Brasato

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Il brasato è una carne (o più raramente un pesce) cotta lentamente in poco liquido di cottura, spesso costituito da vino o brodo aromatizzati con spezie.

Preparazione
Quando il brasato viene cotto in un liquido alcolico (solitamente vino o birra), prima di iniziare la cottura è richiesta una marinatura di varie ore nel liquido stesso, aromatizzato in genere con cipolle e erbe officinali. La cottura deve essere prolungata e va effettuata a temperatura media in modo da permettere al collagene di sciogliersi e rendere la carne più morbida e appetibile. Il fondo di cottura è molto importante per la realizzazione del piatto. Prima filtrato o frullato, se in eccesso viene poi ridotto e infine adagiato sul brasato tagliato a fette.

Le origini
Brasare deriva dal termine dialettale "brasa", ovvero brace. La pentola, contenente il pezzo di carne e il resto degli ingredienti, veniva circondata dalle braci e lasciata cuocere a lungo.

Nel mondo
Carpa brasata della Costa d'Avorio

Italia
In Italia è un tipico piatto del nord della penisola ed è spesso servito con la polenta: esempio classico è il brasato al barolo. È importante che il vino abbia una bassa acidità. Molto adatti sono ad esempio i vini prodotti a partire da uve del vitigno nebbiolo come i piemontesi Barolo e Barbaresco oppure i lombardi Sassella o Inferno.

Abbinamenti con bevande alcoliche
Il brasato si accompagna al vino o alla birra utilizzati per la cottura. Nel caso dei vini rossi sono preferibili vini corposi, come il Barbaresco e il Barolo, ma anche frizzanti come la Bonarda.

Mi sono buttato sui migliori panini italiani di carne a Milano

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Perché anche basta hamburger grondanti di cheddar, soprattutto se ci sono panini con le polpette calabresi e con torcinelli pugliesi.
Mi sono domandato dove poter scovare a Milano, città la cui permeabilità alle mode la rende nel contempo affascinante e indisponente, panini sì con carne ma senza hamburger.
L’ultimo decennio, prima a Milano e poi a pioggia nel resto d’Italia, ha visto il dominio incontrastato del panino con hamburger. D’importazione americana, declinato in un miliardo e mezzo di vesti, nobilitato dall’interesse di chef più o meno in vista, l’hamburger ha trovato terreno fertile in locali singoli e franchising brulicanti nel rigoglioso e mai sazio pianeta della ristorazione.
Per smarcarsi dalla facile associazione con l’insalubre fast food o qualche lurido in camionetta, novelli ristoratori – spesso alle prime armi nel mondo della cucina – si sono affrettati a esporci la loro vision e rivoluzionarie filosofie mandando la polpetta di carne a spasso con la qualunque, da buns con lievitazioni da piccolo chimico o inconsistenti e colorati – ve li ricordate quelli neri al carbone durati sì e no 6 mesi? – a seimila salse homemade che se dici fatto in casa nessuno ti caga, passando per una cura maniacale e anche un po’ paracula per l’ingrediente ricercato. Piani e piani di condimenti tenuti in piedi con uno spiedo e che necessitano un divaricatore mandibolare per addentarli.
Non userò la parola gourmet perché l’abuso ne ha svuotato il significato (che poi, in realtà, si riferisce a una persona dal palato fine, non a piatti d’alto bordo ma certe parole traslocano facilmente nell’era dei social senza filtri e senza fact checking).
Di Frankenstein palatali in questi anni ne ho mangiati a tonnellate, ma anche panini con abbinamenti inusuali e azzeccati e certi progetti, al di là del necessario marketing, hanno dimostrato di avere concetti e sostanza alle fondamenta, dettando il passo.
Ma ora siamo in un’altra fase. L’hamburger non è morto e gode ancora di ottima salute ma in tempi in cui si torna alla disperata alla (ri)scoperta delle tradizioni locali, mi sono domandato dove poter scovare a Milano, città la cui permeabilità alle mode la rende nel contempo affascinante e indisponente, panini sì con carne ma senza hamburger. Meglio se di origine italiana.
Ho fiutato le mie piste da segugio e ho restretto il campo d’azione attenendomi a poche regole, in netta contrapposizione all’opulenza barocca dei panini gurmé.
Il concetto è semplice: solo pane e carne laddove non sia strettamente necessario fare altrimenti. Niente salse, anche a discapito della fluidità del boccone.
Su quest’ultimo punto gli integralisti del panino avranno qualcosa da ridire ma con le salse bisogna stare attenti, nei dosaggi e nei delicati equilibri tra sapori. Personalmente non ne apprezzo l’abuso e in pochi sanno gestirle senza che lascino loro prendere la scena uccidendo tutti gli altri condimenti. Quindi, se posso, le balzo, al massimo irroro le fauci con una birra in più.
Per questo giro mi affido a San Gastro, protettore della digestione, so già che dovrò mettere sotto stress il mio macrobiota. Collego l’hard disk esterno allo stomaco e m’avvio.
Sono appena le 11.30 e Marisa, la titolare che mi servirà, sta ancora mettendo in ordine le sedie attorno ai tre tavoli. Dall’aria spartana, Latteria Carrara è un alimentari-tavola calda che sopravvive con coraggio da 35 anni in zona Lambrate/Politecnico.
Nella vetrina che fa da barriera al banco ci sono salumi e formaggi e una vaschetta con dei fritti. Intercetto dei medaglioni belli ciccioni, sono le polpette fritte di carne corazzate con un’invitante panatura dorata.
Chiedo come si componga il panino della casa: polpette, caprino, lattuga. Avevo detto solo pane e carne ma mi vedo costretto a violare immediatamente le mie ferree regole: polpette, fontina, lattuga.
Dopo tre minuti afferro il mio francesino in cui albergano ben due polpette dal peso specifico non indifferente. Croccanti all’esterno nonostante il ripasso al microonde, l’impasto interno, oltre a procurarmi un’ustione di terzo grado alle gengive tanto è incandescente, è particolare. La carne macinata è amalgamata a verdure e formaggio magicamente sciolto, il tutto risulta morbido e viaggia bene senza salse. Onestamente non me l’aspettavo.
Gli unici nei sono l’abbondanza di semi di finocchio che bullizzano il resto e la fontina messa a freddo, non proprio invitante. Magari una piastratina in mezzo al pane non le avrebbe fatto male.
La Milano che resiste lo fa anche nel prezzo pop: 4.30 €.
Latteria Carrara, via Alfonso Corti 7

