Cassatella

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Le cassatelle (cassateddi in dialetto siciliano) o ravioli dolci, sono dolci tipici della gastronomia siciliana, originari della cittadina di Calatafimi, in provincia di Trapani, intorno al 1700, in occasione delle festività pasquali e di carnevale. Sono oggi diffusi in gran parte della Sicilia occidentale.
In determinate aree del trapanese sono denominate in altri modi, come ad esempio cappidduzzi a Marsala o raviola a Mazara del Vallo.

Caratteristiche

Sono una sorta di grandi ravioli dolci, al cui interno vi è un impasto di ricotta di pecora, zucchero, un pizzico di cannella e gocce di cioccolato, che vengono fritte per immersione nell'olio bollente. Per la pasta si usa farina di grano duro, zucchero, olio d'oliva, una goccia di vino Marsala e una grattugiata di scorza di limone.
È una produzione tipica siciliana, come tale è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf), su proposta della Regione Siciliana.

Versione salata

Nella cucina trapanese, in particolare nell'agro ericino (Erice, Valderice, Custonaci San Vito Lo Capo e Buseto Palizzolo) viene preparata come primo piatto, cucinata con il brodo di carne o pesce, ma anche condita con un ragù di carne. La pasta viene farcita con ricotta, prezzemolo e un pizzico di sale (senza zucchero) e poi bollita.

Altre varianti

Sono denominate Cassateddi anche prodotti dolciari completamente differenti, di pasta frolla, come le cassateddi di ficu (ripiene con un impasto di fichi, dette cuddureddi nel dialetto castellammarese e alcamese,tranne a casa di Vito Fazzino, buccellati nel dialetto palermitano), o la Cassatella di Agira, con dentro un impasto di cacao e mandorle. Esiste anche una versione chiamata raviola nissena tipico dolce fritto tipo sfogliata di Caltanissetta.
Esiste anche una variante con ripieno di pasta di ceci. I legumi vengono fatti bollire e poi passati ancora caldi in un setaccio o addirittura nel passa pomidoro per creare una pasta, alla quale viene aggiunto lo zucchero ed il vino cotto e per l'appunto usata come ripieno per le cassatelle. Variante tradizionalmente dell'entroterra ennese.

Acarajé

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L'Acarajé è un piatto tipico della cucina afro-brasiliana, composto da una pasta di fagioli del tipo feijão-fradinho (Vigna unguiculata, il nostro fagiolo bruno con occhio nero), cipolla e sale, fritta nell'olio di dendê, una palma del Nord-Est del Brasile. Una volta fritta, la pasta acquista consistenza ed è generalmente riempita o accompagnata da peperoncino, gamberi, vatapá, caruru, insalata. Il suo uso è principalmente nella regione del Nord-Est del Brasile, in particolare nello Stato di Bahia, dove è costume friggerlo e imbottirlo per strada, e mangiarlo quindi sul posto.
La bancarella dove la baiana espone i suoi prodotti è chiamato tabuleiro da baiana. L'acarajé è venduto dalle baiane nell'abito tradizionale di colore bianco. A Salvador da Bahia l'attività è regolamentata da un decreto municipale.
In Africa è chiamato àkàrà che significa palla di fuoco, dove je ha il significato di "mangiare". In Brasile le parole si unirono formando la parola, acara-je, ossia, "mangiare la palla di fuoco".

