Peperoni ripieni di carne e salsiccia (cotti al forno)

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In ogni cucina c’è almeno una ricetta che riesce a mettere d’accordo tutti. Una di quelle preparazioni che riempiono la casa di profumo, che risvegliano ricordi e aprono lo stomaco prima ancora che venga servita in tavola. I peperoni ripieni al forno rientrano in questa categoria: un secondo piatto semplice ma ricco, robusto e rassicurante, perfetto da condividere in famiglia o con amici.

In questa versione la farcia è composta da carne di vitello e salsiccia, un connubio che equilibra leggerezza e gusto. Un ripieno umido, ben legato, saporito ma non eccessivo, racchiuso in una verdura che si fa contenitore e protagonista allo stesso tempo.

Se è vero che la semplicità è spesso il segreto della buona cucina, è altrettanto vero che i dettagli fanno la differenza. Per questo, oltre alla ricetta completa, troverai anche consigli utili per migliorare la digeribilità dei peperoni e rendere il piatto ancora più piacevole da gustare, anche per chi normalmente li evita.

Ogni regione italiana ha una sua versione dei peperoni ripieni. In alcune zone si preferisce la farcitura vegetariana, in altre dominano acciughe, capperi e mollica di pane. Ma quando in casa arrivavano i peperoni del contadino, maturi al punto giusto, la tradizione voleva che venissero riempiti con ciò che c’era: carne avanzata, pane secco, formaggio grattugiato. Una cucina di recupero, certo, ma mai banale.

Quella che ti propongo oggi è una ricetta che ho visto preparare da mia nonna e poi da mia madre, ogni volta con piccole variazioni dettate dalla stagione o dalla dispensa. La versione con carne di vitello e salsiccia resta la mia preferita: umida al punto giusto, con una gratinatura esterna che crea una crosticina dorata e irresistibile.

Ingredienti per 4 persone

  • 300 g di carne macinata di vitello

  • 180 g di salsiccia di maiale

  • 120 g di pangrattato rustico

  • 100 g di Parmigiano Reggiano stagionato (almeno 24 mesi)

  • 4 peperoni quadrati (preferibilmente di Carmagnola)

  • 2 uova

  • Prezzemolo fresco tritato

  • Noce moscata q.b.

  • Olio extravergine d’oliva

  • Una noce di burro

  • Sale e pepe q.b.

  • (Facoltativo) uno spicchio d’aglio tritato finemente

Preparazione passo passo

  1. Scelta e pulizia dei peperoni
    Seleziona peperoni di media dimensione, regolari e senza ammaccature. Lavali con cura e taglia la calotta superiore, che servirà da "cappello" in cottura. Elimina con attenzione semi e parti bianche interne: queste ultime sono ricche di note amare che comprometterebbero il sapore del piatto.

  2. Cottura del ripieno
    Rimuovi il budello dalla salsiccia e falla rosolare in una padella antiaderente con una piccola noce di burro. Dopo circa cinque minuti, aggiungi la carne macinata e cuoci a fuoco medio, mescolando per amalgamare bene. Una volta dorata, togli dal fuoco e lascia intiepidire.

  3. Preparazione dell’impasto
    In una ciotola capiente, unisci la carne rosolata con il pangrattato, il Parmigiano grattugiato, le uova, il prezzemolo tritato, una generosa grattata di noce moscata, sale, pepe e — se ti piace — l’aglio tritato. Mescola con le mani fino a ottenere un composto omogeneo e compatto.

  4. Farcitura dei peperoni
    Riempi ogni peperone con il composto preparato, senza arrivare al bordo per evitare fuoriuscite in cottura. Adagia ciascun peperone in una teglia unta d’olio e coprilo con la calotta precedentemente tagliata.

  5. Cottura al forno
    Spolvera la superficie con altro Parmigiano, irrora con un filo d’olio e inforna a 160°C in modalità statica per circa 30 minuti. Trascorso questo tempo, accendi il grill e cuoci per altri 5 minuti alla massima potenza, fino a ottenere una leggera gratinatura dorata.

Molti evitano i peperoni per via della loro scarsa tollerabilità gastrica. Il segreto sta nella buccia: è proprio lì che si concentra la solanina, una sostanza naturalmente presente nelle solanacee (come melanzane e pomodori) che può risultare difficile da digerire. Se sei particolarmente sensibile, puoi cuocere i peperoni al vapore per qualche minuto prima di farcirli oppure, una volta cotti, spellarli.

Inoltre, evitare cotture violente ad alte temperature — come alla brace — e preferire una cottura dolce e prolungata, come quella al forno, rende la fibra del peperone più morbida e digeribile. Cuocere preventivamente il ripieno, inoltre, riduce l’umidità interna e migliora la consistenza finale.

Questo piatto si presta a numerosi accostamenti, sia nel contorno sia nel bicchiere. Per accompagnare i peperoni ripieni puoi optare per un'insalata fresca con vinaigrette leggera, oppure per patate novelle al forno. Se desideri restare su un’onda più rustica, un purè di sedano rapa o una caponata tiepida possono aggiungere un tocco sofisticato.