Panino Pugliese con Torcinelli | FRATELLI TORCINELLI
A sorpresa, nuova apertura del giro Trippa: Fratelli Torcinelli. Ci sono Pietro Caroli, fondatore della trattoria, insieme a Vincenzo Critelli e Sebastiano Corno, rispettivamente responsabile di sala e sous chef di Trippa.
Una saletta con appena 15 posti e cucina a vista, panini o piatti con 3 protagonisti principali di stampo squisitamente pugliese (zampina, bombette o torcinelli) e 3 condimenti. C’è anche un panino e una verdura del giorno, in base al mercato.
Pietro mi spiega che qui si punta sulla materia prima. La carne è fornita dalla macelleria Santoro di Cisternino (BR), con cui ha fatto diversi test per giungere alla ricetta perfetta. Bramo ardentemente i torcinelli, ma prima di passare all’assaggio, per i meno ferrati, spiegazione doverosa. È una preparazione diffusa nel centro-sud Italia, in origine nata in periodo pasquale nelle comunità a forte impronta pastorale, in cui un trito di frattaglie di agnello (prevalentemente fegato, cuore e polmone) è insaccato in una retina ricca di grasso (l’omento) e poi avvolto in budello, il peritoneo, sempre di agnello (o capretto). La retina, che qui è di maiale, è un elemento fondamentale, infatti il grasso, sciogliendosi in cottura, da un lato inietta succulenza al ripieno, dall’altro gocciola sul budello aiutandone la formazione della crosticina croccante.
Come un archetipo junghiano, il concetto è più o meno lo stesso ovunque sebbene, in base a interpretazioni locali (a volte di macelleria in macelleria nella stessa città) e dimensioni, assume nomi diversi: ammugnatielli o gnummarieddi nell’Appenino campano-lucano (Murge comprese), stigliola nell’entroterra siculo (quella classica palermitana è parente stretta della cordula sarda fatta solo d’intestino di agnello grigliato), abbuoti nel Lazio, mazzarelle in Abruzzo, marro o cazzmar in altre zone della Puglia.
Pietro mi consiglia il panino con torcinelli, carciofi sott’olio e maionese all’aglio. Mi riprometto di farlo al prossimo giro ma oggi la mia missione è andare all’essenza, ergo solo pane e torcinelli.
Dopo 6 minuti d’orologio arriva il mio panino. Pane croccante anche se avrei preferito un colpo di piastra a rianimarne la fragranza anziché un salto in forno. Senza il supporto di qualcosa di lubrificante il boccone è un po’ secco, ma ero già stato messo in guardia, non è demerito del cuoco.
I torcinelli sono sublimi versi di poesia frattagliesca. L’interno è morbido e armonioso, ha la consistenza di un patè molto compatto, nessuno tra fegato, cuore e polmone tiranneggia sebbene la nota ferrosa del primo diriga la sinfonia. La lieve bruciacchiatura del budello esterno amplifica la sfumatura amara in coda, che non è affatto disdicevole. Mi lascia un piacevole retrogusto in bocca che spesso, in quelli mangiati giù – sono siciliano purosangue – non ho avvertito perché si tende ad approssimare i tempi di cottura, fondamentali affinché l’interno non secchi e il fegato non sappia di merda. Perché l’effetto è quello. Elegante, non c’è che dire.
Nudo e crudo, il panino costa 8 € (ma voi i carciofi e la maionese fateveli mettere).
Fratelli Torcinelli - Corso di Porta Vigentina 38

