Braciola alla messinese: gli involtini ripieni che raccontano la Sicilia

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La Sicilia è una terra che parla attraverso i suoi piatti. Ogni ricetta tramandata di generazione in generazione racchiude memorie, riti familiari e un profondo legame con il territorio. Tra queste, la braciola alla messinese occupa un posto d’onore. Nata come piatto povero ma sapiente, capace di valorizzare pochi ingredienti con grande maestria, è oggi una delle preparazioni più amate e riproposte nelle case siciliane e nei ristoranti che rispettano la tradizione.

Nonostante il nome “braciola” possa trarre in inganno, non si tratta della classica fetta di carne da grigliare, bensì di sottili fettine di vitello arrotolate su se stesse, farcite con un ripieno rustico a base di pangrattato, pecorino, aglio, prezzemolo e cubetti di formaggio. Una volta infilzate sugli spiedi, queste piccole delizie vengono cotte rapidamente alla griglia o in padella, formando all’esterno una leggera crosticina e custodendo all’interno un cuore morbido e aromatico.

Ogni famiglia messinese custodisce la propria versione, con piccole variazioni che vanno dalla scelta del formaggio alla quantità di prezzemolo, ma ciò che non cambia mai è l’approccio artigianale e l’attenzione al dettaglio nella preparazione.

Quella delle braciole alla messinese è una ricetta adatta anche a chi ha poca dimestichezza in cucina. La preparazione è semplice, gli ingredienti facilmente reperibili e la cottura rapidissima. Bastano meno di venti minuti per portare in tavola un piatto ricco, saporito e appagante.

Questa caratteristica le rende ideali non solo per i pranzi della domenica, ma anche per una cena informale o un’occasione speciale in cui si voglia stupire senza passare ore ai fornelli. Inoltre, la presentazione su spiedo, oltre ad agevolare la cottura uniforme, regala un aspetto ordinato e conviviale che stimola l’appetito al solo sguardo.

Ingredienti

Per 6 spiedini da circa 8 involtini ciascuno:

  • 400 g di carpaccio di vitello (fette sottilissime)

  • 150 g di pangrattato, meglio se leggermente umido o "morbido"

  • 100 g di pecorino romano grattugiato

  • 80 g di provola ragusana o provolone piccante a cubetti

  • 1 spicchio d’aglio tritato finemente, privato dell’anima

  • Prezzemolo fresco tritato q.b.

  • 100 ml di olio extravergine di oliva

  • Sale e pepe q.b.

Preparazione passo passo

  1. Preparare il ripieno: In una ciotola capiente, unire il pangrattato, il pecorino, l’aglio tritato, il prezzemolo, un pizzico di sale e una macinata di pepe. Versare l’olio extravergine a filo e mescolare con una forchetta fino a ottenere un composto umido ma sgranato.

  2. Farcire la carne: Stendere le fettine di carpaccio su un tagliere. Se sono troppo grandi, dividerle a metà. Su ogni fetta sistemare una piccola quantità di ripieno e un cubetto di formaggio al centro.

  3. Arrotolare gli involtini: Ripiegare prima i lati corti della fettina verso l’interno, poi arrotolarla saldamente partendo da un’estremità. Una volta formati gli involtini, comprimerli leggermente nel palmo della mano per sigillarli meglio.

  4. Infilzarli e impanarli: Infilzare gli involtini su spiedini di legno, alternando eventuali foglie di alloro o cubetti di cipolla per profumare. Una volta completati gli spiedi, passarli delicatamente nel pangrattato rimasto per creare una crosticina in superficie.

  5. Cottura: Cuocere su griglia ben calda o padella antiaderente con un filo d’olio a fiamma media. Bastano 3 minuti per lato: il tempo sufficiente a dorare l’esterno e far fondere il formaggio all’interno.

  6. Servizio: Servire gli spiedini ben caldi, magari direttamente sul piatto con uno stuzzicadenti più corto per ogni involtino, oppure interi come portata centrale da cui ognuno si serve.

Il composto di pangrattato e formaggio è una base tradizionale della cucina siciliana. Si ritrova in numerose preparazioni, dalle melanzane ripiene alla cotoletta alla palermitana. Se ne avanza, può essere impiegato in modo creativo:

  • Come frittatina: Aggiungendo un uovo ogni 80 g di ripieno e versandolo in padella con olio caldo, si ottiene una frittatina rustica perfetta per un antipasto o un panino gustoso.

  • Come gratinatura: Può essere distribuito su verdure al forno per una crosticina dorata e saporita.

Il carpaccio di vitello è la scelta migliore per garantire tenerezza e rapidità di cottura. La carne deve essere tagliata sottilmente e priva di nervature. In alternativa si può usare manzo, purché tagliato in fette molto sottili e battuto con il batticarne per ammorbidirlo.

Evita tagli troppo grassi o fibrosi: comprometterebbero la struttura e renderebbero più difficile ottenere involtini uniformi.

Per valorizzare al meglio la braciola alla messinese, si consiglia un contorno semplice ma ben bilanciato:

  • Insalata di arance e finocchi: Fresca e profumata, aiuta a pulire il palato tra un boccone e l’altro.