Acarajé degli orixá

L'acarajé è un piatto rituale nella religione afro-brasiliana denominata candomblé: è il cibo rituale dell'orixá Iansã, divinità dei venti e delle tempeste.
La sua origine è legata al mito della relazione tra la divinità Xangô e le sue due spose Oxum e Iansã. Il cibo divenne così un'offerta propiziatoria a questi orixás.
Nonostante sia venduto nelle strade in un contesto "profano", l'acarajé viene ancora considerato, dalle baiane adepte del candomblé, un cibo sacro agli dei. Per questo motivo, la sua ricetta, benché non sia segreta, non può essere modificata, e può essere preparata solo dal "clero" del candomblé, i cosiddetti filhos-de-santo.
L'acarajé è preparato con un fagiolo chiamato feijão-fradinho, che è pestato su una pietra in pezzi grandi e posto a bagnomaria affinché la buccia si stacchi. Una volta sbucciato, viene tritato per raggiungere una consistenza finissima. Si aggiungono quindi cipolla tritata e un po' di sale.
Il segreto per un acarajé di pasta morbida è il tempo dedicato alla battitura della pasta. Questa raggiunge la consistenza ideale quando assume la consistenza di una spuma. Per la frittura si usa un padellone con olio di dendê molto caldo o, in alternativa, un olio vegetale dolce.
Il primo acarajé viene sempre offerto all'orixá Exu, la prima divinità nella gerarchia del candomblé. A seguire gli altri acarajé vengono offerti agli altri orixá.
Forme particolari hanno gli acarajé offerti a Iansã, della grandezza di un piatto da tavola, è rotondo e ornato da nove gamberi affumicati e circondato da nove piccoli acarajé (simboli dei nove pianeti); e a Xangô, di forma ovale come la tartaruga, il suo animale preferito, circondato da sei o dodici piccoli acarajé.

Abará

L'acarajé è simile ad un altro piatto della cucina baiana, l'abará: mentre l'acarajé è fritto, l'abará è cotto al vapore e meno calorico.

Zeppola

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Il nome di zeppola indica vari tipi di dolci italiani, di diversa origine e ricetta. Tutte le zeppole, comunque possono rientrare in due grandi gruppi:
  • zeppole preparate in occasione della festa di San Giuseppe
  • zeppole preparate durante il periodo di Carnevale; in questo caso sono dunque un tipico dolce carnevalesco.

Zeppole legate alla festa di San Giuseppe
La "zeppola di San Giuseppe" (chiamata 'a zeppola , zéppele o "sfinci") è un dolce tipico della tradizione pasticcera campana, preparato con modalità leggermente diverse nelle varie regioni dell'Italia meridionale. Il nome deriva dal fatto che in alcune regioni dell'Italia meridionale centro-meridionale è un dolce tipico della festa di San Giuseppe.
Da notare inoltre che in Campania, in particolare nel Cilento, sono chiamate confidenzialmente "zeppole" anche dei dolci natalizi, il cui nome più appropriato sarebbe scauratielli, composti di acqua, olio e farina a forma di nodo e guarniti con il miele sciolto.
Le zeppole di San Giuseppe sono molto popolari nella zona vesuviana e un tempo erano preparate direttamente nelle strade. Malgrado il nome, non traggono le proprie origini nel comune di San Giuseppe Vesuviano: ci sono varie ipotesi sull'invenzione di questo dolce, riferita sia alle suore di San Gregorio Armeno sia a quelle della Croce di Lucca, sia a quelle dello Splendore, sempre comunque a Napoli. La prima ricetta scritta risale al 1837, nel trattato di cucina napoletana di Ippolito Cavalcanti.
Vengono preparate generalmente nel periodo di San Giuseppe (19 marzo) tanto da essere un dolce tipico della festa del papà. Gli ingredienti principali sono la farina, lo zucchero, le uova, il burro e l'olio d'oliva, la crema pasticcera, una spolverata di zucchero a velo e le amarene sciroppate per la decorazione. Nella tradizione napoletana esistono due varianti di zeppole di San Giuseppe: fritte e al forno. In entrambi i casi le zeppole hanno forma circolare con un foro centrale dal diametro di 2 cm circa e sono guarnite ricoprendole di crema pasticciera con sopra delle amarene sciroppate. Alcune pasticcerie provvedono anche alla farcitura interna della zeppola con tale crema, discostandosi dalla tradizione. Ultimamente si trovano zeppole ripiene di crema gianduia e panna. Infine questo dolce viene sottoposto a una spolverata di zucchero a velo.

Zeppole in friggitoria
A Napoli viene usato il nome zeppola anche per indicare le pastacresciute, specialità delle friggitorie tipiche, molto diverse e salate. In questa versione, talvolta vengono aggiunti ingredienti come alghe di mare, acciughe salate o cicenielli.

