Birra Metzger

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Birra Metzger fu una fabbrica di birra italiana di Torino, attiva fra il 1848 ed il 1975.


Storia

Fu fondata nel 1848 a Torino, da Carlo Metzger (originario dell'Alsazia) la Società Perla Crova & Co. La piccola fabbrica sorgeva nel rione Valdocco, nella zona chiamata il Fortino.
Nel 1859 la birreria cambiò denominazione in Società Perla Crova & Co.-Luigi Vigna e nel 1862 fu trasferita nella nuova sede di Via San Donato, 68 angolo Via Bogetto.
Nel 1878 Carlo Metzger divenne l'unico proprietario. Nel 1888, dopo un duro tirocinio nelle fabbriche tedesche, il figlio Francesco Giuseppe prese le redini della birreria.
La qualità della birra nel frattempo migliorava e nell'Esposizione dell'Industria Italiana del 1898 a Torino fu riconosciuta con la medaglia d'oro.
Nel 1903 si trasformò in Società in Accomandita Semplice Birra Metzger-Torino di Carlo Dorna & C..
Negli Anni '30 complice il divieto di importare birra straniera a seguito del regime autarchico, la produzione della birra aumentò notevolemte riuscendo a conquistare anche i mercati coloniali dell'Africa Orientale.
Nel 1952 a Milano nasceva la Holding Mobiliare Industriale Cisalpina proprietaria della SPAM, questa assunse il controllo della Birra Metzger e della Birra Cervisia di Genova.
Nel 1970 sparì il marchio Birra Metzger dal mercato ed il giro di vendite fu assorbito dalla Birra Dreher di Trieste ormai promossa a marchio nazionale. Nel 1975 chiusero gli stabilimenti della birreria.
Nel Dicembre 2014 il marchio Metzger viene ceduto ad un imprenditore torinese per il rilancio del brand. Nel 2015 la birra Metzger viene rimessa in commercio utilizzando marchio e ricetta originale.


Cronologia societaria

Questo il cambio cronologico della società di capitali secondo la Guida scritta da Luciano Cossu:
1848 - 1859 Società Perla Crova & Co. (Torino)
1859 - 1871 Società Perla Crova & Co. - Luigi Vigna (Torino)
1871 - 1898 Birra Vigna Metzger (Torino)
1890 - 1930 Birra Fratelli Metzger (Asti)
1898 - 1914 Birra Francesco Giuseppe Metzger (Torino)
1900 - 1905 Birra Fratelli Metzger (Pinerolo)
1914 - 1952 Birra Metzger S.P.A. (Torino)
1952 - 1969 S.P.A.M. (Società Per Azioni Metzger) (Torino)
1952 - 1969 S.P.A.M. S.P.A (Società Per Azioni Metzger) (Genova)
1969 - 1975 Dreher S.P.A.- Fabbrica di Torino (Torino)




Cacioricotta di capra cilentana

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Il cacioricotta di capra cilentana (dial.: casorecotta re crapa) è un prodotto caseario della regione del Cilento, la cui lavorazione avviene dal latte caprino, con una tecnica che si pone a metà strada tra la produzione della ricotta e quella del formaggio. Infatti essa è ottenuta attraverso la coagulazione in parte presamica (caratteristica del formaggio) e in parte termica (caratteristica della ricotta).
Tutto il ciclo produttivo avviene con mezzi manuali.
È inserito con il nome di cacioricotta caprino del Cilento nell'elenco dei prodotti tipici campani.


Materia prima

Viene utilizzato esclusivamente latte crudo, prodotto da una variante autoctona di capra, con caratteristiche specifiche, denominata cilentana. Il latte viene raccolto, poche ore prima della trasformazione, mediante mungitura a mano da esemplari non stabulati, bensì condotti al pascolo.


