Basandoci su esperienze dirette e
recensioni online abbiamo deciso di testare alcuni ristoranti
milanesi per capire se le prime impressioni sono sempre quelle che
contano.
Il mese scorso i medici veterinari
dell'Asl hanno fatto
irruzione in un ristorante di Milano, La Sidreria, e hanno
sequestrato cinquanta chili di insetti commestibili che stavano per
finire nello stomaco di un sacco di clienti entusiasti all'idea di
provare "il cibo del futuro."
Le portate a base di scorpioni e grilli
non hanno fatto nemmeno in tempo ad arrivare in tavola che tutto è
stato requisito perché gli insetti non erano certificati.
In redazione siamo rimasti
particolarmente colpiti dallo zelo dimostrato dall'Asl alla Sidreria:
l'impressione era che, facendosi un giro per la città, avrebbero
scovato innumerevoli altri posti che servono ai clienti scarafaggi e
blatte non certificate. Accidentalmente, però.
La questione è presto degenerata in
una specie di FantaDiarrea, e tutti si sono battuti per rivendicare
il primato di aver mangiato nei peggiori tuguri di Milano. Con un
tono a metà strada fra il disperato e il liberatorio sono stati
snocciolati i nomi di un sacco di posti lercissimi, con annesse
storie sensazionalistiche riguardanti pizzaioli che si masturbano
dietro forni a legna e particolari raccapriccianti sulla composizione
chimica della salsa allo yogurt di alcuni take away greci.
La domanda che sorgeva spontanea era
come facessero certi posti a rimanere aperti nonostante le norme
igieniche da rispettare per mantenere la licenza. Così, ispirato
dalle avventure culinarie, ho deciso di compiere un tour di alcuni
ristoranti di Milano al fine di testare l'efficacia degli enti
preposti al controllo sanitario, e valutare poi se uno scarso livello
di igiene è sempre sinonimo di cattiva cucina.
Ho contattato l'Ufficio Annonaria e
Commerciale della Polizia Municipale per sapere se esistessero delle
liste di ristoranti a rischio per quanto riguarda le norme igieniche,
come del resto accade per esempio nel Regno Unito, dove a tutti i
servizi è assegnata una nota di igiene, ma mi hanno risposto che
queste liste o non esistevano o non erano consultabili.
Per individuare i ristoranti da
testare, quindi, mi sono affidato ai risultati del FantaDiarrea, e
sfruttando le recensioni di TripAdvisor, ho selezionato i quattro
peggiori della lista.
I risultati dovevano essere il più
oggettivi possibile, quindi mi serviva l'appoggio di un aiutante.
Qualcuno che fosse abbastanza temerario da rischiare il controllo
degli sfinteri in nome della ricerca sociologica. Quindi ho optato
per il più sacrificabile dei redattori.
Così abbiamo composto un
temerario think tank, e abbiamo passato due sere
girovagando per Milano alla caccia di coliti.
La nostra prima meta è stato il
ristorante San Michele, in zona Porta Romana, che si è guadagnato la
nostra attenzione perché su Trip Advisor 26 utenti su 29 lo votavano
come "Pessimo". Il campo semantico delle recensioni
viaggiava tra "diarrea" e "truffa", con contorno
di aggettivi come "inqualificabile". Un utente chiosava con
"da consigliare al vostro peggior nemico."
San Michele, patrono della polizia,
visto da fuori non sembrava così pauroso, ma non appena entrati
siamo stati accolti da un mix di pesce rancido, persistente odore di
sugo e aromi proveniente da un bidone dell'immondizia pieno. Gnam. Le
vetrate erano ricoperte di una condensa solida, fatta di vapore
acqueo e periferia in polvere.
I tavoli erano tutti vuoti, quindi ci
siamo accomodati e abbiamo iniziato a sfogliare il menù e darci
un'occhiata intorno: stelle marine, pesci di terracotta, grappoli
d'uva finti e la fotografia di un calesse a Trani. Era tutto
piuttosto malinconico, ma non sembrava particolarmente sporco o
tremendo. Le tovaglie però erano lise e macchiate e le posate ruvide
e rovinate, forgiate dal fuoco di mille lavastoviglie.
Abbiamo deciso di ordinare il primo
piatto sul menù, l'Antipasto San Michele, e un cous cous di pesce.
Nonostante fossimo gli unici clienti, i nostri piatti sono arrivati
dopo 45 minuti.
Il polpo e i totani dell'antipasto,
annegati in una pozza d'olio, erano semicrudi. Forse siamo poco
aggiornati, ma il collante industriale non dovrebbe far parte della
ricetta per le capesante gratinate; alla fine siamo riusciti a
staccarle usando il coltello come scalpello.
Al momento di pagare, 29 euro di
stoicismo e gastrolesività, abbiamo pensato di fare una visitina al
bagno (chissà da dove ci è venuta questa idea) e al posto della
carta igienica c'erano tre sedie.
La prima esperienza ci ha lasciato un
retrogusto di nostromo carbonchioso in bocca e i villi intestinali in
rivolta, ma anche un certo languorino.
