Il borlengo, burlengo o
zampanella è una specie di crêpe molto sottile e croccante
preparata a partire da un impasto liquido estremamente semplice (è
un tipico cibo povero), a base di acqua (o latte), farina, sale e
talvolta anche uova: questo impasto è detto colla. Il ripieno
tradizionale, detto cunza, consiste in un battuto di lardo,
aglio e rosmarino, oltre ad una spolverata di Parmigiano Reggiano. Il
borlengo si serve molto caldo e ripiegato in quattro parti. Molti
paesi della zona di produzione rivendicano la paternità di questo
alimento, la cui origine è decisamente antica: i primi documenti
certi risalgono al 1266, ma c'è chi ne situa la data di nascita
addirittura nel Neolitico.
A Zocca ha sede il Museo del
Borlengo, e ha sede la Compagnia della cunza,
associazione per la cultura e la conservazione della tradizione del
borlengo tipico.
Etimologia
L'etimologia viene fatta risalire a
"burla", e a questo proposito vi sono almeno tre teorie:
Per alcuni il borlengo sarebbe il
risultato di uno scherzo ad una massaia che, con acqua e farina,
stava preparando il tradizionale impasto per le crescentine da
cuocere nelle tigelle (piccole pietre refrattarie entro le
quali venivano chiusi i dischi di pasta, poi accostati al fuoco del
camino). La donna, trovandosi l'impasto allungato eccessivamente
dall'acqua, non pensò di buttarlo via, ma provò a ricavarne
ugualmente qualcosa di commestibile, e ci riuscì.
Altri pensano che l'alimento
venisse mangiato a carnevale, quindi fosse un "cibo per burla".
Altri ancora ritengono che la
burla risieda nel fatto che il borlengo è un alimento molto
voluminoso, ma in realtà molto leggero perché la pasta è
sottilissima.
Tradizione
popolare
Come per buona parte delle ricette
tradizionali, attorno al borlengo si sono sviluppati miti e
tradizioni, che ne attribuiscono la paternità a questo o quel paese.
È piuttosto probabile che già nel medioevo tale alimento fosse
ormai diffuso nella prima collina tra Bologna e Modena, e c'è anche
chi sostiene che le radici del borlengo affondino nella preistoria.
La datazione più antica risale al 1266
a Guiglia, durante l'assedio del castello di Montevallaro da parte
delle truppe guelfe modenesi della famiglia degli Algani, guidate da
Nisetta degli Osti, Ruffo dei Rossi, Pepetto dei Trenta e Crespan
Doccia. I difensori del maniero, Ugolino da Guiglia e la famiglia dei
Grasolfi, sarebbero riusciti a resistere per lungo tempo grazie a
delle grandi ostie di farina ed acqua impastate, cotte ed insaporite
da erbe, prima di arrendersi il 4 luglio. Con il protrarsi
dell'assedio la farina scarseggiava sempre di più, e le ostie
divenivano sempre più piccole e sottili, quasi trasparenti: vennero
quindi "degradate" dal rango di cibo a quello di "burla",
o "burlengo", da cui il termine odierno. Tale preparazione
si diffuse a tutto il resto dell'appennino grazie ai pochi superstiti
dell'assedio.
Scendendo lungo il Panaro, a Vignola,
la leggenda vuole che tale alimento sia stato preparato in
circostanze simili, ossia durante l'assedio del castello governato da
Iacopino Rangoni, avvenuto nel 1386 ad opera dell'esercito del conte
Giovanni da Barbiano, alleato di Isacco e Gentile Grassoni.
Un'origine più incerta invece è
quella che si tramanda a Zocca, dove i borlenghi scaturirono da una
frode vera e propria. Si narra infatti di un bottegaio che nei giorni
di mercato vendeva pane e focacce, allungando però l'impasto con
acqua a seconda del numero di avventori.