Zeppole itrane
A Itri (LT), con il nome di Zeppola di San Giuseppe si indica una piccola frittella di farina, acqua e lievito di birra, lievitata e poi fritta in olio di oliva e successivamente cosparsa di zucchero o miele. Ne esiste anche una variante più elaborata con l'aggiunta nell'impasto di uova e latte. È uno dei piatti tipici del paese preparati in occasione dei Fuochi di San Giuseppe.

Zeppole pugliesi
Le zeppole vengono preparate per la festa di San Giuseppe e in alcuni paesi dove si preparano le tradizionali "Tavole di San Giuseppe" vengono utilizzate come ultima pietanza, per dolce.
Sebbene negli ultimi anni si sia affermato l'uso di friggere la pasta della zeppola anche usando olio di oliva, la vera zeppola pugliese viene fritta nello strutto.
Vengono preparate con acqua, strutto, sale, farina, limone grattugiato e uova, fritte o al forno e decorate con crema pasticcera e crema al cioccolato, oppure due o tre amarene sciroppate. La zeppola fa parte della pasticceria pugliese ed è presente tutto l'anno, con una maggiore produzione nel periodo della festa di San Giuseppe.
Tra le varianti preparate in casa vi sono zeppole intrecciate a forma di "elle" minuscola, fritte e passate ancora calde nello zucchero. Queste zeppole non hanno tipicamente la crema.

Zeppole siciliane
A Catania fanno parte della tradizione le crispelle di riso. Le crispelle, listelli di forma cilindrica lunghi circa 6-8 centimetri, vengono fritte nell'olio bollente e alla fine ricoperte di miele d'arancio e zucchero a velo con cannella.
A pari merito nella Sicilia Occidentale, in particolare a Palermo, si cucina la sfincia.

Zeppole reggine
A Reggio Calabria le zeppole di San Giuseppe (zippuli duci ca' ricotta) sono dei piccoli bignè preparati con farina, zucchero, uova, vanillina e strutto farciti con ricotta, zucchero, cannella, limone grattugiato e zucchero a velo. Esiste inoltre una variante salata, preparata con patate, farina, lievito di birra e acqua. Possono avere forma di ciambella irregolare o contenere al loro interno acciughe dissalate, baccalà, 'nduja e olive a piacimento. Infine vengono fritte in olio bollente.

Zeppole catanzaresi
Nella città di Catanzaro vengono preparate con margarina o strutto, farina, uova, cotte al forno e successivamente riempite con ricotta. Vengono poi farcite con crema e si inserisce in un ricciolo di crema una ciliegina caramellata.

Zeppole molisane
Come nella tradizione napoletana, nel Molise vengono cotte sia al forno sia fritte. All'interno si usa esclusivamente crema pasticciera con l'aggiunta di un cucchiaino di marmellata di amarena o amarene intere come finitura. Una volta venivano vendute a pezzo, piuttosto soddisfacente per dimensione; oggi vengono offerte anche nella versione mignon e vendute a peso.

Zeppole teramane
A Teramo città e nelle vallate attigue, dal Gran Sasso fino al mare, nel giorno di San Giuseppe, è tradizione che il pranzo termini gustando una zeppola di San Giuseppe. La zeppola teramana è una sorta di bignè più grande nella forma, con all'interno della crema pasticciera rigorosamente bianca con l'aggiunta di un'amarena.

Zeppole di Carnevale
In Sardegna, Marche, Umbria, Campania e altre regioni le zeppole sono un dolce carnevalesco.

