Ai tavolini del vecchio Caffè
Martini - che era in un palazzetto accanto all'edificio del
Teatro alla Scala di Milano - si diceva che arrivasse l'eco dei
battimani e dei fischi della Scala. Ai suoi tavolini sedeva un
pubblico eterogeneo: cantanti e attrezzisti, scrittori e ballerine,
impresari e musicisti. Era frequentato dal librettista Francesco
Maria Piave, dal coreografo Giuseppe Rota, dal musicista Paolo
Giorza.
La sua storia iniziò nel 1832, quando
Giovanni Martini rilevò il vecchio Caffè del Teatro, rimettendolo a
nuovo. L'esercizio passò nel 1843 al Cuzzi e al Brambilla che nel
1857 lo cedettero a Vincenzo Dujardin che era originario di Lione. Il
Caffè Martini aveva le sale al pianterreno e, al mezzanino, locali
per il biliardo e salottini riservati. Era pavimentato con il
parquet, fornito di stufe, di deposito di ombrelli e bastoni, di
cannocchiali e tabarri: questi servizi erano gratis, tranne in tempo
di Carnevale, quando si chiedeva agli avventori una piccola mancia.
Durante le Cinque giornate di Milano la barricata davanti alla Scala
fu realizzata con attrezzerie e poltrone del teatro e con tavolini e
sedie del Caffè Martini.
A metà Ottocento, tra gli avventori
c'era un gruppo solidale, detto delle Cinque Effe, che era
composto dallo scrittore Leone Fortis, dal critico musicale Filippo
Filippi e da tre ballerine della Scala il cui nome iniziava per F.
Al caffè si sedeva spesso Giuseppe Verdi. Il suicidio dello
scrittore scapigliato Temistocle Prola, che sul settimanale
letterario e satirico Il Pungolo si firmava Antar,
arrivò durante un veglione della Scala, in mezzo a un galoppe
del musicista Paolo Giorza, gelando il sorriso di Cletto Arrighi. La
funerea notizia rimbalzò nei locali del Caffè Martini: era il primo
lutto tra gli scapigliati.
In visita a Milano, lo scrittore e
giornalista Carlo Collodi, seduto al Caffè Martini, seppe che il
locale sarebbe presto scomparso: il vecchio Caffè Martini infatti
chiuse i battenti perché il Comune di Milano aveva deciso di
allargare piazza della Scala, demolendo gli edifici tra la Scala e
Palazzo Marino; quindi il palazzetto dove sorgeva il caffè fu
abbattuto. Anche Ippolito Nievo si occupò del progetto di allargare
piazza della Scala, dimostrandosi dubbioso sulla necessità di
intraprendere questi lavori. Un vecchio cameriere del Martini, Angelo
Turretta, riaprì il caffè nel palazzo De Marchi, che era di fronte,
in piazza della Scala 10; ma l'atmosfera non era più quella. Il
caffè Martini fu il primo caffè milanese ad essere illuminato con
luce elettrica, nel 1883. La Marchesa Colombi vi ambientò un
episodio di un romanzo. Igino Ugo Tarchetti ha una pagina sul Caffè
Martini. Il palazzo De Marchi fu demolito nel 1905 e al suo posto,
tra il 1906 e il 1911, sorse il nuovo stabile sede della Banca
Commerciale Italiana su progetto di Luca Beltrami.
I letterati che frequentano vecchio
Caffè Martini alla Scala, nel 1856, sono ritratti in un disegno,
pubblicato su doppia pagina affiancata sul Panorama Universale,
il 13 settembre 1856. Alcuni sono seduti, altri sono in piedi a
chiacchierare. Immancabili, i sigari in bocca. Non sono presenti le
signore. Due riviste umoristiche e letterarie si contendevano a
Milano i favori del pubblico: Il Pungolo di Leone Fortis e
L'Uomo di Pietra di Antonio Ghislanzoni. Ma alcuni giornalisti
e scrittori - a volte senza firmare, a volte cambiando lo pseudonimo
- collaboravano sia all'una, sia all'altra rivista. Lo scopo era uno
solo: fare un po' di guerra all'Austria. I letterati ritratti
in quel disegno satirico del 1856 sono (da sinistra): i due fratelli
Ignazio e Cesare Cantù, il poeta e traduttore dal tedesco Andrea
Maffei, Ippolito Nievo che collaborava alle riviste milanesi "Il
Pungolo" e "L'Uomo di Pietra", il commediografo Paulo
Fambri, il traduttore dal francese Luigi Masieri, Leone Fortis
ideatore della rivista "Il Pungolo" e per un periodo
direttore artistico della Scala, Vittorio Salmini commediografo,
Luigi Gualtieri, Carlo Righetti meglio noto come "Cletto
Arrighi", il romanziere scapigliato Giuseppe Rovani, Cesare
Betteloni poeta del Lago di Garda, Tullio Dandolo, Antonio
Ghislanzoni librettista di Verdi, Vittore Ottolini, Carlo Baravalle e
il critico musicale Filippo Filippi che si firmava "Pippo
Pippi".
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