Panino con la Lingua | BAR QUADRONNO
Il Bar Quadronno è praticamente 200 metri più in su di Fratelli Torcinelli, ormai che ho preso l’abbrivio, mi fiondo all’interno. È un bar della Milano storica, anche senza saperlo si nota immediatamente dai pesanti e un po’ datati interni in legno e per una clientela piuttosto avanti con l’età, con due vecchine – le sciure milanesi – appostate a un tavolo con due birre medie giunte a metà bicchiere e che mi osservano come fossi uno strano animaletto mentre saltello dalla cassa al bancone.
Anche qui dovrò eludere le regole di partenza ma prometto che sarà l’ultima volta. Mi tenta molto il salame di montone, ma mi pare troppo poco patriottico. Ora che ho messo piede nel mondo delle frattaglie, vado di lingua.
Il “Pippo” si presenta così: lingua, fontina, pomodoro, salsa bernese. Vorrei limonare duro con la lingua ma non la trovo e non per mia incapacità ma, come volevasi dimostrare, la salsa, qui presente in laute cascate, instaura una vera e propria dittatura. La lingua, che è delicatissima, soccombe malamente, io la cerco ma lei sfugge, i miei recettori arrapati la reclamano ma lei, zitta zitta, si dissolve lasciandomi con questa sbobbetta grassa che mi manganella.
Alla cassa, 7.50 €.
Bar Quadronno, via Quadronno 34

Panino di Cinta Senese | PORCOBRADO
In principio era un truck. L’idea si è evoluta e si è trasformata in un piccolo locale in zona Isola. La carne è di maiale, esemplari di cinta senese allevati allo stato semi-brado vicino Cortona (AR) in un’azienda agricola da 300 ettari con 24 stalle. Niente porcherie da allevamenti intensivi, insomma, e un palato attento lo riconosce anche bendato.
Il cavallo, pardon, il porco di battaglia è il panino con sola carne sfilacciata, una specie di pulled pork, prima cotta al barbecue e successivamente affumicata. Il pane è di farina di verna, un grano antico toscano ed è una specie di rosetta dalla struttura più robusta, necessaria per non diventare poltiglia una volta a contatto con la carne, che è di una succulenza inaudita.
Qui siamo ad alture elevate, v’avverto. Le parti grasse dalla consistenza burrosa contrastano le lievi crosticine che rivestono alcuni sfilacci e su cui si è accomodato lo spirito torbato dell’affumicatura. I succhi colano sul fondo dell’incarto e quando li riverso sul pane, che è insipido per bilanciare la sapidità della carne, sembrano una salsa mantecata.
Qui anche solo pensare di aggiungere qualcosa è uno psicoreato, roba da farabutti, vi scanno se lo fate. Ho un fremito di pura lussuria, o mi date un fazzoletto o vado a casa a cambiarmi l’intimo.
Il panino sta a 9 €.
Porcobrado, via Jacopo dal Verme 17