"Zippole" sarde (tzípulas o frisgiolas)
Le tzípulas o frisgiòlas, il cui nome italianizzato è "zippole" o semplicemente "frittelle", costituiscono un dolce tradizionale del carnevale tipico della Sardegna. La ricetta può variare in diverse parti della Sardegna, ma in linea generale ha come ingredienti fondamentali la farina, il lievito e l'acqua, e come elementi eventuali, in alcune varianti, il latte, le uova, il limone, l'arancio, la mozzarella, le patate e nel sassarese e nel cagliaritano l'acquavite, il mirto o il liquore di anice. Il prodotto si consuma zuccherato o glassato. Un comune dove l'antica tradizione nella preparazione delle tzípulas e ben nota è quello di Narbolia, in provincia di Oristano, nella subregione del Montiferru, dove si tiene ogni anno, nel periodo del carnevale, una sagra dedicata a tale dolce, in cui la degustazione è accompagnata dalla presentazione di altri prodotti locali e da festeggiamenti folkloristici.

Zeppole marchigiane
Le zeppole marchigiane hanno sempre forma di ciambella e non sono mai accompagnate da crema o da amarene. Insieme con arancini, frappe, cicerchiata e castagnole compongono il quintetto dei dolci carnevaleschi marchigiani. All'impasto spesso si aggiunge come aroma rum o anice (spesso presente nei dolci marchigiani) e la buccia di limone grattugiata.

Zeppole di Nocelleto
Sono un tipico dolce di Carnevale conservato e tramandato per tradizione a Nocelleto di Carinola e nei paesi del territorio di Carinola (CE). Le origini di questo dolce non sono certe, potrebbero essere di epoca romana per composizione della pastella di base - anche se alcuni dei principali ingredienti sono stati nel tempo sostituiti, ad esempio il miele con lo zucchero - o potrebbero essere correlate all'episodio attribuito a Papa Gelasio nel V secolo che, per sfamare i pellegrini francesi giunti a Roma per la festa della Candelora, sancì in un certo senso l'origine ufficiale di una "cugina" della zeppola nocelletese, ovvero la crespella o crêpe o pan cake, e la sua diffusione. Sta di fatto che ancora oggi questo particolarissimo e gustosissimo dolce, viene cucinato in tegame in cotto; questo tegame per la sua forma è comunemente chiamato “ruoto” (tradotto in italiano significa teglia rotonda) - ruoto pà 'zeppula - ed ha dimensioni che variano dai 20 ai 30 ai 40 cm di diametro con una serie di forellini concentrici da 1–2 mm nella parte centrale ed è rigorosamente costruito a Cascano (l'antica Gallicanum), rinomata per i laboratori e per le fornaci ove lavorare e cuocere la terracotta (famose le anfore per il trasporto del vino Falerno nell'antica Roma). Il dolce originariamente era considerato il “dolce dei poveri” in quanto costituito da ingredienti semplici come farina, acqua, buccia di limone grattugiato, uova, sale, sugna e farcito da zucchero; a questi ingredienti nella versione attuale sono stati aggiunti, cannella, vaniglia ed anice. Riuscire a preparare, cuocere ed ottenere una zeppola è improbabile se almeno una volta non si è assistito al suo procedimento dal vivo. In particolare la cottura della zeppola avviene in maniera indiretta, per induzione nel “ruoto” di terracotta portato a una specifica temperatura e quindi non per cottura sul fuoco. Il risultato che si ottiene è una sorta di crespella omogeneamente bucherellata come un nido di ape. Una volta solidificato, l'impasto è rimosso dal "ruoto" per guarnirne la superficie con dello zucchero granulare (nelle versioni più moderne anche con marmellata o con crema alla nocciola). Generalmente la zeppola viene mangiata calda e non è tagliata a fette in quanto, viene come da tradizione piacevolmente “strappata” con le mani.


Agedashi tofu

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L'agedashi tofu (o agedashi dofu, 揚げ出し豆腐 Agedashi dōfu) abbreviato spesso age tofu o age dofu, è un modo per preparare il tofu caldo giapponese. Il silken tofu (kinugoshi), tagliato a cubetti, viene spolverato leggermente di fecola di patate o maizena e fritto fino alla doratura. Viene quindi servito in un brodo caldo tentsuyu fatto di dashi, mirin e shō-yu, e coperto con negi tritata finemente, daikon grattugiato o katsuobushi.
L'agedashi tofu è un piatto antico e molto conosciuto. Venne incluso nel Tōfu Hyakuchin (letteralmente "Cento Tofu"), un libro di ricette sul tofu pubblicato nel 1782.

