Filetto in crosta – L’eleganza del cuore tenero nascosto sotto il guscio dorato

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Ci sono piatti che raccontano una storia prima ancora di essere assaggiati. Il filetto in crosta, conosciuto anche come Beef Wellington, è una di quelle preparazioni che uniscono teatralità, tecnica e gusto in un unico gesto. Quando il coltello affonda nella sfoglia dorata e croccante per rivelare un cuore rosato e succoso, ogni dettaglio appare studiato per stupire: dal profumo burroso della pasta alla sapidità del prosciutto, fino alla delicatezza del filetto.

È un piatto da grandi occasioni, sì, ma anche una sfida culinaria che chi ama cucinare affronta con entusiasmo e rispetto. Scopriamo insieme dove nasce, come si prepara e come gustarlo al meglio.

Sebbene il nome Beef Wellington evochi immagini dell’Inghilterra georgiana, la sua origine è tutt’altro che certa. Secondo la tradizione, il piatto fu creato per celebrare il Duca di Wellington, eroe della battaglia di Waterloo, ma non esistono prove documentate. Alcuni storici sostengono che si tratti di una semplice anglicizzazione di una ricetta francese, la filet de bœuf en croûte, già diffusa nelle cucine aristocratiche d’Oltralpe.

Al di là delle controversie storiche, ciò che conta è la straordinaria combinazione di consistenze e sapori: carne tenera, farcia saporita e pasta croccante. La versione classica prevede l’uso di filetto di manzo avvolto in prosciutto crudo e duxelles di funghi, poi racchiuso in pasta sfoglia. Oggi se ne trovano infinite varianti, alcune delle quali eliminano il prosciutto o lo sostituiscono con crêpes per isolare l’umidità.

Ricetta: Filetto di manzo in crosta con duxelles di funghi e prosciutto crudo

Ingredienti per 4–6 persone

Per il filetto:

  • 1 filetto di manzo intero da circa 800 g

  • 300 g di funghi champignon o misti

  • 1 scalogno

  • 100 g di prosciutto crudo dolce (San Daniele o Parma)

  • 500 g di pasta sfoglia rettangolare

  • 2 cucchiai di senape di Digione

  • 1 tuorlo d’uovo

  • Burro, olio extravergine di oliva, sale e pepe q.b.

  • Timo fresco e 1 spicchio d’aglio

Facoltativo:

  • 2 crêpes sottili per rivestire il filetto

  • 1 cucchiaio di brandy o Porto per sfumare i funghi

Preparazione

1. Rosolare il filetto
Asciugate bene la carne e legatela con spago da cucina per mantenerne la forma. In una padella ben calda con olio e una noce di burro, rosolatela su tutti i lati, compresi i capi, fino a ottenere una crosticina dorata. Insaporite con sale, pepe, uno spicchio d’aglio schiacciato e timo fresco. Rimuovete lo spago e lasciate raffreddare completamente.

2. Preparare la duxelles
Tritate finemente i funghi con lo scalogno. Saltateli in padella a fuoco medio con poco burro fino a quando l’acqua si sarà completamente evaporata. Se desiderate, sfumate con un cucchiaio di brandy o Porto. Una volta asciutti, aggiustate di sale e pepe. Lasciate raffreddare.

3. Assemblare il filetto
Su un foglio di pellicola alimentare, stendete le fette di prosciutto crudo leggermente sovrapposte, formando un rettangolo. Spalmatevi sopra la duxelles in uno strato sottile e uniforme. Se usate le crêpes, stendetele sopra i funghi.

Spalmate il filetto con la senape e disponetelo al centro. Usando la pellicola, arrotolate saldamente il tutto formando un cilindro compatto. Sigillate le estremità e lasciate riposare in frigo per almeno 30 minuti.

4. Involucro di sfoglia
Stendete la pasta sfoglia su un piano infarinato. Togliete la pellicola dal filetto e posizionatelo al centro. Avvolgete bene il tutto, sigillando con acqua i bordi e ripiegando le estremità inferiori sotto la carne. Potete decorare con ritagli di sfoglia a piacere. Spennellate con tuorlo d’uovo battuto.

5. Cottura finale
Infornate a 200°C (forno statico) per circa 35–40 minuti, fino a doratura uniforme. Per una cottura media (rosata all’interno), la temperatura interna del filetto dovrebbe essere di circa 50–52°C all’uscita dal forno. Lasciate riposare almeno 10 minuti prima di affettare.

Abbinamenti consigliati

Vino:
Un piatto come il filetto in crosta richiede un vino strutturato ma non eccessivamente tannico. Le migliori scelte includono un Chianti Classico Riserva, un Barolo giovane, oppure un Bordeaux Saint-Émilion Grand Cru. I sentori terrosi del vino completano perfettamente i funghi e il gusto complesso del piatto.

Contorni:

  • Purè di patate con burro e panna

  • Patate novelle al forno con rosmarino

  • Spinaci saltati al burro

  • Carotine glassate al miele e cumino

Pane:
Una focaccia croccante o pane alle noci può accompagnare senza appesantire il piatto.

Il filetto in crosta è molto più di un semplice secondo. È una coreografia gastronomica in cui ogni elemento ha un ruolo preciso: la carne deve essere tenera ma saporita, i funghi intensi ma non invadenti, la sfoglia friabile e dorata. Prepararlo richiede pazienza e precisione, ma il risultato è una portata che conquista prima gli occhi, poi il palato.