Preparazione del caglio

Il caglio viene prodotto dallo stesso allevatore, mediante essiccazione in aria dell'abomaso intero del capretto, in luogo coperto ed aerato, per 30-40 giorni. La pasta, di colore bruno, ottenuta dal pestaggio nel mortaio, è conservata in vasetto ricoperta da uno sottile strato d'olio d'oliva.


Trasformazione

Il latte viene riscaldato fino alla temperatura di circa 85-90° celsius, utilizzando, quale innesco della trasformazione, il siero acido proveniente dalla cagliata del giorno precedente.
Successivamente la mistura viene lasciata raffreddare fino a raggiungere una temperatura di 36°-40° Celsius per essere poi portata a cagliatura con l'aggiunta di caglio di capretto in pasta, nella misura di 40-50 grammi per quintale.


Lavorazione

La cagliata, ottenuta in circa 30 minuti, non viene rotta ma lasciata a rassodare per circa 30-40 minuti, prima di venire estratta e pressata, per circa 15 minuti, nei tipici stampi detti fiscelle (dial.: fuscedde), fino ad espungere la maggior parte del siero.
La stufatura si ottiene in maniera naturale esponendo per 24 ore le forme alla temperatura del locale di cagliatura.
La salatura viene effettuata poche ore dopo la formatura, o dopo la stufatura, a secco, mediante cospargimento con sale da cucina.
La stagionatura avviene generalmente su graticci, con una maturazione che, qualora si intenda avviare il prodotto al consumo da formaggio fresco, può avere durata brevissima, tipicamente 2 o 3 giorni (maturazione proteolitica). Nel caso del prodotto stagionato si prolunga invece per 3-4 mesi (maturazione proteolitico-lipolitica).



Varianti

In alcune zone del Cilento, come Montano Antilia e Laurito, la massa viene sottoposta a un ciclo termico più lungo (per circa 10-20 minuti in più), contenendo la temperatura con allontanamenti periodici dalla fiamma.
In altri casi la cagliata può subire, dopo il rassodamento, la rottura in piccoli fiocchi della dimensione di un chicco di mais, lasciati in sosta nel siero per ulteriori 10-20 minuti.


Aspetto e qualità organolettiche

Si presenta in forme di 13-24 centimetri di diametro e di 4–7 cm di altezza con una superficie increspata.
La pasta è bianca, morbida e priva di occhiatura nel prodotto fresco, secca, scagliosa e giallo paglierina, con occhiatura fine, nel prodotto maturo.
Il cacioricotta presenta una percepibile complessità aromatica, conferitagli anche dalle specie arbustive della macchia mediterranea e della gariga che entrano nell'alimentazione dell'animale. In virtù di esse la composizione aromatica presenta una notevole variabilità in funzione dei terreni di pascolo e del progredire della stagione di raccolta.


Uso alimentare

Il cacioricotta fresco è usato per condire primi piatti, entra nelle composizione di insalate o antipasti e come formaggio da tavola, anche in abbinamento col miele.
La varietà stagionata, grattugiata o a scaglie, si presta bene all'abbinamento a piatti tipici come i fusilli cilentani conditi con il ragù di castrato.


Riconoscimenti

Il cacioricotta di capra cilentana è stato ritenuto meritevole di tutela dall'Associazione Slow Food che lo ha classificato tra i suoi presidii.
È incluso inoltre nella classificazione ministeriale dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani.

Ciambota

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La ciambota cilentana (variante della Ciambotta) è un piatto tipico del sud della Campania.
Nasce come piatto povero ed è solitamente preparato con aglio, pomodori, melanzane, zucchine, patate, fiori di zucca e peperoni. Solitamente si accompagna con pane a tozzetti; tuttavia gli ingredienti possono variare da zona a zona o dai semplici gusti di chi la prepara.
Questo tradizionale piatto è tuttora ben radicato nel territorio.

