Qualunque critico che si rispetti
riceve regali. Volete che ora mi stupisca per gli inviti a cena che
mi vengono offerti in qualità di critico gastronomico?
Via, siate seri: mi ci vedete
travestito con baffi e naso finto per non farmi riconoscere dai
cuochi?
Con un abbondante trucco e parrucco,
dovrei presentarmi in incognito nei ristoranti manco fossi una spia
dell’intelligence: solo così potrei garantire la correttezza
dell’informazione, quest'ultima la recito per i moralisti di turno,
che mi raccomandano di pagare il conto!
Ma davvero siamo convinti che un buon
ispettore delle guide debba recensire il lavoro di un cuoco in
incognito e senza conoscerlo di persona? Maddai!
Personalmente sono più affezionato al
modello del cattivissimo Anton Ego: ingresso teatrale nel ristorante
e allo chef tremano anche le mutande. Uno duro, arcigno fino al primo
boccone di proustiana Ratatouille, che provoca in lui lacrime di
nostalgia. Tornato umano e bambino vuole conoscere il cuoco e si
ritrova davanti un sorcio.
“Si ma così facendo lo chef tenterà
di compiacere l'”Anton Ego” di turno portando in tavola il
meglio” Direte voi. Se ce la fa, rispondo io. Se il cuoco è una
schiappa e i gamberi surgelati, non c’è carineria che tenga: il
critico bravo lo capisce. E se il critico è bravo, non basterà una
cena a fargli cambiare idea.
Ecco il motivo per cui non credo vi
interessi sapere se pago la cena, come letto in un commento.
“Non credo che interessi sapere se il
tale libro di cui ho disquisito in questa o quella occasione sia
stato da me regolarmente acquistato… .”
Non so come la pensiate voi ma io la
vedo così.
Perfino Ruth Reichl, direttrice della
rivista americana Gourmet, che si è resa irriconoscibile con decine
di travestimenti quando era critico gastronomico del New York Times,
oggi ironizza sul suo passato.
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