  • Verdure grigliate: Zucchine, melanzane e peperoni, magari condite con una vinaigrette agli agrumi.

  • Patate al forno con rosmarino: Una scelta classica ma sempre gradita.

Per quanto riguarda il vino, un rosso siciliano giovane, come un Nero d’Avola non troppo strutturato o un Frappato, accompagna perfettamente la sapidità della carne e dei formaggi. Chi preferisce il bianco, può optare per un Grillo o un Inzolia ben freddo.

Le braciole alla messinese sono un piccolo gioiello della cucina siciliana, che esprimono in ogni morso la maestria contadina e l’amore per la materia prima. Facili da realizzare e dal successo garantito, offrono un’esperienza gustativa completa: croccantezza, morbidezza, sapidità e profumo si fondono in un equilibrio che soddisfa tutti i sensi.

Prepararle è un gesto che sa di casa, di domeniche in famiglia, di tavole allegre e profumi che invadono la cucina. È proprio in queste ricette che la cucina regionale italiana dimostra il suo valore più autentico: saper trasformare ingredienti semplici in piatti che restano impressi nella memoria.





Tagliata di vitello in crosta di erbe aromatiche: leggerezza, profumo e precisione in cucina

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C’è un fascino antico nella semplicità della carne grigliata, e una soddisfazione quasi chirurgica nel tagliarla a fette perfette, ancora rosate all’interno. Ma la semplicità, in cucina, spesso è solo apparenza: richiede attenzione, qualità e rispetto per la materia prima. La tagliata di vitello in crosta di erbe aromatiche incarna tutto questo. Un piatto essenziale e preciso, in cui ogni ingrediente ha un ruolo fondamentale, ogni passaggio fa la differenza. Oggi vi propongo una versione che esalta la delicatezza della carne di vitello senza sovraccaricarla, grazie a una crosta profumata di erbe mediterranee e un contorno che ne bilancia sapidità e consistenza.

L'ispirazione per questa ricetta nasce da una conversazione con Valeria Airoldi, appassionata di cucina salutare e sportiva per vocazione. Il concetto era chiaro: preparare un piatto appagante ma senza eccessi, in grado di esaltare le qualità del vitello — carne tenera, magra, naturalmente saporita — grazie all'uso sapiente delle erbe aromatiche. Niente salse coprenti, niente impanature o fritture: solo un velo di timo, maggiorana, aneto e rosmarino, un buon taglio di carne e una cottura calibrata al grado.

L’utilizzo delle erbe non è solo un vezzo aromatico: la crosta che si crea durante la rosolatura protegge la carne, ne trattiene i succhi e regala profumo ad ogni boccone. E poi c’è il collagene naturalmente presente nel vitello che, una volta a contatto con il calore, aiuta le erbe ad aderire alla superficie, senza bisogno di uova o pane.

Ingredienti per 4 persone

  • 800 g di scamone di vitello (in un solo pezzo, oppure tagliato in 2 tranci spessi)

  • 20 g di rosmarino sfogliato

  • 20 g di timo fresco

  • 20 g di maggiorana

  • 20 g di aneto

  • Sale e pepe q.b.

  • Olio extravergine d’oliva

Per accompagnare:

  • Patate rosse (4 medie), con buccia

  • Parmigiano Reggiano grattugiato (facoltativo)

  • 1 finocchio fresco

Preparazione: metodo e temperatura fanno la differenza

1. Il letto aromatico
Lavate e asciugate accuratamente tutte le erbe aromatiche. Tritatele finemente con un coltello affilato, cercando di non schiacciarle. Versatele in una ciotola, aggiungete un pizzico di sale e una macinata di pepe. Massaggiate il mix su tutta la superficie della carne, premendo leggermente per far aderire bene le erbe.

2. Rosolatura
Scaldate una griglia in ghisa o una padella antiaderente. Ungetela leggermente con un filo d’olio. Quando è ben calda, adagiatevi il vitello e lasciatelo cuocere su un lato per circa 2 minuti, poi giratelo e proseguite per altri 3 minuti sull’altro lato. La superficie deve risultare ben sigillata, ma l’interno ancora morbido.

3. Finitura in forno
Preriscaldate il forno a 250 °C in modalità grill. Trasferite la carne in una teglia con un filo d’olio e, se desiderate una crosticina più marcata, spolverate con un po’ di pangrattato aromatizzato alle erbe. Infornate sul ripiano centrale per 3–4 minuti. Per una cottura precisa, affidatevi a un termometro da cucina: la carne sarà al sangue a 45 °C, media a 55 °C. Non superate i 60 °C se volete evitare che il vitello si asciughi.

4. Riposo e taglio
Appena fuori dal forno, lasciate riposare la carne coperta da un foglio di alluminio per 3–5 minuti. Questo passaggio è fondamentale: permette ai succhi di redistribuirsi, mantenendo la tagliata morbida e succosa. Poi affettate in diagonale con un coltello affilato.

