Agedashi tofu

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L'agedashi tofu (o agedashi dofu, 揚げ出し豆腐 Agedashi dōfu) abbreviato spesso age tofu o age dofu, è un modo per preparare il tofu caldo giapponese. Il silken tofu (kinugoshi), tagliato a cubetti, viene spolverato leggermente di fecola di patate o maizena e fritto fino alla doratura. Viene quindi servito in un brodo caldo tentsuyu fatto di dashi, mirin e shō-yu, e coperto con negi tritata finemente, daikon grattugiato o katsuobushi.
L'agedashi tofu è un piatto antico e molto conosciuto. Venne incluso nel Tōfu Hyakuchin (letteralmente "Cento Tofu"), un libro di ricette sul tofu pubblicato nel 1782.

Ají de gallina

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L'ají de gallina è un piatto originario del Perù, consistente in una crema spessa composta da gallina precedentemente cotta e poi sminuzzata che si cuoce in una pentola aggiungendo gradatamente il brodo di gallina finché si inspessisce. Per raggiungere lo spessore necessario si aggiungono pezzi di pane bagnati nel brodo o nel latte.
Alla crema viene aggiunto l'ají amarillo (Capsicum baccatum), un peperoncino peruviano che fornisce al piatto un colore giallastro e un gusto piccantino. Questa crema viene servita con patate cotte e/o riso bianco. È tipico rimpiazzare la gallina con il pollo e in alcune ricette si aggiunge alla crema pecanas e formaggio parmigiano.

Origini

Riguardo alle origini, il piatto attuale deriverebbe dalla fusione di ingredienti spagnoli e quechua; in particolare la gallina sarebbe stata sostituita da un altro volatile (noto come hualpa) prima della conquista spagnola.
Il piatto si è poi esteso ad altri paesi dell'America Latina.
In alcuni libri di ricette si possono trovare piatti chiamati ají de huevo e ají de atún che sono varianti dell'ají de gallina inventati da alcuni cuochi modificando la ricetta originale.

Arare

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L'arare (あられ letteralmente grandine), è un prodotto tipico della cucina giapponese, si tratta di una specie di cracker composto da riso glutinoso, viene aromatizzato con salsa di soia, ricorda per caratteristiche il senbei ma se ne differenzia per forme e dimensioni.
Viene consumato solitamente durante l'Hinamatsuri (雛祭り, ovvero la festa delle bambole), il 3 marzo di ogni anno.

Varianti

Esistono diversi tipi di arare:
  • Norimaki arare;
  • Kaki no tane (柿の種);
  • kakipī (かきピー), si tratta di kaki no tane accompagnate con le arachidi.

Cenni storici

Sono state importate negli Stati Uniti d'America da degli immigrati giapponesi nei primi anni del XX secolo. Si diffusero presto nelle isole Hawaii; la merenda viene chiamata kakimochi o crunch mochi, ed è normalmente consumata assieme al popcorn.

Arepa

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L'arepa (plurale: arepas), è un piccolo pane di forma circolare preparato con farina di mais bianco (o, alternativamente, giallo). Il nome deriva probabilmente da erepa, il termine indigeno venezuelano per questo tipo di pane.

Storia

La pietanza era preparata e consumata dalle popolazioni indigene precolombiane residenti nei territori dell'attuale Venezuela, Colombia e Panama, che ancora oggi lo considerano un piatto nazionale tradizionale, in particolare Venezuela e Colombia.

Ingredienti

Dalla metà circa del XX secolo la farina originale è stata sostituita da quella precotta, prodotta industrialmente, che rende molto più rapidi i tempi di realizzazione. La farina di mais è priva di glutine, ed è perciò adatta ai celiaci.
Le arepas possono essere consumate come un pane, oppure come portata a sé stante; in questo caso si farciscono a piacere, di solito con jamón (prosciutto) o queso (formaggio).
Gli ingredienti base sono:
  • farina di mais bianco
  • acqua
  • sale q.b.

Preparazione

La preparazione delle arepas è estremamente semplice. Si mescolano gli ingredienti, avendo cura di versare l'acqua a poco a poco, così da ottenere un impasto morbido ma abbastanza consistente; si lascia la massa a riposare, coperta, per circa 20-30 minuti. Dall'impasto si ricavano poi delle palline e si schiacciano per formare dischetti alti circa 5 mm. Si scalda una piastra o una padella (con o senza olio, purché non attacchi) e si mettono le arepas a cuocere per pochi minuti, girandole per uniformare la cottura.