Salsa bernese

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Salsa bernese è una salsa fatta di burro chiarificato emulsionato nei tuorli d'uovo e aceto di vino bianco e aromatizzato con le erbe . È considerato un "figlio" della salsa madre olandese, una delle cinque salse madri del repertorio di alta cucina francese. La differenza sta solo nell'aroma: Béarnaise usa scalogno , cerfoglio ,pepe in grani e dragoncello in una riduzione di aceto e vino, mentre la salsa olandese è più spogliata, utilizzando una riduzione di succo di limone o vino bianco. (Un modo per preparare la Béarnaise, vedi sotto, è iniziare con Hollandaise e aggiungere gli altri ingredienti.) Il suo nome è legato alla provincia di Béarn , Francia.

All'aspetto è giallo chiaro e opaco, liscio e cremoso.

La bernese è una salsa tradizionale per la bistecca .

La salsa fu inventata accidentalmente dallo chef Jean-Louis Françoise-Collinet, l'inventore accidentale delle patate soffiate (pommes de terre soufflées), e servita all'apertura del 1836 di Le Pavillon Henri IV , un ristorante a Saint-Germain- en-Laye , non lontano da Parigi. Questa ipotesi è supportata dal fatto che il ristorante si trovava nell'ex residenza di Enrico IV di Francia, lui stesso un buongustaio, originario di Béarn, un'ex provincia ora nel dipartimento dei Pirenei atlantici, nel sud-ovest Francia.


Preparazione


Una salsa bernese è semplicemente burro chiarificato, un tuorlo d'uovo, uno scalogno, un po 'di aceto di dragoncello. Ci vogliono anni di pratica perché il risultato sia perfetto. - Fernand Point


Come la salsa olandese, esistono diversi metodi per la preparazione della salsa bernese. La preparazione più comune è un metodo a bagnomaria (frullare a una temperatura di 150 ° F (65,6 ° C)), dove si usa una riduzione di aceto per acidulare i tuorli. Escoffier richiede una riduzione di vino, aceto, scalogno, cerfoglio fresco, dragoncello fresco e grani di pepe schiacciati (successivamente filtrati), con dragoncello e cerfoglio freschi per finire al posto del succo di limone. Altri sono simili. In alternativa, gli aromi possono essere aggiunti a un'olandese finita (senza succo di limone).Joy of Cooking descrive una preparazione del frullatore con gli stessi ingredienti.


Derivati della salsa bernese

  • La salsa choron o salsa bernese Tomatée è una variante della bernese senza dragoncello o cerfoglio, ma con aggiunta di passata di pomodoro. Prende il nome da Alexandre Étienne Choron .

  • La salsa Foyot (aka Valois) è bernese con aggiunta di glassa di carne ( Glace de Viande ).

  • Sauce Colbert è Sauce Foyot con l'aggiunta di vino bianco ridotto.

  • Sauce Paloise è una versione della bernese con menta sostituita al dragoncello.





Cipolla di Vatolla

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La CipoIla di Vatolla è una varietà di cipolla, il cui nome deriva dal luogo di provenienza, Vatolla, un borgo del comune di Perdifumo (SA). Essa è un elemento del variegato patrimonio della biodiversità del Cilento e un ingrediente storico della dieta mediterranea che, proprio in questo territorio, il Cilento, è stata teorizzata dallo scienziato statunitense Ancel Keys.

Luogo di produzione

Il territorio di produzione, Vatolla, è un borgo medievale immerso nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Vatolla è posizionata in altura ed è affacciata sulla costa tra Agropoli e Castellabate. Dal centro del paese si gode una vista panoramica da cui si scorgono Capri e Ischia. Questa particolare posizione geografica genera un microclima particolare che il filosofo napoletano Giambattista Vico, durante il suo soggiorno come precettore della nobile famiglia Rocca nel Palazzo De Vargas, definì "perfettissima aria", insieme alla qualità del terreno che si mostra particolarmente fertile per la presenza di aree boschive miste a campi ricchi di humus proveniente dal sottobosco di lecci e castagni e grazie alla bontà delle acque che sgorgano da fonti rocciose, riesce a produrre una qualità di pianta dalle particolari quanto uniche qualità organolettiche.