Ci siamo quindi messi per strada,
destinazione Trattoria Da Lina, vicino alle Colonne di San Lorenzo:
una specie di istituzione milanese. Alla proprietaria è dedicata
anche una pagina su Facebook. Il collega che ce lo ha segnalato lo ha
ironicamente descritto come il posto dove "quelli dell'ASL
potrebbero entrare con le tute da palombaro."
Le recensioni su TripAdvisor si
dividevano equamente fra un romanticismo entusiasta: "Ogni bel
ricordo è un sorriso, ogni incontro surreale è un pezzo di cuore
abbandonato da qualche parte. La Lina, come avrebbe detto Wilde, non
va capita, va soltanto amata. Diffidenti per le brutte recensioni e
le indignazioni eccessive, approdiamo in questo angolo storico di
città. La curiosità prevarica sul rischio di una brutta esperienza,
e si rivela il modus operandi migliore. Attenzione: non è un
ristorante, non pretendete di mangiare bene. Non è neanche
un'osteria, è una sala da 'oratorio', un prolungamento del soggiorno
di casa, e un pezzo di vita di Lina e Tony. Abbandonate l'occhio
critico, chiudete ogni contatto con l'ufficio d'igiene e lasciatevi
andare."
E il sentenzioso: "Il peggior
ristorante del mondo."
Appena entrati ci sembra di stare in un
posto sospeso tra un bar degli anni Sessanta (come se ne avessimo mai
visto uno)
E un oratorio.
Il tutto è reso sublime da lanterne
cinesi, zucche di halloween e macchie sulle tovaglie. Anche qui siamo
gli unici clienti.
La proprietaria, Lina, è una signora
anziana con un forte accento milanese. Ci fa sedere e prima che
riusciamo ad aprire bocca si mette a raccontarci aneddoti sulla
trattoria e su di lei. È difficile seguirla, perché mentre parla si
muove in continuazione e sbuca da tutte le parti. La Lina è nostra
nonna.
Ci chiede se vogliamo il menù fisso, e
noi, con lo stomaco ancora debilitato, decidiamo di smezzarcene uno
in due.
Il locale è pieno di cartelli con
divieti e avvertimenti.
Mentre scattiamo una foto Lina spiega
che è stata obbligata a fissarlo a quella porticina, e la apre.
Dall'altra parte del muro c'è un lavandino, e in mezzo una scala
ripida che scende in cantina. Se uno si volesse lavare le mani
dovrebbe farlo restando fuori dalla porta.
"I ragazzi continuavano ad
appoggiarsi, e c'era il pericolo di cadere e farsi male. Fino a poco
tempo fa questo era l'unico lavandino, perché il bagno un tempo era
fuori, nella corte del palazzo. Adesso però ne ho anche uno interno,
bisogna averlo per legge."
Nel bagno costruito per legge c'è un
odore persistente di umidità e muffa, l'intonaco delle pareti è
scrostato, e accanto alla porta sono appoggiate delle scale e
arrugginite. Intanto Lina è andata a prepararci da mangiare, ma
l'odore di carne bruciata che arriva dalla cucina non è esattamente
invitante. Il menù era composto da "antipasto, risotto e carne
in umido."
Ci sentivamo quasi in colpa a non
mangiare, quindi ci siamo sforzati di finire, e vergognandoci per il
fallimento abbiamo cercato di nascondere la spalla e il salame
impilando i piatti. Un tentativo abbastanza stupido, perché poi Lina
si sarebbe sicuramente accorta che avevamo nascosto il cibo, ed è
una cosa che ci ha tenuti svegli la notte (insieme al mal di pancia).
Lei intanto continuava a portarci cose
da mangiare: ci ha messo davanti del riso e un po' di insalata. Il
riso è stata la portata che abbiamo preferito in assoluto, anche se
non capivamo bene quali fossero gli ingredienti e non sapeva
praticamente di niente.
Dopo il riso è arrivato un pezzo di
carne in umido, che è toccato a chi era rimasto senza riso. Dopo i
primi tre bocconi vi assicuriamo che era praticamente impossibile
continuare: non siamo riusciti a capire bene da dove provenisse
l'odore di carne bruciata, perché quella che ci ha servito Lina era
praticamente cruda. Considerate inoltre che chi l'ha assaggiata è lo
stesso che si è fatto una settimana
mangiando solo cibo pronto dell'Eurospin: non
esattamente un palato fino quindi.
A questo punto la cena ha assunto una strana piega martire, perché Lina continuava a sincerarsi che mangiassimo tutto, e noi non sapevamo più dove nascondere la roba. Fortunatamente dalla porta sono entrati dei ragazzi nel locale per bere qualcosa, e lei si è distratta.
A questo punto la cena ha assunto una strana piega martire, perché Lina continuava a sincerarsi che mangiassimo tutto, e noi non sapevamo più dove nascondere la roba. Fortunatamente dalla porta sono entrati dei ragazzi nel locale per bere qualcosa, e lei si è distratta.