Il contorno: patate rosse al forno e finocchio crudo

Le patate rosse sono perfette in questa ricetta per la loro polpa soda e il gusto più deciso rispetto alle classiche patate gialle. Lavatele bene, tagliatele a spicchi e disponetele su una teglia con carta forno. Conditele con olio, sale e una spolverata di parmigiano grattugiato. Cuocetele a 200 °C per circa 25 minuti, girandole a metà cottura.

Il finocchio crudo, affettato sottilissimo, aggiunge una nota fresca e croccante che bilancia la dolcezza della carne e la sapidità delle patate. Potete condirlo con qualche goccia di limone e un filo d’olio.

Per una tagliata di vitello così aromatica e tenera, l’abbinamento ideale è con un vino bianco strutturato o un rosso giovane ma non eccessivamente tannico.
Suggerimenti:

  • Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore: note floreali e un sorso minerale accompagnano senza coprire.

  • Pinot Nero dell’Alto Adige: fresco, leggero, con profumi di frutti rossi, ideale per una carne delicata come il vitello.

  • Per chi preferisce le birre: una blonde ale artigianale, leggermente amara e fruttata, si sposa bene con la crosta erbacea.

La tagliata in crosta di erbe aromatiche è un esempio riuscito di come la cucina salutare non debba essere rinunciataria. Al contrario, può essere elegante, ricca di contrasti, capace di esaltare i sapori autentici attraverso tecniche semplici e ingredienti ben scelti. È una preparazione che si presta a cene importanti, ma anche a pranzi leggeri e nutrienti.

Provate questa versione e scoprite come una manciata di erbe fresche possa trasformare un taglio di carne in qualcosa di sorprendente, dove la leggerezza non è mai sinonimo di banalità, ma frutto di precisione, misura e attenzione al dettaglio.


Peperoni ripieni di carne e salsiccia (cotti al forno)

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In ogni cucina c’è almeno una ricetta che riesce a mettere d’accordo tutti. Una di quelle preparazioni che riempiono la casa di profumo, che risvegliano ricordi e aprono lo stomaco prima ancora che venga servita in tavola. I peperoni ripieni al forno rientrano in questa categoria: un secondo piatto semplice ma ricco, robusto e rassicurante, perfetto da condividere in famiglia o con amici.

In questa versione la farcia è composta da carne di vitello e salsiccia, un connubio che equilibra leggerezza e gusto. Un ripieno umido, ben legato, saporito ma non eccessivo, racchiuso in una verdura che si fa contenitore e protagonista allo stesso tempo.

Se è vero che la semplicità è spesso il segreto della buona cucina, è altrettanto vero che i dettagli fanno la differenza. Per questo, oltre alla ricetta completa, troverai anche consigli utili per migliorare la digeribilità dei peperoni e rendere il piatto ancora più piacevole da gustare, anche per chi normalmente li evita.

Ogni regione italiana ha una sua versione dei peperoni ripieni. In alcune zone si preferisce la farcitura vegetariana, in altre dominano acciughe, capperi e mollica di pane. Ma quando in casa arrivavano i peperoni del contadino, maturi al punto giusto, la tradizione voleva che venissero riempiti con ciò che c’era: carne avanzata, pane secco, formaggio grattugiato. Una cucina di recupero, certo, ma mai banale.

Quella che ti propongo oggi è una ricetta che ho visto preparare da mia nonna e poi da mia madre, ogni volta con piccole variazioni dettate dalla stagione o dalla dispensa. La versione con carne di vitello e salsiccia resta la mia preferita: umida al punto giusto, con una gratinatura esterna che crea una crosticina dorata e irresistibile.

Ingredienti per 4 persone

  • 300 g di carne macinata di vitello

  • 180 g di salsiccia di maiale

  • 120 g di pangrattato rustico

  • 100 g di Parmigiano Reggiano stagionato (almeno 24 mesi)

  • 4 peperoni quadrati (preferibilmente di Carmagnola)

  • 2 uova

  • Prezzemolo fresco tritato

  • Noce moscata q.b.

  • Olio extravergine d’oliva

  • Una noce di burro

  • Sale e pepe q.b.

  • (Facoltativo) uno spicchio d’aglio tritato finemente

Preparazione passo passo

  1. Scelta e pulizia dei peperoni
    Seleziona peperoni di media dimensione, regolari e senza ammaccature. Lavali con cura e taglia la calotta superiore, che servirà da "cappello" in cottura. Elimina con attenzione semi e parti bianche interne: queste ultime sono ricche di note amare che comprometterebbero il sapore del piatto.

  2. Cottura del ripieno
    Rimuovi il budello dalla salsiccia e falla rosolare in una padella antiaderente con una piccola noce di burro. Dopo circa cinque minuti, aggiungi la carne macinata e cuoci a fuoco medio, mescolando per amalgamare bene. Una volta dorata, togli dal fuoco e lascia intiepidire.

  3. Preparazione dell’impasto
    In una ciotola capiente, unisci la carne rosolata con il pangrattato, il Parmigiano grattugiato, le uova, il prezzemolo tritato, una generosa grattata di noce moscata, sale, pepe e — se ti piace — l’aglio tritato. Mescola con le mani fino a ottenere un composto omogeneo e compatto.

