Un recente studio dell’Università di Haifa ha dimostrato che la carne rossa, specie se ben cotta, può essere dannosa per il fegato. Meglio ordinare del pollo o, al massimo, una bistecca al sangue.
Gli scienziati israeliani che hanno condotto lo studio si sono concentrati, in particolare, su una delle malattie più diffuse della ghiandola. Si tratta della steatosi epatica non alcolica, una patologia che può evolversi in cirrosi e, nei casi più gravi, può provocare il cancro o il collasso del fegato. Il Daily Mail ha riportato i risultati della ricerca.
Secondo gli studiosi dell’Università di Haifa sì. Durante la loro ricerca gli scienziati hanno analizzato le abitudini alimentari di 789 adulti. Ognuno è stato sottoposto a test di resistenza all’insulina e a scansioni ecografiche del fegato. Dalle analisi effetuate è emerso che i consumatori di carne rossa avevano il 47% di possibilità in più di contrarre una patologia epatica. Ed il 55% di probabilità in più di sviluppare l’insulino-resistenza. E le percentuali aumentavano in coloro che preferivano la carne ben cotta. Questo, probabilmente, perchè nella carne cotta si formano dei composti chiamati ammine eterocicliche che sono state associate sia alle malattie del fegato come la steatosi epatica non alcolica che alla resistenza all’insulina.
Per prevenire gravi disturbi come quelli analizzati dai ricercatori israeliani il consiglio di Shira Zelber-Sagi, che ha condotto la ricerca, è di cercare di ridurre il consumo di carne rossa in favore di quella bianca o del pesce. L’ideale sarebbe non consumarla più di una volta alla settimana. Nel prepararla, inoltre, è preferibile non cuocerla troppo. E di evitare metodi di cottura elaborati. Meglio rivolgersi a cotture più leggere e salutari come quella al vapore o la bollitura. La steatosi epatica non alcolica, infatti, si manifesta quando si accumula del grasso nelle cellule del fegato. E’ associata anche a disturbi e malattie come l’obesità e il diabete. Ed insieme alla resistenza all’insulina rappresenta uno dei sintomi più comuni della cosiddetta sindrome metabolica.
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