Fraschetta

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Con il termine popolare "fraschetta" si è soliti indicare un particolare tipo di osteria la cui diffusione è limitata principalmente alla zona dei Castelli romani nella regione Lazio.
Le peculiarità di questa tipologia di ristorazione affondano le radici nella storia di questi luoghi, e con essa si modificano nel corso dei secoli.

Le fraschette del passato

Cenni storici

Le fraschette hanno un'origine antichissima, sicuramente medioevale, ma che in altre forme addirittura risalgono all'antica Roma, quando i contadini delle campagne romane in viaggio verso la capitale per vendere i propri prodotti necessitavano di punti occasionali di ristoro durante il tragitto.
Le origini della denominazione “fraschetta” sono riconducibili all'antico borgo di Frascata (l'odierna Frascati), chiamato così poiché in epoca medioevale i boscaioli dell'allora Tusculum erano soliti costruire e vivere in capanne di frasche, probabilmente per costruire ripari di fortuna dopo la distruzione di Tusculum (Tuscolo) nel 1191.
Proprio in era medioevale nacque l'usanza, per i viticoltori del tempo di apporre una frasca ben carica di foglie sopra l'ingresso del locale (come avviene con le moderne insegne) in modo tale da indicare agli avventori che il nuovo vino era pronto da bere. In questo modo i vinai dell'epoca si garantivano una fonte di profitto aggiuntiva, oltre ai normali traffici commerciali dell'epoca, per rifarsi delle spese della vendemmia.

Caratteristiche e peculiarità

L'arredamento di questi locali era all'insegna della semplicità: Le botti di vino dominavano l'ambiente, solitamente disposte su un lato, mentre a beneficio dei clienti vi erano panche come sedili e tavolacci arrabattati, sparsi nella stanza. Come scarni ornamenti lungo le pareti dei locali solitamente erano esposte delle attrezzature tipiche per la realizzazione del vino. Infine in fondo al locale, su un livello interrato generalmente si trovava la cantina, dove i gestori conservavano il vino.
Ciò che differenziava le fraschette dalle normali osterie, era il fatto che questi posti fossero sprovvisti di cucina, e non veniva offerto nulla, eccezion fatta per il vino, del pane ed eventualmente di uova sode che servivano a preparare il palato alla degustazione del nettare di Bacco. Per tutto il resto bisognava recarvisi muniti di cibi propri, spesso raccolti in fagotti di canapa: di qui il nomignolo dapprima neutro, poi bonariamente ironico di "fagottari" per coloro che in un locale pubblico usavano consumare cibi portati da casa. Si trattava quindi di punti di vendita e di degustazione diretta del vino prodotto in quell'annata.
Ben presto però si sparse l'abitudine da parte degli abitanti più intraprendenti, di approntare dei banchi vendita in prossimità delle fraschette con generi alimentari di vario tipo in modo tale da fornire il companatico agli avventori delle fraschette. Tra questi, un prodotto particolarmente diffuso, di tradizione trimillenaria, era rappresentato dalla porchetta, il cui connubio con questi locali ha reso, col trascorrere dei secoli, inscindibile questo legame.

Le fraschette moderne

Solo in epoca moderna all'interno delle fraschette stesse è possibile acquistare generi alimentari e quindi effettuare un pasto completo. Con questa evoluzione si è persa certamente la componente originale che avevano questi luoghi nel passato e si è data origine alla loro commercializzazione, anche se in alcuni casi è ancora possibile giovare dell'ospitalità di questi locali alla vecchia maniera.
Ad ogni modo le fraschette ancora oggi sono rivendite di antica origine dove ancora si può degustare il vino “sciolto”, venduto in caraffe di varie dimensioni. Tradizionalmente ogni caraffa aveva un suo nome: quella da 2 litri "Boccale" o "Barzilai", dal nome di un uomo politico romano di fine 800 uso a offrire vino in grandi quantità ai suoi elettori; quella da un litro "Mezzo Boccale" o "Tubbo"; quella da mezzo litro "Fojetta" e quella da un quarto, naturalmente, "Quartino". Di particolare tipicità e di rilevante diffusione è la "Romanella", un vino rosso leggermente frizzante e beverino.