  4. Farcitura dei peperoni
    Riempi ogni peperone con il composto preparato, senza arrivare al bordo per evitare fuoriuscite in cottura. Adagia ciascun peperone in una teglia unta d’olio e coprilo con la calotta precedentemente tagliata.

  5. Cottura al forno
    Spolvera la superficie con altro Parmigiano, irrora con un filo d’olio e inforna a 160°C in modalità statica per circa 30 minuti. Trascorso questo tempo, accendi il grill e cuoci per altri 5 minuti alla massima potenza, fino a ottenere una leggera gratinatura dorata.

Molti evitano i peperoni per via della loro scarsa tollerabilità gastrica. Il segreto sta nella buccia: è proprio lì che si concentra la solanina, una sostanza naturalmente presente nelle solanacee (come melanzane e pomodori) che può risultare difficile da digerire. Se sei particolarmente sensibile, puoi cuocere i peperoni al vapore per qualche minuto prima di farcirli oppure, una volta cotti, spellarli.

Inoltre, evitare cotture violente ad alte temperature — come alla brace — e preferire una cottura dolce e prolungata, come quella al forno, rende la fibra del peperone più morbida e digeribile. Cuocere preventivamente il ripieno, inoltre, riduce l’umidità interna e migliora la consistenza finale.

Questo piatto si presta a numerosi accostamenti, sia nel contorno sia nel bicchiere. Per accompagnare i peperoni ripieni puoi optare per un'insalata fresca con vinaigrette leggera, oppure per patate novelle al forno. Se desideri restare su un’onda più rustica, un purè di sedano rapa o una caponata tiepida possono aggiungere un tocco sofisticato.

Per quanto riguarda il vino, scegli un rosso di media struttura, come un Chianti giovane o un Montepulciano d’Abruzzo. Se preferisci un bianco, un Verdicchio dei Castelli di Jesi sarà in grado di bilanciare bene la dolcezza dei peperoni con la sua acidità.

I peperoni ripieni di carne e salsiccia sono una di quelle ricette che attraversano le generazioni senza perdere fascino. Offrono un equilibrio raro tra semplicità e gusto, e si adattano a molte occasioni: possono essere serviti come piatto unico, come secondo importante o anche in versione mignon per un buffet.

Con pochi ingredienti ben calibrati e qualche accortezza nella preparazione, potrai ottenere un risultato gustoso, equilibrato e perfettamente digeribile. Il trucco, come sempre, sta nell’equilibrio: tra dolcezza e sapidità, tra consistenze morbide e croccanti, tra tradizione e attenzione alla salute.

E la prossima volta che avrai dei peperoni maturi in frigo, non pensarci due volte: basta poco per trasformarli in un piatto che sa di casa, di festa e di buone abitudini.


Tris di involtini di vitello: tre anime, un solo piatto

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In cucina, spesso, la semplicità è l’arte più raffinata. E pochi piatti riescono a dimostrarlo meglio di questo: un tris di involtini di vitello che racconta tre storie diverse, tre identità culinarie, con un solo protagonista – la carne di vitello, tenera, magra e versatile. Un secondo piatto che non cerca scorciatoie: si affida alla tradizione, ma lo fa con fantasia, accogliendo suggestioni del Sud Italia per dare forma a un piatto elegante e profondo, perfetto per un pranzo della domenica come per una cena tra amici.

In questo piatto, ogni involtino è un piccolo racconto di gusto: il primo richiama la parmigiana di melanzane, il secondo si fa piccante e corposo grazie alla ‘nduja calabrese, mentre il terzo accoglie l'influenza siciliana con uvetta, pinoli e una nota di Marsala. Tre ripieni diversi, ciascuno con un carattere ben definito, che si sposano con la delicatezza della carne di vitello in un equilibrio che sorprende al palato e conquista fin dal primo morso.

Prima ancora di parlare di farciture, la scelta della carne è il punto di partenza irrinunciabile. Per ottenere involtini morbidi e succosi, il taglio più indicato è la fesa di vitello. Si tratta di un taglio nobile della coscia, apprezzato per la sua tenerezza e per il basso contenuto di grasso. È anche estremamente adatto ad accogliere ripieni, perché mantiene bene la forma in cottura e si presta a essere arrotolato senza spezzarsi.

In alternativa, è possibile optare per fettine sottili ricavate dal carré disossato oppure dalla polpa magra della coscia. Il consiglio dello chef? Farsele tagliare direttamente dal macellaio e batterle delicatamente con un batticarne per uniformarne lo spessore: una piccola accortezza che renderà gli involtini più teneri e facili da cuocere.

Attenzione anche a eventuali nervetti: incidendoli leggermente ai bordi si evita che la carne si arricci in padella, assicurando una cottura omogenea e un aspetto curato.

La preparazione è semplice e lineare, ma richiede precisione. Il lavoro inizia con la farcitura. Il primo involtino prevede una combinazione che sa di casa e di pranzo d’estate: fette di melanzane grigliate, un cuore filante di mozzarella, un velo di salsa di pomodoro e una generosa spolverata di parmigiano. Il secondo gioca su contrasti più decisi: uvetta precedentemente ammollata nel Marsala, pinoli tostati, pangrattato e caciocavallo, per un gusto morbido e leggermente dolce, bilanciato dal formaggio stagionato. Il terzo, infine, è dedicato agli amanti del piccante, con una base di ‘nduja spalmata sulla carne, arricchita da scaglie di caciocavallo e parmigiano.

