Focaccia di zucca

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La Focaccia di Zucca, o Farinata di Zucca, è una preparazione storica culinaria a base di sfoglia di farina di grano e ripieno di zucca, presente da tempo nella cucina genovese, è normalmente venduta in ambito tradizionale in negozi “di pronto consumo” tipici, dette “Sciamadde” o “Fainotti”, spesso assieme ad altri tipi di torte salate e della tipica farinata di ceci; la farinata di zucca si ritiene originata in Genova, e nei borghi periferici di Sestri Ponente, Pegli, Pra' e Voltri, ma è oggi presente anche nei territori suburbani di Genova e in molti borghi costieri della Liguria. Questo cibo popolare fra i più poveri, tipicamente ligure, è diventato un piatto aristocratico, perché difficile da trovare in commercio e perché nelle case è preparato nelle occasioni particolari.

Informazioni Generali
Descrizione
Il nome storico è "farinata di zucca", ma non è una farinata con zucca e nemmeno una torta di zucca: è un prodotto da forno analoga alla torta di bietole, una pasta con stesa sopra una miscela di zucca grattugiata, uova, una piccola quantità di semola di grano oppure farina di mais, formaggio parmigiano grattugiato, aromi come origano e sale.

Contenuto nutrizionale
Il contenuto nutrizionale è alquanto basso, essendo largamente diluito dalla zucca. È saporita, ed ha una delicata miscela di dolce salato; ha buon potere saziante immediato, ma un modesto potere di indurre sazietà durevole, essendo poco calorica, in quanto il sapore dolce deriva dal fruttosio della zucca, che è assimilato molto rapidamente.

Varianti
Tagliare la zucca a dadini e farla stufare finché sia diventata molle e l'acqua si sia asciugata e poi passare al passaverdure ottenendo un puré di zucca che si aggiunge alla farina e si fa un unico impasto, e che si cuoce direttamente come per la farinata di ceci.

Ricetta
Ingredienti
Per 10 persone:
  • 1/2 kg farina.
  • 5 g lievito di birra.
  • 5 g sale 5.
  • 40 g olio extravergine d'oliva (4 cucchiai da cucina).
  • 100 g acqua.
  • 1/2 kg zucca.
  • Aromi eventuali: pepe, o aglio e prezzemolo, o aglio e cipolla, o origano.
Preparazione
  1. Preparare una pasta di pane a sfoglia: sciogliere il lievito di birra in 100 g di acqua tiepida.
  2. Aggiunge l'olio, il sale e sbattere con una forchetta, poi aggiungere la farina.
  3. Impastare questi ingredienti e lasciar lievitare minimo 6 ore.
  4. Si impasta e si produce una sfoglia sottile, del diametro di circa 40 cm, e si pone in una teglia oliata.
  5. Pulire e grattugiare la zucca. Farla scolare per un paio di ore.
  6. Spargere la zucca uniformemente in strato sulla pasta, fino in vicinanza dei bordi.
  7. Aggiunge sale e quattro cucchiai di olio.
  8. Si pone in forno caldissimo per mezz'ora, nella parte più alta, e senza aprirlo per almeno 15 minuti. Poi si incomincia a controllare e si sforna quando i bordi della focaccia sono appena appena colorati, dopo circa venti minuti, dipende dal forno.
  9. Sfornare e lasciare raffreddare a temperatura ambiente (toglierla subito dalla teglia se questa è di rame).
  10. Servire già tagliata su piatto di portata.
Consigli
Questa focaccia di zucca può essere servita per colazione o merenda. Può essere servita a dadini assieme al cocktail, come antipasto o come primo piatto, non è un secondo né un contorno ma è un piatto di mezzo e può essere piatto unico.
Naturalmente ad eccezione dell'accompagnamento al cocktail, può essere meglio gustata con un vinello fresco, bianco, leggero, tipo Lumassina in una mattinata tipica, oppure un Orvieto, un Soave o un Riesling in un pranzo rustico, infine uno Chablis per una serata raffinata.


Ankimo

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L'ankimo (鮟肝) è un piatto giapponese a base di fegato di rana pescatrice.

Preparazione
Il fegato viene prima strofinato con sale, quindi risciacquato con il sake. Poi le sue venature vengono selezionate e il fegato viene arrotolato in un cilindro e cotto a vapore. L'ankimo viene spesso servito con momiji-oroshi (daikon grattugiato con peperoncino), scalogno e salsa ponzu tagliati a fettine sottili.

Utilizzo
L'ankimo è considerato uno dei chinmi (prelibatezze) del Giappone. È elencato al numero 32 dei 50 cibi più deliziosi del mondo, compilato da CNN Go nel 2011.




