, che gli conferisce il suo sapore intenso, venendo spesso servito con la salsa Sambal. Antiche ricette prevedevano l'aggiunta di zenzero, maggiorana e limone, ma tutti questi ingredienti sono stati sostituiti dal curry, che ha semplificato la ricetta senza troppo variare il risultato. Alcune ricette consigliano di aggiungere la cipolla durante la cottura.
Tradizionalmente veniva aggiunta la frutta secca, come l'uvetta passa o l'uva sultanina. Spesso viene servito con una guarnizione di noci, chutney e banane. Sebbene non sia un piatto particolarmente speziato, il Bobotie prevede l'aggiunta di ingredienti che rendono il suo sapore corposo e ricco. Per esempio, il sapore della frutta secca contrasta l'aroma del curry. Anche nella presentazione il bobotie è un piatto complesso: lo strato superiore, fatto di uova, controbilancia il pane al latte che lascia il piatto meno asciutto.
La ricetta del Bobotie si è diffusa in tutta l'Africa grazie ai colonizzatori del Sudafrica. Oggi si possono trovare altre nuove ricette nate tra i coloni bianchi in Kenya, Botswana, Zimbabwe e Zambia. Una variante della ricetta molto popolare nacque tra i 7000 coloni Boeri situati presso il fiume Chubut in Argentina all'inizio del XX secolo. La ricetta consisteva nel servire il bobotie dentro una zucca per poi cuocerla fino a che diventa morbida.
Una pietanza simile al bobotie è il piatto scozzese haggis.
Nel 2009 il Bobotie viene scelto dal campione di golf del Masters Golf Tournament 2008, nonché nativo del Sud Africa, Trevor Immelman, come la portata principale per la cena annuale dell'Augusta National. Ogni anno il campione in carica del Masters Golf Tournament, competizione che si tiene ad Augusta, Georgia, ospita il raduno di giocatori e sviluppa un menu che include piatti del proprio paese d'origine.
Durante il festival internazionale 2014 del cibo e del vino a Epcot, il Bobotie diventa una delle portate previste nel menu e viene servito anche con tacchino e funghi. Fa parte della lista dei cibi senza glutine. È possibile mangiare un piatto di Bobotie a $4.50 (circa 4 Euro).

Bliny

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I bliny (in russo: блины) sono delle focaccine a base di farina e lievito, di forma circolare e del diametro di 10-15 centimetri. Sono tipiche della cucina russa e simili agli olad'i e alle crêpes, ma con la differenza che rispetto a queste ultime, necessitano di lievitazione.
Si servono tradizionalmente con panna acida per accompagnare il caviale o il salmone affumicato o le uova di salmone. Sul bliny caldo si può mettere una cucchiaiata di smetana, poi il salmone o il caviale, infine si arrotola. Possono essere mangiati anche con la confettura, o marmellata (варенье), o con la ricotta. Esiste anche una versione salata con l'impasto preparato con grano saraceno, preferibilmente accompagnata da caviale o aringhe con panna.
Tradizionalmente venivano preparati solamente durante il butter week.

Biryani

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Nella cucina persiana il biryani, biriani, o beriani ((FA): بریانی) è una pietanza a base di riso (solitamente basmati), preparato assieme a spezie, carne, pesce, uova o verdure. Il nome deriva dalla parola persiana beryā(n) ((FA): بریان) che significa fritto o arrostito.
Il Biryani venne portato nel subcontinente indiano da viaggiatori e mercanti musulmani. Varianti locali di questo piatto sono popolari non soltanto nell'Asia meridionale ma anche in Arabia e varie comunità arabe ed asiatiche occidentali.
Le spezie e i condimenti con cui è preparato il Biryani sono vari, tra cui: burro indiano (ghi), piselli, fagioli, cumino, chiodi di garofano, cardamomo, cannella, coriandolo, foglie di menta, foglie di alloro, zenzero, cipolle e aglio. Il Biryani è generalmente non vegetariano includendo quindi vari tipi di carni, tra cui: carne di manzo, carne di pollo, carne di capra, carne agnello, pesce o gamberi. Il piatto viene poi accompagnato e servito con salsa Chutney, Raita o Korma, curry, uova sode o un tipico piatto acido a base di melanzane chiamato brinjal.
La differenza sostanziale tra il Biryani ed il Pilaf, altra comune pietanza indiana a base di riso, sta nella cottura. Il primo, a differenza del secondo, cuoce tutti gli ingredienti separatamente e non tutti insieme. Il riso viene infatti cotto da solo, saltato in un Kayvan, detto anche BA-K, padella simile al wok cinese. Solo successivamente vengono aggiunti gli altri ingredienti in modo tale da creare un contrasto netto tra i sapori degli altri ingredienti e il sapore del riso, rimasto pressoché insipido.
Il Biryani, come detto, è parte della cucina tipica di molte culture orientali, dall'estrema Asia ai confini con l'Europa.