Una volta completata la farcitura, si arrotolano le fettine su se stesse con delicatezza, facendo attenzione a chiuderle bene, e si fissano con uno stuzzicadenti. È il momento di aggiungere sale, pepe e qualche rametto di timo fresco.

Per cuocere gli involtini servono due padelle: una dedicata esclusivamente a quello con uvetta e pinoli, l’altra per gli altri due. In entrambe, si scalda un filo d’olio extravergine di oliva insieme a un trito di erbe aromatiche. Durante la cottura, è bene tenere le erbe sopra la carne, così da evitare che brucino e da ottenere il massimo del loro profumo.

L’involtino siciliano viene sfumato con lo stesso Marsala usato per l’uvetta, in modo da intensificarne il sapore e completarne la dolcezza con una nota alcolica elegante. Gli altri due, più saporiti e robusti, cuociono insieme, finché non avranno formato una leggera crosticina dorata.

A metà cottura, si rimuovono le erbe aromatiche per evitare che alterino il sapore del fondo. Pochi minuti ancora e il piatto è pronto per essere servito.

La ricetta nel dettaglio

Ingredienti per 3 porzioni:

  • 3 fettine sottili di vitello

  • 2 fette di melanzane grigliate

  • 1 fetta di mozzarella

  • 1 cucchiaio di salsa di pomodoro

  • 2 fette di caciocavallo

  • 10 g di uvetta

  • 10 g di pinoli

  • 1 cucchiaio di pangrattato

  • 1 cucchiaio di parmigiano grattugiato

  • 1 cucchiaio di nduja

  • Marsala q.b.

  • Erbe aromatiche (rosmarino, timo, salvia)

  • Olio extravergine di oliva

  • Sale e pepe

Preparazione:

  1. Ammollare l’uvetta nel Marsala per almeno 10 minuti.

  2. Battere le fettine di carne tra due fogli di carta forno. Incidere i bordi se necessario.

  3. Farcire i tre involtini come descritto:

    • Parmigiana-style: melanzana, mozzarella, pomodoro, parmigiano.

    • Siciliano: uvetta scolata, pinoli, caciocavallo, pangrattato.

    • Calabrese: nduja, caciocavallo, parmigiano.

  4. Arrotolare con cura, salare, pepare, e aggiungere timo fresco.

  5. Scaldare poco olio in due padelle, aggiungere le erbe aromatiche e cuocere gli involtini.

  6. Sfumare quello con uvetta e pinoli con un cucchiaio di Marsala.

  7. Quando ben dorati, rimuovere le erbe e regolare di sale.

  8. Servire caldi, accompagnati da un contorno a scelta: purè, patate al forno, oppure un’insalata di stagione.

Un piatto così sfaccettato richiede un vino che sappia accompagnarne le diverse sfumature senza prevalere. Per chi ama i rossi, un Cerasuolo di Vittoria è l’ideale: morbido, con una buona acidità, richiama le note fruttate dell’uvetta e tiene testa alla ‘nduja. In alternativa, un Etna Rosso o un Dolcetto d’Alba possono bilanciare bene la struttura del piatto. Se preferite i bianchi, puntate su un Fiano di Avellino o un Verdicchio dei Castelli di Jesi leggermente affinato: profumati, ma con una discreta struttura, sapranno esaltare la delicatezza della carne e delle farciture senza coprirle.

Il bello di questo tris è che può essere modulato a seconda dei gusti o degli ingredienti disponibili in casa. Si possono sostituire le melanzane con zucchine grigliate, usare scamorza al posto del caciocavallo, o provare una variante vegetariana con un ripieno di spinaci e ricotta. Il principio resta lo stesso: ingredienti semplici, ben combinati, per un secondo che racconta la cucina italiana nella sua forma più autentica.

Non serve cercare l’effetto: basta lasciar parlare i sapori. E con questo tris di involtini, ci riescono benissimo.


Pettole al sugo di braciola napoletana – Un matrimonio di sapori tra Puglia e Napoli

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La cucina del Sud Italia ha una caratteristica inconfondibile: è una sinfonia di contaminazioni regionali che raccontano secoli di scambi, di viaggi familiari, di pranzi della domenica e di tradizioni tramandate a voce. Un piatto che ne è perfetta incarnazione sono le pettole al sugo di braciola napoletana. Non si tratta solo di una combinazione gastronomica, ma di un abbraccio tra due culture che condividono la stessa anima: quella della convivialità.

Le pettole, originarie della Puglia, sono una pasta fresca che può ricordare vagamente le trofie o le orecchiette tirate a mano, ma più allungate e avvolte su sé stesse. Il loro nome deriva dalla parola “pettole” usata anche per definire impasti morbidi e lievitati, ma in questo caso siamo nel mondo della pasta. Corpose e callose al punto giusto, diventano il veicolo perfetto per raccogliere il sugo della braciola napoletana, ovvero involtini di carne cotti lentamente in salsa di pomodoro fino a diventare teneri e saporiti.