Attiéké

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L'attiéké (pronunciato anche acheke) è una pietanza a base di manioca tipica della cucina della Costa d'Avorio, in Africa.
Il piatto è preparato con la polpa fermentata della manioca fermentata che poi viene grattugiata o fatta a granelli. L'attiéké può anche essere essiccata, con aspetto simile al cuscus.
L'attiéké è una ricetta originaria della Costa d'Avorio meridionale, ma è conosciuta in tutto il paese e anche in Benin. In Costa d'Avorio viene servito spesso con il kedjenou, uno stufato cotto lentamente.
L'attiéké fresco si deteriora rapidamente, pertanto deve essere consumato entro 24 ore dalla preparazione: la sua veloce deteriorabilità ha creato alcuni problemi nella sua distribuzione di massa sia nelle aree rurali che nelle zona urbane.
Nell'ambito urbano L'attiéké era all'origine una ricetta per la classe media e i poveri.
Ha conosciuto una popolarità con un piatto che si chiama «Garba» che è un piatto composto d'attiéké e pesce fritto.
Il garba era il piatto preferito della classe media e dei poveri perché era economico e permetteva ai lavoratori di fare il pranzo senza spendere troppi soldi; la maggior parte dei lavoratori in costa d'avorio lavora lontano dalle proprie case e con problemi di trasporti pubblici è difficile ritornare a casa per il pranzo.
Oggi L'attiéké è diventato il piatto preferito di tutta la popolazione; consumare L'attiéké fa parte oggi della cultura ivoriana.
in occasione di feste, celebrazioni e altre cerimonie in costa d'avorio è fondamentale avere L'attiéké per offrire una bella festa o una piacevole cerimonia.
L'attiéké oggi ha preso una dimensione internazionale per il fatto che gli emigrati della costa d'avorio ne hanno fatto la promozione e la pubblicità. Altre persone di nazionalità generalmente africane hanno inserito il consumo di Attiéké nelle loro abitudini alimentari. Anche cinesi e bangladesi consumano e vendono l'Attiéké in Europa.
Il problema principale dell'Attiéké resta il suo rapido deterioramento che costituisce la sua debolezza nella distribuzione a livello industriale in tutto il mondo.

Storia

L'attiéké deriva dal termine "adjèkè" della lingua ébrié parlata nel sud della Costa d'Avorio nella zona di Abidjan. In origine, e a volte ancora oggi, le donne di etnia Ebrie non preparano la ricetta allo stesso modo di quella reperibile in commercio: pertanto, nel luogo di origine, il termine adjèkè viene usato per indicare il prodotto preparato per il commercio o per la vendita, al fine di distinguerlo dal prodotto preparato e consumato a casa (chiamato "Ahi"). I commercianti di lingua bambara hanno diffuso la parola storpiandola in "atchèkè", mentre i coloni francesi (certamente per motivi estetici) hanno trascritto il nome in "attiéké"; ad ogni modo, nelle strade, il nome viene spesso pronunciato "tch(i)Eke", elidendo la lettera iniziale.
L'attiéké è una specialità culinaria di alcuni popoli delle laguna (Ebrie, Adjoukrou, Alladian, Avikam, Attie e Ahizi) nel sud della Costa d'Avorio e viene tradizionalmente preparato dalle donne, che si raccolgono in gruppo nel proprio villaggio per la preparazione. Il suo consumo è così diffuso che sono state studiate e create apposite piante per ottenere una speciale variante di manioca.
Nel 1979 è stata creata la Società ivoriana di tecnologia tropicale (Société Ivoirienne de Technologie Tropicale - I2T), che grazie alle ricerche di M. Diarra e A. Umar, ha facilitato il lavoro dei produttori di attiéké, soprattutto modernizzando la produzione per produrre attiéké di maggiore qualità e massimizzare i profitti. Da allora l'attiéké ha conosciuto una diffusione di successo in Costa d'Avorio e viene anche esportato - disidratato - nei paesi europei, mentre il prodotto finito a forma di palla (abituale presentazione locale) viene venduto anche in altri paesi africani della sub-regione occidentale.
Negli ultimi anni, con l'aumento dell'emigrazione ivoriana, è diventato una prodotto esportato in Europa, soprattutto in Francia e Belgio, dove viene venduto disidratato, fresco o surgelato in confezioni di circa 500 grammi. Dovendo però rispettare gli standard di sicurezza alimentare, il prodotto deve essere confezionato e quindi viene venduto a circa 2 euro (1.200 franchi CFA), pari a 10 volte il prezzo di acquisto per lo stesso prodotto acquistato in Costa d'Avorio.