Il menu tipico

Oltre alla porchetta e al vino, gli altri prodotti tipici offerti dalle moderne fraschette provengono dall'enogastronomia del Lazio e sono principalmente costituiti da salumi, formaggi freschi e stagionati ed antipasti vari, quali olive, sott'olii e sott'aceti.
Questi antipasti, in genere, sono serviti in quantità talmente abbondanti che difficilmente si riesce ad ordinare un primo piatto (qualora disponibile) e ancor più raramente si riesce ad arrivare ad un secondo piatto, una portata peraltro molto scarsamente diffusa nelle fraschette.
Tutte queste portate evidentemente si rifanno alla tradizione della cucina romana, pertanto è praticamente d'obbligo da parte del fraschettaro proporre primi piatti classici quali ad esempio: pasta alla ”carbonara”, alla ”amatriciana”, o all'”arrabbiata”.
Spesso (ma sempre più raramente) prive di una cucina, attualmente le fraschette sono tra gli esercizi più frequentati dagli abitanti della capitale (Roma) e dei suoi dintorni. I suoi avventori sono costituiti prevalentemente da giovani, i quali le affollano soprattutto nei fine settimana.

Le fraschette ad Ariccia

Il punto nevralgico del “fenomeno fraschette” in chiave commerciale e moderna è rappresentato dalla cittadina di Ariccia, nel cui centro storico sono presenti alcune strade e una piazza dominate esclusivamente da questo tipo di locali. Particolarmente forte qui è l'abbinamento con la porchetta, la cui produzione in questi luoghi vanta una tradizione millenaria risalente ad epoche pre-romaniche ed in particolare alla popolazione dei Prisci Latini.

Panino imbottito

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Un panino imbottito è una forma di pane di piccola pezzatura tagliata in orizzontale e riempita con vari companatici, solitamente salumi, formaggi, insalata, etc.

Preparazione

I panini imbottiti possono essere preparati in moltissimi modi, ed esistono numerosi libri di ricette dedicati alla loro composizione. Alcune ricette possono prevedere un riscaldamento del panino prima del suo consumo, in modo anche da rendere più croccante il pane.

La scelta del pane

La varietà nel campo dei panini imbottiti non riguarda solamente l'imbottitura ma anche il tipo di panino da utilizzare. Nei libri di ricette in base al risultato voluto vengono consigliate diverse tipologie di pane.
  • Per panini dove sono presenti sottaceti vengono sconsigliati pani troppo ricchi di mollica, in quanto questa potrebbe imbibirsi in modo eccessivo del liquido di governo rendendo il panino troppo unto o acido.
  • Per panini freddi dove predominano salumi stagionati viene consigliato pane sciocco o comunque pane non troppo salato, in modo da dare il giusto rilievo al sapore del salume.
  • Per panini nella cui imbottitura siano presenti salse (es. maionese o salsa tonnata) è preferibile un pane ricco di mollica, possibilmente piuttosto morbida, in modo che la salsa non fuoriesca ma venga trattenuta da quest'ultima.
  • Per panini che prevedono di essere riscaldati il pane ideale dovrebbe essere basso e poco lievitato, come schiacciate o ciabatte.

Distribuzione

Oltre che a livello casalingo i panini imbottiti vengono preparati (e commercializzati) da numerosi esercizi pubblici. Esistono alcuni punti vendita specializzati nella vendita al pubblico di panini che vengono solitamente chiamati paninoteche. I panini imbottiti si possono inoltre acquistare, già pronti, anche nei supermercati o tramite distributori automatici.

Nella cultura popolare e nei media

Nel gergo giovanile degli anni settanta-ottanta il venditore di panini imbottiti era definito paninaro, termine poi passato a definire i membri di una determinata sottocultura originatasi a Milano nei primi anni ottanta.
Nel gergo giornalistico, con il termine "panino", per analogia geometrica col panino imbottito, si intende un servizio di argomento politico in cui le opinioni di una parte politica sono schiacciate fra un'apertura e un commento finale, entrambe della parte politica opposta; nella sua formulazione originaria (attribuita a Clemente Mimun) le opinioni espresse da membri dell'opposizione sono precedute da quella ufficiale del governo e seguite da interviste a politici della maggioranza, che può quindi avere la prima e l'ultima parola sulla questione.

