Fare la scarpetta: gesto di gusto e tradizione nella cucina italiana

In Italia, poche espressioni culinarie riescono a trasmettere con immediatezza il legame tra cibo e cultura come il gesto di fare la scarpetta. Questa pratica, che consiste nel raccogliere con un pezzo di pane il sugo rimasto nel piatto, è più di un semplice atto pratico: è un rituale che unisce convivialità, passione per la cucina e rispetto per gli ingredienti.

Il gesto della scarpetta è diffuso in tutta la penisola, dai sughi rustici della Toscana e dell’Emilia alla ricchezza dei piatti meridionali a base di pomodoro, carne o pesce. Pulire il piatto con il pane rappresenta un modo concreto di valorizzare il cibo, evitando sprechi e apprezzando fino all’ultima goccia di sapore.

Il termine “scarpetta” ha origini dibattute. Una teoria suggerisce che derivi da una tipologia di pasta concava, concepita proprio per raccogliere il condimento avanzato. Un’altra ipotesi, più legata al linguaggio figurato, fa riferimento a una scarpa leggera, associata a un gesto familiare e informale, ma considerato poco elegante secondo alcuni codici di buona educazione.

Secondo il Grande dizionario della lingua italiana, l’espressione “fare la scarpetta” compare per la prima volta in forma scritta nel 1987, ma il gesto stesso risale a secoli prima, radicato nella tradizione contadina italiana, dove nulla andava sprecato e ogni ingrediente era prezioso. La scarpetta, dunque, non è solo un atto di gusto, ma anche una testimonianza storica di attenzione e rispetto per il cibo.

Fare la scarpetta implica usare il pane come utensile naturale. Tradizionalmente, si afferra un pezzo di pane tra le dita e lo si utilizza per raccogliere sughi, salse o condimenti residui. L’azione può apparire informale, ma in realtà è parte integrante della convivialità italiana: rappresenta un modo per condividere il piacere del cibo e chiudere il pasto con un gesto di complicità.

In alcune regioni, il gesto è considerato quasi obbligatorio per completare l’esperienza culinaria: per esempio, in Campania, fare la scarpetta con il sugo della pasta al pomodoro è quasi un atto rituale, mentre in Emilia-Romagna viene praticato con sughi di carne o ragù. Tuttavia, nei contesti formali, soprattutto in ristoranti di alto livello, il gesto è visto come poco elegante e spesso sconsigliato.

Fare la scarpetta trova il suo massimo compimento con piatti che rilasciano sugo o condimento abbondante:

  • Pasta al pomodoro: un classico senza tempo, dove il pane diventa lo strumento perfetto per assaporare ogni goccia di salsa.

  • Ragù alla bolognese: la scarpetta con il pane fresco permette di gustare la complessità del sugo di carne senza sprechi.

  • Fagioli all’uccelletto o capù: piatti rustici, tipici della tradizione toscana e lombarda, si accompagnano idealmente a un gesto di raccolta del sugo.

  • Secondi in umido: spezzatini, brasati o cotture lente beneficiano del pane per completare il piatto e godere appieno dei sapori concentrati.

L’ideale è scegliere un pane casereccio o toscano, dalla mollica morbida ma compatta, capace di assorbire senza sfaldarsi.

Fare la scarpetta racchiude in sé una doppia dimensione: quella del piacere immediato del gusto e quella della memoria storica e culturale. È un gesto che ricorda la cucina contadina, l’attenzione agli ingredienti e l’importanza di valorizzare ogni parte del pasto.

Pur non essendo sempre considerato elegante, il gesto rimane uno dei simboli più autentici della convivialità italiana. È un atto che celebra il cibo e invita a godere appieno della tradizione gastronomica, unendo semplicità, convivialità e un rispetto quasi rituale per il piatto servito.

In Italia, quindi, fare la scarpetta non è solo pulire un piatto: è vivere il cibo fino in fondo, trasformando un gesto quotidiano in un’esperienza di gusto e cultura.


 

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