Parmigiana di melanzane

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La parmigiana di melanzane, anche melanzane alla parmigiana o semplicemente parmigiana, è un piatto a base di melanzane fritte e gratinate in forno con passata di pomodoro, basilico, aglio e uno o più formaggi inclusi, parmigiano reggiano, pecorino siciliano, mozzarella, scamorza e caciocavallo.
È un piatto di dubbia origine, in quanto è ancora oggetto di discussione se sia pugliese o, a detta dei siciliani, di origine sicula. Altri attribuiscono l'origine alla Campania o a Parma. È stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).

Storia

La melanzana è una pianta originaria del continente asiatico; venne probabilmente introdotta in Europa ad opera di mercanti arabi in Spagna e poi nel resto d'Europa nel corso del basso medioevo. Come altri vegetali appartenenti alla famiglia delle solanacee, è stata per lungo tempo accompagnata da cattiva fama; per questa ragione la sua diffusione in Europa ebbe inizio solo a partire dal XVIII secolo, periodo in cui comincia a diventare di uso comune nelle mense del popolo prima e della nobiltà poi.
Un indizio importante per individuare il momento in cui la ricetta cominciò a prendere corpo è identificabile nella presenza di un ingrediente importante qual è il pomodoro, fatto che in certa misura ne certifica l'origine settecentesca: anche questo frutto, importato in Europa solo con la scoperta delle Americhe, ha seguito lo stesso destino della melanzana, riuscendo infine ad affermarsi nelle mense europee solo nel corso del XVIII secolo.
Queste osservazioni sostengono la tesi che la comparsa della parmigiana sia da collocare tra la seconda metà del XVIII ed i primi decenni del XIX secolo, anni in cui le dominazioni spagnole in italia erano consolidate da secoli come appunto il Ducato di Parma, il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia.
La storia della ricetta tuttavia non è chiara e dunque risulta impossibile risalire con certezza all'origine della stessa, e l'invenzione del piatto viene per questo motivo contesa dalla Sicilia e dalle città di Napoli e di Parma.

Attribuzione siciliana

Il termine "parmigiana", secondo alcuni, deriverebbe dalla parola siciliana parmiciana, plausibilmente derivante dal latino "parma" (scudo), con cui sono chiamate le liste di legno che compongono una finestra persiana, forma richiamata dalla disposizione a strati sovrapposti delle fette di melanzana fritte. La teoria che affermerebbe la paternità della ricetta alla Sicilia trae forza anche dal fatto che in questa parte d'Italia il piatto viene chiamato "parmigiana di melanzane", non "melanzane alla parmigiana" come in Emilia, quindi il sostantivo principale è "parmigiana" e "di melanzane" è la specificazione.
Il nome di questo piatto potrebbe più verosimilmente derivare dalla parola turca patlıcan' e/o da quella araba 'al-badingian' (in queste lingue le consonanti p e b si pronunciano allo stesso modo). Infatti sia nella cucina araba che in quella turca esiste un piatto in qualche modo simile che è passato nella cucina greca con il nome di moussaka. Ad avvalorare tale ipotesi il termine siciliano del tipo di melanzana con cui si fa la pietanza, petronciana. Nelle ricette antiche è previsto l'uso del formaggio pecorino siciliano, molto utilizzato nella cucina meridionale, per cui non sembrerebbe esserci alcune relazione con il formaggio parmigiano reggiano il cui utilizzo nella cucina meridionale si è diffuso nel secondo dopoguerra.