È il piatto perfetto per un’occasione speciale, una cena d’inverno, un invito a stupire con gusto. Chi lo assaggia una volta, difficilmente lo dimentica.



Ballotine – L’arte francese dell’eleganza avvolta in cucina

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Nel mondo della cucina francese, patria indiscussa dell’alta gastronomia, esiste una preparazione che fonde tecnica, gusto e presentazione in un piatto tanto raffinato quanto versatile: la ballotine. Spesso confusa con la galantina o con il più noto involtino, la ballotine è in realtà una vera e propria dichiarazione di maestria culinaria, che si presta a innumerevoli interpretazioni pur mantenendo una struttura ben definita.

Che sia servita calda o fredda, come antipasto o secondo piatto, la ballotine celebra il gesto del riempire, avvolgere e cuocere con sapienza, trasformando una carne comune in un piatto da grande occasione. Vediamo quindi da dove nasce, come si prepara e come abbinarla per valorizzarne ogni sfumatura.

Il termine "ballotine" deriva dal francese ballot, ovvero “pacchetto” o “fagotto”. L’uso di avvolgere carni farcite risale almeno al Medioevo, ma fu nelle cucine aristocratiche francesi tra il XVII e il XIX secolo che la ballotine venne perfezionata. Originariamente servita fredda, in gelatina, come piatto da buffet per banchetti o picnic eleganti, la ballotine si distinse dalla galantina per la sua forma più compatta e per la porzione individuale.

A differenza della galantina, lunga e cilindrica, la ballotine viene solitamente preparata con una coscia di pollame disossata e farcita, poi arrotolata, legata e cotta lentamente. Con il tempo, questa tecnica è stata estesa a carni diverse: coniglio, anatra, maiale e perfino pesce.

Negli ultimi decenni, grandi chef e ristoratori ne hanno riscoperto l’eleganza, rendendola protagonista anche dell’alta cucina contemporanea, dove viene servita calda, glassata, con salse ridotte o su vellutate.

Ricetta: Ballotine di pollo farcita con funghi e castagne

Ingredienti per 4 persone

Per la ballotine:

  • 4 cosce di pollo disossate (con la pelle integra)

  • 200 g di funghi misti (champignon, porcini)

  • 80 g di castagne cotte al vapore

  • 1 scalogno

  • 2 cucchiai di pangrattato

  • 1 uovo piccolo

  • 1 cucchiaino di timo fresco

  • Sale, pepe, noce moscata

  • Burro e olio extravergine di oliva q.b.

  • Spago da cucina

Per la salsa:

  • 1 bicchiere di vino bianco secco

  • 200 ml di brodo di pollo

  • 1 noce di burro freddo

  • 1 cucchiaino di senape di Digione (facoltativo)

Preparazione

1. Preparate la farcia
Tritate finemente lo scalogno e rosolatelo in poco burro. Aggiungete i funghi tritati e fateli cuocere fino a che saranno asciutti. Unite le castagne sbriciolate, un pizzico di sale, pepe, timo e una grattata di noce moscata. Spegnete il fuoco e fate intiepidire. Incorporate l’uovo e il pangrattato per ottenere un composto morbido ma modellabile.

2. Preparate le cosce di pollo
Se non lo avete già fatto, disossate le cosce di pollo lasciando intatta la pelle. Battetele leggermente tra due fogli di pellicola per uniformarne lo spessore. Salate e pepate leggermente la parte interna.

3. Farcite e arrotolate
Disponete un cucchiaio abbondante di farcia al centro di ogni coscia. Arrotolate strettamente su se stessa, facendo combaciare la pelle all’esterno. Legate ogni ballotine con lo spago da cucina per mantenerne la forma.

4. Cottura
Scaldate una padella con un filo d’olio e una noce di burro. Rosolate le ballotine su tutti i lati fino a doratura. Sfumate con il vino bianco e lasciate evaporare. Trasferite in forno statico a 180°C per circa 20–25 minuti, bagnando a metà cottura con il fondo della padella.

5. Preparate la salsa
Deglassate la padella con il brodo, lasciate ridurre a fuoco medio e incorporate la senape se usata. Spegnete il fuoco e aggiungete una noce di burro freddo per montare la salsa.

6. Impiattamento
Rimuovete lo spago, tagliate a fette spesse circa 1,5 cm. Servite nappando con la salsa calda, magari su una base di purè o crema di verdure.

Abbinamenti consigliati

Vino: La delicatezza della carne bianca e la dolcezza delle castagne si sposano con un Chardonnay francese affinato in legno o con un Viognier. Se si preferisce un rosso, optare per un Pinot Noir giovane e fruttato, che non sovrasti la raffinatezza del piatto.

Contorni:

  • Purè di sedano rapa o topinambur

  • Crema di zucca e zenzero

  • Patate novelle al burro chiarificato

  • Verdure al vapore condite con olio e limone

Pane:
Una baguette leggermente tostata o del pain de campagne rustico e profumato può completare il pasto senza distogliere l’attenzione dalla ballotine.

Preparare una ballotine significa entrare in sintonia con la precisione e la bellezza della cucina francese, ma con la libertà di adattare il ripieno alle stagioni e ai propri gusti. È un piatto che invita a rallentare, a gustare ogni fase della preparazione, a prestare attenzione ai dettagli.

Perfetta per un pranzo elegante, una cena intima o una tavola festiva, la ballotine rappresenta una forma d’arte gastronomica che merita di essere riscoperta e portata con orgoglio anche sulle nostre tavole.