Preparazione

La manioca viene pelata, schiacciata e mescolata con una piccola quantità di manioca precedentemente fermentata e che costituisce il lievito, chiamato con termini diversi a seconda del gruppo etnico che lo produce ("mangnan" dagli Ebrie, "lidjrou" dagli Adjoukrou e "bêdêfon" dagli Allandjan). La pasta viene lasciata fermentare per uno o due giorni e al termine l'acido cianidrico (presente in grande percentuale nella manioca naturale) viene eliminato, la polpa viene disidratata, schiacciata, essiccata e vagliata. Si effettua infine la cottura finale della polpa a vapore. Dopo pochi minuti di cottura, l'attiéké è pronto per il consumo.

Varianti

Abgodjama

Si tratta di un attiéké preparato con cereali diversi dagli altri: i grani sono di grandi dimensioni e questo attiéké viene generalmente preparato per il consumo da parte delle popolazioni della laguna. Viene usata una varietà di manioca di alta qualità e costa di più rispetto alle altre varietà, per questo è spesso difficile da trovare.

Attiéké di grano piccolo

Questa ricetta è quella più diffusa in commercio (e meno costosa) e utilizza cereali di più piccole dimensioni rispetto all'agbodjama.

Attieke di Garba

Come suggerisce il nome, questa varietà viene preparata per accompagnare il garba, altra tipica pietanza ivoriana a base di tonno. Viene utilizzata la manioca macinata in piccolissimi granelli mescolati, da cui si ricava una pasta di manioca fermentata con un sapore molto forte e amaro. Inoltre, la fase di fermentazione è sostituita da una vagliatura che conferisce al piatto un composto molto regolare e con grani più agglomerati con un sapore molto acido. La manioca utilizzata è spesso di minore qualità in quanto sono ancora presenti le fibre della manioca. La sua diffusione e vendita è minore rispetto all'attiéké di qualità.

Differenza con il cuscus

L'attiéké ha un gusto leggermente acido ed un odore deciso. I palati meno raffinati non sentono alcuna differenza con il cuscus di grano, anche se il colore più chiaro dell'attikè, la sua consistenza più elastica e appiccicosa, l'aspetto leggermente traslucido lo differenziano sensibilmente dal cuscus. Anche il suo profumo è tipico. La più grande differenza sta nel fatto che l'attiéké è un prodotto fermentato, mentre il cuscus è un prodotto derivante direttamente dalla macinazione del grano.

Accompagnamento

L'attieke è tradizionalmente consumato come accompagnamento alla carne o al pesce, spesso anche con la salsa (trasparente o semitrasparente) tipica del sud della Costa d'Avorio. Può essere mangiato con le mani dopo aver formato palline. L'attiéké può anche essere mangiato con le uova in omelette per cena o come spuntino: questo pasto è di solito accompagnato da una miscela di cipolle e pomodori tagliati a dadini ed aromatizzati con spezie e aceto. L'attiéké può accompagnare anche frutti come l'avocado e talvolta le arachidi tostate.

Caratteristiche

L'attieke è generalmente considerato un prodotto soporifero e che sazia molto, grazie al suo alto contenuto di amido. L'attiéké è composto per più del 95% da carboidrati e ha un basso contenuto di grassi (circa il 2%) e proteine (meno del 2%). Il suo valore calorico è piuttosto basso, con circa 350 kCal per 100 g.
L'attieke è un cibo popolare, soprattutto per la popolazione povera in quanto dà l'impressione di mangiare a sazietà per un prezzo basso (nel 2009 il prezzo era di circa € 0,15 per 100 g).


Baccalà alla vicentina

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Il bacalà o baccalà alla vicentina (localmente Bacałà a ła Vixentina) è un piatto tipico della cucina vicentina a base di stoccafisso (merluzzo essiccato).