Attribuzione napoletana

Jeanne Caròla Francesconi, scrittrice e conoscitrice della cucina napoletana, sostiene che le origini della ricetta risalgono ad oltre due secoli or sono ed individua, nelle opere di Vincenzo Corrado e Ippolito Cavalcanti, i primi tentativi di illustrare quella che noi conosciamo attualmente come parmigiana di melanzane.
«Un'altra gloria della cucina napoletana, è la parmigiana. Pochi elementari sapori che si completano ed ecco uno squisito piatto, saporito ed appetitoso, che bene si addice all'estate.»
(J. C. Francesconi, La cucina napoletana)
Troviamo la prima ricetta riconducibile in certa misura a quella che noi oggi conosciamo come parmigiana nel celebre trattato Il Cuoco Galante di Vincenzo Corrado, autore di origine pugliese che tra il XVIII e il XIX secolo prestò servizio nelle più prestigiose casate napoletane. È possibile, anche per le ragioni esposte, che in origine la preparazione fosse tipica delle zucchine. Nell'unica ricetta dedicata alle melanzane (petronciani) l'autore suggerisce la possibilità di prepararle alla maniera di zucche, pastinache (sorta di carote) e pomodori.
Delle zucche lunghe alla parmigiana
«Le zucche lunghe (zucchine) devono essere né troppo lunghe, né piccole. Prima di cuocerle bisogna raderle d'intorno, e tagliarle in sottili fette rotonde; poi polverate di sale, per qualche tempo, acciocché mandino fuori un certo cattivo umore, e si renda la loro carne piacevole, da usarla in quelle maniere che si dirà, si spremono tra le mani, o tra due tondi, s'infarinino, e si friggano nello strutto. Si servano in un piatto tramezzate di parmigiano, e butirro, coverte con salsa di gialli di uova, e butirro, rassodate nel forno.»
(Vincenzo Corrado, Il Cuoco Galante)
Per trovare la prima ricetta delle melanzane alla parmigiana a noi familiare bisogna invece aspettare il 1837, quando Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino diede alle stampe la sua opera più importante: "Cucina teorico pratica". Del Cavalcanti riproponiamo un estratto della ricetta presentata nel libello Cucina casereccia in dialetto napoletano, comparso in appendice all'edizione del 1839.
Melanzane alla parmigiana,
«… e le farai friggere; e poi le disporrai in una teglia a strato a strato con il formaggio, basilico e brodo di stufato o con salsa di pomodoro; e coperte le farai stufare.»
(Ippolito Cavalcanti, "Cusina casarinola co la lengua napolitana, Cucina casareccia in lingua napolitana)



È comunque da rimarcare il fatto che in molti libri di gastronomia stampati tra il 1600 ed il 1800, tra i quali quelli del Corrado e del Cavalcanti, la locuzione "alla parmigiana" veniva adoperata per indicare la presenza del tipico formaggio nelle ricette, valga l'esempio delle 28 ricette "alla parmigiana" illustrate nel Cuoco Galante, tutte caratterizzate dalla presenza del formaggio Parmigiano.

Attribuzione parmense

La parmigiana per antonomasia è oggi quella di melanzane, ma il termine viene talvolta riferito anche a preparazioni a base di ortaggi affettati e disposti come le scalette di una finestra persiana a formare strati alternati con altri ingredienti. Il dizionario Devoto-Oli definisce il termine come segue: "cucinare alla maniera dei parmigiani, ovverosia degli abitanti della città di Parma, vuol dire cucinare vegetali a strati". Stessa etimologia è proposta dal "Dizionario etimologico" Cortelazzo-Zolli, che fa risalire la comparsa del termine parmigiana, ma non si sa se riferito alla pietanza di melanzane fritte e cotte al forno, a prima del 1440 da Simone de' Prodenzani. Nella sequenza delle portate del Prodenzani, tuttavia, le parmigiane sono collocate tra la frutta e i dolci.

Pesce all'acqua pazza

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L'acqua pazza è una preparazione del pesce tipica della cucina napoletana che consiste nella cottura di pesci di medie dimensioni, quali spigole, orate o pezzogne o mormore, con olio, aglio e pomodorini tagliati a pezzi. A termine cottura si aggiunge del prezzemolo tritato.