Panino con Polpette al Sugo | SBUNDA
Superata con agilità la soglia del quarto panino in due ore e mezzo, San Gastro veglia su di me dall’alto dei cieli con il suo sguardo benevolo. E proprio dal Paradiso dei Batteri Intestinali di Ferro mi indica la strada per raggiungere Sbunda, neonato locale – ha aperto il 21 marzo scorso – a pura trazione calabrese.
Funziona come una gastronomia. Al banco refrigerato gli ingredienti con cui condire i panini, da insaccati e formaggi a condimenti cucinati in un laboratorio. A percorrere la parete dirimpetto scaffali gremiti di prodotti calabresi, conserve e sott’oli, tonno e birre. La missione è promuovere la “calabresità”, mi si passi il neologismo.
E siccome Calabria e Sicilia hanno diversi punti di contatto gastronomici, percepisco che questi ragazzi catanzaresi possono regalarmi emozioni. Sul menu affisso in alto scorgo un panino, il Santa Severina: pane e polpette a sugo. Lapidario, senza giri di parole. È mio.
Afferro il panino, che altro non è che una mezza ciabatta. Il pane, l’unica cosa che non proviene dalla Calabria, è di quello tosto e casereccio, con una crosta fragrante e la mollica dagli alveoli fitti. Sembra quello che mangio quando torno a casa dai miei, in Sicilia. Sono stato allevato a panini farciti con gli avanzi del pranzo, soprattutto la domenica, e queste polpette rievocano quelle di mia nonna. Non è una paraculata, il sugo ha quel sapore netto e senza compromessi, a tratti arrogante che solo noi meridionali riusciamo a comprendere. Il concetto, come concordano i ragazzi del locale, alla fine è quello della merenda a casa della nonna quando in palio c’erano le polpette avanzate dal pranzo e ci si sciarriava (tradotto: si litigava) con fratelli e cugini per la punta croccante del pane, il cosiddetto “culacchio”, la parte che ancora oggi preferisco. Sarà per questo che non ho rapporti coi miei cugini.
L’unica cosa su cui dissento è l’aver tagliato le polpette per farle stare dentro il pane senza scavare via la mollica, sicuramente per comodità ma il rischio è che si disfino a tal punto da diventare ragù.
Assaggio anche la parmigiana di melanzane e, regà, sembra proprio quella di casa. Provare per credere.
Il panino è 8 €.
Sbunda, Piazzale Antonio Baiamonti 1

Lampredotto | MACELLERIA POPOLARE
Controllo un attimo i battiti. Leggermente accelerati. Nel mio pancino multiscomparto però c’è ancora un angolo libero, piccolo e indifeso.
Arrivo fino alla Darsena, al mercato coperto che costeggia il pigro luccichio del sole sul pelo dell’acqua. Sono quasi le 15.30, mangio da quattro ore e per infliggermi il colpo di grazia non ho intenzione di ruminare fiorellini eduli.
Alla Macelleria Popolare di Giuseppe Zen ci sono stato diverse volte e ho provato praticamente quasi tutto il menu.
Sono tentato dal morzeddhu, un amichevole ragù tipico di Catanzaro a base di trippa, cuore, polmone e milza cotto a fiamma lentissima con pomodoro e peperoncino. Ma avendolo già mangiato tempo fa ed essendo appena stato idealmente in Calabria col panino precedente, mi fiondo sul lampredotto.
Appena lo ghermisco, avvolto in un tovagliolo plastificato necessario a far da argine per l’inevitabile trasbordo di brodo, il panino emette un odore pungente di trippa. D’altronde il lampredotto altro non è che un bollito di abomaso, uno dei quattro stomaci dei ruminanti. Di solito si cuoce con un po’ pomodoro, qui è “in bianco” e con una bella tempesta di pepe nero. A Firenze m’è capitato di mangiarne di più delicati, qua c’è un’onda d’urto stradaiola che apprezzo, la carne è molto morbida e il pane è imbevuto dell’unta brodaglia in cui ha nuotato la trippa.
L’unica cosa è che il panino è veramente microscopico, da un lato dopo averne mangiati 5 mi sta anche bene, ma se arrivassi a stomaco vuoto, me ne servirebbero almeno tre per placarmi.
Costo dell’operazione, 8 €.
Macelleria Popolare, Mercato della Darsena - Piazza XIV Maggio