Per quanto riguarda il vino, scegli un rosso di media struttura, come un Chianti giovane o un Montepulciano d’Abruzzo. Se preferisci un bianco, un Verdicchio dei Castelli di Jesi sarà in grado di bilanciare bene la dolcezza dei peperoni con la sua acidità.

I peperoni ripieni di carne e salsiccia sono una di quelle ricette che attraversano le generazioni senza perdere fascino. Offrono un equilibrio raro tra semplicità e gusto, e si adattano a molte occasioni: possono essere serviti come piatto unico, come secondo importante o anche in versione mignon per un buffet.

Con pochi ingredienti ben calibrati e qualche accortezza nella preparazione, potrai ottenere un risultato gustoso, equilibrato e perfettamente digeribile. Il trucco, come sempre, sta nell’equilibrio: tra dolcezza e sapidità, tra consistenze morbide e croccanti, tra tradizione e attenzione alla salute.

E la prossima volta che avrai dei peperoni maturi in frigo, non pensarci due volte: basta poco per trasformarli in un piatto che sa di casa, di festa e di buone abitudini.


Tris di involtini di vitello: tre anime, un solo piatto

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In cucina, spesso, la semplicità è l’arte più raffinata. E pochi piatti riescono a dimostrarlo meglio di questo: un tris di involtini di vitello che racconta tre storie diverse, tre identità culinarie, con un solo protagonista – la carne di vitello, tenera, magra e versatile. Un secondo piatto che non cerca scorciatoie: si affida alla tradizione, ma lo fa con fantasia, accogliendo suggestioni del Sud Italia per dare forma a un piatto elegante e profondo, perfetto per un pranzo della domenica come per una cena tra amici.

In questo piatto, ogni involtino è un piccolo racconto di gusto: il primo richiama la parmigiana di melanzane, il secondo si fa piccante e corposo grazie alla ‘nduja calabrese, mentre il terzo accoglie l'influenza siciliana con uvetta, pinoli e una nota di Marsala. Tre ripieni diversi, ciascuno con un carattere ben definito, che si sposano con la delicatezza della carne di vitello in un equilibrio che sorprende al palato e conquista fin dal primo morso.

Prima ancora di parlare di farciture, la scelta della carne è il punto di partenza irrinunciabile. Per ottenere involtini morbidi e succosi, il taglio più indicato è la fesa di vitello. Si tratta di un taglio nobile della coscia, apprezzato per la sua tenerezza e per il basso contenuto di grasso. È anche estremamente adatto ad accogliere ripieni, perché mantiene bene la forma in cottura e si presta a essere arrotolato senza spezzarsi.

In alternativa, è possibile optare per fettine sottili ricavate dal carré disossato oppure dalla polpa magra della coscia. Il consiglio dello chef? Farsele tagliare direttamente dal macellaio e batterle delicatamente con un batticarne per uniformarne lo spessore: una piccola accortezza che renderà gli involtini più teneri e facili da cuocere.

Attenzione anche a eventuali nervetti: incidendoli leggermente ai bordi si evita che la carne si arricci in padella, assicurando una cottura omogenea e un aspetto curato.

La preparazione è semplice e lineare, ma richiede precisione. Il lavoro inizia con la farcitura. Il primo involtino prevede una combinazione che sa di casa e di pranzo d’estate: fette di melanzane grigliate, un cuore filante di mozzarella, un velo di salsa di pomodoro e una generosa spolverata di parmigiano. Il secondo gioca su contrasti più decisi: uvetta precedentemente ammollata nel Marsala, pinoli tostati, pangrattato e caciocavallo, per un gusto morbido e leggermente dolce, bilanciato dal formaggio stagionato. Il terzo, infine, è dedicato agli amanti del piccante, con una base di ‘nduja spalmata sulla carne, arricchita da scaglie di caciocavallo e parmigiano.

Una volta completata la farcitura, si arrotolano le fettine su se stesse con delicatezza, facendo attenzione a chiuderle bene, e si fissano con uno stuzzicadenti. È il momento di aggiungere sale, pepe e qualche rametto di timo fresco.

Per cuocere gli involtini servono due padelle: una dedicata esclusivamente a quello con uvetta e pinoli, l’altra per gli altri due. In entrambe, si scalda un filo d’olio extravergine di oliva insieme a un trito di erbe aromatiche. Durante la cottura, è bene tenere le erbe sopra la carne, così da evitare che brucino e da ottenere il massimo del loro profumo.

L’involtino siciliano viene sfumato con lo stesso Marsala usato per l’uvetta, in modo da intensificarne il sapore e completarne la dolcezza con una nota alcolica elegante. Gli altri due, più saporiti e robusti, cuociono insieme, finché non avranno formato una leggera crosticina dorata.

A metà cottura, si rimuovono le erbe aromatiche per evitare che alterino il sapore del fondo. Pochi minuti ancora e il piatto è pronto per essere servito.

