Ci sono piatti che non raccontano solo una ricetta, ma un intero paesaggio culturale. I cappellacci di zucca, orgoglio della cucina ferrarese, sono molto più di un semplice primo: sono la sintesi di una tradizione agricola, di una manualità antica e di una tavola che ha sempre saputo coniugare semplicità e raffinatezza. Nati nel cuore dell’Emilia-Romagna e riconosciuti nel 2016 come I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta), i cappellacci di zucca rappresentano il legame indissolubile tra terra e cucina, tra la coltivazione di un ortaggio umile come la zucca e l’arte raffinata della pasta fresca all’uovo.
La loro storia affonda le radici nel XVI secolo, quando Giovan Battista Rossetti, scalco della corte estense, descrisse in un ricettario del 1584 i “tortelli di zucca con il butirro”. Quella preparazione, che a palazzo si distingueva per equilibrio di dolce e salato, ha conosciuto nel tempo una metamorfosi linguistica e gastronomica, assumendo la forma che oggi conosciamo come cappellaccio. Il nome stesso è legato alla forma rustica e grande, paragonata al cappello di paglia dei contadini ferraresi. Non un vezzo estetico, ma una dichiarazione d’identità: questa pasta non apparteneva più solo alle cucine nobili, ma diventava espressione popolare, elemento di festa e convivialità.
Nelle campagne della pianura padana, la zucca era un ingrediente che sfamava intere famiglie. Economica, nutriente e di lunga conservazione, rappresentava una risorsa preziosa durante l’inverno. La zucca violina, con la sua polpa asciutta e dolce, è rimasta fino a oggi la regina indiscussa del ripieno dei cappellacci. La si cuoce tradizionalmente in forno, esaltandone gli zuccheri naturali e rendendola perfetta per accogliere grana padano grattugiato, noce moscata e un tocco di sale. Il risultato è un ripieno equilibrato, che unisce la dolcezza vegetale alla sapidità del formaggio, creando una armonia capace di conquistare sia chi ama i gusti delicati sia chi ricerca contrasti decisi.
La sfoglia che racchiude il ripieno è l’altra protagonista del piatto. Non una semplice pasta, ma una vera opera d’arte manuale. Preparata con farina e uova fresche, viene stesa sottile con il mattarello e tagliata in quadrati regolari. Al centro si deposita il ripieno, poi il quadrato viene piegato a triangolo e chiuso premendo con decisione. Le due estremità vengono quindi unite intorno a un dito, formando quel caratteristico cappello che dà il nome al piatto. Ogni gesto, ripetuto per generazioni, porta con sé un sapere che non si impara solo sui libri, ma osservando e tramandando in famiglia.
I condimenti variano a seconda delle tradizioni locali. A Ferrara il ragù di carne resta la scelta più diffusa, un sugo corposo che abbraccia la dolcezza del ripieno con la forza della lunga cottura della carne. Nelle province vicine, invece, si preferisce un condimento più leggero: burro fuso e salvia, arricchito da una spolverata di grana, per esaltare la delicatezza del ripieno senza coprirne i profumi. Esistono anche versioni con sughi al pomodoro, prova dell’adattabilità del piatto, che ha saputo conquistare cucine e palati diversi mantenendo intatta la sua identità.
Oggi i cappellacci di zucca non sono solo un piatto domestico, ma anche protagonisti di sagre e manifestazioni. In autunno, con la raccolta delle zucche, le piazze della provincia di Ferrara si animano con fiere dedicate. A Pontelangorino si celebra la sagra della zucca, mentre a Coronella il “Palacaplàz” accoglie ogni anno la Sagra dal caplàz, dove migliaia di visitatori assaggiano le diverse varianti di questa specialità. È la prova che il cibo non è soltanto nutrimento, ma anche occasione di comunità, di memoria condivisa e di identità territoriale.
La ricetta dei cappellacci di zucca ferraresi
Ingredienti per 4 persone:
400 g di farina 00
4 uova fresche
800 g di zucca violina
100 g di grana padano grattugiato
noce moscata q.b.
sale q.b.
burro e salvia (per condire) oppure ragù di carne
Preparazione della sfoglia:
Disponete la
farina a fontana su una spianatoia, rompete le uova al centro e
iniziate a incorporare la farina con una forchetta. Impastate con le
mani fino a ottenere un composto liscio ed elastico. Avvolgetelo
nella pellicola e lasciatelo riposare almeno 30 minuti.
Preparazione del ripieno:
Tagliate la zucca a
fette e cuocetela in forno a 180 °C per circa 45 minuti, finché non
sarà morbida e asciutta. Eliminate la buccia e schiacciate la polpa
con una forchetta. Unite il grana, un pizzico di sale e la noce
moscata. Mescolate fino a ottenere un impasto omogeneo.
Formatura dei cappellacci:
Stendete la pasta
in una sfoglia sottile e tagliatela in quadrati di circa 7 cm per
lato. Ponete un cucchiaino di ripieno al centro di ogni quadrato.
Piegate a triangolo, sigillando bene i bordi, e unite le due
estremità intorno a un dito, premendo per farle aderire.
Cottura e condimento:
Lessate i cappellacci in
abbondante acqua salata per 3-4 minuti. Scolateli delicatamente e
conditeli a piacere: con burro fuso e salvia per una versione leggera
e profumata, oppure con un ragù di carne per una variante più ricca
e sostanziosa.
Il vino ideale per accompagnare i cappellacci di zucca dipende dal condimento scelto. Con burro e salvia si sposa alla perfezione un bianco secco e aromatico, come un Pignoletto dei Colli Bolognesi o un Sauvignon dell’Emilia, capaci di esaltare la dolcezza della zucca e il profumo della salvia senza sovrastarne la delicatezza. Se invece si opta per il ragù, l’abbinamento migliore è con un rosso morbido e avvolgente, come un Gutturnio dei Colli Piacentini o un Lambrusco Grasparossa, che con la loro struttura equilibrata sostengono l’intensità del sugo e rendono la degustazione completa.
Il cappellaccio di zucca, nella sua apparente semplicità, racconta un viaggio che parte dalle corti estensi, attraversa i campi della pianura e arriva fino alle tavole di oggi. È la dimostrazione di come la cucina sappia trasformare ingredienti poveri in capolavori gastronomici, mantenendo viva la memoria e costruendo legami tra generazioni. Prepararlo in casa non significa solo cucinare, ma partecipare a una tradizione che continua a vivere ogni volta che un quadrato di pasta si chiude intorno al suo ripieno dorato.
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