La braciola napoletana non ha nulla a che vedere con le costine o le bistecche alla griglia che il nome potrebbe suggerire. È invece una fetta di carne (di solito manzo o vitello) farcita con ingredienti semplici ma saporiti – aglio, prezzemolo, pecorino, pinoli, uvetta – arrotolata e legata, poi stufata a lungo in un sugo di pomodoro profumatissimo.

Questo sugo, denso, profondo, carnoso, è uno dei più straordinari doni della cucina napoletana. In molte famiglie partenopee, la domenica inizia con il “profumo del ragù” che sobbolle per ore e si sposa a pasta lunga. Ma quando incontra le pettole, cambia passo: la pasta pugliese gli offre un’altra consistenza, un’altra voce, e il risultato è da capogiro.

Ricetta: Pettole al sugo di braciola napoletana (per 4 persone)

Per le pettole

  • 400 g di semola rimacinata di grano duro

  • 200 ml circa di acqua tiepida

  • Un pizzico di sale

Per le braciole

  • 4 fettine di carne di manzo sottili (scamone o girello)

  • 2 spicchi d’aglio

  • Prezzemolo fresco tritato

  • 4 cucchiai di pecorino grattugiato

  • 2 cucchiai di pinoli

  • 2 cucchiai di uvetta ammollata

  • Sale e pepe

  • Spago da cucina o stuzzicadenti

Per il sugo

  • 1 l di passata di pomodoro (meglio se di San Marzano)

  • 1 cipolla

  • Olio extravergine d’oliva

  • Sale

  • Basilico fresco

Preparazione

1. Preparate le pettole.
Su una spianatoia disponete la semola a fontana, aggiungete il sale e l’acqua poco alla volta. Impastate fino a ottenere un panetto liscio e sodo. Copritelo con un canovaccio e lasciate riposare 30 minuti. Poi dividete l’impasto e formate dei cilindretti da cui ricaverete delle striscioline lunghe circa 5-6 cm. Avvolgetele leggermente su sé stesse usando il palmo della mano. Mettete da parte su un vassoio infarinato.

2. Preparate le braciole.
Stendete le fettine di carne, salate e pepate leggermente. Farcite ciascuna con uno spicchio d’aglio tritato, prezzemolo, pecorino, pinoli e uvetta. Arrotolate la carne su sé stessa formando un involtino e legate con spago da cucina o fermate con stuzzicadenti.

3. Cuocete il sugo.
In una casseruola capiente fate soffriggere la cipolla tritata in olio extravergine. Quando è dorata, aggiungete le braciole e rosolatele bene da ogni lato. Versate quindi la passata di pomodoro, salate, coprite e lasciate cuocere a fiamma bassissima per almeno 2 ore, mescolando di tanto in tanto. A fine cottura aggiungete foglie di basilico fresco. Le braciole dovranno risultare morbidissime.

4. Cuocete la pasta.
Lessate le pettole in abbondante acqua salata finché vengono a galla e sono al dente (5-6 minuti circa). Scolatele e conditele con abbondante sugo delle braciole.

Come servire e con cosa accompagnare

Servite le pettole al sugo ben calde, con un’ulteriore spolverata di pecorino o parmigiano a piacere. Accanto, portate in tavola le braciole intere, da gustare come secondo piatto o spezzettare sopra la pasta per renderla ancora più ricca.

Per accompagnare, scegliete un vino rosso strutturato del Sud, come un Aglianico del Vulture, un Primitivo di Manduria o un Taurasi. La struttura del vino deve reggere la potenza del sugo e il carattere della carne.

Le pettole al sugo di braciola non sono solo cibo: sono la rappresentazione di una domenica meridionale, dove si cucina per ore, si condivide, si racconta. È un piatto che merita tempo e rispetto, ma che ripaga con una ricchezza di sapori che pochi altri riescono a offrire.

Chi le prepara compie un gesto antico: trasforma pochi ingredienti in una celebrazione del gusto, unendo due territori che da secoli parlano lingue diverse ma condividono la stessa passione per la cucina vera. È un piatto che si può raccontare solo assaporandolo, magari con il sugo che macchia la tovaglia e con il profumo che riempie la casa.



Penne all’ubriaca – Il primo piatto toscano che cuoce nel vino e racconta la terra

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C’è un modo unico di cucinare la pasta che sa di vigne, di chiacchiere da osteria, di mani screpolate dal lavoro nei campi e di cucine dove il vino è ingrediente quotidiano, non vezzo da gourmet. Le penne all’ubriaca sono un piatto rustico, umile eppure sorprendente, che nasce nel cuore della Toscana contadina. Un piatto rosso sangue, dal sapore intenso, dove la pasta non viene semplicemente condita ma cotta nel vino rosso, come si farebbe con il riso di un risotto.

Non è una pasta da tutti i giorni, ma da momenti in cui si ha voglia di osare qualcosa di diverso pur restando nella semplicità. Non è complicata, ma pretende rispetto per gli ingredienti: un vino di carattere, uno spicchio d’aglio che sa farsi sentire, un olio extravergine deciso. È una pasta “ubriaca”, sì, ma con lucidità da vendere.