Infine a Montombraro ritorna il
collegamento con la "burla": un signorotto locale, infatti,
avrebbe servito tale sottile sfoglia a conoscenti ed amici, che erano
stati riuniti a convivio con la promessa di un pasto abbondante.
Purtroppo per lui, gli ospiti gradirono talmente quel cibo così
insolito da venirne conquistati ed insistere per essere invitati a
tavola numerose altre volte.
Zona di
preparazione
La zona di preparazione è una
ristretta fascia di Appennino emiliano, che comprende i comuni a
cavallo tra la provincia di Modena (la fascia principale è quella
che va da Guiglia, Marano sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola e
Zocca (che ospita il Museo del borlengo), fino a Castel D'Aiano e
Montese, con in seconda battuta il territorio del Frignano, tra cui
Pavullo nel Frignano e Sestola, dove vengono chiamati berlenghi e
burlenghi, e Fanano e, la parte della provincia di Bologna più
vicina a Modena (Gaggio Montano, Porretta Terme, Vergato, Savigno,
Castello di Serravalle e Castel D'Aiano). A Bologna e provincia e nel
comune modenese di Montese sono conosciuti con il nome di zampanelle.
Nel comune modenese di Polinago i borlenghi vengono chiamati ciaci o
solatelle (sono leggermente più spessi dei borlenghi classici) e si
possono consumare, anche accompagnati a salumi, con le crescentine
nei chioschi allestiti per la festa patronale di Ferragosto. Vengono
chiamati inoltre sfuiadee o sfogliatelle a San Dalmazio, frazione del
comune di Serramazzoni.
Tipologie di
borlengo
Come per tutti i prodotti tipici
locali, è praticamente impossibile definire una ricetta e un modo di
preparazione univoco per i borlenghi. Ogni famiglia ha la propria
variante peculiare che riterrà quella originale e i diversi paesi si
contendono la paternità del borlengo. Inoltre è possibile fare
confusione dato che un unico nome in realtà identifica diversi
prodotti (ad esempio il caso eclatante delle crescentine); e anche il
viceversa, cioè prodotti che hanno nomi diversi ma indicano lo
stesso prodotto. Emblematica è la situazione del ciacio, che nel
Frignano può indicare sia una variante del borlengo fatto con la
farina di castagne e condito con la ricotta, sia il borlengo stesso.
Sempre più raramente il borlengo è definito come ciacio, la
variante con le castagne è più specifica e sempre più indicativa
per i locali delle zone di Pavullo. È però possibile tentare una
distinzione tra due tipologie di borlengo in base al tipo di padella
in cui vengono cotti, corrispondenti a distinte zone geografiche.
Borlengo nelle
cotte
Questo tipo di borlengo (chiamato anche
ciacio oppure ciaccio) viene cucinato nel Frignano,
nelle valli del Dolo, del Dragone e del Panaro nel versante
occidentale. Le padelle usate per cuocere il borlengo sono chiamate
"cotte" o "cottole": due piastre in ferro di
circa 28–30 cm senza bordo e con un lungo manico. Le cotte sono
scaldate su un normale fornello e sono unte tradizionalmente con
cotenna di prosciutto o con mezza patata unta con olio di semi.
