Dolce al cucchiaio
Balut
Caffè Defilla
Abbamele
Abbamele (noto anche come abbatu, abbathu o abbatzu in sardo) è un prodotto a base di miele proveniente dalla cultura rurale della Sardegna (Italia). Anche il nome proprio sardo non è raramente italianizzato in sapa di miele ("miele sapa").
Secondo i metodi tradizionali di preparazione, i favi vengono frantumati e le palline di cera contenenti il 20-30% di miele vengono raccolte in contenitori generici. Nei giorni immediatamente successivi alla deposizione di tutto l'estratto di miele, i favi rimanenti contenenti miele e polline vengono immersi in acqua calda (~ 50 °C), in modo che l'acqua dissolva tutto il miele ancora presente nei favi. A questo punto eventuali grumi di cera e polline rimasti vengono frantumati mediante l'utilizzo di un apposito miscelatore oa mano. La cera rimanente viene quindi ulteriormente pressata per spremere l'eventuale liquido residuo e viene quindi conservata in appositi contenitori. Il liquido residuo della fase precedente viene filtrato, ad esempio con un panno di lino, almeno due volte, e quindi posto in un'apposita caldaia ad alta capacità (talvolta in rame) dove viene bollito e concentrato tramite decotto. Durante questo processo di concentrazione vengono aggiunte scorze di limone o arancia tagliate finemente e vengono rimosse eventuali impurità sulla superficie del liquido. Il contenuto della caldaia diventa gradualmente sciropposo e deve essere tenuto in costante movimento per evitare che il prodotto si attacchi sul fondo e sviluppi un sapore affumicato. Anche il liquido diventa caramellato, diventando scuro come la melassa ma molto più complesso, con un sapore tostato che ha sentori di caffè e caramello. Quando il liquido assume una consistenza simile a quella del miele, il riscaldamento viene interrotto, e la caldaia viene depositata in un luogo appartato e lasciata raffreddare prima che l'abbamele venga scolato.
L'abbamele che ne risulta ha un concentrato di sapore di miele, e può essere consumato con formaggi, ad esempio ricotta salata o affumicata, con frutta fresca, o anche con pasta o verdure.
Ficattola
Perché la pizza viene tradizionalmente mangiata a spicchi invece che con le posate?
È una concessione al fatto che nasce come street food, il modo tradizionale di mangiarla a Napoli è piegata in quattro "a portafoglio".
Preciso che non c'è modo di mangiare la pizza napoletana a spicchi se non ripiegando gli stessi dopo aver tagliati, la pizza napoletana non è rigida, non è possibile tenere uno specchio per i bordi senza che si pieghi e lasci cadere il condimento. Per questo non avendo piatto e posate la si piega in quattro.
Se è rigida e croccante (al centro non ai bordi rigonfi) NON è pizza napoletana. Anzi, ma questo è un parere puramente personale, NON è pizza.
A cosa deve il suo nome la "pasta alla carbonara"?
Il primo esempio di carbonara, viene presentato nel 1881 da Francesco Palma, nel libro sulla cucina napoletana “Il principe dei cuochi”; viene presentato questo piatto, dei “maccheroni con cacio e uova” con l'aggiunta di sugna (grasso del maiale da cui si ricava lo strutto).
Ma la vera svolta, avviene nel 1944, dove Renato Gualandi, giovane cuoco bolognese, viene incaricato di preparare un pasto per le armate americane ed inglesi, a Riccione. Mise insieme le razioni americane a disposizione, ovvero: pasta, bacon americano, tuorlo in polvere, crema di latte e all'ultimo, quasi per caso, del pepe nero. La serví bavosa, ne furono tutti conquistati e lui divenne cuoco a Roma per le truppe alleate, fino alla fine della guerra, nel 1945; questo poco tempo fu sufficiente per rendere famosa la ricetta in tutta la Capitale.
La prima pubblicazione in Italia (viene prima pubblicata in America, nel 1952) su La cucina Italiana nel 1954, prevede per la ricetta: spaghetti, uova, aglio, groviera e pancetta. La ricetta ufficiale viene “consacrata” negli anni '60 in “La grande cucina” di Luigi Carnacina, dove però era prevista anche la panna; c’erano moltissime varianti, tra le quali: peperoncino, peperoni, vino, aglio, cipolla e prezzemolo. L’uso della panna, fino agli anni '90, era talmente diffusa, che Gualtiero Marchesi pubblica la ricetta consigliandone 250ml per 4 persone (nel 1989). Dagli anni '90 in poi, piano piano si consolida la tipica ricetta che tutti conosciamo, a base di pasta, uovo (tuorlo, principalmente), pecorino, pepe e guanciale.
Si sente pronunciare il nome “carbonara” solo nel 1951, nel film “Cameriera bella presenza offresi..” in cui il datore di lavoro, durante il colloquio, chiede a Maria se sa preparare gli spaghetti alla carbonara, ma lei nega, confermando però di saper fare gli spaghetti all'amatriciana.
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