Tavola calda

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Per tavola calda si intende un locale di piccola ristorazione in cui si servono cibi caldi o freddi, per lo più rapidamente. I piatti sono tendenzialmente consumati al banco, ma moltissime tavole calde offrono anche tavoli.
Oltre ai servizi offerti da un bar "tradizionale", la tavola calda permette di pranzare o cenare con pietanze anche molto più elaborate dei cibi espressi come panini, tramezzini e stuzzicheria normalmente serviti nei bar e nelle tavole fredde. Una tavola calda ha spesso una vera e propria cucina, non un semplice banco di preparazione di alimenti, e richiede quindi l'adozione di norme sanitarie e manipolazioni dei cibi più simili a quelle di un ristorante. La tipologia di cibo servita in una tavola calda può includere tutta la produzione di rosticceria, e spuntini di prodotti salati e dolci. Fra essi si annoverano gli arancini, le cartocciate, le cipolline, i paté, i supplì, le pizzette ed altre varietà locali presenti in ogni regione italiana.

Tavola fredda

La tavola fredda (a volte espressa ricorrendo al termine inglese snack bar) è una variante che si distingue dalla tavola calda perché serve cibi che richiedono una minima attività di manipolazione e riscaldamento (caffè, panini, toast, paste scongelate, e simili). In questo si avvicina al bar, anche se è molto più focalizzata sulla somministrazione di cibi.
Non di rado le tavole fredde offrono anche aperitivi, dato che il cibo in questi servito è spesso quello a bassa manipolazione tipico di questa piccola ristorazione.




Chiringuito

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Chiringuito (letto "ciringhito"), è un termine spagnolo utilizzato per indicare un particolare chiosco per la vendita di alimenti e bibite, originario degli ambienti balneari della costa spagnola mediterranea. I chiringuitos sono molto diffusi su spiagge e altre zone turistiche nella loro classica forma di strutture in legno, provvisorie e rimovibili.
L'utilizzo del termine "chiringuito" si è diffuso fino a indicare anche veri e propri locali destinati alla ristorazione, normalmente sulle spiagge.

Cassoeula

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La cassoeula o cassoeûla (In dialetto lombardo occidentale e in dialetto monzese), italianizzata in cazzuola o cazzola, oppure bottaggio (probabilmente derivante dal termine francese potage), è un piatto invernale tipico della tradizione popolare e della cucina milanese e lombarda.
La tradizione afferma che Arturo Toscanini fosse ghiotto di cassoeula. Oggigiorno è il "piatto forte" di numerose sagre lombarde, sia invernali sia estive.

Leggenda

Il piatto, così come viene preparato, nasce all'inizio del XX secolo, ma le sue varianti più antiche sono di origine incerta e controversa. Probabilmente, il piatto deriva ed è legato alla ritualità del culto popolare di Sant'Antonio abate, festeggiato il 17 gennaio, data che segnava la fine del periodo delle macellazioni dei maiali. I tagli di carne utilizzati per la cassoeula erano quelli più economici e avevano lo scopo di insaporire la verza, elemento invernale basilare della cucina contadina lombarda nei secoli scorsi. Ciò ha fatto presumere ad alcuni storici che il piatto sia nato da aggregazione successiva di ingredienti intorno al nucleo di verza e maiale, altri ipotizzano invece che il piatto originario, di origine barocca, prevedesse l'utilizzo di diversi tipi di carne e vi sia stata una successiva semplificazione e riduzione di ingredienti. È anche ritenuto plausibile che i due piatti, la versione "povera" e la versione "ricca", avessero origine diversa e nel tempo vi sia stata una sorta di convergenza che ha portato al piatto come è attualmente conosciuto.
La leggenda vuole invece che la cassoeula nasca da un soldato spagnolo che invaghitosi di una giovane donna milanese, cuoca di una famiglia nobile, le abbia insegnato la ricetta e che in seguito la giovane abbia proposto con successo il piatto ai suoi datori di lavoro.
Nella tradizione culinaria popolare europea vi sono altri piatti con ingredienti simili, come le diverse forme di "potée" francesi (minestre a base di cavolo e maiale) o la Choucroute alsaziana, a sua volta derivata dal Sauerkraut tedesco (entrambi i piatti sono basati su crauti e carne di maiale e sono preparati però con ingredienti già sottoposti a un procedimento di conservazione). Il piatto nazionale della Polonia è il bigos, anch'esso basato sulla verza.
Gli ingredienti principali della cassoeula sono le verze, che la tradizione prevede vengano utilizzate solo dopo la prima gelata, e le parti meno nobili del maiale, come la cotenna, i piedini, la testa e le costine. Altro ingrediente, usato in maniera molto parca e solo come "colorante naturale" per dare un minimo di tono cromatico a un piatto che altrimenti avrebbe una scialba e poco appetibile colorazione grigio-verdastra, è il concentrato (o la passata) di pomodoro.
Il nome deriva probabilmente dal cucchiaio con cui si mescola (casseou) o dalla pentola in cui si prepara (casseruola). Esiste un'altra spiegazione per il nome: è piuttosto noto che, per tradizione, il piatto venisse preparato dagli operai dei cantieri edili una volta che l'edificio fosse giunto al tetto ed il nome derivi dall'attrezzo utilizzato per mescolarla durante la cottura, per l'appunto la "cazzuola". È da segnalare inoltre che esiste un piatto della tradizione tedesca, il "Kasseler" ("càssola" nella pronuncia italiana), consistente in tagli di maiale affumicato servito con un contorno di cavolo verza.