Agnolini mantovani – Piccoli scrigni di brodo e memoria

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Quando si parla di agnolini, non ci si riferisce semplicemente a una varietà di pasta ripiena. Si parla di una tradizione antica, custodita con orgoglio dalla cucina mantovana, tramandata da generazioni e preparata con pazienza quasi rituale. Nonostante le somiglianze esteriori con i più celebri tortellini, gli agnolini raccontano una storia diversa, più rustica, più familiare e legata a doppio filo alla cultura contadina del Nord Italia.

In brodo fumante a Natale o asciutti con burro e Parmigiano nei giorni ordinari, questi piccoli cuscinetti ripieni parlano la lingua del focolare. Oggi li scopriamo più da vicino: la loro storia, la ricetta autentica, la preparazione e gli abbinamenti più adatti per valorizzarli.

La nascita degli agnolini si perde nella cucina popolare della campagna lombarda, particolarmente nella provincia di Mantova, dove il piatto ha assunto nel tempo un valore identitario. Citati in trattati gastronomici del Seicento e presenti in molte raccolte familiari di ricette, gli agnolini erano un piatto delle feste, servito principalmente a Natale o nei giorni “grandi”, ma abbastanza robusto da sfamare contadini e braccianti.

Nonostante alcune varianti zonali, l’elemento comune è la presenza del “pistùm”, il ripieno compatto a base di carne cotta, pane grattugiato, uova e Parmigiano, spesso profumato con noce moscata o scorza di limone. La carne poteva essere un avanzo di lesso, arrosto, oppure un misto sapientemente dosato, perché nulla andava sprecato.

L’agnolino è il frutto di una cucina sobria ma sapiente, dove il gusto si costruiva lentamente, con ciò che si aveva, ma con cura estrema per l’equilibrio dei sapori. Non sorprende che ancora oggi venga considerato il piatto delle nonne per eccellenza.

Ricetta tradizionale mantovana

Ingredienti per 6 persone

Per la sfoglia:

  • 400 g di farina 00

  • 4 uova medie

Per il ripieno (pistùm):

  • 200 g di carne di manzo cotta (bollita o arrosto)

  • 100 g di salsiccia mantovana (cotta e sgrassata)

  • 100 g di mortadella o salamella

  • 100 g di pane grattugiato

  • 80 g di Parmigiano Reggiano stagionato

  • 1 uovo

  • Scorza grattugiata di mezzo limone

  • Noce moscata, sale e pepe q.b.

Per servire:

  • Brodo di carne (manzo e cappone o gallina) ben filtrato e bollente

  • Parmigiano grattugiato (facoltativo)

Preparazione passo passo

1. Preparate il ripieno
Tritate finemente la carne cotta e la salsiccia. Aggiungete la mortadella e continuate a tritare fino a ottenere un composto uniforme. Mettete il tutto in una ciotola e unite pane grattugiato, Parmigiano, uovo, scorza di limone e un pizzico generoso di noce moscata. Aggiustate di sale e pepe. Impastate con le mani fino ad ottenere un composto compatto. Lasciate riposare almeno 30 minuti in frigorifero.

2. Preparate la sfoglia
Versate la farina a fontana sulla spianatoia, rompete al centro le uova e iniziate a impastare. Lavorate con energia per almeno 10 minuti fino ad ottenere una palla liscia ed elastica. Copritela con un canovaccio umido e lasciatela riposare per 30 minuti.

3. Tirate la sfoglia e formate gli agnolini
Stendete la sfoglia molto sottile, preferibilmente con il mattarello o con la macchina per la pasta. Tagliatela in strisce larghe circa 5 cm. Disponete piccole palline di ripieno ogni 3 cm, ripiegate la sfoglia su se stessa e premete bene attorno al ripieno per eliminare l’aria. Tagliate con la rotella dentellata formando piccoli quadratini. Piegate ogni quadrato in due e sigillate leggermente.

4. Cuocete in brodo
Portate il brodo a leggero bollore, tuffate gli agnolini e cuoceteli per circa 5 minuti. Servite caldi, con o senza Parmigiano, ma con un cucchiaio di brodo sempre abbondante. L’ideale è servirli in una scodella rustica, come da tradizione.

In alcune versioni del mantovano si aggiunge anche la scorza di limone candita tritata al ripieno, oppure il brodo viene arricchito con un goccio di vino rosso prima del servizio.

In certe famiglie si tramanda l’uso di aggiungere un cucchiaino di mostarda mantovana tritata al pistùm per dare una nota più aromatica e decisa: un uso audace ma storicamente attestato, soprattutto in zone dove la mostarda era un prodotto casalingo di uso quotidiano.

Un'altra variante curiosa è la “minestra sporca”, in cui gli agnolini vengono serviti in brodo ma con l’aggiunta di un cucchiaino del grasso della carne bollita – quasi a voler restituire alla minestra la memoria del lesso da cui tutto ha avuto origine.

Abbinamenti consigliati

Vino: La rotondità del piatto e la presenza della carne richiedono un vino strutturato ma non invadente. Perfetti i Lambrusco Mantovano, oppure un Colli Morenici Merlot servito a temperatura leggermente inferiore a quella ambiente. Se si vuole osare, anche un bianco evoluto, come un Lugana Riserva, può regalare un contrasto interessante.