Ají de gallina

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L'ají de gallina è un piatto originario del Perù, consistente in una crema spessa composta da gallina precedentemente cotta e poi sminuzzata che si cuoce in una pentola aggiungendo gradatamente il brodo di gallina finché si inspessisce. Per raggiungere lo spessore necessario si aggiungono pezzi di pane bagnati nel brodo o nel latte.
Alla crema viene aggiunto l'ají amarillo (Capsicum baccatum), un peperoncino peruviano che fornisce al piatto un colore giallastro e un gusto piccantino. Questa crema viene servita con patate cotte e/o riso bianco. È tipico rimpiazzare la gallina con il pollo e in alcune ricette si aggiunge alla crema pecanas e formaggio parmigiano.

Origini

Riguardo alle origini, il piatto attuale deriverebbe dalla fusione di ingredienti spagnoli e quechua; in particolare la gallina sarebbe stata sostituita da un altro volatile (noto come hualpa) prima della conquista spagnola.
Il piatto si è poi esteso ad altri paesi dell'America Latina.
In alcuni libri di ricette si possono trovare piatti chiamati ají de huevo e ají de atún che sono varianti dell'ají de gallina inventati da alcuni cuochi modificando la ricetta originale.

Arare

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L'arare (あられ letteralmente grandine), è un prodotto tipico della cucina giapponese, si tratta di una specie di cracker composto da riso glutinoso, viene aromatizzato con salsa di soia, ricorda per caratteristiche il senbei ma se ne differenzia per forme e dimensioni.
Viene consumato solitamente durante l'Hinamatsuri (雛祭り, ovvero la festa delle bambole), il 3 marzo di ogni anno.

Varianti

Esistono diversi tipi di arare:
  • Norimaki arare;
  • Kaki no tane (柿の種);
  • kakipī (かきピー), si tratta di kaki no tane accompagnate con le arachidi.

Cenni storici

Sono state importate negli Stati Uniti d'America da degli immigrati giapponesi nei primi anni del XX secolo. Si diffusero presto nelle isole Hawaii; la merenda viene chiamata kakimochi o crunch mochi, ed è normalmente consumata assieme al popcorn.

Arepa

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L'arepa (plurale: arepas), è un piccolo pane di forma circolare preparato con farina di mais bianco (o, alternativamente, giallo). Il nome deriva probabilmente da erepa, il termine indigeno venezuelano per questo tipo di pane.

Storia

La pietanza era preparata e consumata dalle popolazioni indigene precolombiane residenti nei territori dell'attuale Venezuela, Colombia e Panama, che ancora oggi lo considerano un piatto nazionale tradizionale, in particolare Venezuela e Colombia.

Ingredienti

Dalla metà circa del XX secolo la farina originale è stata sostituita da quella precotta, prodotta industrialmente, che rende molto più rapidi i tempi di realizzazione. La farina di mais è priva di glutine, ed è perciò adatta ai celiaci.
Le arepas possono essere consumate come un pane, oppure come portata a sé stante; in questo caso si farciscono a piacere, di solito con jamón (prosciutto) o queso (formaggio).
Gli ingredienti base sono:
  • farina di mais bianco
  • acqua
  • sale q.b.

Preparazione

La preparazione delle arepas è estremamente semplice. Si mescolano gli ingredienti, avendo cura di versare l'acqua a poco a poco, così da ottenere un impasto morbido ma abbastanza consistente; si lascia la massa a riposare, coperta, per circa 20-30 minuti. Dall'impasto si ricavano poi delle palline e si schiacciano per formare dischetti alti circa 5 mm. Si scalda una piastra o una padella (con o senza olio, purché non attacchi) e si mettono le arepas a cuocere per pochi minuti, girandole per uniformare la cottura.