Specie

Quella di Vatolla è una cipolla di ceppo asiatico attribuita alla famiglia delle Liliacee anche se schemi tassonomici più recenti la inseriscono tra le Amaryllidaceae pur se con caratteristiche diverse dalle altre della stessa famiglia.


Storia

È incerta l'origine dell'impianto originario di Cipolla nell'area di Vatolla, anche se diversi storici concordano sulla possibilità che essa fu coltivata probabilmente per la prima volta dai Monaci basiliani provenienti dall'Oriente Impero bizantino e rifugiatisi nelle aree interne del Cilento e dell'Italia Meridionale a seguito dell'Editto emanato dall'Imperatore bizantino Leone III Isaurico nel 726 che diede inizio alla lotta iconoclasta.



Caratteristiche fisiche

La Cipolla di Vatolla ha due forme caratteristiche, quella a trottola e quella affusolata. Il colore delle tuniche esterne varia tra il paglierino ed il rosa tenue mentre il colore interno è biancastro con lievi riflessi rosati. La pezzatura si presenta di considerevole mole, dai 400-500 gr fino a 1000 gr e oltre, essa dipende dalle annate.

Caratteristiche organolettiche

La Cipolla di Vatolla ha un gusto molto dolce, una scarsissima pungenza e un profumo delicato e poco penetrante. La particolare dolcezza di questa cipolla la rende diversa dalle altre simili per famiglia. Una caratteristica di particolare pregio è l'elevata digeribilità. La cipolla di vatolla è anche nota perché non fa lacrimare durante il taglio e la preparazione. Essa si presenza particolarmente ricca di flavonoidi che svolgono un'azione benefica sul sistema cardio-vascolare.


Coltivazione

Le metodiche di lavorazione sono quelle tipiche dell'orticoltura intensiva. Viene venduta a mazzi intrecciati a mano. Vegeta nei terreni friabili con buona esposizione al sole. L'impianto avviene verso la fine dell'Autunno e la raccolta termina a luglio. Il prodotto se consumato fresco si conserva al massimo 3 mesi a causa della bassa pungenza che la rende deperibile. Oggi è prodotta da pochi piccoli agricoltori, senza particolari accorgimenti e secondo indicazioni tramandate dal passato. Si operano dei sesti di trapianto più ampi rispetto alle altre cipolle normalmente coltivate e si adoperano distanze elevate a causa dalla tendenza dei bulbi a raggiungere grosse dimensioni.


Usi principali

Per le sue caratteristiche risulta particolarmente indicata per arricchire insalate di ortaggi e verdure fresche, per la classica frittata di Cipolla e formaggio Cacioricotta del Cilento, per l'antico piatto "Susciello di Cipolla", una zuppa tradizionale condita con olio extravergine d'oliva e formaggio pecorino. La Cipolla di Vatolla risulta facilmente digeribile e delicata di sapore e di profumo. È una varietà molto utilizzata, ancora oggi, nell'orticoltura familiare dell'area, prodotta, nella maggior parte dei casi per autoconsumo.


Tutela e valorizzazione

La Cipolla di Vatolla è uno degli elementi della Biodiversità del Cilento e come tale rientra nel patrimonio UNESCO che tutela il territorio del Parco Nazionale del Cilento e la Dieta Mediterranea. La Regione Campania l'ha inserita nei prodotti tipici di tutela e il Gruppo di Azione Locale (GAL Cilento Regeneratio), l'Università di Napoli e l'Istituto di Alta Cultura "Fondazione Giambattista Vico" ne hanno fatto oggetto di studio in Misure attuative del PSL (Programma di Sviluppo Locale). Oggi si sta cercando di estenderne la produzione nel rispetto delle metodiche produttive al fine di renderla una leva al processo di sviluppo sostenibile del territorio. Tra le attività che vanno in questa direzione si segnala la "Festa della Cipolla di Vatolla" istituita dal 2014.