Contorni: In un pranzo tipico mantovano, gli agnolini vengono preceduti da salumi locali (coppa, pancetta arrotolata, salame mantovano) e seguiti da un arrosto con polenta morbida o da un secondo piatto di bollito misto con salsa verde.

Dolce: Per concludere, nulla è più in linea con la tradizione che una sbrisolona spezzata a mano e accompagnata da un goccio di grappa.

Gli agnolini non sono solo un primo piatto, ma un gesto culturale che si ripete nelle case mantovane da secoli. Fatti a mano, uno per uno, richiedono tempo, cura e memoria: sono la manifestazione concreta dell’amore che passa dalla cucina alla tavola.

Prepararli significa partecipare a un rito, e gustarli è come tornare, per un attimo, a una cucina scaldata dal brodo e dalle voci della famiglia. Chiunque si prenda il tempo di farli a mano non sta solo cucinando: sta raccontando una storia che vale la pena tramandare.









McRib – Il panino che torna quando vuole: storia, ingredienti e segreti del più sfuggente dei fast food

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Appare e scompare con la puntualità di un’eclissi, solleva entusiasmi da culto e alimenta teorie come fosse un oggetto di leggenda urbana. Il McRib, panino stagionale di McDonald’s a base di carne di maiale, è uno dei prodotti più discussi, desiderati e... introvabili del colosso del fast food.

Nonostante la sua natura apparentemente semplice – una costina di maiale senza ossa, affogata in salsa barbecue e servita in un panino allungato – il McRib ha avuto una parabola unica: introdotto nel 1981, ritirato nel 1985, poi rilanciato periodicamente a tempo limitato. E ogni volta, è come se tornasse una rockstar in tournée.

Cosa rende il McRib tanto magnetico da provocare petizioni, collezioni e addirittura mappe dedicate alla sua reperibilità? Per rispondere, bisogna scavare nella sua storia, nei suoi ingredienti e nei meccanismi psicologici che ne hanno costruito il mito.

Paradossalmente, il McRib nasce a causa del pollo. Dopo il successo del Chicken McNugget, McDonald’s si trovò di fronte a un problema: non riusciva a soddisfare la domanda di carne bianca. Fu allora che una squadra di ricerca e sviluppo, guidata dal professor Roger Mandigo, dell’Università del Nebraska, pensò a una soluzione alternativa: sfruttare la carne di maiale, più disponibile e a buon mercato, in una forma accattivante.

Il trucco? Un impasto di carne tritata pressato in uno stampo che riproduce l’aspetto di una costina con l’osso. Una costina senza ossa, in perfetto stile americano. Completato da una salsa barbecue dolce e pungente, cetriolini e cipolla cruda, il McRib fu lanciato nel 1981.

Tuttavia, le vendite non decollarono come previsto e nel 1985 il prodotto venne ritirato dal menu standard. E fu proprio lì che iniziò la leggenda.

A partire dagli anni ’90, McDonald’s ha iniziato a riproporre il McRib in edizione limitata. In alcune aree degli Stati Uniti – e a volte in Europa e Asia – torna per qualche settimana, senza preavviso, creando un effetto scarsità che ne ha alimentato la popolarità.

L’azienda non ha mai fornito una regola fissa per il ritorno del panino, generando vere e proprie “caccia al McRib” tra gli appassionati. Sono nati siti web e account social che monitorano in tempo reale la sua presenza nei vari ristoranti, e ogni apparizione diventa un evento.

Il successo del McRib è legato anche a questo aspetto: non puoi trovarlo sempre, quindi lo desideri di più. Un esempio perfetto di marketing basato sulla disponibilità intermittente, un modello simile a quello usato da alcune collezioni di moda.

Nonostante l’aspetto che simula una costina vera, il McRib è composto da un impasto di carne di maiale macinata, legato con sale e addensanti, poi modellato e cotto in modo da mantenere la forma. Non ci sono ossa, ovviamente.

Il panino si completa con:

  • Salsa barbecue dolce e affumicata (a base di zucchero, aceto, pomodoro e aromi affumicati)

  • Fette di cetriolo sottaceto

  • Cipolla cruda affettata

  • Panino allungato e leggermente tostato

Il risultato è un prodotto dall’aspetto rustico e dal gusto pieno, molto ricco di zuccheri e grassi, ma estremamente godibile al palato. La salsa barbecue domina, ma viene bilanciata dal croccante dei cetriolini e dalla freschezza pungente della cipolla.

Negli ultimi anni, sono nate decine di video, blog e ricette dedicate alla riproduzione casalinga del McRib. I più fedeli usano costine disossate cotte lentamente, oppure carne macinata di maiale insaporita con spezie, modellata a mano in stampi artigianali.

Una versione casalinga richiede:

  • 200 g di carne macinata di maiale per panino

  • Sale, pepe, paprika affumicata

  • Salsa barbecue artigianale

  • Cipolla bianca cruda affettata

  • Cetriolini a fette

  • Panino tipo hoagie

La carne può essere grigliata o cotta in forno, spennellata generosamente con salsa barbecue. L’assemblaggio è rapido: panino tostato, carne, cipolla, cetriolini. Il risultato, pur senza replicare fedelmente la consistenza “industriale” del McRib, regala un’esperienza gustativa vicinissima all’originale.