Hyderabadi Biryani

L'Hyderabadi biryani o Biryani di Hyderabad non vegetariani sono serviti e cucinati in tutte le zone dell'India e costituiscono una grossa parte della cucina indiana. La cucina del Nizam comprende quasi 50 tipi di Biryani, preparati con pesce, gamberi, carne di quaglia, di daino e di lepre. Il più famoso, il Biryani di Hyderabad appunto, è chiamato anche "Kachi Akhni" Biryani, per la marinatura e la cottura simultanea di carne e riso.

Lucknowi Biryani

Il Lucknowi Biryani detto anche Biryani di Lucknow o Biryani dell'Awadh è la base di molti Biryani, tramandata dai musulmani dell'impero Moghul nella parte più a nord dell'India, l'Awad. Ebbe origine nel villaggio oggi chiamato Bare Next, raccogliendo sapori del sud e divenendo l'odierno Virani Biryani. Il Biryani dell'Awadh, conosciuto anche come "Pukka" Biryani viene preparato cuocendo carne e riso separatamente, mescolandoli poi successivamente.

Calcutta Biryani

Il Calcutta Biryani, Kolkata Biryani o Biryani di Calcutta nasce come evoluzione del Biryani di Lucknow, quando Wajid Ali Shah, ultimo nababbo di Awadh venne esiliato a Calcutta nel 1856. Quando il biryani entrò nelle case dei più poveri della città, che non potevano permettersi la carne (perlomeno regolarmente), la carne fu rimpiazzata dalle patate. Ora l'uso delle patate è diventato un tratto distintivo del Calcutta Kiryani, come ingrediente aggiuntivo oltre alla carne.

Iranian Biryani

L'Iranian Biriani o Biryani Iraniano viene servito nella provincia iraniana di Isfahan, a sud di Teheran, ed è a base di montone al forno. Viene utilizzato principalmente il polmone dell'animale, che viene stufato e poi macinato e grigliato in speciali piccole pentole poco profonde, nel forno o sulla fiamma. Questa sorta di hamburger di montone vengono poi serviti con della cannella in polvere e arrotolati nel pane locale, il naan, simile nella preparazione e nell'aspetto alla pita greca. Nell'aspetto può quindi diventare simile ad un kebab, motivo per cui a volte viene scambiato con il Biryani Kebab (kebab con Biryani generico) o il Dürüm Kebab o roll kebab (kebab arrotolato nel naan, ma senza riso o Biryani).
Nella forma più originale, il piatto è conosciuto con il generico nome di "Dam Pukht" o "Dan-pukhtak". Tradotto dal persiano, significa "cotto al vapore", in riferimento al metodo di cottura del riso, che è alla base del piatto. In Iran è tuttora molto più comune "Dam Pukht" piuttosto che "Biryani" per indicare la pietanza. In alcune aree del sudest asiatico, come nel Myanmar (ex Birmania) ad esempio, il termine a prevalere nel linguaggio comune è il persiano "Danbauk".

Burmese Biryani

Il Burmese Biryani o Biryani Birmano è conosciuto nel Myanmar (ex Birmania) come (MY) danpauk/danbauk o (MY) danpauk htamin. Popolari ingredienti sono le noci d'anacardo, yogurt, uva passa e piselli, carne di pollo, chiodi di garofano, cannella, zafferano e alloro. Nel Biryani Birmano il pollo è cotto assieme al riso, e può essere consumato assieme a cipolle affettate e cetrioli. Nello Yangon vi sono parecchie catene di ristoranti che servono esclusivamente Biryani. Viene anche servito durante cerimonie religiose e pranzi. Il Biryani nel Myanmar viene preparato utilizzando una particolare qualità di riso locale, piuttosto che il classico riso basmati.

Sindhi Biryani

Il Sindhi Biryani, Biryani dello Sindh o Biryani Pakistano è la variante pakistana del Biryani, cucinato e servito in tutto il Pakistan, prende il nome dalla seconda regione più popolosa dello stato, lo Shind. In Pakistan il Biryani gode di un'alta popolarità, soprattutto nei distretti di Karachi e di Hyderabad, dove la variante più comune è quella con il pollo: il Cicken Biryani o Biryani al pollo. Il Chiken Biryani pakistano è molto simile al Bombay Biryani o Biryani di Bombay indiano, ma a differenza di quest'ultimo combina elementi del Sindhi biryani includendo ad esempio le patate. La compagnia aerea di bandiera Pakistan International Airlines (PIA) spesso serve questo tipo di cucina sui propri voli dall'occidente, per dare ai passeggeri stranieri un assaggio della cucina pakistana.
Esiste anche un'altra variante, vegetariana, preparata nella regione pakistana del Punjab e nelle relative zone nord, rivelatasi molto popolare incontrando le esigenze dietetiche. Il piatto offre piante e verdure locali, anziché lo yogurt acido, per placare il bruciore dovuto alle spezie piccanti.

Kozhikode Biryani

Il Kozhikode Biryani, Biriani del Kozhikode o Thalasseri biriyani (dalla città indiana di Thalassery) è una variante molto popolare nella cucina dello stato federale indiano di Kerala, soprattutto sulla costa, nella regione del Malabar. I principali ingredienti sono carne di pollo, di montone o pesce. In questa variante, leggermente differente dalle altre indiane come il Memoni Biryani, il riso viene preparato assieme al ghee, tipico burro indiano, per ottenere un sapore molto più ricco. Vengono aggiunte anche altre spezie locali, come la noce moscata, anacardi, chiodi di garofano e cannella, mentre la quantità di peperoncino in polvere è molto ridotta, per ottenere un piatto molto meno speziato rispetto agli altri Biryani indiano, tipicamente molto piccanti.