San Gastro dice che può bastare così. Stende una mano sul mio capo e solleva l’altra indicando la trinità, il suo sorriso pacifico e quieto dice che la mia prova è terminata, nonché superata. Lo sfintere regge, l’hard disk ha ancora qualche cicciabyte disponibile, non devo svuotarlo. Grazie San Gastro, proteggi la mia digestione, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.


Diventare Uno Chef

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Non farlo per il denaro perché, fatta eccezione per una manciata di ristoratori e chef celebri, i guadagni sono assolutamente nella media. Un aiuto chef di un piccolo ristorante può guadagnare fino a 9-10 $ all’ora negli Stati Uniti, mentre un capocuoco di un grande hotel può arrivare fino a 125.000$. Insomma, fallo solo perché ti piace cucinare.

1 Chiedi di lavorare nella cucina dei tuoi sogni. Renditi conto se è davvero questa la vita che vuoi. Anche un’esperienza nei fast food andrebbe bene. La cosa più importante è cominciare a familiarizzare con condizioni, tecniche, attrezzatura, e cultura.

2 Sperimenta le tue ricette a casa. Puoi cucinare tutto ciò che vuoi e se fai un pasticcio non importa.

3 Sappi che esistono due categorie di capicuochi: quelli che insegnano e quelli che non insegnano. Quelli che insegnano sono disposti a condividere la loro conoscenza, esperienza e competenza con chiunque dei loro allievi voglia imparare e approfondire la materia. Quelli che non esigono invece la precisione assoluta hanno amore assoluto per il cibo. Se non lo ami spassionatamente, potrai diventare un cuoco (che va bene), ma non uno chef. Non tutti possono diventare chef. Bisogna avere passione per il cibo!

4 Impara tutto del cibo che ti piace, ma soprattutto del cibo per cui la gente è disposta a pagare pur di mangiarlo. È bene che si conosca per esempio il cibo biologico, da allevamento all’aperto, il kosher, il Kobe. Se è la patisserie che ti interessa, sappi che un soufflé non è semplicemente un mucchio di aria calda.

5 Acquisisci sicurezza con il coltello. Non è necessario saper disossare un pollo con la precisione di un chirurgo, ma almeno sapere che si comincia dalla coscia ti aiuterà parecchio sia nella vita che nella cucina. Sappi che le misure non contano perché a volte, un coltello ricurvo di 5 cm può disossare più velocemente di un coltello con una lama da 25 cm.

6 Prova a lavorare nell’industria alimentare. In Europa, il colloquio di lavoro consiste in un giorno di prova (gratis) in un ristorante. In questo modo tu, ti rendi conto di quello che sanno fare loro e loro, di quello che sai fare tu. Se cucinerai bene, o se era semplicemente scritto da qualche parte che succedesse, sarai assunto. Gli studenti di solito imparano attraverso l’esperienza sul campo, e quando non pagati, dovrebbero limitarsi a spiegare le loro idee e concetti, senza lasciare troppo spazio alla creatività e al gusto personale. Tuttavia, anche se creatività e individualità avessero il loro spazio, è importante lavorare con qualcuno che sia disposto a sostenerti nel raggiungimento dei tuoi obiettivi. Una volta acquisita una serie di competenze, potrai andare a lavorare per un tiranno esigente (vedi Gordon Ramsey).

7 Compra o prendi in prestito libri di cucina quali, per esempio, Kitchen confidential di Anthony Bourdain, The professional chef del Culinary Institute of America e Becoming a chef di Dorenburg e Page. The professional chef è un riferimento indispensabile da avere nella tua libreria.

8 Sappi che hai diverse opzioni:
Frequentare una scuola di cucina. Siccome il grosso dell’arte culinaria deriva dalla tradizione francese, un corso pratico di base di cucina francese è un’opzione da prendere in considerazione.
Fare un tirocinio. Con l’aiuto della scuola o di un centro per l’impiego potresti trovare un lavoro retribuito in un ristorante. Scegli sempre i locali che mettono l’igiene (la vostra e la loro) in primo piano.