Se consumato in casa, il McRib può diventare parte di un pasto più elaborato. Il sapore dolce e affumicato della carne si sposa bene con:

  • Birre scure come porter o stout leggere, che bilanciano la dolcezza della salsa

  • Coleslaw alla senape o all’aceto, per un contrasto croccante e acido

  • Patate al forno speziate, meglio se con buccia e rosmarino

Per un abbinamento audace, un whiskey americano dal profilo morbido e vanigliato (bourbon, ad esempio) può offrire un’esperienza intensa e coerente con le note barbecue.

Il McRib non è solo un panino: è un caso di studio sul desiderio, un oggetto pop che gioca con la nostalgia, la scarsità e l’idea del “ritorno”. Non è il più venduto, né il più raffinato, ma è probabilmente il più cercato. Proprio perché sfugge.

In un’epoca di disponibilità illimitata, il McRib ci ricorda che non tutto è sempre lì ad aspettarci, e che a volte il gusto più intenso nasce dall’attesa. Che si ami o si critichi, il McRib resta una pagina indelebile della storia del fast food globale, con una base di fan pronta a riaccoglierlo ogni volta come un figlio prodigo... anche solo per qualche settimana.



Bacalao al pil-pil: l’essenza basca in quattro ingredienti e una danza di sapori

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Pochi piatti riescono a esprimere con altrettanta purezza il carattere di un territorio come il Bacalao al pil-pil, specialità della cucina basca tanto semplice negli ingredienti quanto raffinata nella tecnica. In apparenza è solo baccalà, aglio, olio e peperoncino. Ma dietro quei quattro elementi si cela una vera sfida culinaria, in cui la manualità, la temperatura e il tempo si fondono in una coreografia lenta e precisa.

Il pil-pil non è un ingrediente, ma una salsa emulsionata a partire dal solo olio e dalla gelatina rilasciata dal pesce, montata con pazienza fino a diventare velluto. È una creazione che non si improvvisa: si custodisce, si affina, si tramanda. E ogni cuoco basco che si rispetti ha la sua maniera di farla “legare”.

Preparare il Bacalao al pil-pil è un atto di dedizione. Non è solo un secondo: è una dichiarazione d’amore per la cucina lenta, consapevole e rispettosa della materia prima.

La storia del baccalà in Spagna inizia secoli fa, quando la conservazione sotto sale divenne una pratica essenziale per portare il pesce dell’Atlantico nell'entroterra. Il bacalao, già conosciuto nei porti cantabrici fin dal Medioevo, divenne un alimento insostituibile per l’approvvigionamento durante la Quaresima e in tutte le zone prive di accesso diretto al mare.

Il Bacalao al pil-pil, in particolare, nasce nei Paesi Baschi, con epicentro a Bilbao e lungo tutta la costa di Bizkaia. La ricetta come la conosciamo oggi si è diffusa a partire dal XIX secolo, favorita anche dai commerci con le flotte islandesi e norvegesi. Ma la vera esplosione di popolarità si deve a un evento singolare: una carestia.

Nel 1835, un commerciante di Bilbao ordinò erroneamente un’enorme quantità di baccalà salato, credendo di averne richiesto 100 pezzi e ritrovandosi con 100.000. Per non fallire, inventò nuove ricette per smaltire l’eccedenza e contribuì a renderlo parte integrante della cucina urbana basca. Il pil-pil è una delle tecniche nate da quella necessità, elevata poi ad arte culinaria.

Il termine “pil-pil” onomatopeicamente richiama il suono dell’olio che sobbolle dolcemente, mentre la salsa prende corpo. È il battito della preparazione, il suo ritmo vitale.

Ingredienti e ricetta originale

Ingredienti per 4 persone:

  • 4 tranci di baccalà dissalato (preferibilmente della parte centrale, con pelle)

  • 250 ml di olio extravergine d’oliva (di media intensità)

  • 4 spicchi d’aglio

  • 1 o 2 peperoncini secchi (guindilla)

  • Sale (solo se necessario)

Preparazione del Bacalao al pil-pil

1. Dissalatura del baccalà

Se il baccalà è acquistato sotto sale, è fondamentale procedere a una corretta dissalatura, immergendolo in acqua fredda per almeno 48 ore, cambiando l’acqua ogni 8 ore. Va conservato in frigorifero, e asciugato bene prima della cottura.

2. Aromatizzazione dell’olio

In una casseruola bassa e larga (meglio se in terracotta o ghisa smaltata), versa l’olio e aggiungi l’aglio tagliato a lamelle sottili e i peperoncini secchi interi. Fai rosolare a fuoco dolce fino a quando l’aglio sarà dorato, quindi toglilo insieme al peperoncino e tienili da parte: serviranno per guarnire.

3. Cottura del baccalà

Nel medesimo olio, abbassa ulteriormente la fiamma e adagia i tranci di baccalà con la pelle rivolta verso il basso. Lascia cuocere a fiamma bassissima per circa 8–10 minuti. Il pesce deve rilasciare la sua gelatina naturale, senza friggere. Giralo con delicatezza solo una volta, per completare la cottura, poi toglilo e mettilo da parte su un piatto caldo.

4. Preparazione della salsa pil-pil

Lascia raffreddare l’olio a temperatura ambiente per 5–10 minuti. Rimuovi il liquido gelatinoso (che si sarà depositato sul fondo) e trasferiscilo in una ciotola. Ora inizia il momento più delicato: l’emulsione.

Utilizzando un movimento circolare continuo (con un colino o una spatola), inizia a far girare l’olio, incorporando lentamente il liquido del baccalà. In pochi minuti, l’olio comincerà a trasformarsi in una salsa setosa e giallastra, simile a una maionese calda. È fondamentale non surriscaldare l’olio e mantenere una temperatura tiepida, altrimenti l’emulsione si separa.