Borlengo

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Il borlengo, burlengo o zampanella è una specie di crêpe molto sottile e croccante preparata a partire da un impasto liquido estremamente semplice (è un tipico cibo povero), a base di acqua (o latte), farina, sale e talvolta anche uova: questo impasto è detto colla. Il ripieno tradizionale, detto cunza, consiste in un battuto di lardo, aglio e rosmarino, oltre ad una spolverata di Parmigiano Reggiano. Il borlengo si serve molto caldo e ripiegato in quattro parti. Molti paesi della zona di produzione rivendicano la paternità di questo alimento, la cui origine è decisamente antica: i primi documenti certi risalgono al 1266, ma c'è chi ne situa la data di nascita addirittura nel Neolitico.
A Zocca ha sede il Museo del Borlengo, e ha sede la Compagnia della cunza, associazione per la cultura e la conservazione della tradizione del borlengo tipico.

Etimologia

L'etimologia viene fatta risalire a "burla", e a questo proposito vi sono almeno tre teorie:
  • Per alcuni il borlengo sarebbe il risultato di uno scherzo ad una massaia che, con acqua e farina, stava preparando il tradizionale impasto per le crescentine da cuocere nelle tigelle (piccole pietre refrattarie entro le quali venivano chiusi i dischi di pasta, poi accostati al fuoco del camino). La donna, trovandosi l'impasto allungato eccessivamente dall'acqua, non pensò di buttarlo via, ma provò a ricavarne ugualmente qualcosa di commestibile, e ci riuscì.
  • Altri pensano che l'alimento venisse mangiato a carnevale, quindi fosse un "cibo per burla".
  • Altri ancora ritengono che la burla risieda nel fatto che il borlengo è un alimento molto voluminoso, ma in realtà molto leggero perché la pasta è sottilissima.

Tradizione popolare

Come per buona parte delle ricette tradizionali, attorno al borlengo si sono sviluppati miti e tradizioni, che ne attribuiscono la paternità a questo o quel paese. È piuttosto probabile che già nel medioevo tale alimento fosse ormai diffuso nella prima collina tra Bologna e Modena, e c'è anche chi sostiene che le radici del borlengo affondino nella preistoria.
La datazione più antica risale al 1266 a Guiglia, durante l'assedio del castello di Montevallaro da parte delle truppe guelfe modenesi della famiglia degli Algani, guidate da Nisetta degli Osti, Ruffo dei Rossi, Pepetto dei Trenta e Crespan Doccia. I difensori del maniero, Ugolino da Guiglia e la famiglia dei Grasolfi, sarebbero riusciti a resistere per lungo tempo grazie a delle grandi ostie di farina ed acqua impastate, cotte ed insaporite da erbe, prima di arrendersi il 4 luglio. Con il protrarsi dell'assedio la farina scarseggiava sempre di più, e le ostie divenivano sempre più piccole e sottili, quasi trasparenti: vennero quindi "degradate" dal rango di cibo a quello di "burla", o "burlengo", da cui il termine odierno. Tale preparazione si diffuse a tutto il resto dell'appennino grazie ai pochi superstiti dell'assedio.
Scendendo lungo il Panaro, a Vignola, la leggenda vuole che tale alimento sia stato preparato in circostanze simili, ossia durante l'assedio del castello governato da Iacopino Rangoni, avvenuto nel 1386 ad opera dell'esercito del conte Giovanni da Barbiano, alleato di Isacco e Gentile Grassoni.
Un'origine più incerta invece è quella che si tramanda a Zocca, dove i borlenghi scaturirono da una frode vera e propria. Si narra infatti di un bottegaio che nei giorni di mercato vendeva pane e focacce, allungando però l'impasto con acqua a seconda del numero di avventori.
Infine a Montombraro ritorna il collegamento con la "burla": un signorotto locale, infatti, avrebbe servito tale sottile sfoglia a conoscenti ed amici, che erano stati riuniti a convivio con la promessa di un pasto abbondante. Purtroppo per lui, gli ospiti gradirono talmente quel cibo così insolito da venirne conquistati ed insistere per essere invitati a tavola numerose altre volte.

