Tra i profumi di legna arsa e il crepitio delle braci, il torcinello – conosciuto con mille nomi dialettali come turcinieddhri, gnummareddhi, mboti o cazzmarr – rappresenta uno dei piatti più identitari della tradizione pastorale del Centro-Sud Italia. È un secondo piatto a base di interiora di agnello o capretto, racchiuse in un involucro naturale di budella, che la pazienza dei pastori ha saputo trasformare in una pietanza dal carattere deciso, oggi celebrata in sagre e grigliate in Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata.
Il nome stesso richiama il gesto manuale che ne segna la preparazione: torcere, avvolgere, intrecciare. Piccoli gomitoli di carne, resi compatti dall’abilità delle mani, che una volta messi sulla brace si trasformano in bocconi succulenti e carichi di memoria. Per secoli, il torcinello ha incarnato la logica contadina dell’“arte di non sprecare”: ogni parte dell’animale aveva un destino culinario, e ciò che poteva sembrare scarto diventava invece occasione per un piatto robusto, nutriente e sorprendentemente raffinato nel gusto.
Oggi, questo prodotto è stato riconosciuto come P.A.T. (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) e si conferma come uno dei capisaldi della cucina rurale meridionale, capace di sopravvivere all’omologazione gastronomica e di conquistare nuove generazioni di appassionati.
La nascita del torcinello affonda le radici nella cultura pastorale. Nei secoli passati, nelle masserie e nelle campagne del Mezzogiorno, la macellazione dell’agnello non lasciava spazio a sprechi. Le carni pregiate erano destinate alle grandi occasioni, mentre le interiora, considerate di minor valore, venivano trasformate in piccoli involtini da cuocere velocemente sulle braci accese.
Ogni regione ha sviluppato una propria variante. In Puglia, soprattutto nel Salento e nel Foggiano, i torcinelli sono piccoli, di circa 5 centimetri, ideali da infilare su spiedi o persino da gustare dentro un panino fragrante. A San Paolo di Civitate (Foggia) si celebra una sagra interamente dedicata a questo piatto, a testimonianza di un legame indissolubile con il territorio.
In Molise, i turcinelli si distinguono per un ripieno che comprende fegato e trippa, esaltando i sapori più intensi dell’agnello. La lunga e meticolosa pulizia degli intestini rappresenta un rituale di pazienza e dedizione, senza il quale non sarebbe possibile raggiungere il giusto equilibrio di gusto.
In Basilicata, invece, i gnummareddi assumono spesso dimensioni più grandi e vengono cotti al forno con patate o spezie locali, fino a diventare piatti da condividere nei giorni di festa.
Anche in Abruzzo, regione dal forte legame con la pastorizia transumante, il torcinello è presente come simbolo della cucina semplice e sostanziosa, legata alla vita all’aperto e alla convivialità intorno al fuoco.
Gli ingredienti possono variare da zona a zona, ma la base rimane sempre la stessa:
Interiora di agnello o capretto: cuore, fegato, polmone, trippa, rognone, ben puliti e tagliati a strisce.
Budelline di agnello: accuratamente lavate e utilizzate per avvolgere il ripieno.
Reticella (omento) del fegato: sottile membrana che aiuta a compattare gli involtini.
Aromi: aglio, prezzemolo, cipolla, alloro, semi di finocchio selvatico, pepe nero.
Olio extravergine d’oliva: nella versione al forno o in padella.
Sale grosso: per la pulizia degli intestini e la successiva insaporitura.
Preparazione passo-passo
Pulizia accurata
Le interiora vengono immerse in acqua e sale, oppure acqua e limone, e sciacquate più volte fino a perdere ogni residuo di impurità. È il passaggio più delicato: un lavaggio incompleto comprometterebbe gusto e digeribilità.Taglio degli ingredienti
Fegato, cuore, polmone e trippa si riducono in striscioline di 1-2 cm. La rognonata, dal sapore deciso, si può includere o meno a seconda del palato.Condimento
Le strisce vengono marinate con aglio tritato, prezzemolo fresco, semi di finocchio selvatico, pepe e, in alcune varianti, vino bianco. Si lascia riposare per un paio d’ore.Avvolgimento
Si compone un piccolo fascio di interiora e lo si racchiude prima nella reticella, poi nelle budelline, arrotolandole con gesti rapidi e precisi fino a ottenere cilindri compatti di circa 5 cm.Cottura
Sulla brace: la versione più autentica. Gli involtini si adagiano su una griglia e si lasciano cuocere lentamente, rigirandoli di tanto in tanto, fino a doratura esterna e cuore tenero.
In forno: disposti in teglia con patate, cipolla e rosmarino, cuociono per circa un’ora a 180°C.
Al ragù: in alcune zone vengono lasciati sobbollire in salsa di pomodoro, trasformandosi in un condimento corposo per paste fresche.
Varianti regionali
Salento: piccoli turcinieddhri marinati e infilzati su spiedini.
Foggia: torcinelli serviti in panini durante le sagre.
Molise: versione con fegato e trippa, molto più intensa.
Basilicata: gnummareddi più grandi, spesso accompagnati da patate.
Abruzzo: cottura classica alla brace, con aggiunta di alloro.
Il torcinello è un piatto dalla personalità decisa, che richiede vini rossi strutturati capaci di sostenerne la sapidità e i sentori selvatici.
Puglia: Primitivo di Manduria o Negroamaro Salentino, vini generosi e caldi che si sposano perfettamente con la griglia.
Molise: Tintilia del Molise, rosso autoctono dal profilo speziato.
Abruzzo: Montepulciano d’Abruzzo, versatile e avvolgente.
Basilicata: Aglianico del Vulture, austero e minerale, ideale con le versioni al forno.
Per chi preferisce la birra, una artigianale ambrata non filtrata può accompagnare i torcinelli con equilibrio.
Il torcinello non è solo un piatto, ma un atto di memoria collettiva che racconta la capacità di trasformare ingredienti umili in un’eccellenza gastronomica. Ogni morso porta con sé il sapore di feste paesane, il fumo delle griglie improvvisate, le mani esperte che intrecciano pazientemente gli involtini.
Nato come cibo di necessità, oggi è diventato un prodotto di nicchia, ricercato da chi vuole riscoprire i sapori autentici della cucina contadina. È un esempio di come la tradizione sappia resistere e rinnovarsi, mantenendo vivo un legame profondo con la terra e con la storia delle comunità del Mezzogiorno.
Il torcinello ci ricorda che la cucina non è solo nutrimento, ma identità: un linguaggio che racconta territori, mestieri e riti collettivi. Un piatto che, pur restando fedele alle sue radici, continua a viaggiare e a farsi scoprire da chi ama l’essenza più autentica della tavola italiana.
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