Attiéké

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L'attiéké (pronunciato anche acheke) è una pietanza a base di manioca tipica della cucina della Costa d'Avorio, in Africa.
Il piatto è preparato con la polpa fermentata della manioca fermentata che poi viene grattugiata o fatta a granelli. L'attiéké può anche essere essiccata, con aspetto simile al cuscus.
L'attiéké è una ricetta originaria della Costa d'Avorio meridionale, ma è conosciuta in tutto il paese e anche in Benin. In Costa d'Avorio viene servito spesso con il kedjenou, uno stufato cotto lentamente.
L'attiéké fresco si deteriora rapidamente, pertanto deve essere consumato entro 24 ore dalla preparazione: la sua veloce deteriorabilità ha creato alcuni problemi nella sua distribuzione di massa sia nelle aree rurali che nelle zona urbane.
Nell'ambito urbano L'attiéké era all'origine una ricetta per la classe media e i poveri.
Ha conosciuto una popolarità con un piatto che si chiama «Garba» che è un piatto composto d'attiéké e pesce fritto.
Il garba era il piatto preferito della classe media e dei poveri perché era economico e permetteva ai lavoratori di fare il pranzo senza spendere troppi soldi; la maggior parte dei lavoratori in costa d'avorio lavora lontano dalle proprie case e con problemi di trasporti pubblici è difficile ritornare a casa per il pranzo.
Oggi L'attiéké è diventato il piatto preferito di tutta la popolazione; consumare L'attiéké fa parte oggi della cultura ivoriana.
in occasione di feste, celebrazioni e altre cerimonie in costa d'avorio è fondamentale avere L'attiéké per offrire una bella festa o una piacevole cerimonia.
L'attiéké oggi ha preso una dimensione internazionale per il fatto che gli emigrati della costa d'avorio ne hanno fatto la promozione e la pubblicità. Altre persone di nazionalità generalmente africane hanno inserito il consumo di Attiéké nelle loro abitudini alimentari. Anche cinesi e bangladesi consumano e vendono l'Attiéké in Europa.
Il problema principale dell'Attiéké resta il suo rapido deterioramento che costituisce la sua debolezza nella distribuzione a livello industriale in tutto il mondo.

Storia

L'attiéké deriva dal termine "adjèkè" della lingua ébrié parlata nel sud della Costa d'Avorio nella zona di Abidjan. In origine, e a volte ancora oggi, le donne di etnia Ebrie non preparano la ricetta allo stesso modo di quella reperibile in commercio: pertanto, nel luogo di origine, il termine adjèkè viene usato per indicare il prodotto preparato per il commercio o per la vendita, al fine di distinguerlo dal prodotto preparato e consumato a casa (chiamato "Ahi"). I commercianti di lingua bambara hanno diffuso la parola storpiandola in "atchèkè", mentre i coloni francesi (certamente per motivi estetici) hanno trascritto il nome in "attiéké"; ad ogni modo, nelle strade, il nome viene spesso pronunciato "tch(i)Eke", elidendo la lettera iniziale.
L'attiéké è una specialità culinaria di alcuni popoli delle laguna (Ebrie, Adjoukrou, Alladian, Avikam, Attie e Ahizi) nel sud della Costa d'Avorio e viene tradizionalmente preparato dalle donne, che si raccolgono in gruppo nel proprio villaggio per la preparazione. Il suo consumo è così diffuso che sono state studiate e create apposite piante per ottenere una speciale variante di manioca.
Nel 1979 è stata creata la Società ivoriana di tecnologia tropicale (Société Ivoirienne de Technologie Tropicale - I2T), che grazie alle ricerche di M. Diarra e A. Umar, ha facilitato il lavoro dei produttori di attiéké, soprattutto modernizzando la produzione per produrre attiéké di maggiore qualità e massimizzare i profitti. Da allora l'attiéké ha conosciuto una diffusione di successo in Costa d'Avorio e viene anche esportato - disidratato - nei paesi europei, mentre il prodotto finito a forma di palla (abituale presentazione locale) viene venduto anche in altri paesi africani della sub-regione occidentale.
Negli ultimi anni, con l'aumento dell'emigrazione ivoriana, è diventato una prodotto esportato in Europa, soprattutto in Francia e Belgio, dove viene venduto disidratato, fresco o surgelato in confezioni di circa 500 grammi. Dovendo però rispettare gli standard di sicurezza alimentare, il prodotto deve essere confezionato e quindi viene venduto a circa 2 euro (1.200 franchi CFA), pari a 10 volte il prezzo di acquisto per lo stesso prodotto acquistato in Costa d'Avorio.