Storia

Al di là delle leggende, gli storici individuano nel ricettario di Ruperto da Nola la prima ricetta riconducibile alla pietanza. Questo autore, originario di Nola, e che viene considerato uno dei padri della gastronomia spagnola, fu al servizio della corte Aragonese di Napoli, nel corso del XV secolo. Nella sua opera più importante, Il Llibre del Coch, ci propone una ricetta di "Cassola de carn" in cui molti elementi riconducono alla Cassoeula. Sempre a Napoli nel 1773, Vincenzo Corrado riporta una ricetta per il "Grugno di porco lesso" e lo propone "su pottaggio di cavoli". Un evidente filo rosso, che lega la minestra maritata, della tradizione Napoletana alla Cassoeula Lombarda. Bisognerà attendere il XIX secolo, per ritrovare nell'opera “Il cuoco senza pretese” del comasco Odescalchi (1826), la prima ricetta lombarda del piatto.

Varianti

Vi sono numerose varianti locali:
  • nella tradizione comasca non vi sono i piedini e il battuto di verdure ma viene aggiunto il vino bianco e la testa.
  • in Brianza la cassoeula è più asciutta rispetto a quella milanese, più brodosa, inoltre vengono utilizzati anche i verzini o i cotechini, piedino, codino e le verdure non sono battute ma a pezzetti.
  • nella Bergamasca il piatto è piuttosto asciutto e viene preparato con verze, cavolo cappuccio e costine di maiale.
  • nel Novarese, tra gli ingredienti si trova anche la carne d'oca.
  • nel Pavese sono usate solo le puntine e il piatto prende il nome di ragò. Ne esiste anche una versione tradizionale a base di oca.
  • nel Milanese si utilizzavano anche le orecchie ed il musetto del maiale.
  • sempre nel Milanese si prepara il bottaggio che si differenzia per l'utilizzo della carne di pollo in luogo di quella di maiale.
  • nel Varesotto si aggiungono anche i verzini (piccole salamelle fatte con l'impasto della salsiccia).
  • nel Trentino, altrernati ai crauti, vengono preparati nel periodo invernale anche i capùsi gràsi, ovvero cavoli tagliati grossolanamente e fatti cuocere con varie parti come stinchi, pancette, luganega fresca o cotechino.

5 e 5

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Il 5 e 5 è un tipico panino livornese farcito con torta di ceci.

Storia

Il 5 e 5 nasce dalla farcitura di un pane detto francesino o pan francese e la torta di ceci una torta salata, a Livorno detta semplicemente "torta". La torta di ceci è in realtà un'invenzione dei genovesi, a Livorno è nata solo l'idea di usarla come farcitura di un panino.

Leggenda

Si narra che durante la Battaglia della Meloria, che vide protagoniste Genova e Pisa nel 1284, un'imbarcazione genovese che trasportava prigionieri pisani si imbatté in una tempesta proprio nei pressi delle coste livornesi. La nave subì qualche danno e la stiva, che conteneva le scorte di cibo dell'equipaggio, imbarcò moltissima acqua.
Tra i prodotti si trovavano grandi quantità di ceci, che si mischiarono con l'acqua salata imbarcata e con l'olio fuoriuscito da un barile rovesciatosi durante la tempesta. Si venne così a formare una poltiglia ben poco appetitosa.
Passavano i giorni e le altre provviste iniziavano a scarseggiare. Quando queste furono completamente esaurite, i marinai non poterono che cibarsi di quella pappetta di ceci, acqua e olio. Successivamente il miscuglio venne esposto al sole perché si potesse seccare e divenire più appetitoso. L'esperimento riuscì perfettamente, e quella che prima era una disgustosa poltiglia diventò una croccante e succulenta pietanza.
I genovesi sfruttarono questa scoperta sostituendo all'essiccamento al sole, la cottura in forno, e dandole il nome di "oro di Pisa", nome poi sostituito da "farinata".
Il prodotto prese poi il nome di torta di ceci e si diffuse in molte zone costiere a sud di Genova. Una di queste zone era proprio Livorno, che personalizzò la ricetta, suggerendo di accompagnarla con del pane francese o della focaccia.