Le penne all’ubriaca nascono come piatto di recupero: il vino aperto da un paio di giorni non si butta, si usa. E in Toscana – ma anche in alcune zone dell’Umbria e del Lazio – il vino rosso è parte della cucina quasi quanto l’olio. Secondo la tradizione orale, questo piatto veniva preparato nei giorni di vendemmia o durante l’inverno, quando in casa non c’era molto e si cercava un piatto caldo e corroborante, magari con una fetta di pane tostato a raccogliere il sugo.

Il vino – rigorosamente rosso, corposo, spesso un Chianti o un Montepulciano – colora la pasta e la trasforma, impregnandola di aromi, lasciando il suo alcol evaporare ma mantenendo l’anima. E il colore? Viola intenso, quasi porpora, scenografico e invitante.

Ricetta: Penne all’ubriaca (per 4 persone)

Ingredienti

  • 400 g di penne rigate

  • 750 ml di vino rosso secco (Chianti, Montepulciano o Nero d’Avola)

  • 2 spicchi d’aglio

  • 1 cipolla rossa di Tropea

  • 1 peperoncino fresco o secco (facoltativo)

  • 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro

  • Olio extravergine di oliva q.b.

  • Sale

  • Pepe nero macinato fresco

  • Prezzemolo o rosmarino (opzionale)

  • Pecorino stagionato o Parmigiano (facoltativo)

Preparazione

1. Preparate il soffritto.
In una larga padella o casseruola versate 3 cucchiai d’olio extravergine e fatevi rosolare gli spicchi d’aglio schiacciati e la cipolla rossa tagliata finemente. Se gradite, unite anche un po’ di peperoncino. Fate appassire il tutto dolcemente per circa 5-7 minuti.

2. Aggiungete il concentrato.
Unite il concentrato di pomodoro, mescolate bene per stemperarlo e lasciatelo insaporire per un paio di minuti.

3. Versate il vino.
Aggiungete tutto il vino e portate a leggero bollore. Salate con moderazione (il vino già conferisce una nota sapida) e pepate a piacere.

4. Cuocete la pasta nel vino.
Unite le penne direttamente nella padella con il vino bollente. La pasta dovrà cuocere come in un risotto: mescolate spesso e aggiungete eventualmente un mestolo d’acqua calda se il liquido dovesse asciugarsi troppo prima che la pasta sia al dente. Ci vorranno circa 12-14 minuti. Alla fine dovrete avere un sugo avvolgente, quasi cremoso, che tinge la pasta di un viola vivido.

5. Finite e servite.
Spegnete il fuoco, togliete l’aglio, assaggiate per regolare di sale e pepe. Aggiungete un filo d’olio a crudo e, se vi piace, una manciata di pecorino stagionato grattugiato oppure qualche ago di rosmarino tritato finemente. Servite ben calde.

Il modo migliore per accompagnare le penne all’ubriaca è servire lo stesso vino usato nella cottura. Questo perché gli aromi si rafforzano e creano una continuità perfetta. Se avete usato un Chianti, continuate con quello: la sua acidità bilancia la ricchezza del piatto. Se avete optato per un Montepulciano d’Abruzzo, esalterà le note terrose dell’aglio e della cipolla. In ogni caso, scegliete un vino secco, strutturato e con tannini ben presenti.

Per chi ama l’abbinamento creativo, provate con un Ciliegiolo in purezza, o un Canaiolo, vitigni locali spesso sottovalutati ma straordinari in abbinamenti rustici.

Le penne all’ubriaca non sono solo un piatto: sono un gesto. Richiedono attenzione, come tutte le cose semplici. Non bastano pochi minuti e ingredienti casuali. Servono equilibrio, qualità e pazienza. È una ricetta che stupisce, ma che non tradisce la sua natura popolare.

È perfetta per una cena conviviale, per chi vuole portare in tavola qualcosa di diverso senza snaturare la tradizione. È anche un ottimo primo vegetariano, personalizzabile con qualche verdura di stagione o con una grattugiata di formaggio robusto.

Insomma, è una pasta che merita un posto nella vostra cucina. E che forse, più di tante altre, racconta cosa significhi cucinare con quello che si ha, con gusto, con rispetto e con un pizzico di allegria. Anche un po’ brilla.



Lasagne con sugo di arrosto di vitello: la ricetta che racconta domeniche d'altri tempi

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C’è un certo silenzio, carico di attesa, che precede il pranzo della domenica. È quel momento in cui il profumo esce dalla cucina e si infila negli angoli della casa, evocando memorie antiche, tavole imbandite, voci familiari. In molte regioni d’Italia, la lasagna è la regina indiscussa di questa scena. Ma non tutte le lasagne sono uguali. Ce n’è una, più rustica, meno conosciuta rispetto alla sua cugina bolognese, che ha radici profonde nella tradizione domestica: la lasagna con sugo di arrosto di vitello.