Zona di preparazione

La zona di preparazione è una ristretta fascia di Appennino emiliano, che comprende i comuni a cavallo tra la provincia di Modena (la fascia principale è quella che va da Guiglia, Marano sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola e Zocca (che ospita il Museo del borlengo), fino a Castel D'Aiano e Montese, con in seconda battuta il territorio del Frignano, tra cui Pavullo nel Frignano e Sestola, dove vengono chiamati berlenghi e burlenghi, e Fanano e, la parte della provincia di Bologna più vicina a Modena (Gaggio Montano, Porretta Terme, Vergato, Savigno, Castello di Serravalle e Castel D'Aiano). A Bologna e provincia e nel comune modenese di Montese sono conosciuti con il nome di zampanelle. Nel comune modenese di Polinago i borlenghi vengono chiamati ciaci o solatelle (sono leggermente più spessi dei borlenghi classici) e si possono consumare, anche accompagnati a salumi, con le crescentine nei chioschi allestiti per la festa patronale di Ferragosto. Vengono chiamati inoltre sfuiadee o sfogliatelle a San Dalmazio, frazione del comune di Serramazzoni.

Tipologie di borlengo

Come per tutti i prodotti tipici locali, è praticamente impossibile definire una ricetta e un modo di preparazione univoco per i borlenghi. Ogni famiglia ha la propria variante peculiare che riterrà quella originale e i diversi paesi si contendono la paternità del borlengo. Inoltre è possibile fare confusione dato che un unico nome in realtà identifica diversi prodotti (ad esempio il caso eclatante delle crescentine); e anche il viceversa, cioè prodotti che hanno nomi diversi ma indicano lo stesso prodotto. Emblematica è la situazione del ciacio, che nel Frignano può indicare sia una variante del borlengo fatto con la farina di castagne e condito con la ricotta, sia il borlengo stesso. Sempre più raramente il borlengo è definito come ciacio, la variante con le castagne è più specifica e sempre più indicativa per i locali delle zone di Pavullo. È però possibile tentare una distinzione tra due tipologie di borlengo in base al tipo di padella in cui vengono cotti, corrispondenti a distinte zone geografiche.

Borlengo nelle cotte

Questo tipo di borlengo (chiamato anche ciacio oppure ciaccio) viene cucinato nel Frignano, nelle valli del Dolo, del Dragone e del Panaro nel versante occidentale. Le padelle usate per cuocere il borlengo sono chiamate "cotte" o "cottole": due piastre in ferro di circa 28–30 cm senza bordo e con un lungo manico. Le cotte sono scaldate su un normale fornello e sono unte tradizionalmente con cotenna di prosciutto o con mezza patata unta con olio di semi. Raggiunta la temperatura, l'impasto (la "colla") viene versata su una delle due cotte che vengono poi sistemate una sopra l'altra. Il borlengo resta schiacciato nel mezzo per il tempo della cottura e le cotte vengono capovolte più volte per ottenere una cottura uniforme. La scuola di Pavullo e specialmente quella di Miceno utilizza una metodica particolare, rigirando il borlengo stesso al posto delle cottole e invertendole ad ogni cottura, in modo tale che la colla venga caricata sempre sulla cottola più fredda che andrà poi a posarsi direttamente sul fornello, in questo modo la cottura risulta più rapida ed uniforme. La consistenza e lo spessore di questo tipo di borlengo dipende dalla quantità di acqua contenuta nella colla, e dalla mano del borlengaio che può utilizzare una colla più o meno liquida per ottenere lo stesso effetto. Il condimento tradizionale è un pesto di aglio, rosmarino e lardo (noto come cunza di Modena, lo stesso usato per le crescenti) a cui viene aggiunto Parmigiano Reggiano grattugiato. Il condimento viene aggiunto sul borlengo una volta che questo è cotto e al di fuori delle cotte. Esistono altresì condimenti alternativi con formaggio (aggiunto a fine cottura e poi reinserendo il borlengo nelle cotte per qualche secondo.) o crema gianduia. Si è diffusa anche l'abitudine di utilizzare come farcitura marmellate e creme di cioccolato, con aggiunta di liquore all'anice(sambuca) oppure con zucchero e limone, cosa però vista malvolentieri dai cultori della tradizione dell'Appennino. La colla è un impasto liquido di farina, acqua e sale, ma anche per questo esistono varianti che contengono farina integrale, latte, vino bianco o uova.