Quando la salsa sarà pronta, potrai adagiarvi i tranci di baccalà e scaldare brevemente tutto insieme, senza mai far bollire.

5. Impiattamento

Disponi ogni trancio in un piatto fondo, irrorandolo con abbondante salsa pil-pil. Decora con l’aglio dorato e il peperoncino fritto. Servi immediatamente, accompagnato da pane rustico.

Tecnica: consigli per un pil-pil perfetto

  • Non avere fretta. La cottura del baccalà e la formazione della salsa richiedono pazienza e calore dolce e costante.

  • Non usare frullatori. L’emulsione va montata a mano, con movimenti circolari lenti, usando strumenti che non taglino l’olio.

  • Scegli olio di qualità, ma non troppo intenso: deve sostenere, non coprire.

  • Il baccalà dev’essere con pelle, altrimenti non rilascerà abbastanza collagene per emulsionare.

Il Bacalao al pil-pil merita un contorno che non rubi la scena, ma accompagni con discrezione. Ottime le patate lesse schiacciate con prezzemolo, oppure fagiolini al vapore con un filo d’olio.

Per il vino, la scelta cade su bianchi secchi e minerali, capaci di bilanciare la grassezza dell’olio e amplificare le sfumature del pesce. Un Txakoli basco è perfetto per coerenza territoriale, con la sua acidità vibrante e le bollicine leggere. In alternativa, un Verdejo ben strutturato o un Albariño delle Rías Baixas.

Chi preferisce osare con i rossi può puntare su un Pinot Nero fresco o un Mencía galiziano, purché non troppo tannico.

Il Bacalao al pil-pil è molto più che un piatto: è una prova di maestria artigianale, un test per il cuoco paziente e attento, capace di governare la materia senza forzarla. È una preparazione che rispetta il tempo, la precisione, e che restituisce in bocca una complessità sorprendente, partendo da un'apparente essenzialità.

Ogni cucchiaio di salsa pil-pil racconta un pezzo di mare, un gesto ripetuto da generazioni, una cucina che ha saputo trasformare l’essenziale in eleganza. Chi lo cucina con dedizione non solo nutre, ma fa cultura, difendendo il valore della tradizione viva.



Cavatelli: la pasta che si scava con le dita, tra memoria contadina e sapore di grano

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Tra le varietà più antiche e genuine della tradizione gastronomica del sud Italia, i cavatelli occupano un posto speciale. Non sono soltanto un formato di pasta: sono un gesto, un’abitudine tramandata nei cortili assolati, nelle cucine delle nonne, nei silenzi interrotti dal rumore della spianatoia. I cavatelli, nella loro semplicità, raccontano una civiltà agricola basata su pochi ingredienti e mani instancabili.

Diffusi soprattutto in Molise, Puglia, Basilicata e Campania, i cavatelli cambiano leggermente forma, nome e dimensione da paese a paese: si chiamano cavatieddi, cavatielli, cuzzutilli... ma la sostanza resta la stessa. Una piccola conca di pasta di semola, scavata con due dita, fatta per accogliere sughi robusti e sapori decisi.

E oggi, mentre la cucina moderna cerca nuove strade, i cavatelli restano un riferimento sicuro: una pasta che sa di terra, di tempo, di tradizione vissuta.

La nascita dei cavatelli è legata alle zone rurali del meridione, dove la farina di grano duro era spesso l’unica ricchezza a disposizione. Non servivano uova o ingredienti costosi: bastavano farina, acqua, e la maestria delle mani. Le massaie li preparavano in occasione delle feste o della domenica, soprattutto per accompagnare ragù di maiale, sughi con cime di rapa o legumi.

Nel Molise, si narra che i cavatelli venissero preparati anche come segno di buon auspicio, durante le feste patronali o i banchetti di nozze. Ogni famiglia aveva la propria variante: alcuni li preferivano piccoli e compatti, altri più allungati, altri ancora leggermente arrotolati su se stessi con l’aiuto del coltello.

Oggi vengono prodotti anche a livello industriale, ma chi ha avuto il privilegio di vederli nascere sotto le dita di una nonna sa bene che nessuna macchina potrà mai riprodurre l’anima di questa pasta.

Ingredienti e ricetta tradizionale

Ingredienti per 4 persone:

  • 400 g di semola rimacinata di grano duro

  • 200 ml circa di acqua tiepida

  • Un pizzico di sale

(Facoltativo: un cucchiaio di olio extravergine d'oliva nell’impasto, per maggiore elasticità)

Preparazione dei cavatelli

1. Prepara l’impasto

Disponi la semola su una spianatoia a fontana, aggiungi un pizzico di sale e versa poco alla volta l’acqua tiepida al centro. Inizia a impastare partendo dal centro, inglobando gradualmente la farina dai bordi. Lavora con energia per almeno 10 minuti, fino a ottenere un panetto liscio ed elastico.

Copri con un canovaccio e lascia riposare per almeno 30 minuti a temperatura ambiente.

2. Forma i cavatelli

Dividi l’impasto in porzioni e forma dei filoncini spessi circa un centimetro. Da ciascun filoncino ricava dei tocchetti lunghi 2-3 cm. A questo punto, con due dita leggermente premute, trascina ogni tocchetto su una superficie ruvida (una spianatoia in legno o un tagliere) in modo da creare una conca naturale.