Questo piatto non nasce per stupire a tavola con effetti speciali. Nasce per durare nella memoria. È un’espressione pura della cucina di recupero, quella che non butta via nulla e anzi, trasforma gli avanzi nel cuore del banchetto. Perché il sugo di arrosto, denso, brunito, ricco di sfumature, contiene in sé una complessità che nessun ragù potrà mai replicare: la stratificazione di sapori ottenuta da una cottura lenta, il fondo caramellato, le ossa, le erbe, le verdure lasciate quasi a confondersi con la carne.

Le origini di questa preparazione affondano nella campagna centro-settentrionale, in quei contesti dove la carne di vitello veniva cotta la domenica mattina presto, profumata con aglio, salvia e rosmarino, sfumata con vino bianco e dimenticata nel forno per ore. L’arrosto serviva come secondo, il sugo – recuperato, arricchito, filtrato – diventava la base per condire le tagliatelle o, appunto, le lasagne.

In Emilia, Toscana, Umbria e Marche si possono trovare varianti simili, tutte accomunate da un principio: nulla si spreca, tutto si trasforma. E ciò che nasce da una logica di economia domestica diventa, per una sorta di alchimia della lentezza, un piatto sontuoso.

La ricetta: precisione e sentimento

Ingredienti per 6 persone

Per l’arrosto e il sugo:

  • 800 g di fesa o noce di vitello

  • 1 cipolla bionda

  • 2 carote

  • 1 gambo di sedano

  • 1 spicchio d’aglio

  • 1 rametto di rosmarino

  • 4 foglie di salvia

  • 1 bicchiere di vino bianco secco

  • 700 ml di brodo di carne (anche di dado, se fatto bene)

  • Olio extravergine di oliva q.b.

  • Sale e pepe nero

Per la besciamella:

  • 1 litro di latte intero

  • 100 g di burro

  • 100 g di farina 00

  • Noce moscata

  • Sale

Per assemblare:

  • 250 g di lasagne fresche all’uovo (meglio se fatte in casa o artigianali)

  • 100 g di Parmigiano Reggiano grattugiato

  • Qualche fiocchetto di burro

Preparazione: una cucina che non ha fretta

1. L’arrosto.
In una casseruola capiente (meglio se in ghisa o alluminio pesante), versate un giro generoso d’olio e fatevi rosolare l’aglio intero con la cipolla, il sedano e la carota tritati grossolanamente. Dopo 5 minuti, aggiungete le erbe e la carne, salata e pepata in superficie. Rosolate da tutti i lati fino a ottenere una crosticina dorata. Sfumate con il vino bianco, lasciate evaporare l’alcol e poi versate il brodo caldo fino a coprire metà della carne. Coprite, abbassate la fiamma e cuocete per almeno 2 ore e mezza, girando ogni 30 minuti e aggiungendo poco brodo se serve.

2. Il sugo.
Quando la carne è cotta e tenera, toglietela e mettetela da parte (servirà anche come secondo). Frullate il fondo di cottura con un mixer a immersione e poi filtratelo in un colino fine. Rimettetelo sul fuoco per farlo restringere: dovrete ottenere una salsa spessa, quasi cremosa. Assaggiate e regolate di sale.

3. La besciamella.
In un pentolino sciogliete il burro, aggiungete la farina e mescolate energicamente con una frusta per ottenere un roux. Cuocetelo un paio di minuti, poi versate il latte a filo continuando a mescolare. Fate cuocere finché la salsa non si addensa, poi aggiungete un pizzico di noce moscata e sale.

4. Le lasagne.
Scottate la sfoglia fresca per 30 secondi in acqua bollente salata e raffreddatela subito in acqua fredda. Disponetela su un canovaccio pulito.

5. Assemblaggio.
Imburrate una teglia e stendete un primo strato di sugo. Poi sfoglia, altra salsa di arrosto, un paio di cucchiai di besciamella, una spolverata di Parmigiano. Proseguite per almeno 4 strati. Chiudete con sugo, besciamella, Parmigiano e qualche fiocco di burro.

Cuocete in forno statico a 180°C per 35 minuti. Gli ultimi 5 minuti con il grill per gratinare la superficie.

Lasciate riposare almeno 10 minuti prima di servire.

Una lasagna con sugo di arrosto non chiede l’eccesso, ma la compagnia giusta. Evitate vini troppo aggressivi o giovani. Servite un Chianti Classico Riserva, oppure un Langhe Nebbiolo: entrambi hanno la giusta struttura per accompagnare la sapidità del Parmigiano e la profondità del sugo senza coprire il delicato equilibrio della carne di vitello.

Chi preferisce il bianco, può puntare su un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore: complesso, minerale, con quella vena amaricante finale che pulisce il palato.

Cucinare questa lasagna significa recuperare un’idea di tempo che sembra perduta. È una ricetta che non si improvvisa in mezz’ora, ma che restituisce in sapore ciò che chiede in attenzione. E se preparata al sabato, acquista ancor più gusto il giorno dopo. È perfetta per il pranzo con amici o in famiglia, per una festa o anche solo per riconciliarsi con l’arte di cucinare senza scorciatoie.

Non serve reinventarla. Serve ripeterla. Come una formula tramandata. Come un rituale gentile. Come una promessa fatta col forno acceso.




 
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