La ricetta nel dettaglio

Ingredienti per 3 porzioni:

  • 3 fettine sottili di vitello

  • 2 fette di melanzane grigliate

  • 1 fetta di mozzarella

  • 1 cucchiaio di salsa di pomodoro

  • 2 fette di caciocavallo

  • 10 g di uvetta

  • 10 g di pinoli

  • 1 cucchiaio di pangrattato

  • 1 cucchiaio di parmigiano grattugiato

  • 1 cucchiaio di nduja

  • Marsala q.b.

  • Erbe aromatiche (rosmarino, timo, salvia)

  • Olio extravergine di oliva

  • Sale e pepe

Preparazione:

  1. Ammollare l’uvetta nel Marsala per almeno 10 minuti.

  2. Battere le fettine di carne tra due fogli di carta forno. Incidere i bordi se necessario.

  3. Farcire i tre involtini come descritto:

    • Parmigiana-style: melanzana, mozzarella, pomodoro, parmigiano.

    • Siciliano: uvetta scolata, pinoli, caciocavallo, pangrattato.

    • Calabrese: nduja, caciocavallo, parmigiano.

  4. Arrotolare con cura, salare, pepare, e aggiungere timo fresco.

  5. Scaldare poco olio in due padelle, aggiungere le erbe aromatiche e cuocere gli involtini.

  6. Sfumare quello con uvetta e pinoli con un cucchiaio di Marsala.

  7. Quando ben dorati, rimuovere le erbe e regolare di sale.

  8. Servire caldi, accompagnati da un contorno a scelta: purè, patate al forno, oppure un’insalata di stagione.

Un piatto così sfaccettato richiede un vino che sappia accompagnarne le diverse sfumature senza prevalere. Per chi ama i rossi, un Cerasuolo di Vittoria è l’ideale: morbido, con una buona acidità, richiama le note fruttate dell’uvetta e tiene testa alla ‘nduja. In alternativa, un Etna Rosso o un Dolcetto d’Alba possono bilanciare bene la struttura del piatto. Se preferite i bianchi, puntate su un Fiano di Avellino o un Verdicchio dei Castelli di Jesi leggermente affinato: profumati, ma con una discreta struttura, sapranno esaltare la delicatezza della carne e delle farciture senza coprirle.

Il bello di questo tris è che può essere modulato a seconda dei gusti o degli ingredienti disponibili in casa. Si possono sostituire le melanzane con zucchine grigliate, usare scamorza al posto del caciocavallo, o provare una variante vegetariana con un ripieno di spinaci e ricotta. Il principio resta lo stesso: ingredienti semplici, ben combinati, per un secondo che racconta la cucina italiana nella sua forma più autentica.

Non serve cercare l’effetto: basta lasciar parlare i sapori. E con questo tris di involtini, ci riescono benissimo.


Pettole al sugo di braciola napoletana – Un matrimonio di sapori tra Puglia e Napoli

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La cucina del Sud Italia ha una caratteristica inconfondibile: è una sinfonia di contaminazioni regionali che raccontano secoli di scambi, di viaggi familiari, di pranzi della domenica e di tradizioni tramandate a voce. Un piatto che ne è perfetta incarnazione sono le pettole al sugo di braciola napoletana. Non si tratta solo di una combinazione gastronomica, ma di un abbraccio tra due culture che condividono la stessa anima: quella della convivialità.

Le pettole, originarie della Puglia, sono una pasta fresca che può ricordare vagamente le trofie o le orecchiette tirate a mano, ma più allungate e avvolte su sé stesse. Il loro nome deriva dalla parola “pettole” usata anche per definire impasti morbidi e lievitati, ma in questo caso siamo nel mondo della pasta. Corpose e callose al punto giusto, diventano il veicolo perfetto per raccogliere il sugo della braciola napoletana, ovvero involtini di carne cotti lentamente in salsa di pomodoro fino a diventare teneri e saporiti.

La braciola napoletana non ha nulla a che vedere con le costine o le bistecche alla griglia che il nome potrebbe suggerire. È invece una fetta di carne (di solito manzo o vitello) farcita con ingredienti semplici ma saporiti – aglio, prezzemolo, pecorino, pinoli, uvetta – arrotolata e legata, poi stufata a lungo in un sugo di pomodoro profumatissimo.

Questo sugo, denso, profondo, carnoso, è uno dei più straordinari doni della cucina napoletana. In molte famiglie partenopee, la domenica inizia con il “profumo del ragù” che sobbolle per ore e si sposa a pasta lunga. Ma quando incontra le pettole, cambia passo: la pasta pugliese gli offre un’altra consistenza, un’altra voce, e il risultato è da capogiro.