Memoni Biryani

Il Memoni Biryani o Biryani Memoniano è una variante derivata dal gruppo etnico indiano Memon, ed è molto simile al Sindhi Biryani. Esistono molte varianti nella comunità, ma la maggior parte delle famiglie cucina questa variante, alla cui base vi è la carne di agnello, yogurt, cipolle fritte, patate e meno pomodori rispetto al Sindhi Biryani. Nel Memoni Biryani è inoltre quasi assente la colorazione del cibo tramite le spezie, al contrario degli altri Biryani in cui il riso è solitamente tendente all'arancione, in modo tale da aumentare il contrasto di colore tra le varie carni e verdure, e il pallore del riso. A causa della somiglianza con il Sindhi Biryani è molto diffuso anche nella regione pakistana di Karachi.

Kacchi Biryani

Il Kacchi Biryani, Biryani di Kachi o Biryani del Bangladesh, proviene da Kachi, un villaggio di Kachi del distretto di Haripur nella regione pakistana dell'Hazara. Preparato principalmente con la carne di montone, è possibile trovarlo, anche se molto raramente, cucinato con carne di pollo. Il piatto viene preparato cuocendo la carne e la salsa, a volte anche patate, posti sul fondo di una pentola coperti da uno strato di riso. Il riso e la carne vengono così cotti separati anche se a contatto, per poi venire mescolati assieme appena prima di essere serviti. Uova sode e insalate miste possono essere aggiunte come contorno al piatto. Questa variante del Biryani è uno dei più popolari piatti della zona vecchia della città di Dacca, in Bangladesh.

Tahari

Il Tahari, Tahari Biryani o Biryani vegetariano è la variante appunto vegetariana del piatto, diffuso tra Pakistan e India. In Bangladesh la variante della parola, Tehri, si riferisce non al Biryani vegetariano, ma a una tipologia di Biryani preparato aggiungendo la carne al riso, e non come nel Biryani tradizionale in cui è il riso ad essere aggiunto alla carne.

Thai Biryani

Il Thai Biryani o Biryani thailandese è la variante appunto thailandese del Biryani. I musulmani thailandesi hanno reso molto popolare questa variante, chiamandola anche Khao mok, alla cui base vi è carne di pollo o manzo. Viene anche preparato con carne di pecora, consumata esclusivamente dalla popolazione musulmana. Assieme al massaman curry e al satay il Thai Biryani è una delle pietanze più conosciute.

Sri Lankan Biryani

Lo Sri Lankan Biryani o Biryani dello Sri Lanka è la variante singalese più popolare tra i musulmani che solitamente la servono con pollo, manzo o montone. Molte volte lo Sri Lankan Biryani risulta essere molto più speziato e piccante rispetto alle altre preparazioni indiane. Altri piatti popolari locali con cui è possibile trovarlo accostato sono l'acchar, il malay pickle, il cashew curry o il ground mint sambol.
Di frequente è possibile trovare l'appam, una sorta di pancake di riso, al posto del riso basmati, servito con uova strapazzate o verdure.

Malaysia's Nasi Beriani

Il Malaysia's Nasi Beriani, Malay Biryani, Biryani malese o Biryani indonesiano è diffuso nella Malesia e a Singapore. È spesso anche conosciuto come Nasi Beriani, Nasi Beryani, Nasi Briani o Nasi Minyak. Viene solitamente servito con il rendang, piatto indonesiano a base di carne di agnello, e il sirap bandung, bevanda a base di latte e sciroppo di rose. Il Nasi Beriani Gam è una speciale variante del piatto molto popolare nel Johor, stato dell'estremo sud della Malesia, in particolare nelle città di Muar e Batu Pahat.

Nasi Beriani

Il Nasi Beriani o Biryani filippino è diffuso nelle Filippine, ma soltanto nella Pampanga, regione a nord dell'isola di Luzon, nella regione a sud dell'isola di Mindanao, a prevalenza musulmana, e nelle isole Sulu. Le popolazioni di etnia Kapampangan lo chiamano Nasing Biringyi. Nel sud dell'isola di Mindanao i piatti a base di Biryani vengono solitamente serviti in occasione di grosse celebrazioni.

Prawn Biryani

Il Prawn Biryani, Shrimp Biryani o Biryani ai gamberi è una variante molto diffusa in India e Pakistan. I gamberi sono un ingrediente comune nei Biryani, ma questa ricetta è nata per esaltarne il delicato sapore. Diversamente dagli altri il Prawn Biryani è molto veloce e semplice da preparare e non richiede le solitamente molte ore di complessa preparazione e marinatura degli ingredienti. È solitamente servito con baingan masaledar, una variante locale della melanzana, simile alla nostra violetta nana precoce a frutto piccolo.

 
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