Arròs a banda

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L'arròs a banda (letteralmente, riso separato) è un piatto di riso tipico della zona costiera della Provincia di Alicante (Comunità Valenziana), estendendosi la sua popolarità nel Levante spagnolo, dalla Regione di Murcia, fino il Garraf, nella provincia di Barcellona (Catalogna). Si tratta di un tipico riso mediterraneo, proprio della tradizione dei pescatori, che preparavano un brodo o fondo di pescato di scarso valore, normalmente la morralla (pesce con molte spine, poca polpa e forte sapore), ñora e aioli; con questo brodo si cucina prima un riso separato (a banda) dal pescato e un altro giorno si cucina un brasato con quel brodo nel quale galleggia l'aioli, patata e il pescato sminuzzato. Viene chiamato caldero in alcuni luoghi come Tabarca, Santa Pola, Torrevieja, Guardamar del Sicura o Ibiza. È abitudine che questo riso si serva con un condimento denominato salmorreta.

Caratteristiche
Basicamente la ricetta consiste nel cuocere il riso in un brodo di pescato economico e con molte spine chiamato morralla che nel mercato aveva scarso valore e costituiva il sostentamento dei pescatori poveri che riservavano le specie più pregiate per la vendita. Poco a poco si comincia ad elaborare con brodi di frutti di mare e di pesci più pregiati.
Il primo passo è che nel brodo di morralla, con un soffritto di aglio, ñora e teste di pesce, si cuociono le patate e, dopo che siano cotte, si servono in un piatto da minestra. Questo brasato si chiama caldero marinaio e si serve accompagnato dell'aioli o ajoaceite (messi da parte o in una salsiera). La seconda parte consiste nell'utilizzare il resto di "fondo" di pesce a cui era stato aggiunto il soffritto, dove possiamo cucinare un riso nella padella larga utilizzata comunemente per la paella senza aggiungere nient'altro. Questo riso si mangia separatamente dal pesce, arròs a banda, appunto. È un'autentica ricetta di pescatori, che si ingegnavano per ottenere due piatti dagli stessi ingredienti. L'aioli è un condimento fondamentale in questi piatti, e forniva calorie in aggiunta.
Un riso simile a questo è il riso del senyoret, che è sempre fatto con il brodo del pescato ma, a differenza dell'arròs a banda, contiene gamberi sgusciati, cernia o calamaro a pezzi. Il nome del senyoret (del signorino) si deve al fatto che tutti i tranci di pesce utilizzati sono stati puliti, si mangia direttamente, non bisogna pelarli né tagliarli. Questi due tipi di riso non si devono confondere.
Da notare che, nella Murcia, il riso del senyoret si chiama comunemente "arroz a banda" e si mangia direttamente senza dovere pelare i tranci; mentre l'arròs a banda qui descritto, viene indicato come Caldero, Caldero cartagenero o Caldero del Mare Minore.



Frittelle di patate

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Le Frittelle di Patate sono frittelle il cui ingrediente principale è la patata.

Informazioni Generali
Frittelle
Le Frittelle sono vivande fritte di forma solitamente tondeggiante. Possono essere sia dolci che salate.

Storia
Questo piatto, anticamente diffuso in gran parte del Mediterraneo, si dice che fosse conosciuto ai tempi dell'Antica Roma, e probabilmente ancor prima di essa. Infatti gli antichi romani chiamavano questi dolci frictilia. In seguito il piatto ebbe nuovo sviluppo in terra spagnola per poi diffondersi ovunque. In Italia svariate regioni lo annoverano tra i propri piatti tipici o a marchio P.A.T. o Dop e ognuno dà a questa pietanza un diverso nominativo. Consumate abitualmente o durante le festività, le frittelle vengono mangiate in molti paesi del mondo.
Anche a Venezia le frittelle ebbero un successo clamoroso fino a che furono nominate il dolce nazionale della Repubblica Serenissima, in tutto il territorio veneto e friulano divennero presto amate da tutti; le frittelle non venivano fatte da chiunque, solo dai cosiddetti "fritoleri". Il mestiere dei "fritoleri" era una vera e propria corporazione che si era divisa il territorio nella propria area di esclusività, vi si poteva entrare solo avendo un padre "fritolero" e questa strategia permise alla corporazione di sopravvivere fino alla fine del diciannovesimo secolo.