Ricetta: Pettole al sugo di braciola napoletana (per 4 persone)

Per le pettole

  • 400 g di semola rimacinata di grano duro

  • 200 ml circa di acqua tiepida

  • Un pizzico di sale

Per le braciole

  • 4 fettine di carne di manzo sottili (scamone o girello)

  • 2 spicchi d’aglio

  • Prezzemolo fresco tritato

  • 4 cucchiai di pecorino grattugiato

  • 2 cucchiai di pinoli

  • 2 cucchiai di uvetta ammollata

  • Sale e pepe

  • Spago da cucina o stuzzicadenti

Per il sugo

  • 1 l di passata di pomodoro (meglio se di San Marzano)

  • 1 cipolla

  • Olio extravergine d’oliva

  • Sale

  • Basilico fresco

Preparazione

1. Preparate le pettole.
Su una spianatoia disponete la semola a fontana, aggiungete il sale e l’acqua poco alla volta. Impastate fino a ottenere un panetto liscio e sodo. Copritelo con un canovaccio e lasciate riposare 30 minuti. Poi dividete l’impasto e formate dei cilindretti da cui ricaverete delle striscioline lunghe circa 5-6 cm. Avvolgetele leggermente su sé stesse usando il palmo della mano. Mettete da parte su un vassoio infarinato.

2. Preparate le braciole.
Stendete le fettine di carne, salate e pepate leggermente. Farcite ciascuna con uno spicchio d’aglio tritato, prezzemolo, pecorino, pinoli e uvetta. Arrotolate la carne su sé stessa formando un involtino e legate con spago da cucina o fermate con stuzzicadenti.

3. Cuocete il sugo.
In una casseruola capiente fate soffriggere la cipolla tritata in olio extravergine. Quando è dorata, aggiungete le braciole e rosolatele bene da ogni lato. Versate quindi la passata di pomodoro, salate, coprite e lasciate cuocere a fiamma bassissima per almeno 2 ore, mescolando di tanto in tanto. A fine cottura aggiungete foglie di basilico fresco. Le braciole dovranno risultare morbidissime.

4. Cuocete la pasta.
Lessate le pettole in abbondante acqua salata finché vengono a galla e sono al dente (5-6 minuti circa). Scolatele e conditele con abbondante sugo delle braciole.

Come servire e con cosa accompagnare

Servite le pettole al sugo ben calde, con un’ulteriore spolverata di pecorino o parmigiano a piacere. Accanto, portate in tavola le braciole intere, da gustare come secondo piatto o spezzettare sopra la pasta per renderla ancora più ricca.

Per accompagnare, scegliete un vino rosso strutturato del Sud, come un Aglianico del Vulture, un Primitivo di Manduria o un Taurasi. La struttura del vino deve reggere la potenza del sugo e il carattere della carne.

Le pettole al sugo di braciola non sono solo cibo: sono la rappresentazione di una domenica meridionale, dove si cucina per ore, si condivide, si racconta. È un piatto che merita tempo e rispetto, ma che ripaga con una ricchezza di sapori che pochi altri riescono a offrire.

Chi le prepara compie un gesto antico: trasforma pochi ingredienti in una celebrazione del gusto, unendo due territori che da secoli parlano lingue diverse ma condividono la stessa passione per la cucina vera. È un piatto che si può raccontare solo assaporandolo, magari con il sugo che macchia la tovaglia e con il profumo che riempie la casa.



Penne all’ubriaca – Il primo piatto toscano che cuoce nel vino e racconta la terra

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C’è un modo unico di cucinare la pasta che sa di vigne, di chiacchiere da osteria, di mani screpolate dal lavoro nei campi e di cucine dove il vino è ingrediente quotidiano, non vezzo da gourmet. Le penne all’ubriaca sono un piatto rustico, umile eppure sorprendente, che nasce nel cuore della Toscana contadina. Un piatto rosso sangue, dal sapore intenso, dove la pasta non viene semplicemente condita ma cotta nel vino rosso, come si farebbe con il riso di un risotto.

Non è una pasta da tutti i giorni, ma da momenti in cui si ha voglia di osare qualcosa di diverso pur restando nella semplicità. Non è complicata, ma pretende rispetto per gli ingredienti: un vino di carattere, uno spicchio d’aglio che sa farsi sentire, un olio extravergine deciso. È una pasta “ubriaca”, sì, ma con lucidità da vendere.

Le penne all’ubriaca nascono come piatto di recupero: il vino aperto da un paio di giorni non si butta, si usa. E in Toscana – ma anche in alcune zone dell’Umbria e del Lazio – il vino rosso è parte della cucina quasi quanto l’olio. Secondo la tradizione orale, questo piatto veniva preparato nei giorni di vendemmia o durante l’inverno, quando in casa non c’era molto e si cercava un piatto caldo e corroborante, magari con una fetta di pane tostato a raccogliere il sugo.

Il vino – rigorosamente rosso, corposo, spesso un Chianti o un Montepulciano – colora la pasta e la trasforma, impregnandola di aromi, lasciando il suo alcol evaporare ma mantenendo l’anima. E il colore? Viola intenso, quasi porpora, scenografico e invitante.