Il segreto è nella pressione e nel movimento fluido: troppa forza li schiaccerà, troppa leggerezza non li scaverà abbastanza. L’ideale è ottenere dei piccoli gusci, ruvidi fuori e cavi all’interno.

3. Lasciali asciugare

Una volta formati, disponili su un vassoio infarinato e lasciali asciugare almeno mezz’ora prima di cuocerli. Possono anche essere conservati in freezer, ben distanziati, e cotti da congelati direttamente in acqua bollente.

In alcune zone, i cavatelli vengono lavorati con un sottile bastoncino di ferro, simile a quello usato per i fusilli. Il movimento è simile: si arrotola il pezzetto di pasta sul ferretto, poi si sfila, ottenendo un cavatello più allungato e leggermente spiralato. Questa variante si abbina magnificamente con sughi a base di salsiccia e finocchietto selvatico.

I cavatelli freschi cuociono in acqua salata bollente in circa 4-5 minuti, ma è fondamentale assaggiarli: la densità dell’impasto può variare. Sono perfetti con sughi che “legano”, perché la superficie ruvida e la cavità interna trattengono condimenti densi e corposi.

Ricetta consigliata: cavatelli con cime di rapa e alici

Ingredienti per 4 persone:

  • 350 g di cavatelli freschi

  • 1 mazzo di cime di rapa (pulite e tagliate)

  • 4 filetti di acciughe sott’olio

  • 2 spicchi d’aglio

  • 1 peperoncino fresco o secco

  • Olio extravergine d’oliva q.b.

  • Sale grosso

Procedimento:

  1. In una pentola capiente, porta a ebollizione abbondante acqua salata. Quando bolle, aggiungi le cime di rapa e, dopo 2 minuti, i cavatelli. Lasciali cuocere insieme: le verdure rilasceranno sapore e la pasta si impregnerà.

  2. In una padella larga, scalda olio extravergine d’oliva con aglio e peperoncino. Aggiungi i filetti di acciuga e falli sciogliere a fuoco dolce.

  3. Scola i cavatelli con le cime di rapa e trasferiscili direttamente nella padella, saltando per 1-2 minuti per amalgamare.

  4. Servi caldissimo, con un filo d’olio a crudo.

Altri condimenti tradizionali

  • Ragù molisano: a base di salsiccia, carne di maiale e concentrato di pomodoro, cotto lentamente.

  • Cavatelli e fagioli: con aglio, peperoncino e una purea rustica di legumi.

  • Cavatelli con peperoni cruschi: un piatto lucano dal gusto intenso, arricchito con pangrattato tostato.

Con un piatto come i cavatelli con cime di rapa e alici, serviti ancora fumanti, il vino ideale è bianco, secco, con buona acidità e struttura. Un Fiano di Avellino o un Greco di Tufo riescono a tenere testa al gusto amarognolo delle verdure e alla sapidità delle acciughe, senza coprire il profilo rustico della pasta.

Per i condimenti a base di carne, si può optare per un Aglianico del Vulture o un Montepulciano d’Abruzzo, dal corpo pieno e note terrose che si sposano perfettamente con il grano duro e i sughi ricchi.

Preparare i cavatelli in casa è un’esperienza tattile e sensoriale. Non si tratta solo di fare pasta: si tratta di entrare in contatto con una storia millenaria, con gesti precisi che parlano di memoria collettiva e cultura popolare. È un’attività lenta, ma profondamente gratificante, che restituisce valore al tempo e al fare con le mani.

Portarli in tavola significa celebrare la sobrietà intelligente della cucina contadina, dove nulla è casuale e ogni ingrediente ha una funzione. I cavatelli sono pasta per chi ama il gusto pieno della farina, per chi cerca la consistenza, per chi riconosce nel cibo una forma di linguaggio non verbale.

Che siano conditi con sughi elaborati o con un filo d’olio e un po’ di formaggio grattugiato, i cavatelli restano una delle massime espressioni della cucina del Sud: autentica, generosa, resistente al tempo.



OUI, LE SUPPLÌ! – L’ANTROPOLOGO MARINO NIOLA RACCONTA LA STORIA DEL SUPPLÌ: UNA SORPRESA ROMANA DA SCOPRIRE

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Il supplì è un simbolo vivente della tradizione culinaria romana, un piccolo scrigno di gusto che racchiude un sapore unico, capace di sorprendere ogni volta chi lo assaggia. L’antropologo Marino Niola lo descrive come una sorpresa continua, sottolineando che, pur mantenendo una ricetta classica e consolidata, il supplì conserva una varietà di sfumature che rendono ogni morso un’esperienza irripetibile. Questo piatto da strada rappresenta un patrimonio culturale che racconta molto della romanità e della sua storia gastronomica.

Ma da dove deriva il nome “supplì”? Niola fa notare un dettaglio spesso trascurato: il termine sembra provenire dal francese surprise. Questo appellativo sarebbe stato adottato nel momento in cui le truppe francesi arrivarono a Roma, introducendo così una nuova interpretazione di questo piatto. La sorpresa, infatti, non è solo nel sapore, ma anche nella tradizione che il nome porta con sé, testimoniando un intreccio di culture e influenze.

Il supplì nasce come un piatto popolare, legato alle classi meno abbienti e al cibo da strada, ma che nel tempo si è affermato nelle tavole di tutta Italia e nel cuore della cucina romana. Il suo ingrediente principale, il riso, arrivò in Italia grazie agli scambi commerciali con l’Oriente, e con esso la possibilità di creare pietanze gustose e pratiche da consumare al volo.