Consigli
Mangia fuori! Cucinare in un ristorante non è affatto come cucinare a casa. Inoltre ci sono tantissime informazioni e idee interessanti sui menu.
Devi avere un piano dettagliato su come intendi diventare uno chef.
Controlla se ci sono indirizzi culinari nei licei professionali della tua zona. Sempre più scuole propongono corsi serali per ottenere diplomi e persino lauree in gastronomia.
Sii gentile con tutti. Il lavapiatti e i clienti che incontri oggi, domani potrebbero aprire l’ultimissimo fusion restaurant del momento.

Avvertenze
Fai del tuo meglio.
Scegli le persone giuste.
Tagliarsi è inevitabile. Sii prudente quando usi il coltello. È più facile tagliarsi quando si ha dimestichezza con il coltello perché si ha più fiducia in se stessi. Stai attento e accertati che questi taglietti sulla punta delle dita non ti costino un dito intero.
Scottarsi è inevitabile. Sii prudente. Parti sempre dal presupposto che in cucina tutto scotta. Tieni le orecchie ben aperte e assicurati che muovendoti per la cucina, chi è di spalle e non ti vede passare, si accorga della tua presenza.
Lavati sempre la mani. Anche se ti si dice di non farlo, tu fallo e basta

Lavorare in una cucina è dura, specialmente se non sei il capocuoco. All’inizio, preparati a essere sgridato di continuo.

Uova ripiene

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Le uova ripiene, anche note come uova alla diavola e uova alla russa, sono un antipasto tipico diffuso a livello mondiale.

Storia e preparazione
Le uova alla diavola hanno alcuni antenati che sarebbero le uova bollite preparate nell'Antico Egitto e nell'Antica Roma. Tuttavia, il termine "alla diavola", in riferimento a ogni cibo piccante, venne usato per la prima volta solo nel XVIII secolo in Inghilterra e il primo documento che usò tale termine per la prima volta risale al 1786.
Dopo essere state bollite fino a rendere sodo l'interno, le uova vengono sgusciate e tagliate a metà, i tuorli estratti e utilizzati schiacciati per formare una pasta a base di vari ingredienti che possono essere maionese, senape, salsa tartara, olio d'oliva, paprika, curry in polvere e sottaceti tritati.
Infine con questa pasta vengono nuovamente riempite le metà delle uova rimaste con il solo albume solido. Al centro di ogni uova una guarnitura costituita solitamente con un solo cappero, ma vi sono altre varianti ove la guarnitura è costituita da pezzi di verdura varia.

Valutare un Ristorante

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Mangiare al ristorante è un passatempo apprezzato da moltissime persone, giovani e anziani, a prescindere da quello che fanno nella vita. Tuttavia, non tutti i ristoranti sono attraenti – e le ragioni non riguardano solo il cibo! Se sei un tipo alquanto schizzinoso, questo articolo ti aiuterà a scegliere un buon ristorante se non riesci a trovare quello che fa per i tuoi gusti.


Le tipologie di ristorante sono molteplici – si va dai fast food ai ristoranti raffinati, trattorie, ecc. Ogni tipologia offre servizi e cibi diversi, per cui attira una clientela specifica in base a queste caratteristiche. A prescindere dal tipo di ristorante, a seguire troverai diverse qualità da cercare in un buon ristornate.


1 Atmosfera / Ambiente.
Quando entri nel ristorante, che sensazione provi?
È pulito, elegante e accogliente?
La prima impressione rivela molte informazioni sul ristorante. Dopotutto, dal momento che dovrai passare almeno 20 minuti seduto a mangiare, è giusto che tu ti senta a tuo agio.

2 Pulizia. Il ristorante ti sembra pulito? Devi pulire le sedie e magari anche il tavolo prima di sederti? Fai fatica a decidere dove sederti e non per via della veduta migliore?

3 Servizio. I camerieri sono gentili, loquaci, efficienti ed esperti? Il servizio è molto importante nella valutazione dell’esperienza.

4 Cibo. Ovviamente, la qualità del cibo è l’aspetto più importante. Come viene presentato? Come è il sapore? Quanto costa?