Preparazione

La manioca viene pelata, schiacciata e mescolata con una piccola quantità di manioca precedentemente fermentata e che costituisce il lievito, chiamato con termini diversi a seconda del gruppo etnico che lo produce ("mangnan" dagli Ebrie, "lidjrou" dagli Adjoukrou e "bêdêfon" dagli Allandjan). La pasta viene lasciata fermentare per uno o due giorni e al termine l'acido cianidrico (presente in grande percentuale nella manioca naturale) viene eliminato, la polpa viene disidratata, schiacciata, essiccata e vagliata. Si effettua infine la cottura finale della polpa a vapore. Dopo pochi minuti di cottura, l'attiéké è pronto per il consumo.

Varianti

Abgodjama

Si tratta di un attiéké preparato con cereali diversi dagli altri: i grani sono di grandi dimensioni e questo attiéké viene generalmente preparato per il consumo da parte delle popolazioni della laguna. Viene usata una varietà di manioca di alta qualità e costa di più rispetto alle altre varietà, per questo è spesso difficile da trovare.

Attiéké di grano piccolo

Questa ricetta è quella più diffusa in commercio (e meno costosa) e utilizza cereali di più piccole dimensioni rispetto all'agbodjama.

Attieke di Garba

Come suggerisce il nome, questa varietà viene preparata per accompagnare il garba, altra tipica pietanza ivoriana a base di tonno. Viene utilizzata la manioca macinata in piccolissimi granelli mescolati, da cui si ricava una pasta di manioca fermentata con un sapore molto forte e amaro. Inoltre, la fase di fermentazione è sostituita da una vagliatura che conferisce al piatto un composto molto regolare e con grani più agglomerati con un sapore molto acido. La manioca utilizzata è spesso di minore qualità in quanto sono ancora presenti le fibre della manioca. La sua diffusione e vendita è minore rispetto all'attiéké di qualità.

Differenza con il cuscus

L'attiéké ha un gusto leggermente acido ed un odore deciso. I palati meno raffinati non sentono alcuna differenza con il cuscus di grano, anche se il colore più chiaro dell'attikè, la sua consistenza più elastica e appiccicosa, l'aspetto leggermente traslucido lo differenziano sensibilmente dal cuscus. Anche il suo profumo è tipico. La più grande differenza sta nel fatto che l'attiéké è un prodotto fermentato, mentre il cuscus è un prodotto derivante direttamente dalla macinazione del grano.

Accompagnamento

L'attieke è tradizionalmente consumato come accompagnamento alla carne o al pesce, spesso anche con la salsa (trasparente o semitrasparente) tipica del sud della Costa d'Avorio. Può essere mangiato con le mani dopo aver formato palline. L'attiéké può anche essere mangiato con le uova in omelette per cena o come spuntino: questo pasto è di solito accompagnato da una miscela di cipolle e pomodori tagliati a dadini ed aromatizzati con spezie e aceto. L'attiéké può accompagnare anche frutti come l'avocado e talvolta le arachidi tostate.

Caratteristiche

L'attieke è generalmente considerato un prodotto soporifero e che sazia molto, grazie al suo alto contenuto di amido. L'attiéké è composto per più del 95% da carboidrati e ha un basso contenuto di grassi (circa il 2%) e proteine (meno del 2%). Il suo valore calorico è piuttosto basso, con circa 350 kCal per 100 g.
L'attieke è un cibo popolare, soprattutto per la popolazione povera in quanto dà l'impressione di mangiare a sazietà per un prezzo basso (nel 2009 il prezzo era di circa € 0,15 per 100 g).


 
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