Nome

L'accostamento piacque notevolmente ai livornesi e si stabilizzò negli anni trenta del Novecento, quando sia il prezzo del pane che quello della torta di ceci erano di 5 centesimi di lira, per cui la frase tipica del cliente che voleva acquistare entrambe era:"Vorrei 5 di torta e 5 di pane". Fu così che la torta di ceci iniziò ad essere chiamata semplicemente torta e venne utilizzata come farcitura del panino che prese appunto il nome di "5 e 5".
Successivamente è stato possibile aggiungere, a piacimento del cliente, il pepe e da 15/20 anni le melanzane sotto il pesto (cioè marinate).

Età contemporanea

Il "5 e 5" è entrato a far parte dei prodotti tipici livornesi. Viene venduto sia da specializzati "tortai" che in alcune pizzerie a taglio ed è apprezzato soprattutto dai giovani, che usano accompagnarlo con un bicchiere di spuma bionda. Questo semplice panino è diventato talmente importante per la città di Livorno, che gli è stato dedicato un "cammino gastronomico" denominato "Dammi 5 e 5!". L'evento ha incluso la distribuzione di un pieghevole che informava sui punti vendita, sul loro orario di apertura e sui costi, così da rendere il "5 e 5" una vera e propria attrazione turistica.

Curiosità

La torta di ceci, che a Livorno viene chiamata torta, a Genova e Torino viene chiamata "farinata", a Carrara "caldacalda" e a Pisa "cecìna". Dati i rapporti campanilistici tra pisani e livornesi, viene spesso sconsigliato al turista che si trovi a Livorno di chiamare la torta di ceci, "cecìna"!

Orderman

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Orderman GmbH è una società austriaca con sede a Salisburgo, con filiali in diverse nazioni e un distributore esclusivista nazionale in Italia (Orderman Italia S.r.l.). Orderman produce dispositivi per la raccolta delle ordinazioni (altrimenti dette "comande") al tavolo e successiva trasmissione in radiofrequenza, ovvero periferiche dedicate al settore della ristorazione professionale e Pos Pc Columbus, più in generale per il mercato dell'ospitalità. Tramite i palmari le ordinazioni sono raccolte al tavolo del cliente e sono quindi trasmesse via radio alla cucina, pizzeria, banco bar e/o altri centri di produzione. Ad oggi i dispositivi Orderman sono usati in più di 35.000 attività ristorative. Orderman è considerata leader mondiale in questo settore e collabora con più di 600 partner selezionati nella distribuzione e con numerose software house che realizzano sistemi informatici gestionali per ristoranti nonché con produttori di registratori di sistemi di cassa in 45 paesi.

Storia

Orderman è stata fondata nel 1993 con il nome di "Think Dig High Tech Solutions". I primi clienti dell'azienda, sono stati ristoranti situati in rifugi alpini e discoteche.
Nel 1997, in un caffè di Venezia, viene installato e utilizzato il millesimo palmare prodotto e venduto. Nel 1999 viene creata Orderman Italia S.r.l. con sede a Bolzano.
Nell'anno 2000 è stato presentato il primo palmare dotato di schermo tattile (touch screen), ovvero Orderman "Don".
Nel 2002 viene fondata a Madrid Orderman Iberia.
Nell'anno 2007, la ragione sociale è stata modificata in "Orderman GmbH" e le quote azionarie della società erano divise in quattro soci: Alois Eisl (amministratore delegato), Gottfried Kaiser (ricerca), Franz Blatnik (sviluppo) e Willi Katamay (direzione commerciale).
Il 7 luglio 2008 Orderman ha annunciato la vendita a Radiant Systems, Inc. (Nasdaq-RADS), leader del mercato statunitense nel settore POS per l'ospitalità.
Nel 2010 è stato presentato al mercato Orderman Sol, il primo terminale palmare Orderman di nuova generazione con schermo completamente tattile, con funzionalità grafica e a colori.
Nel novembre del 2010 è stato prodotto e immesso sul mercato il primo POS PC di Orderman, denominato Columbus. Nel 2012 viene installato il 70.000 palmare prodotto da Orderman.
Il 31 dicembre 2013, viene terminata la produzione del palmare Don, dopo circa 14 anni di produzione; il palmare sarà ancora supportato e riparato (con reperibilità piena dei pezzi di ricambio) fino al Dicembre 2020.
Sia la ricerca e sviluppo, sia la produzione e il controllo della distribuzione sono svolti nella sede operativa di Salisburgo.
Nel luglio 2011, NCR Corporation acquisisce Radiant Systems per 1,2 miliardi di dollari americani, pagando 28 dollari ogni azione di Radiant, contro il valore di mercato di circa 20, a testimoniare quanto NCR ritiene strategica l'acquisizione di un gruppo così affermato nel settore della ristorazione. Nel 2013 Orderman diviene formalmente parte di NCR Corporation, cambiando la ragione sociale in "Orderman part of NCR Corporation".

