Acquasale

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L'acquasale, nota anche come acquasala, è un piatto tipico del sud Italia, diffuso particolarmente in Campania, Basilicata e Puglia.

Preparazione

È un piatto povero, facile e veloce da preparare. Veniva preparato specialmente dai pescatori e i contadini da consumare mentre erano sul lavoro. Viene realizzato solitamente immergendo il pane biscottato di grano in acqua e condirlo poi con sale, olio extravergine di oliva, pomodoro (succo e/o pezzi) e origano. Può essere servito sia come antipasto o secondo, o anche come piatto unico, specialmente se arricchito di altri ingredienti. In Basilicata, l'acquasale viene anche preparato con l'aggiunta di peperoni cruschi scottati in olio bollente e/o salame al posto del pomodoro.

Galantina

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La galantina (dal latino medievale galatina, prob. forma dalmatica di gelatina ) è un secondo piatto a base di carni bianche.

Storia

La preparazione della galantina in alcuni stati europei, come ad esempio la Polonia, è attestata fin dal Medioevo.

Varianti regionali

Nella tradizione culinaria umbra la galantina è considerata un piatto natalizio. Nella sua preparazione, oltre agli ingredienti di base, compaiono anche Parmigiano, pistacchi e tartufo nero. Anticamente veniva preparata per pranzi di battesimo e di nozze. Di solito erano le donne di casa – talvolta si cimentavano anche gli uomini – che la cucinavano in cambio di olio, vino e altri frutti della terra o anche di denaro. La galantina viene preparata anche nelle Marche, nella cui tradizione gastronomica, però, non è vista esclusivamente come un piatto natalizio, ma viene consumata tutto l'anno.

Ciambotta pugliese

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Il termine ciambotta indica in Puglia un piatto a base di pesce.
Non vi è una ricetta vera e propria, in quanto la ciambotta nasce come piatto povero per le famiglie di pescatori, che cucinavano insieme diverse varietà di pesce e frutti di mare (teste, spigole, gamberoni, cicale, etc...) con pomodori, acqua e un peperone verde.
L'origine del nome si potrebbe far risalire al periodo della permanenza delle truppe americane nel nord della Puglia durante la seconda guerra mondiale. Infatti jam-boat (marmellata di mare) potrebbe essere stato coniato proprio in quel periodo per indicare appunto un insieme di pesci di calibro più piccolo non destinati alla vendita che le famiglie di pescatori serbavano per loro per preparare delle zuppe di mare.
Oggi la ciambotta è considerata un piatto prelibato, che unisce diversi sapori affini; se ne consiglia la degustazione accompagnata da crostini di pane o con pane fresco del Gargano o di Altamura.

Ciambella sorana

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La ciambella sorana, detta ciammèlla è un prodotto a base di farina di grano tenero tipico della città di Sora.
Nasce da un'antica ricetta tramandata a voce che racconta la semplicità degli ingredienti usati, la lunga lavorazione e la necessità di avere sì un prodotto economico ma che si conservasse sufficientemente a lungo.
Si presenta come una ciambella lucida e dorata, croccante all'esterno e morbida internamente, ottima come semplice snack oppure accompagnata a salumi, formaggi, acciughe sotto sale o peperoni.
La ciambella sorana si prepara con farina di grano tenero, lievito di birra, sale, acqua, semi di anice e uova (non sempre).
L'impasto viene fatto lievitare per poco tempo. Quindi si formano le ciambelle intrecciando la pasta, si scottano in acqua bollente e si infornano per farle diventare croccanti.
Nel mese di maggio 2011 la ciambella sorana ha ottenuto dalla Giunta Comunale il DE.CO (denominazione comunale d'origine).