Raggiunta la temperatura, l'impasto (la "colla") viene
versata su una delle due cotte che vengono poi sistemate una sopra
l'altra. Il borlengo resta schiacciato nel mezzo per il tempo della
cottura e le cotte vengono capovolte più volte per ottenere una
cottura uniforme. La scuola di Pavullo e specialmente quella di
Miceno utilizza una metodica particolare, rigirando il borlengo
stesso al posto delle cottole e invertendole ad ogni cottura, in modo
tale che la colla venga caricata sempre sulla cottola più fredda che
andrà poi a posarsi direttamente sul fornello, in questo modo la
cottura risulta più rapida ed uniforme. La consistenza e lo spessore
di questo tipo di borlengo dipende dalla quantità di acqua contenuta
nella colla, e dalla mano del borlengaio che può utilizzare una
colla più o meno liquida per ottenere lo stesso effetto. Il
condimento tradizionale è un pesto di aglio, rosmarino e lardo (noto
come cunza di Modena, lo stesso usato per le crescenti)
a cui viene aggiunto Parmigiano Reggiano grattugiato. Il condimento
viene aggiunto sul borlengo una volta che questo è cotto e al di
fuori delle cotte. Esistono altresì condimenti alternativi con
formaggio (aggiunto a fine cottura e poi reinserendo il borlengo
nelle cotte per qualche secondo.) o crema gianduia. Si è diffusa
anche l'abitudine di utilizzare come farcitura marmellate e creme di
cioccolato, con aggiunta di liquore all'anice(sambuca) oppure con
zucchero e limone, cosa però vista malvolentieri dai cultori della
tradizione dell'Appennino. La colla è un impasto liquido di farina,
acqua e sale, ma anche per questo esistono varianti che contengono
farina integrale, latte, vino bianco o uova.
Zampanelle
nelle ruole
Questo tipo di borlengo viene cucinato
nella valle del Panaro nel versante montuoso e orientale, in specie
nel comune di Montese. Il borlengo cucinato nelle zone di Guiglia,
Marano sul Panaro, Vignola, Modena e Zocca è praticamente identico
alla zampanella e varia solamente per quello che riguarda
alcuni ingredienti della "colla". La padella usata in
questo caso si chiama ruola o sole: una padella di rame
stagnato di circa 40–45 cm di diametro con un lungo manico. Queste
ruole devono essere "preparate" per poter essere
utilizzate, secondo una procedura che ogni cuoco difende
accuratamente. La cottura è effettuata su fornelli speciali (detti
fuochi o foconi) che poggiano su un treppiede e che
scaldano uniformemente la padella. La cottura avviene in quattro
minuti per parte e quando la zampanella è pronta viene capovolta e
condita direttamente nella padella con il pesto di pancetta, aglio
(se piace) e rosmarino poi arricchito con Parmigiano Reggiano
grattugiato. L'abilità del cuoco consiste nel ruotare la padella in
modo da ottenere una zampanella distribuita uniformemente, molto
sottile (quasi trasparente), croccante (non collosa né elastica). Va
mangiata calda e appena fatta altrimenti perde la croccantezza e
diventa collosa. L'impasto liquido rispetta la ricetta tradizionale
di farina, acqua e sale, ma anche per questo esistono varianti
contenenti uova. La differenza fra zampanelle e borlenghi del
Frignano sta nelle dimensioni, nell'impasto e nel condimento. Le
dimensioni della zampanella sono molto superiori a quelle del
borlengo del Frignano e lo spessore risulta molto inferiore. Per
questo l'abilità del cuoco è determinante in quanto deve essere
capace di spargere velocemente il liquido dell'impasto in modo da
renderlo sottilissimo e quasi trasparente. Il condimento poi è molto
diverso in quanto viene usata la pancetta fresca e la salsiccia al
posto del lardo. Un tempo le zampanelle erano mangiate solo in
inverno, proprio a ragione del fatto che quando cotte grondavano del
grasso del lardo. Attualmente si sostituisce abitualmente il lardo
con pancetta fresca, a volte miscelata con la salsiccia, e si possono
usano mangiare tutto l'anno. Una delle differenze fra zampanelle e
borlenghi del Frignano sta quindi anche nel modo di condirle. I
borlenghi del Frignano assomigliano invece più ai ciaci di
farina di grano che vengono fatti nella zona di Montese: più spessi
e più piccoli di diametro. In alcuni ristoranti della zona si
possono assaggiare zampanelle con varianti al condimento, vegetariane
con pesto di asparagi e ricotta, olio di oliva aromatizzato all'aglio
e rosmarino con grana grattugiato, caciotta filante, pesto ai quattro
formaggi, e anche salumi e formaggi a fette, non mancano varianti
dolci alla marmellata, al mascarpone con frutti di bosco e con la
famosa crema alle nocciole.