Minestra maritata

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La minestra maritata è un tipico piatto di origine campana, in genere preparata secondo la più stretta tradizione napoletana per pranzi festivi, quali quelli in occasione di Natale e Pasqua.
La dicitura maritata deriva dal fatto che gli ingredienti di carne e verdura si "maritano", partecipando insieme alla minestra. La ricetta nel corso degli anni è stata notevolmente rimaneggiata, eliminando o modificandone gli ingredienti, che sono sempre più rari da reperire in commercio. Durante le festività tradizionali, tuttavia, nei mercatini rionali di Napoli ancora si possono acquistare le verdure tipiche per preparare la minestra maritata, che sono cicoria, piccole scarole (scarulelle), verza, e borragine, che gli conferisce una nota amarognola. In qualche variante si usa anche la catalogna (in napoletano: puntarelle). La carne di uso tipico è quella di maiale di minor pregio, con tracchie, salsicce (tipica era la cosiddetta nnoglia, o salame pezzente), e altri tagli.
Nella tradizione più antica, invece del pane tostato si usano gli scagliuozzi, tipiche frittelle di farina di mais fritte dalla forma arrotondata, adagiate sul fondo del piatto.
La preparazione ricorre anche nella tradizione gastronomica ciociàra (della Ciociarìa, regione storica del Lazio meridionale), dove tale ricetta trova ospitalità nei libri di cucina ed è segnalata sui ricettari tipici della zona.

Pane di Triora

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Il pane di Triora è un prodotto di panetteria tradizionale riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. Viene prodotto in Liguria, nel comune di Triora - Valle Argentina.

Storia

Triora, in passato era nota come il granaio della Repubblica di Genova e aveva un unico forno comunale in Vico del Forno; il pane veniva cotto per ogni famiglia, una volta alla settimana, nel forno comune. Oggi (2007) il pane di Triora viene prodotto da un unico panificio, che lo produce in modo artigianale, per tutta la Liguria del Ponente e del basso Piemonte.

Preparazione

Il pane è preparato con farina 1, farina di grano saraceno e crusca, lievitata per una notte con acqua tiepida e sale; all'impasto viene aggiunto il giorno successivo altro lievito e farina. Dopo aver riposato ancora qualche ora su uno strato di crusca i pani, in forme basse e larghe che dopo la cottura raggiungono un peso di circa 850 grammi, vengono cotti in forno caldo utilizzando foglie di castagno per evitare che si attacchino alla base del forno. A cottura ultimata le pagnotte presentano sulla crosta una incisione di forma quadrata.

Consumo

Può servire ad accompagnare una vasta gamma di secondi, ed è particolarmente indicato - tagliato a fette - per essere spalmato di bruss. E conservabile a lungo e può essere consumato fresco per circa una settimana dopo la produzione.

Bruss

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Il bruss, in piemontese bross, in ligure brussu, bruzzu, a volte italianizzato in bruzzo, è un derivato del latte simile ad un formaggio cremoso e spalmabile dal gusto molto forte. È diffuso soprattutto in Piemonte e Liguria. La versione ligure differisce da quella piemontese, perché si ricava dalla ricotta di pecora, e/o di mucca, e/o di capra, opportunamente lasciata fermentare in appositi recipienti in luoghi freschi, umidi e bui, e rimestata ogni giorno delicatamente con cura dal basso verso l'alto. La versione piemontese, è tradizionalmente ricavata dalla fermentazione, anch'essa opportunamente controllata e rimestata, degli avanzi di uno o più formaggi locali, a pasta molle o semidura del cuneese, Langhe, Monferrato e basso Piemonte in genere, quali Toma, Raschera, Sôra, Alta Langa, Murazzano, Roccaverano, ecc. Nella versione ligure vi è una variante, che consiste nell'aggiungere, ad un certo punto della fermentazione, una modesta quantità di formaggio erborinato, come gorgonzola naturale, rimestandolo con cura. I lactobacilli riprenderanno la loro attività, donando man mano al brussu un profumo e un sapore ancora più complessi e interessanti.