Consigli
Pulizia
Controlla il bagno. Il bagno è il fattore rivelatore dell’igiene del posto. Se non ti sembra pulito – nonostante sia visibile a tutti – pensa alle condizioni della cucina dove viene preparato il cibo!
Controlla il pavimento. È pulito? Noti la presenza di insetti o topi?
Osserva i camerieri. Ti sembrano puliti e ordinati? Se non si prendono cura del loro aspetto, è probabile che anche il cibo non riceva le attenzioni giuste!
C’è cattivo odore nel ristorante? Di solito, questo è un segno di allarme del fatto che il ristorante non viene gestito correttamente.
Nota le posate, i bicchieri e i piatti: sono puliti? Osserva inoltre il livello di pulizia dei tavoli e delle sedie.

Atmosfera / Ambiente
Osserva l’arredo del ristorante. È bello e attraente? I tavoli e le sedie sono comodi e sistemati in modo ordinato? Se ci sono piante o fiori, sono freschi? Ci sono dei quadri o delle decorazioni artistiche che creano un’atmosfera accogliente, esotica, etnica, ecc.?
Controlla le luci. Sono adatte al tipo di ristorante? Sono troppo brillanti o troppo buie?
Nota la temperatura. Fa troppo caldo o troppo freddo?
Controlla di nuovo i camerieri. Si presentano in modo ordinato e complementare all’atmosfera del ristorante? Ti sembrano amichevoli e gentili?

Servizio
Se hai prenotato in anticipo, hai dovuto attendere molto tempo prima che qualcuno rispondesse al telefono? La persona con cui hai parlato aveva un tono cortese e professionale? Ha ascoltato i tuoi bisogni o ha continuato a interromperti dicendoti, ad esempio, che è possibile prenotare solo fra le 14:00 e le 21:00?
Nei ristoranti più raffinati, valuta il modo in cui ti è stato dato il benvenuto. Ti hanno accolto alla porta? Quanto hai dovuto aspettare prima di sederti? Ti hanno offerto un aperitivo per rendere l’attesa più piacevole?
Nota i camerieri. Sono professionali? Sono educati o ti sembrano annoiati, impazienti, insistenti, sarcastici o semplicemente poco piacevoli?
Il tuo cameriere ha cercato di rispondere a una domanda che gli hai fatto sul cibo, oppure, se non sapeva la risposta, è andato in cucina a chiedere?
Nota l’attesa per il cibo. Quando ti è stato servito, il cibo era freddo? C’è stata una buona comunicazione da parte dei camerieri sui tempi di attesa in caso di ritardo del cibo, oppure ti hanno fatto semplicemente aspettare?
Controlla il cibo. Ti è stato servito quello che avevi ordinato? Il piatto è stato preparato seguendo le tue richieste (ad esempio: niente formaggio)?
Se hai avuto una lamentela, il cameriere ti ha ascoltato a dovere e si è comportato di conseguenza? Si è scusato per eventuali errori e ha cercato di risolvere il problema?

Cibo
Controlla quello che stanno mangiando negli altri tavoli. Che reazione hanno al piatto? Se vedi il piatto che vuoi anche tu servito a qualcun altro, ti sembra che sia presentato nello stesso modo invitante?
Studia il menu. Ti sembra che i prezzi siano adeguati al contesto, al servizio e ai piatti? I piatti offerti sono ben bilanciati? C’è una vasta gamma di scelta per persone con gusti diversi, ad esempio, piatti per vegetariani, piatti poco grassi, ecc.?
Come viene presentato il cibo? Ha l’aspetto e l’odore invitante? Ti sembra fresco? Oppure mediocre e poco attraente? Emana cattivo odore? Nota: annusare il cibo in pubblico è considerata una cattiva abitudine da molte persone. Prova ad annusare le folate di odore quando viene servito.
Valuta il cibo dopo il primo morso o sorso. Il sapore è buono? Fantastico? Mediocre? Insipido? Terribile? Il sapore è simile a un piatto che avresti tranquillamente potuto preparare a casa, oppure ha un tocco 'extra'? Che consistenza ha? La consistenza delle proteine è diversa rispetto a quella di carboidrati e verdure, oppure è uniforme e spappolata? Il cibo è troppo cotto, crudo, non condito abbastanza o troppo salato, troppo dolce, amaro, piccante o fresco? Vorresti che ci fosse più cibo nel piatto?