Tipi di frittelle
Le frittelle sono confezionate in un modo diverso e tipico in paesi diversi:
  • Krapfen
  • Frìtole
  • Castagnole
  • Farsò; frittelle di San Giuseppe
  • Frittelle di riso di san Giuseppe
  • Frittelle di Carnevale (Castel Goffredo)
  • Frittelle di San Giuseppe di Pitigliano
  • Patacia
  • Pancake
  • Loukoumades
  • Laciada
  • Panella
  • Pastacresciute
  • Zeppola
  • Churro
  • Seadas
  • Zeppola di riso
  • Frittelle di San Martino (Molfetta)
Ricorrenze
  • Il 30 aprile si celebra ad Isnello (PA) l'annuale Sagra della Frittella.
  • In maggio a Sambuca Val di Pesa, frazione di Tavarnelle Val di Pesa, si celebra la sagra della frittelle cucinate con i fiori di acacia.

Curiosità
  • La ricetta delle frittelle (1300) viene identificata come il più antico documento di cucina veneziana. Viene custodito nella Biblioteca Nazionale Canatense a Roma.
Abbinamenti consigliati
  • L'Alta Langa spumante rosato, ha un sentore che ricorda il lievito, la crosta di pane e la vaniglia, di sapore secco, sapido ben strutturato, perciò può esser servito come spumante da dolci e da dessert a tavola, fresco, ad una temperatura di 9-11 °C. L'Alta Langa spumante rosato ben si accompagna ai fritti in generale, quindi ideale col suo sapore secco ripulire il dolciume delle frittelle.
  • Monferrato Chiaretto o Ciaret.
Ricetta
Ingredienti
Per 3-4 persone:
  • 1/2 kg di patate.
  • 30g di lievito di birra.
  • 1 limone.
  • 1 bicchiere di latte.
  • 1 bicchiere di mistrà.
  • 2 uova.
Preparazione
Si cuociono le patate sbucciate e si passano con il passaverdura; ci si mettono poi il lievito di birra, lo zucchero, la farina e si fanno lievitare per una ventina di minuti. L'impasto ottenuto si divide in pezzi a cui si dà la forma di ciambella. Quindi si friggono in padella con olio bollente. Una volta tolte dall'olio, ci si mette una spolverata di zucchero a velo e infine si mangiano calde o fredde.

Variante
Alla fine della cottura, anziché spolverare con zucchero a velo, unire a dello zucchero semolato un po' di cannella in polvere. Passare le ciambelle, ancora bollenti, in questa mistura. Consumare rigorosamente fredde.



Anago

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Anago (穴 子, o ア ナ ゴ) è la parola giapponese per un tipo di grongo (Conger myriaster) usata in Italia in riferimento al suo impiego nelle preparazioni culinarie tipiche del Giappone. L'anago spesso è cotto a fuoco lento (sushi) o fritto (tempura).

Caratteristiche e preparazione
Spesso confuso con l'unagi rispetto a questo ha una consistenza molto morbida e meno grassa, e un gusto più dolce, ma leggermente meno ricco.
I giapponesi raramente mangiano sushi di unagi preferendo mangiare il sushi di anago che è invece molto popolare e importante.
Esistono due tipi di stili di preparazione per questo scopo: alla griglia o lo stile bollente.
Quest'ultimo consiste nell’aprire i gronghi in due longitudinalmente e nel rimuovere la lisca. Poi, facendo bollire le teste in acqua, viene preparato il dashi nuovo, una sorta di brodo. L'anago viene bollito nella salsa ottenuta mescolando il dashi appena ottenuto, la salsa di soia, del sakè e dello zucchero. Ogni volta che si prepara l'anago, alla nuova salsa viene aggiunta della salsa di Anago riutilizzata poiché le essenze di anago fluiscono nella salsa durante l'ebollizione. Questo fa sì che più viene usata la salsa reciclata, migliore è il suo gusto (viene ari usata anche per più di un anno). Il pesce viene fatto bollire circa 10 minuti con salsa mista vecchia e nuova.
Se preparato in tempura, viene fritto secondo i dettami di quello stile di cucina.

Impiego
Oltre all'impiego su nigiri sushi e in tempura, l'anago viene usato anche in molte preparazioni di origine regionale.
Ad esempio l'Anago Meshi lo prevede grigliato e servito su riso in salsa agro-dolce. Il riso è cotto in un brodo preparato con alghe kombu, testa e ossa di questi pesci. L'origine del piatto è nell'Anago Donburi, piatto tipico dei pescatori del Setonaikai modificato durante il periodo Meiji, quando divenne un pasto venduto a pranzo nelle stazioni ferroviarie. Molto apprezzato il piatto divenne presto famoso e si diffuse su tutto il territorio nazionale lungo la linea ferroviaria Sanyō. Ancora oggi è molto popolare in Giappone ed è tutt’oggi venduto come pranzo nelle stazioni ferroviarie.
A Hiroshima viene tipicamente servito alla griglia con riso caldo. Anche le origini di questa preparazione risalgono all’epoca Meiji, quando lo si vendeva in contenitori bentō nelle stazioni ferroviarie.