Prodotti

La gamma di prodotti Orderman è composta da palmari sia di tipo touch screen (ovvero a schermo tattile) sia a tastiera. Gli apparecchi touchscreen sono impiegati soprattutto nelle attività che possono vantare un'offerta di prodotti alimentari e gastronomici ampia e complessa; i dispositivi che funzionano a tastiera e con codici PLU sono particolarmente indicati per la ristorazione di tipo fast food, ad esempio pub nei quali la gamma prodotti è limitata ma la frequenza delle presenze di clientela è molto elevata.
A partire dal novembre 2010, Orderman ha iniziato la produzione e la distribuzione del proprio POS PC denominato Columbus. La prima versione di questo Pos Pc è il Columbus700, un potente hardware con spiccate caratteristiche innovative per il mercato. Nel febbraio 2011 è stato immesso sul mercato anche Columbus300, "fratello minore" del 700, dotato di una CPU Atom N270 e infine nel 2012 è stato prodotto il primo esemplare di Columbus500, un PC POS "tuttofare" basato sul più veloce D2560 Dual Core della Intel.
La tecnologia dei Pos Pc Columbus è basata su potenti motherboard Intel di ultima generazione, ingegnerizzate da Radiant System e NCR, produttore leader di PC POS per il mercato statunitense e casa madre di Orderman.
Già nei primi mesi del 2011, i Pos Pc Columbus sono stati installati in diverse e molteplici catene di ristorazione in Italia e in Europa, nonché in diverse realtà retail e della ristorazione al dettaglio in generale.
L'ampia affidabilità di questi Pos Pc è sottolineata dal rivoluzionario sistema di garanzia Orderman che assicura l'acquisto garantendolo fino a 6 anni con una garanzia "Kasko" tutto incluso.
Secondo uno studio condotto nel 2007 dall'istituto di ricerche di mercato austriaco "OGM", dal quale sono state effettuate circa 400 interviste, grazie ai sistemi di raccolta in radiofrequenza degli ordini al tavolo sono possibili aumenti del fatturato pari, in media, all'8,5%.
Tali incrementi sono conseguiti grazie al risparmio di tempo e alla precisa raccolta di ogni comanda, in conseguenza al quale i posti a sedere disponibili sono sfruttati al meglio; inoltre nell'emissione del conto non è mai dimenticata alcuna consumazione.
Nel 2012 Orderman pubblica un secondo studio di settore per la ristorazione (studio effettuato su 357 ristoratori dalla azienda indipendente Ploner Hospitality Consulting), dove si pone l'accento sulla necessità di offrire un servizio adeguato alla clientela, come fattore primario di successo per un ristorante.

Dati economici e finanziari

Il fatturato di Orderman è passato da 6,1 milioni di euro nel 2004 a 14 milioni di euro nel 2010. Attualmente l'azienda offre lavoro ad oltre 100 dipendenti (stato 10/11). La quota di esportazioni è dell'86%. Oltre ad Austria e Germania, anche l'Italia (con Orderman Italia S.r.l.) e la Spagna rappresentano i principali mercati di sbocco dell'azienda.
Complessivamente ogni giorno più di 16 milioni di ordinazioni sono realizzate attraverso circa 70.000 palmari "Orderman" (di cui, più di cinquemila in Italia) in tutto il mondo. In Austria 4.000 palmari sono in funzione in circa 1.800 attività, il che corrisponde ad una quota di mercato del 70/80%.

 
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