La ricetta tradizionale

Tradizionalmente la preparazione della ciambella sorana iniziava alle otto di mattina del giorno precedente la vendita.
Si impastava insieme, a lungo ed in modo accurato, la farina con il lievito naturale ed un'adeguata quantità d'acqua. Poi si lasciava “riposare” per circa tre ore.
A questo punto la pasta veniva rimpastata aggiungendo altra acqua, sale, un pizzico di bicarbonato di sodio ed un po' di lievito di birra.
La pasta si lasciava lievitare ancora per tre ore, poi si passava alla formatura. Si prelevava la giusta quantità di pasta variabile a seconda della pezzatura che si voleva ottenere e si stendeva, in forma di lunghi cilindri, sopra le tradizionali lastre di marmo che una volta costituivano il ripiano dei “tavoli da cucina”.
Si aggiungevano in modo uniforme, e nel giusto dosaggio, i semi di anice, si comprimeva la pasta per sagomare i tradizionali solchi laterali e poi si arrotolavano, saldando le due estremità, per formare le ciambelle.
Queste erano immerse in grosse caldaie di acqua molto calda, ma non bollente, e subito andavano a fondo tornando a galla dopo circa cinque minuti. Allora si raccoglievano infilando nel foro centrale un lungo cucchiaio di legno di faggio adagiandole su una “scifa” cioè un vassoio rettangolare anch'esso di faggio.
Le ciambelle, scolate ed asciugate, dopo circa mezz'ora si impilavano 8 o 10 la volta sopra un'altra “scifa” lasciandole a riposo fino alle due o le tre di notte, quando arrivava il momento di cuocerle di nuovo, ma questa volta in forno a temperatura media e per circa mezz'ora.
Le ciambelle erano così pronte per il consumo e venivano conservate e trasportate all'interno di grossi canestri adeguatamente coperte per mantenerle tiepide.
Le ciambelle venivano confezionate in tre grandezze differenti in base al peso della pasta impiegata: da un etto, due etti e quattro etti circa.



Cornish pasty

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Il cornish pasty è un tipico pasticcio (fagottino) originario della Cornovaglia, in Inghilterra.
Dall'agosto 2003, a livello europeo, la denominazione cornish pasty è stata riconosciuta indicazione geografica protetta (IGP).

Descrizione

Tipico piatto della cucina inglese, si distingue per la sua forma a mezzaluna e il bordo piegato. La pasta può essere frolla, semisfoglia o sfoglia in base alla ricetta utilizzata da ciascun panettiere. Gli ingredienti del ripieno sono di carne bovina, ortaggi (patate, rutabaga, cipolla) e condimenti.

Storia

Vagamente simile alle placinte (o plaziche) rumene e austriache e alle panadas sarde, potrebbe derivare dalla palacinta, tipico alimento dei legionari romani.

Faldìa

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La faldìa è un piatto a base di carne di cavallo della cucina piacentina. Si tratta di una sottile cotoletta ricavata dal diaframma, una parte del ventre dell'animale. Il taglio in questione risulta apprezzato per l'assenza di grasso e la somiglianza con il filetto. Nella gastronomia piacentina non è infrequente l'impiego delle carni equine, sia cavallo che asino. Tuttavia, associata alla cucina povera, la ricetta era caduta in disuso nel corso del Novecento, finché negli ultimi decenni il piatto non è stato riproposto con successo da alcuni ristoranti di Piacenza e provincia.

Preparazione

La faldìa consiste in una sottile fetta di carne impanata e fritta in padella nel burro, evitando di farla indurire eccessivamente. Una volta terminata la cottura, viene servita su un letto di lattuga.

Origine del nome

Il nome faldìa è di origine spagnola e correlato con il sostantivo falda, cioè gonna. Faldìa era il termine utilizzato per definire, in epoca barocca, il sostegno posto sotto le gonne per tenerle rigide e allargarne il bordo in fondo. Probabilmente la sottigliezza del taglio di carne richiama un'immagine di leggerezza delle vesti.

Cotoletta alla bolognese

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La cotoletta alla bolognese è uno dei piatti tipici di Bologna, di origine molto antica e molto ricco, che consiste in una cotoletta di carne (di vitello o pollo), prima fritta in strutto.
Viene quindi brevemente immersa in brodo di carne, per insaporirla ed "inumidirla" quindi la si mette in una teglia, la si ricopre con una abbondante fetta di prosciutto e una generosa manciata di parmigiano reggiano. La si passa quindi al forno caldo fino a che il formaggio sovrastante si scioglie. Particolarmente ricca è la versione con il tartufo. Una volta uscita dal forno la si ricopre di tartufo (o meglio di "trifola", un tartufo bianco piccolo e molto profumato degli appennini circostanti Bologna). È usanza di alcuni mettere anche una punta di concentrato di pomodoro nella teglia da passare al forno. La ricetta è stata depositata dalla Accademia italiana della cucina presso la Camera di Commercio di Bologna il 14 ottobre 2004.

 
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