Grazie a questi consigli potrai creare una scala di valutazione personale, adattabile a ogni ristorante. I ristoranti migliori di solito sono già famosi grazie alle valutazioni positive dei clienti. Inoltre, se sei proprietario di un ristorante e se ti prenderai cura di tutti gli aspetti di questo post, vedrai un sacco di clienti varcare la porta! Se invece ti piace mangiare fuori, sarai in grado di trovare i posti migliori dove andare e da consigliare ai tuoi amici. Buon appetito!

Balık-ekmek

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Il balık-ekmek è una specialità a base di pesce della cucina turca. Si tratta di un tipico cibo da strada costituito da un filetto di pesce fritto o grigliato servito in una pagnotta di pane aperta a farfalla, insieme, eventualmente, a della verdura. La preparazione e la vendita al pubblico viene fatta da piccole imbarcazioni attrezzate allo scopo e ormeggiate lungo un molo, una banchina, o un bacino.
Il nome è l'unione delle due parole turche balık (pesce) ed ekmek (pane).

Preparazione e varianti

I pesci utilizzati, in genere, sono uskumru (sgombro), çupra (pesce serra) e lüfer (Pomatomus saltatrix), a seconda della stagione. In molti posti si serve anche infarcendo il pane con hamsi fritte (alici).
Il filetto viene arrostito portandolo a contatto della griglia arroventata, spruzzata di olio d'oliva per pochi minuti per lato. Prima di farcire il panino, lo stesso pane aperto a farfalla viene portato a contatto della griglia per assorbire olio e sapore del pesce.
La farcitura con pesce si accompagna, di solito, secondo i gusti e la stagione, a cipolla rossa (o bianca), erba cipollina,una manciata di insalata verde, qualche fetta di pomodoro, peperoni verdi piccanti (sivri biber in turco), una spolverata di peperoncino, una spruzzata di e una spruzzata di succo di limone sul pesce e sulla verdura.

Luoghi di consumo

I luoghi tipici in cui si può mangiare il balık-ekmek in Turchia sono, in genere, le città costiere, in particolare Istanbul (ad esempio, presso il ponte di Galata, su entrambe le sponde del Corno d'oro), ma il suo consumo è comune anche in alcune altre città della Turchia, anche molto interne, come la capitale Ankara. Ad Ankara, il luogo tradizionale per questo tipo di cibo di strada è la via Sakarya nel quartiere di Kızılay, nel distretto di Çankaya. A Istanbul il balık-ekmek è venduto presso quasi ogni molo, ma i punti di riferimento sono Eminönü, Karaköy, e Kadıköy.
I venditori di questa specialità sono soliti richiamare l'attenzione dei potenziali clienti urlando una frase in rima: "Balık-ekmek, hazır yemek!" (qualcosa che suona come: "pane e pesce pescato, pranzo preparato!").

Canapè

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Un canapè (dal francese canapé e dal latino medievale canapeum, alterazione del class. conopēum, conopeo) è un piccolo antipasto poggiato o spalmato su fettine di pane senza crosta che solitamente vengono prima spalmate di burro ed anche preventivamente grigliate. È solitamente preparato con cura e di aspetto molto decorativo, separato in fette e mangiabile spesso in un solo morso.
I canapè si preparano su fette di pane bianco da tramezzini, su pane tostato, su gallette, in barchette di pasta sfoglia o frolla e su qualsiasi supporto che sia adatto a essere presentato disteso su un piatto e ritagliato in forme piacevoli, come stelle, cerchi o fiori. Talvolta il supporto del canapè può anche venire fritto o ricavato da impasti di polenta o patate scavate: sebbene esistano ricette tradizionali di canapè, infatti, queste sono preparazioni dove la fantasia nell'accostamento è più che benvenuta.
Sopra il supporto si poggiano gli ingredienti scelti, come salse, affettati, carne, formaggio, pesce, caviale o paté, nonché altri condimenti combinati con fantasia.
Possono essere salati o dolci e sono presentati su vassoi. Il loro impiego principale è nei buffet.

 
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