Andarinos

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Gli andarinos sono una specialità di pasta artigianale esclusivamente realizzata a mano, autentica testimonianza di una tradizione contadina che affonda le radici nella storia più antica della Sardegna.

Storia
La loro origine è incerta, ma in assenza di ulteriori elementi è lecito supporre che si tratti di una tradizione nata in Sardegna. L'isola è stata una grande produttrice ed esportatrice di pasta fin dai tempi delle dominazioni genovese e pisana e continuò ad esserlo anche successivamente in seguito alla conquista spagnola. Le mete della pasta sarda erano soprattutto i porti catalani e quelli di Genova e Pisa, ne rimangono tracce nel basso Piemonte, a Ovada, dove ancora oggi vengono preparati gli “andarini”, descritti come una sorta di piccoli gnocchi o piccole trofie, che vengono serviti in brodo in occasione delle festività pasquali.
La prima testimonianza scritta dell'esistenza degli andarinos si deve nel XVII secolo al “visitatore reale” Martin Carrillo, inviato in Sardegna dal re Filippo III di Spagna affinché riferisse circa le situazioni socio-economiche e giudiziarie dell'Isola. Nella sua relazione, redatta a Barcellona nel 1612, si legge il resoconto di un pranzo offerto dal dottor Antiogo Marcello di Mamoiada, nel quale vennero serviti tra le tante pietanze anche “los andarines”.
All'inizio del XVIII secolo, il padre domenicano Jean-Baptiste Labat indicò gli “andarini” tra le paste artigianali prodotte dalle donne sarde. Nella sua relazione, il religioso si soffermò ironicamente sul fatto che la lavorazione manuale della pasta artigianale, non richiedendo una grande attenzione, non impedisse alle donne di chiacchierare tra di loro, un esercizio, definito dal padre Labat, “comune a tutto il gentil sesso”.
Li troviamo poi citati come “andarinus” nel vocabolario sardo-italiano di Giovanni Spano, stampato del 1851-52, indicati come “specie di minestra che fanno le donne coi pezzetti di pasta compressi nel crivello”.
Intorno alla fine del secolo scorso erano rimaste poche testimonianze dell'esistenza degli andarinos, lasciate alle mani sapienti di poche anziane donne rimaste depositarie di questa antica manualità, le quali, tramandandone la memoria li hanno tenuti in vita solo nel paese di Usini, mentre risultano scomparsi nel resto della Sardegna. Erano, queste donne, le eredi dell'antica tradizione contadina, di quel prezioso lavoro femminile e domestico legato più che altro alla panificazione, e rispetto al quale la produzione della pasta era una conseguenza diretta della manipolazione delle farine e delle semole utilizzate per la preparazione del pane.
La pasta confezionata in casa era un alimento tanto prezioso da essere consumato nei momenti festivi in famiglia (domeniche, feste patronali, Natale, Pasqua) oppure collettivamente in occasione dei matrimoni o delle feste campestri.
A partire dal 2000 la Pro Loco di Usini ha riscoperto e rivalutato questa pasta artigianale, riproponendola e facendola conoscere attraverso l'edizione di una sagra di consolidato successo, giunta, nel 2015, alla sua sedicesima edizione. La manifestazione “Andarinos de Usini” ha costituito un importante volano per la rivalutazione di questa tipologia di pasta, tanto che si sono moltiplicate le persone, anche tra le più giovani, che ne hanno appreso la tecnica di lavorazione, per cui si può affermare con soddisfazione il successo e l'efficacia di un'operazione di salvaguardia di questo prodotto alimentare unico nel suo genere, le cui forme e sapori possono definirsi distanti anni luce dall'omologazione delle paste di realizzazione industriale.
Poiché nulla è stato finora fatto per favorire la produzione meccanica di questo tipo di pasta, gli andarinos vengono ancora oggi preparati rigorosamente a mano, con l'antica e sempiterna tecnica di lavorazione che prevede la formazione di un impasto di semola di grano duro e acqua con l'aggiunta del sale. Il composto così ottenuto, elastico e omogeneo, viene assottigliato e poi frammentato in listelli di tre o quattro centimetri, i quali vengono premuti su una superficie rigata e fatti roteare con tre o quattro movimenti rapidi e calibrati del polpastrello, che conferiscono al prodotto finale una forma elicoidale, simile ad un piccolo fusillo o alla trofia genovese. A differenza di queste ultime tipologie di pasta, gli andarinos sono decorati dalle rigature a rilievo, ottenute grazie alla pressione esercitata sulla superficie di un vetro rigato o di un “chiliru” di giunco o di asfodelo. Ancora oggi, terminata la fase della lavorazione, la pasta fresca viene essiccata, esponendola al sole per alcune ore, stesa sui “canistreddos”. Gli andarinos essiccati si devono poi cuocere per venti minuti in acqua salata e si condiscono con un “ghisadu” di carni miste (pecora, manzo e maiale) e con una grattata di pecorino sardo.