Storia

L'uso di essiccare il merluzzo (Gadus morhua) per conservarlo è antichissimo: vi sono documenti che attestano questa pratica nei Mari del Nord sin dai tempi di Carlo Magno (IX secolo).
Lo stoccafisso sarebbe stato introdotto nel Triveneto dai veneziani, che erano grandi navigatori e portavano in patria ogni novità. La più diffusa versione dei fatti sostiene che nel 1432 la spedizione agli ordini del capitano veneziano Pietro Querini naufragò in Norvegia, sull'isola di Røst. Rientrando a casa, il Querini portò lo stoccafisso, che nel Triveneto è tuttora chiamato baccalà (mentre il baccalà nel resto d'Italia indica il merluzzo conservato sotto sale). I veneziani videro nello stoccafisso un'allettante alternativa al pesce fresco, costoso e facilmente deperibile. Nacque allora la tradizione di consumare questo piatto secondo varie ricette, tra le quali il baccalà alla vicentina.

Ricetta

La ricetta è tramandata di generazione in generazione e quasi ogni famiglia utilizza una o più piccole varianti.
Il merluzzo essiccato deve essere di eccellente qualità; la migliore è considerata quella detta Ragno che proviene dalle Isole Lofoten in Norvegia.
Deve essere pestato, poi messo a bagno per tre giorni, in acqua corrente, perché si ammorbidisca, poi pulito, quindi infarinato e cotto a fuoco lentissimo con abbondante cipolla in un tegame di coccio, ricoperto di latte e olio in uguali quantità; viene servito su un letto di polenta gialla.

Confraternita del Bacalà alla vicentina

Dal 1987 esiste la "Confraternita del Bacalà", un'associazione di ristoratori e gastronomi nata a Sandrigo (pochi chilometri a Nord di Vicenza), su iniziativa, tra l'altro, dello scrittore-libraio Virgilio Scapin (1932 – 2006) che ne fu "Gran Priore", con lo scopo di promuovere questo antico piatto nel rispetto della ricetta tradizionale. Per questo motivo Sandrigo è definita la "patria del baccalà", avendo legami storici con le Isole Lofoten e organizzando una festa annuale, che dura un'intera settimana, in onore di questo piatto a base di pesce essiccato proveniente da quelle zone.

Crostini di fegatini

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I crostini di fegatini sono una delle ricette più tipiche della Toscana; hanno diverse configurazioni a seconda della zona o della provincia. Molte sono le varianti che incidono su praticamente tutti gli ingredienti a partire dal tipo di interiora utilizzate.

Ingredienti
per 6 persone
1/2 kg di fegatini di pollo
2 cucchiai di capperi SALATI (non sotto aceto) lavati del sale
3-4 filetti di acciughe sotto sale private della lisca
Olio
1 dl di vino bianco secco o vin santo
prezzemolo
cipolla
sedano
carota
2 foglie di salvia
sale e pepe q.b. (q.b. abbreviazione di "quanto basta")
10-15 fette di pane toscano vecchio di un giorno (quello senza sale detto anche sciapo)

Preparazione
Tritare finemente gli odori.
Tritare finemente le acciughe.
Tritare finemente i capperi.
Soffriggere il battuto di odori (prezzemolo, cipolla, sedano, salvia, carota con sale e pepe) senza farli colorire.
Unire i fegatini, ravvivare la fiamma e inserire il vino, far evaporare e abbassare.
Dopo mezz’ora di cottura sorvegliata, a fuoco lento, togliere il fegato.
Spegnere il fuoco.
Tritare finemente i fegatini di pollo.
Rimettere i fegatini nella casseruola di cottura.
A fine cottura si aggiunge il trito di capperi ed acciughe che non dovrebbe cuocere.
Abbrustolire leggermente le fette di pane e ricoprirle con un generoso strato di quel che avete prodotto.
Si servono molto caldi.
Impiattare
Guarnire con una foglia di prezzemolo ed un cappero.

Varianti
Ne esistono moltissime; di seguito alcune di queste:
Dopo aver inserito capperi e acciughe cuocere ancora due minuti
Al composto potete aggiungere il burro o, meglio, metterlo in tavola per chi volesse aggiungerlo…
Agli odori in Arezzo e provincia spesso si aggiungono bacche di ginepro
Il crostino, una volta abbrustolito, si inzuppa per un attimo nel brodo caldo, poi si aggiunge l'impasto

 
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