Ricetta: Penne all’ubriaca (per 4 persone)

Ingredienti

  • 400 g di penne rigate

  • 750 ml di vino rosso secco (Chianti, Montepulciano o Nero d’Avola)

  • 2 spicchi d’aglio

  • 1 cipolla rossa di Tropea

  • 1 peperoncino fresco o secco (facoltativo)

  • 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro

  • Olio extravergine di oliva q.b.

  • Sale

  • Pepe nero macinato fresco

  • Prezzemolo o rosmarino (opzionale)

  • Pecorino stagionato o Parmigiano (facoltativo)

Preparazione

1. Preparate il soffritto.
In una larga padella o casseruola versate 3 cucchiai d’olio extravergine e fatevi rosolare gli spicchi d’aglio schiacciati e la cipolla rossa tagliata finemente. Se gradite, unite anche un po’ di peperoncino. Fate appassire il tutto dolcemente per circa 5-7 minuti.

2. Aggiungete il concentrato.
Unite il concentrato di pomodoro, mescolate bene per stemperarlo e lasciatelo insaporire per un paio di minuti.

3. Versate il vino.
Aggiungete tutto il vino e portate a leggero bollore. Salate con moderazione (il vino già conferisce una nota sapida) e pepate a piacere.

4. Cuocete la pasta nel vino.
Unite le penne direttamente nella padella con il vino bollente. La pasta dovrà cuocere come in un risotto: mescolate spesso e aggiungete eventualmente un mestolo d’acqua calda se il liquido dovesse asciugarsi troppo prima che la pasta sia al dente. Ci vorranno circa 12-14 minuti. Alla fine dovrete avere un sugo avvolgente, quasi cremoso, che tinge la pasta di un viola vivido.

5. Finite e servite.
Spegnete il fuoco, togliete l’aglio, assaggiate per regolare di sale e pepe. Aggiungete un filo d’olio a crudo e, se vi piace, una manciata di pecorino stagionato grattugiato oppure qualche ago di rosmarino tritato finemente. Servite ben calde.

Il modo migliore per accompagnare le penne all’ubriaca è servire lo stesso vino usato nella cottura. Questo perché gli aromi si rafforzano e creano una continuità perfetta. Se avete usato un Chianti, continuate con quello: la sua acidità bilancia la ricchezza del piatto. Se avete optato per un Montepulciano d’Abruzzo, esalterà le note terrose dell’aglio e della cipolla. In ogni caso, scegliete un vino secco, strutturato e con tannini ben presenti.

Per chi ama l’abbinamento creativo, provate con un Ciliegiolo in purezza, o un Canaiolo, vitigni locali spesso sottovalutati ma straordinari in abbinamenti rustici.

Le penne all’ubriaca non sono solo un piatto: sono un gesto. Richiedono attenzione, come tutte le cose semplici. Non bastano pochi minuti e ingredienti casuali. Servono equilibrio, qualità e pazienza. È una ricetta che stupisce, ma che non tradisce la sua natura popolare.

È perfetta per una cena conviviale, per chi vuole portare in tavola qualcosa di diverso senza snaturare la tradizione. È anche un ottimo primo vegetariano, personalizzabile con qualche verdura di stagione o con una grattugiata di formaggio robusto.

Insomma, è una pasta che merita un posto nella vostra cucina. E che forse, più di tante altre, racconta cosa significhi cucinare con quello che si ha, con gusto, con rispetto e con un pizzico di allegria. Anche un po’ brilla.



Lasagne con sugo di arrosto di vitello: la ricetta che racconta domeniche d'altri tempi

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C’è un certo silenzio, carico di attesa, che precede il pranzo della domenica. È quel momento in cui il profumo esce dalla cucina e si infila negli angoli della casa, evocando memorie antiche, tavole imbandite, voci familiari. In molte regioni d’Italia, la lasagna è la regina indiscussa di questa scena. Ma non tutte le lasagne sono uguali. Ce n’è una, più rustica, meno conosciuta rispetto alla sua cugina bolognese, che ha radici profonde nella tradizione domestica: la lasagna con sugo di arrosto di vitello.

Questo piatto non nasce per stupire a tavola con effetti speciali. Nasce per durare nella memoria. È un’espressione pura della cucina di recupero, quella che non butta via nulla e anzi, trasforma gli avanzi nel cuore del banchetto. Perché il sugo di arrosto, denso, brunito, ricco di sfumature, contiene in sé una complessità che nessun ragù potrà mai replicare: la stratificazione di sapori ottenuta da una cottura lenta, il fondo caramellato, le ossa, le erbe, le verdure lasciate quasi a confondersi con la carne.

Le origini di questa preparazione affondano nella campagna centro-settentrionale, in quei contesti dove la carne di vitello veniva cotta la domenica mattina presto, profumata con aglio, salvia e rosmarino, sfumata con vino bianco e dimenticata nel forno per ore. L’arrosto serviva come secondo, il sugo – recuperato, arricchito, filtrato – diventava la base per condire le tagliatelle o, appunto, le lasagne.