Storia

Deve la sua origine alla necessità, tipica della cultura contadina e in particolare delle zone più povere, di sfruttare al meglio ogni possibile alimento.
Anticamente veniva prodotto facendo fermentare croste o pezzi di altri formaggi (spesso anche ammuffiti) nel distillato di vinacce, la grappa, che i contadini producevano in proprio.
Dopo aver mescolato il composto si otteneva un prodotto cremoso dal sapore intenso che veniva mangiato sul pane.

Diffusione

Attualmente si trova in commercio presso mercanti specializzati nella vendita di prodotti tipici ma può anche essere realizzato in proprio facendo fermentare del formaggio fresco (ad esempio robiole o tomini) con grappa o brandy. Viene spesso commercializzato in vaschette di plastica trasparenti o in vasetti di vetro.

Abbinamenti

Un abbinamento classico della versione ligure del bruss è quello con il pane di Triora. Viene anche utilizzato per condire la pasta o la polenta, per insaporire minestre o con le patate al cartoccio.
I vini più indicati per accompagnare il bruss, quanto meno nella sua versione langarola, sono robusti rossi quali i nebbioli o le barbere oppure, con un abbinamento che ne esalta il sapore piccante, vini più zuccherini quali l'Erbaluce di Caluso passito.

Riconoscimenti

È stato denominato come PAT, la versione ligure anche come presidio del gusto di Slow Food (bruzzo della valle Arroscia); quella piemontese, con la denominazione di brus.


Barbagiuai

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Barbagiuai è il nome in lingua ligure dato ai ravioli fritti (i tourtons francesi) e ripieni di zucca e formaggio, nell'entroterra ventimigliese, specialmente nella val Nervia. Ma l'origine la più probabile di questa ricetta sarebbe la città di Castellar, vicino a Menton.
Il nome di questo raviolo fritto deriverebbe da un certo zio (barba in ligure) Giovanni (Giuà), cuoco provetto ed inventore di questa ricetta.
La qualità gustativa del piatto risulta nel contrasto tra il dolce della zucca e il gusto deciso del brusso (ricotta fermentata tipica delle valli imperiesi).
Nel Principato di Monaco questa specialità fa parte della gastronomia locale e si chiama in monegasco Barbagiuan.

Cucina ligure

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La cucina ligure è costituita dai piatti della tradizione culinaria della Liguria, regione che comprende ingredienti legati sia alla produzione locale (come il preboggion, miscuglio di erbe selvatiche), sia alle importazioni provenienti da zone con cui nei secoli, i liguri hanno avuto frequenti contatti (come il pecorino sardo, uno degli ingredienti del pesto).
Per storia, radici e soprattutto elementi che la compongono si può dire che quella ligure sia la vera cucina mediterranea.
Una cucina povera, propria delle genti di campagna, dei montanari e dei naviganti, fatta di alimenti semplici, comuni ed economici, che è tuttavia diventata costosa, ricercata e piena dei fasti antichi.
Volendo riassumere si può affermare che la gastronomia della Liguria si contraddistingua per sei grandi elementi:
• le erbe selvatiche spontanee del territorio (maggiorana, salvia, rosmarino, alloro, timo ecc.) e i prodotti dell'orto di casa (cipolle, patate, basilico, melanzane ecc.)
• le primizie delle coltivazioni e dei boschi (basilico, pomodori cuore di bue, zucchine trombette, asparagi e carciofi albenganesi, funghi, tartufi della Valbormida, frutta fresca e frutta secca)
• l'olio d'oliva
• i prodotti farinacei (focacce, farinate, torte salate ecc.)
• la vasta gamma di paste secche e fresche
• il pescato del mare (acciughe, gamberi, polpi, moscardini, seppie, muscoli, triglie ecc.) e la selvaggina (data l'alta boscosità)