Nato presumibilmente nella prima metà del Novecento, il supplì è sempre stato un piatto legato alla convivialità e al territorio. È quel tipo di cibo che accompagna le chiacchiere in una trattoria, che si gusta passeggiando tra i vicoli di Roma, e che riporta immediatamente chi lo assaggia a un senso di casa, di tradizione, di comunità.

La ricetta originale prevede un riso condito con salsa di pomodoro e pezzetti di mozzarella, avvolto in una panatura croccante e poi fritto fino a ottenere una doratura perfetta. Questo contrasto tra interno morbido e esterno croccante è la chiave del suo fascino senza tempo. Ma, come sottolinea Niola, ogni supplì è diverso, ogni bottega o famiglia ha la propria versione, rendendo questo piatto un caleidoscopio di variazioni sulla stessa base.

Per preparare i supplì in casa, occorrono pochi ma fondamentali ingredienti di qualità. Ecco una ricetta tradizionale per realizzare circa 8 supplì.

Ingredienti:

  • 300 g di riso Carnaroli

  • 700 ml di brodo vegetale

  • 200 g di passata di pomodoro

  • 150 g di mozzarella fior di latte

  • 50 g di parmigiano grattugiato

  • 2 uova

  • Farina q.b.

  • Pangrattato q.b.

  • Olio di semi per friggere

  • Sale e pepe q.b.

  • Un cucchiaio di cipolla tritata (opzionale)

  • Un filo d’olio extravergine d’oliva

Preparazione del riso:

  1. In una casseruola, scaldare un filo d’olio extravergine d’oliva e aggiungere la cipolla tritata, facendola rosolare dolcemente.

  2. Unire il riso e tostare per qualche minuto, mescolando con cura.

  3. Aggiungere la passata di pomodoro e un pizzico di sale, mescolando bene.

  4. Versare il brodo vegetale poco alla volta, continuando la cottura a fuoco medio, fino a quando il riso sarà al dente e ben amalgamato con il sugo (circa 18 minuti).

  5. Spegnere il fuoco e incorporare il parmigiano grattugiato, aggiustando di sale e pepe. Lasciare raffreddare completamente.

Assemblaggio:

  1. Tagliare la mozzarella a cubetti piccoli.

  2. Con le mani leggermente umide, prendere una porzione di riso e appiattirla sul palmo. Inserire un cubetto di mozzarella al centro e richiudere formando una palla o una forma allungata.

  3. Passare ogni supplì nella farina, poi nell’uovo sbattuto e infine nel pangrattato, assicurandosi che sia ben coperto da ogni lato.

Cottura:

  1. Scaldare abbondante olio di semi in una pentola dai bordi alti a circa 170°C.

  2. Friggere i supplì pochi alla volta, rigirandoli spesso per ottenere una doratura uniforme.

  3. Scolare su carta assorbente e servire caldi, perché la mozzarella all’interno si presenti filante e invitante.

Il supplì, nonostante la sua apparente semplicità, ha un carattere mutevole che lo rende speciale ogni volta. Cambiando la qualità del riso, la tipologia di mozzarella o la salsa utilizzata, il risultato finale può offrire sensazioni diverse. Aggiunte come pepe nero, un tocco di basilico fresco, o persino una spruzzata di peperoncino, sono piccole variazioni che trasformano l’esperienza senza tradire l’essenza del piatto.

In alcune zone di Roma, si trovano anche varianti con ripieno di carne o funghi, o con una panatura arricchita da erbe aromatiche. Ogni supplì racconta così una storia diversa, fatta di gusti, profumi e ricordi personali, un racconto intessuto nella tradizione di una città che sa essere custode di tesori gastronomici senza tempo.

Il supplì si presta a molteplici abbinamenti, sia per accompagnare un pasto leggero, sia per essere protagonista di uno spuntino sostanzioso.

  • Vini: Un vino rosso giovane e fresco, come un Frascati superiore o un Cesanese del Piglio, è ideale per bilanciare la cremosità del riso e la croccantezza della panatura. In alternativa, un rosato vivace può offrire un contrasto piacevole.

  • Birre: Per chi preferisce la birra, una pilsner chiara e non troppo amara permette di apprezzare pienamente la delicatezza del supplì, mentre una birra ambrata più corposa ne esalta la consistenza e il sapore.

  • Contorni: Per un pranzo o una cena completa, il supplì può essere accompagnato da una semplice insalata verde condita con limone e olio, o da verdure grigliate, per una combinazione equilibrata che non sovrasti il sapore del piatto.

Il supplì è più di un semplice cibo da strada: è un patrimonio culturale e gastronomico che racconta Roma attraverso la sua storia, i suoi sapori e le sue tradizioni. La sua capacità di sorprendere ogni volta risiede nella sua natura stessa: una ricetta semplice ma flessibile, capace di assumere mille sfumature pur mantenendo la sua identità forte e riconoscibile.

L’antropologo Marino Niola ci invita a riflettere sul supplì non solo come pietanza, ma come esperienza che incarna l’incontro tra culture, il valore della convivialità e il piacere della scoperta continua.

Provare a prepararlo in casa significa non solo assaporare un piatto amato da generazioni, ma anche entrare in contatto con un pezzo della storia romana, fatto di ingredienti semplici ma di grande valore.

Buon appetito e… à la surprise!

 
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