In Emilia, Toscana, Umbria e Marche si possono trovare varianti simili, tutte accomunate da un principio: nulla si spreca, tutto si trasforma. E ciò che nasce da una logica di economia domestica diventa, per una sorta di alchimia della lentezza, un piatto sontuoso.

La ricetta: precisione e sentimento

Ingredienti per 6 persone

Per l’arrosto e il sugo:

  • 800 g di fesa o noce di vitello

  • 1 cipolla bionda

  • 2 carote

  • 1 gambo di sedano

  • 1 spicchio d’aglio

  • 1 rametto di rosmarino

  • 4 foglie di salvia

  • 1 bicchiere di vino bianco secco

  • 700 ml di brodo di carne (anche di dado, se fatto bene)

  • Olio extravergine di oliva q.b.

  • Sale e pepe nero

Per la besciamella:

  • 1 litro di latte intero

  • 100 g di burro

  • 100 g di farina 00

  • Noce moscata

  • Sale

Per assemblare:

  • 250 g di lasagne fresche all’uovo (meglio se fatte in casa o artigianali)

  • 100 g di Parmigiano Reggiano grattugiato

  • Qualche fiocchetto di burro

Preparazione: una cucina che non ha fretta

1. L’arrosto.
In una casseruola capiente (meglio se in ghisa o alluminio pesante), versate un giro generoso d’olio e fatevi rosolare l’aglio intero con la cipolla, il sedano e la carota tritati grossolanamente. Dopo 5 minuti, aggiungete le erbe e la carne, salata e pepata in superficie. Rosolate da tutti i lati fino a ottenere una crosticina dorata. Sfumate con il vino bianco, lasciate evaporare l’alcol e poi versate il brodo caldo fino a coprire metà della carne. Coprite, abbassate la fiamma e cuocete per almeno 2 ore e mezza, girando ogni 30 minuti e aggiungendo poco brodo se serve.

2. Il sugo.
Quando la carne è cotta e tenera, toglietela e mettetela da parte (servirà anche come secondo). Frullate il fondo di cottura con un mixer a immersione e poi filtratelo in un colino fine. Rimettetelo sul fuoco per farlo restringere: dovrete ottenere una salsa spessa, quasi cremosa. Assaggiate e regolate di sale.

3. La besciamella.
In un pentolino sciogliete il burro, aggiungete la farina e mescolate energicamente con una frusta per ottenere un roux. Cuocetelo un paio di minuti, poi versate il latte a filo continuando a mescolare. Fate cuocere finché la salsa non si addensa, poi aggiungete un pizzico di noce moscata e sale.

4. Le lasagne.
Scottate la sfoglia fresca per 30 secondi in acqua bollente salata e raffreddatela subito in acqua fredda. Disponetela su un canovaccio pulito.

5. Assemblaggio.
Imburrate una teglia e stendete un primo strato di sugo. Poi sfoglia, altra salsa di arrosto, un paio di cucchiai di besciamella, una spolverata di Parmigiano. Proseguite per almeno 4 strati. Chiudete con sugo, besciamella, Parmigiano e qualche fiocco di burro.

Cuocete in forno statico a 180°C per 35 minuti. Gli ultimi 5 minuti con il grill per gratinare la superficie.

Lasciate riposare almeno 10 minuti prima di servire.

Una lasagna con sugo di arrosto non chiede l’eccesso, ma la compagnia giusta. Evitate vini troppo aggressivi o giovani. Servite un Chianti Classico Riserva, oppure un Langhe Nebbiolo: entrambi hanno la giusta struttura per accompagnare la sapidità del Parmigiano e la profondità del sugo senza coprire il delicato equilibrio della carne di vitello.

Chi preferisce il bianco, può puntare su un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore: complesso, minerale, con quella vena amaricante finale che pulisce il palato.

Cucinare questa lasagna significa recuperare un’idea di tempo che sembra perduta. È una ricetta che non si improvvisa in mezz’ora, ma che restituisce in sapore ciò che chiede in attenzione. E se preparata al sabato, acquista ancor più gusto il giorno dopo. È perfetta per il pranzo con amici o in famiglia, per una festa o anche solo per riconciliarsi con l’arte di cucinare senza scorciatoie.

Non serve reinventarla. Serve ripeterla. Come una formula tramandata. Come un rituale gentile. Come una promessa fatta col forno acceso.




Triglie fritte con burro alle acciughe: un’eleganza marina che conquista il palato

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Croccanti all’esterno, tenere all’interno, le triglie fritte si esaltano nel contrasto sapido e cremoso del burro alle acciughe. Una ricetta della tradizione che parla al gusto con raffinata semplicità.

La triglia è tra i pesci più amati del Mediterraneo, protagonista silenziosa delle cucine costiere. Da sempre presente nei mercati ittici di Liguria, Campania, Sicilia e Sardegna, la sua carne delicata e saporita ha attraversato secoli di tradizione popolare per giungere, oggi, sulle tavole più esigenti.