I ragazzi sembravano dei frequentatori
abituali, hanno salutato e si sono accomodati spostando le sedie a
loro piacimento e mettendo della musica. A questo punto abbiamo
capito perché la trattoria è un'istituzione: con qualche spicciolo
è possibile raccattare delle legnate epiche, dato che i liquori
costano poco, lei ti riempie il bicchiere fino all'orlo e,
soprattutto, capita che le passi di mente di avertelo già riempito.
Si è creata subito un'atmosfera allegra, ma noi nostro malgrado non
abbiamo potuto partecipare: abbiamo approfittato per pagare
velocemente il conto e fuggire. Non volevamo si accorgesse che la
nostra cena era praticamente tutta nascosta sotto ai piatti.
Comunque è tutto in regola e il nostro
collega si sbagliava.
La sera seguente ci siamo apprestati a
portare a termine il nostro tour gastronomico con molto meno
entusiasmo. "Non è stata una notte semplice" è il mantra
che ci ha accompagnato verso Via Ripamonti, dove ci attendeva Il
Mago. Il ristorante ci era stato segnalato come "una delle
esperienze alimentari più inquietanti della mia vita," e Su
Trip Advisor la percentuale di scarso/pessimo era del 76 percento.
Siamo fortunati però: l'atmosfera non
esattamente allegra è stemperata dalla presenza della cantante
Grazia, una donna sui sessanta che se ne sta in un angolo con una
pianola a cantare il repertorio neomelodico italiano a un volume
sufficientemente alto da impedire la conversazione. A un certo punto
chiama un signore di mezza età con i capelli cotonati, e insieme
guidano una filippica contro le canzoni moderne, stonando
praticamente ogni nota di quelle vecchie.
Siamo praticamente costretti a ordinare
delle linguine ai funghi e gli "spaghetti del Mago" perché
l'80 percento degli ingredienti presenti sul menù non è
disponibile. Ci viene indicato con un cenno il buffet degli
antipasti.
È il ristorante in cui trascorriamo
meno tempo: i "funghi" delle linguine somigliano a delle
squame bianche gelatinose, e il sapore non ricorda tanto dei funghi
ma qualcosa che sa di funghi. In più viene fuori che l'ingrediente
segreto degli spaghetti sono i capelli.
Lasciamo i piatti praticamente come
sono, paghiamo il conto e saliamo in macchina per provare a mettere
fine all'esperimento. Arriviamo dunque all'ultima tappa del nostro
viaggio: El Rincón De Lupita.
Si tratta di un ristorante peruviano
ecuadoriano in zona Loreto, ed era stato segnalato da più di un
ragazzo in redazione per il suo potere lassativo.
Il locale è piccolo, e accanto al
bancone ci sono un paio di sacchi neri della spazzatura.
Probabilmente siamo capitati nel mezzo di un compleanno, perché è
pieno di palloncini e festoni, e tutti ci fissano straniti. Ci sono
un mucchio di bambini che strillano, corrono e giocano attorno ai
tavoli e cerchiamo di limitare le foto.
Una cameriera gentile e sorridente ci
chiede cosa vogliamo mangiare. "Il venerdì è la serata del
buffet, ma potete prendere anche altre cose."
Dopo aver dato un'occhiata al buffet
scegliamo "altre cose". Ordiniamo un piatto a caso da
dividere, perché dopo questi due giorni lo stimolo dell'appetito con
tutta probabilità ci è passato per sempre. Mentre aspettiamo diamo
un'occhiata al bagno, soltanto per dovere di cronaca, ovviamente, e
scopriamo che la spazzatura qui deve essere importante, perché
praticamente sta dappertutto.
Finalmente arriva l'ultima portata del
nostro esperimento, un piatto di riso e fagioli con delle robe
bianche che galleggiano.
E un piatto di carne mista alla brace
con del platano fritto.
La carne non sarebbe neanche male, ma
facciamo l'errore di consumarla insieme al platano, che ci lascia un
sapore oleoso e terribile in bocca (sì lo sappiamo che è il suo
sapore normale, infatti questa è una critica generalizzata al
platano in sé e per sé).
A un certo punto parte un nuovo
karaoke, e anche se quelli che cantano sono di gran lunga più bravi
della signora Grazia, noi decidiamo comunque di lasciare il locale.
Mentre guidiamo nel traffico per
tornarcene a casa a piangere i nostri villi intestinali sul barattolo
della citrosodina, fissiamo la gente che affolla i ristoranti del
centro e vorremmo poter essere loro.
In definitiva quello che abbiamo
imparato è che, per quanto riguarda i ristoranti di Milano, se il
livello di pulizia di un locale vi sembra assimilabile agli standard
igienici che vigevano sull'Amistad, state certi che il cibo non
tradirà le aspettative.
Probabilmente i medici veterinari
dell'Asl non hanno sequestrato gli insetti alla Sidreria perché
rischiavano di non essere commestibili, ma perché speravano che lo
fossero una volta tanto.
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