Caratteristiche della cucina ligure

La cucina ligure risente delle caratteristiche geomorfologiche del suo territorio. È pertanto cucina sia di mare sia di terra, secondo il naturale connubio delle due anime che contraddistinguono il territorio ligure: la costa e l'entroterra. La cucina ligure si trasforma, inoltre, attraverso i secoli in relazione allo strato sociale del commensale cui si fa riferimento, oltre al luogo in cui egli vive. Si passa così da piatti che sono di tradizione popolare, a piatti che sono elaborati sulle tavole dei potenti e dei ricchi, anche se rispetto ad altre tradizioni (ad esempio la cucina emiliana) la tradizione povera, o meglio, frugale, è molto più caratterizzante e tipica. La cucina utilizza infatti, per lo più, gli alimenti che il luogo offre. La scarsità di pascoli bovini costrinse i Liguri a sviluppare piatti a base di ingredienti alternativi quali il pesce e le erbe, a cui successivamente si aggiunse la selvaggina: nascono così i condimenti a base di erbe selvatiche o coltivate, tra cui spicca il pesto, che viene usato sia come salsa per condire la pasta, sia aggiunto ai minestroni prevalentemente autunnali ricchi di molte varietà di verdure fresche; importanza assumono anche le molte torte salate alle verdure, la più famosa delle quali è la torta pasqualina, i ripieni e le focacce, tra queste rinomata è la focaccia col formaggio di Recco. Vi sono piatti che hanno alla base ingredienti poveri come, ad esempio, le erbe o le castagne. Si tratta di piatti che provengono dalla mensa del contadino ligure che con la propria tenacia ha domato l'asprezza dei luoghi per poter coltivare la terra su strette fasce, e soprattutto appartengono alla tavola degli abitanti delle zone montane più impervie. Ugualmente, la cucina ligure risente della contaminazione di altri luoghi e popoli con i quali nell'arco dei secoli i liguri ed i genovesi sono entrati in contatto, soprattutto per commercio e conquiste. Ecco così che oltre che ad essere una cucina "localizzata", al suo interno troviamo contaminazioni preziose. In questo senso, la cucina ligure si arricchisce di esperienze diverse. Basti poi pensare alle spezie (oltre ai tradizionali odori o sapori) che anche nei tempi antichi erano cosa di uso comune in Liguria ma in altre regioni di uso piuttosto raro. Particolare, poi, è l'impiego del sale, così prezioso per la conservazione dei cibi: senza sale non esisterebbe per esempio la focaccia, tipica di questi luoghi ed unica, anche se oggi imitata altrove. Altra anima della cucina è il mare: ci sono i piatti nati a bordo e quelli nelle case, nelle famiglie che restavano a casa o al ritorno dei congiunti.
Rispetto al discorso contaminazioni fra cucine regionali vicine ed il mare che bagna l'esteso arco ligure, si pensi all'enorme quantità di cibi, spezie e nuovi alimenti provenienti da altre città italiane o paesi e continenti (Americhe, Asia, Medioriente) si sia riversata in Italia ed in Europa attraverso Genova. Sino a poco tempo fa erano presenti in porto i vecchi silos del grano: impressionanti da vedere, così come quelli di altre materie.
Trova luogo così anche il porto nella tradizione culinaria: c'entra il lavoro … si parte da quello contadino e montano, si passa attraverso il commercio o la conquista e si arriva al lavoro del porto ed a quello operaio delle grandi industrie, oggi ormai scomparse.
Infine c'è la cucina dei giorni di festa e poi quella del nostos (ritorno) dei naviganti a casa e quella delle ricchissime mense dei potenti: dei Dogi, dei futuri Papi, dei conquistatori dei mari.
Fondamentale nella cucina ligure è poi la conservazione degli alimenti e dunque l'uso delle arbanelle, riempite ad esempio con funghi sott'olio, marmellate, miele, acciughe sotto sale, prodotti in salamoia, e intingoli tra i più disparati.
La bandiera di questa cucina è senza dubbio il pesto di basilico.

La cuciniera genovese

Scritto da Gio Batta Ratto, La cuciniera genovese, con sottotitolo La vera maniera di cucinare alla genovese, nel 1863, è la prima pubblicazione di un saggio completo (481 ricette) della cucina del territorio genovese. Nelle edizioni successive appare anche il nome del figlio Giovanni.

 
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