In passato era considerata un pesce “modesto”, raccolta in reti tirate a mano e venduta direttamente dai pescatori. Veniva fritta intera, spesso con poco altro a condirla se non limone e olio d’oliva. Ma come accade con tutti gli ingredienti autentici, il tempo e la cura di chef e osti hanno elevato questo pesce fino a renderlo protagonista in preparazioni eleganti ma mai complicate.

È in questo contesto che nasce la ricetta delle triglie fritte con burro alle acciughe, un abbraccio tra due ingredienti simbolo della cucina costiera. Il risultato? Un equilibrio perfetto tra la dolcezza del pesce e la salinità dell’emulsione, che esalta la materia prima senza sovrastarla.

Per ottenere un risultato degno della migliore osteria affacciata sul mare, la selezione degli ingredienti è essenziale. La triglia deve essere freschissima: occhi vivi, branchie rosse e carne soda. Le acciughe, meglio se del Mar Cantabrico o sott’olio di alta qualità, devono essere mature e carnose, mai troppo salate.

Il burro, che fungerà da base per la salsa, dovrebbe essere dolce e cremoso, non troppo freddo, per amalgamarsi al meglio con la sapidità delle acciughe. Farina di semola per la frittura, olio di semi ad alto punto di fumo (arachide o girasole raffinato) e un pizzico di pepe nero completano il quadro. Nessun ingrediente superfluo, solo ciò che serve.

La ricetta: come preparare le triglie fritte con burro alle acciughe

Ingredienti per 4 persone:

  • 8 triglie medie, eviscerate e pulite

  • 50 g di farina di semola rimacinata

  • Olio di semi per friggere (arachide consigliato)

  • Sale q.b.

  • Pepe nero macinato fresco

Per il burro alle acciughe:

  • 80 g di burro di ottima qualità, ammorbidito

  • 6 filetti di acciuga sott’olio

  • 1 cucchiaino di succo di limone

  • Una grattugiata leggera di scorza di limone non trattato

  • Qualche goccia di salsa Worcestershire (opzionale)

Preparazione

1. Preparazione del burro alle acciughe
Lascia il burro a temperatura ambiente per almeno 30 minuti, fino a renderlo facilmente lavorabile. In un piccolo mixer da cucina, unisci i filetti di acciuga ben sgocciolati, il succo e la scorza di limone, e, se lo desideri, una punta di salsa Worcestershire. Frulla fino ad ottenere una crema liscia. Aggiungi il burro e lavora fino a ottenere un composto omogeneo e profumato. Trasferisci su pellicola trasparente, arrotola formando un cilindro e lascia raffreddare in frigorifero per almeno 1 ora.

2. Frittura delle triglie
Asciuga accuratamente le triglie già pulite, passale nella farina di semola, eliminando l’eccesso. Scalda l’olio in una padella larga fino a raggiungere i 180°C (puoi testare la temperatura immergendo un piccolo pezzetto di pane: se sfrigola subito, è pronta). Friggi le triglie poche alla volta, 2-3 minuti per lato, fino a doratura uniforme. Scolale su carta assorbente, salale leggermente.

3. Servizio
Disponi le triglie calde su un piatto da portata o su un tagliere di legno. Taglia il burro alle acciughe a rondelle e adagiane una o due su ciascun pesce. Il calore farà sciogliere lentamente il burro, avvolgendo il fritto con un velo saporito. Aggiungi una spolverata di pepe nero e servi subito.

Le triglie fritte con burro alle acciughe richiedono un vino bianco con buona acidità, capace di pulire il palato e accompagnare senza invadenza. Un Vermentino di Gallura, fresco e minerale, si sposa alla perfezione. Anche un Fiano di Avellino, con le sue note floreali e il corpo elegante, rappresenta un’ottima scelta.

Per chi ama osare, uno spumante metodo classico a base Chardonnay può aggiungere una nota briosa e raffinata, mentre in estate una birra chiara artigianale, leggera e con bouquet agrumato, offre un’alternativa sorprendente ma coerente.

Consigli dello chef

  • Non affrettare la frittura: il segreto è friggere poche triglie alla volta per non abbassare la temperatura dell’olio. Una frittura dorata e asciutta è il primo passo per un piatto perfetto.

  • Burro alle acciughe come jolly: può essere preparato in anticipo e utilizzato anche su carni bianche, verdure arrosto o spalmato su pane caldo.

  • Alternativa più leggera: se desideri una versione meno impegnativa, puoi cuocere le triglie al forno a 200°C per 10 minuti, poi servirle con il burro aromatizzato.

C'è qualcosa di profondamente autentico nelle triglie. La loro carne tenera, il colore acceso, il profumo salmastro che evocano. Eppure, in questa ricetta, tutto si trasforma in un gesto moderno: il burro fuso porta morbidezza, le acciughe concentrano l’essenza del mare, la frittura dona struttura.

È una cucina che non si maschera dietro tecniche complesse. È schietta, fatta di ingredienti riconoscibili, ma serviti in un abbinamento che lascia spazio all'immaginazione e alla memoria. Ogni boccone racconta di pescatori all’alba, di mani esperte che sfilettano con precisione, di fuochi accesi in case affacciate sul porto.