Fonduta al raschera

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La Fonduta al Raschera è un ottimo piatto consumato così com'è, ma in realtà si tratta di un semilavorato. Questa fonduta dal sapore piccante e un po' amarognolo è perfetta per accompagnare verdure lessate (poco) e poi leggermente saltate in padella (poco) con un po' d'olio.
Ad esempio un piatto tipico piemontese è la fonduta al raschera con i cardi. I cardi in questo caso vanno sbollentati, fatti a fette e cotti con poco olio in padella a fuoco vivo sino a che si ricoprono di una superficie ambrata. A questo punto sistemare nel piatto un poco di fonduta e sopra due tre fette di cardo. Gustosissimi anche i finocchi, trattati allo stesso modo del cardo.

Informazioni Generali
Raschera
Il Raschera (DOP) è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta e riconosciuto nella sua tipologia d'alpeggio come presidio Slow Food.

Territorio
Una fetta di Raschera confezionata con pellicola alimentare per la grande distribuzione. Il nome Raschera deriva dal nome di un pascolo e di un lago situati ai piedi del monte Mongioie (2.630 m s.l.m.) situata nel comune di Magliano Alpi sulle Alpi Marittime in provincia di Cuneo.

Descrizione
Il disciplinare di produzione distingue due tipi di formaggio Raschera:
  • Raschera d'alpeggio: che è prodotto e stagionato esclusivamente nei comuni di Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Roburent, Roccaforte Mondovì, Pamparato, Ormea, Garessio e Magliano Alpi.
  • Raschera prodotto e stagionato in tutto il territorio della provincia di Cuneo.
La forma è quadrata o tonda, la stagionatura minima è di un mese ma ne esistono anche a stagionatura più lunga con sapore più accentuato. Il latte utilizzato è quello vaccino, addizionato in alcuni casi con modeste quantità di latte di capra o di pecora.

Sagre
A Frabosa Soprana e ad Ormea si organizza tutti gli anni una sagra del Raschera dove si può acquistare il formaggio.

Ricetta
Ingredienti
Per 4 persone:
  • 100 grammi raschera (Il raschera è un formaggio d'alpeggio o di malga, a latte crudo, tipico del cuneese).
  • 100 grammi di panna (La panna è necessaria per la perfetta soluzione del formaggio. Il latte non è adatto e produce molti grumi. Latte + olio va meglio, ma potrebbe alterare il sapore).
  • 1 rosso d'uovo.
Preparazione
  1. Tagliare a tocchetti piccoli il formaggio, mettere in un piccolo tegame (14 cm.) dai fianchi alti e ricoprire di panna. La panna dovrebbe riempire gli interstizi del formaggio che dovrebbero appena vedersi sopra la panna (per inciso questo è il metodo per capire quando la panna è sufficiente).
  2. Porre il tegame sul fuoco a bagnomaria (Per cottura a bagnomaria si intende una cottura che avviene con due recipienti uno dentro l'altro. Il recipiente più grosso è riempito con acqua. Questo accorgimento permette alla fiamma di non arrivare in diretto contatto con il recipiente più piccolo dove c'è il prodotto e consente una perfetta distribuzione del calore ( e mescolare fino a che è completamente fuso e la miscela ha incorporato un poco di aria (si sente il rumore caratteristico scuotendo il cucchiaio).
  3. Quando la miscela è perfettamente omogenea spegnere il fuoco ed aggiungere il rosso d'uovo sbattuto con un goccino d'acqua, continuando a mescolare e rimettere per circa un minuto nel bagnomaria.
  4. A questo punto la fonduta è pronta per l'utilizzo che deve avvenire nei primi minuti immediatamente successivi, perché raffreddandosi tende rapidamente a raddensare.
Consigli e regolazioni
Se la fonduta appare troppo liquida è possibile aggiungere poca farina (1/2 cucchiaino) o un po' d'olio per raddensare.


 
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