E forse, nel silenzio di un pranzo al sole, con un bicchiere di bianco fresco e il mare in lontananza, questo piatto può persino farci viaggiare, anche solo per qualche istante.

Le triglie fritte con burro alle acciughe sono più di una semplice pietanza. Sono una dichiarazione d’amore alla cucina mediterranea, quella fatta di pochi gesti ben pensati e di sapori netti. Non servono decine di ingredienti né tecniche da manuale. Serve rispetto per la materia prima, attenzione nella preparazione e la volontà di portare in tavola qualcosa che parli, davvero, di mare.

Provale. Preparale. E assapora una ricetta che unisce passato e presente in un equilibrio difficile da dimenticare.


Condividila, raccontaci la tua variante o il tuo vino preferito da abbinare. La cucina è anche questo: memoria, sperimentazione e piacere condiviso.



Souvlaki: lo street food greco che racconta un popolo

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Profumo di carne grigliata, spezie che si mescolano alla brace e pane caldo che avvolge ogni morso: il souvlaki non è solo uno spiedino di carne, ma una delle espressioni più autentiche del cibo di strada ellenico. Semplice, diretto, conviviale. È il piatto che trovi a ogni angolo di Atene come nelle isole più remote, che unisce tutte le generazioni con un linguaggio comune: quello del gusto.

Il souvlaki affonda le sue radici nella Grecia classica, dove già Omero raccontava di carne infilzata e cotta sul fuoco. Il termine stesso viene da souvla, che significa “spiedo”, e ha attraversato i secoli adattandosi alle disponibilità locali: agnello, maiale, pollo o anche pesce, marinati e grigliati fino a raggiungere la perfetta combinazione tra tenerezza e sapore affumicato.

Nel corso degli anni il souvlaki si è evoluto: dagli spiedini semplici serviti con pane a piatti completi in pita con pomodoro, cipolla, patatine fritte, salsa tzatziki, diventando il cibo veloce per eccellenza della cultura greca. Economico, sostanzioso, pronto da gustare con le mani.

Ricetta tradizionale del souvlaki di maiale

Ingredienti per 4 persone

Per gli spiedini:

  • 600 g di spalla o collo di maiale, tagliato a cubetti

  • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva

  • Succo di 1 limone

  • 1 cucchiaino di origano secco greco

  • 1 spicchio d’aglio tritato finemente

  • Sale e pepe nero macinato al momento

Per servire:

  • Pita greca (4 dischi)

  • Tzatziki (yogurt greco, cetriolo grattugiato, aglio, olio, aceto)

  • Pomodoro a fette

  • Cipolla rossa a rondelle sottili

  • Patatine fritte (facoltative)

  • Paprika dolce o affumicata

Preparazione

1. Marinatura della carne
In una ciotola capiente, mescolate l’olio d’oliva, il succo di limone, l’origano, l’aglio, sale e pepe. Aggiungete i cubetti di carne e mescolate bene. Coprite con pellicola e lasciate marinare in frigorifero per almeno 2 ore (meglio se tutta la notte).

2. Infilzare e grigliare
Trascorso il tempo di marinatura, infilzate la carne su spiedini di legno (ammollati in acqua per 30 minuti) o di metallo. Grigliate su barbecue, piastra o griglia ben calda per circa 10 minuti, girandoli spesso finché non risultano dorati fuori e succosi dentro.

3. Scaldare la pita
Scaldate le pita su una padella calda o sulla griglia per 1-2 minuti per lato, finché non diventano morbide e leggermente tostate.

4. Comporre il piatto
Servite gli spiedini di souvlaki con la pita arrotolata o aperta, accompagnando con tzatziki, fettine di pomodoro, cipolla, patatine e una spolverata di paprika.

Varianti popolari

  • Souvlaki di pollo: più leggero, marinato con limone, olio, origano e yogurt.

  • Souvlaki di agnello: più intenso e ricco, spesso arricchito con rosmarino e cumino.

  • Versione vegetariana: spiedini di halloumi grigliato con verdure, serviti nello stesso stile.

Per un’esperienza completa, accompagna il tuo souvlaki con un calice di Retsina, vino bianco greco resinoso che si sposa perfettamente con l’untuosità della carne e la freschezza dello tzatziki. Oppure scegli una lager greca come Mythos o Fix. Se preferisci un’opzione analcolica, prova uno yogurt salato diluito con acqua e menta, molto rinfrescante.

Il souvlaki è un piatto che parla di casa, strada, estate, ma si adatta a ogni stagione e occasione. Facile da preparare, può essere servito per una cena tra amici, una grigliata improvvisata o un pranzo veloce e gustoso. Ma soprattutto, è una celebrazione della semplicità fatta con ingredienti freschi e genuini, in grado di evocare le piazze assolate di Atene anche nella cucina di casa.

Un boccone che profuma di viaggi, condivisione e storia.



 
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