Zampanelle nelle ruole

Questo tipo di borlengo viene cucinato nella valle del Panaro nel versante montuoso e orientale, in specie nel comune di Montese. Il borlengo cucinato nelle zone di Guiglia, Marano sul Panaro, Vignola, Modena e Zocca è praticamente identico alla zampanella e varia solamente per quello che riguarda alcuni ingredienti della "colla". La padella usata in questo caso si chiama ruola o sole: una padella di rame stagnato di circa 40–45 cm di diametro con un lungo manico. Queste ruole devono essere "preparate" per poter essere utilizzate, secondo una procedura che ogni cuoco difende accuratamente. La cottura è effettuata su fornelli speciali (detti fuochi o foconi) che poggiano su un treppiede e che scaldano uniformemente la padella. La cottura avviene in quattro minuti per parte e quando la zampanella è pronta viene capovolta e condita direttamente nella padella con il pesto di pancetta, aglio (se piace) e rosmarino poi arricchito con Parmigiano Reggiano grattugiato. L'abilità del cuoco consiste nel ruotare la padella in modo da ottenere una zampanella distribuita uniformemente, molto sottile (quasi trasparente), croccante (non collosa né elastica). Va mangiata calda e appena fatta altrimenti perde la croccantezza e diventa collosa. L'impasto liquido rispetta la ricetta tradizionale di farina, acqua e sale, ma anche per questo esistono varianti contenenti uova. La differenza fra zampanelle e borlenghi del Frignano sta nelle dimensioni, nell'impasto e nel condimento. Le dimensioni della zampanella sono molto superiori a quelle del borlengo del Frignano e lo spessore risulta molto inferiore. Per questo l'abilità del cuoco è determinante in quanto deve essere capace di spargere velocemente il liquido dell'impasto in modo da renderlo sottilissimo e quasi trasparente. Il condimento poi è molto diverso in quanto viene usata la pancetta fresca e la salsiccia al posto del lardo. Un tempo le zampanelle erano mangiate solo in inverno, proprio a ragione del fatto che quando cotte grondavano del grasso del lardo. Attualmente si sostituisce abitualmente il lardo con pancetta fresca, a volte miscelata con la salsiccia, e si possono usano mangiare tutto l'anno. Una delle differenze fra zampanelle e borlenghi del Frignano sta quindi anche nel modo di condirle. I borlenghi del Frignano assomigliano invece più ai ciaci di farina di grano che vengono fatti nella zona di Montese: più spessi e più piccoli di diametro. In alcuni ristoranti della zona si possono assaggiare zampanelle con varianti al condimento, vegetariane con pesto di asparagi e ricotta, olio di oliva aromatizzato all'aglio e rosmarino con grana grattugiato, caciotta filante, pesto ai quattro formaggi, e anche salumi e formaggi a fette, non mancano varianti dolci alla marmellata, al mascarpone con frutti di bosco e con la famosa crema alle nocciole.

Quali fatti sulla pizza vi sorprenderanno di sicuro?

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  1. La pizza più costosa è la"Luigi XIII" e costa 8300 dollari. Gli ingredienti? Aragosta, caviale, gamberoni e champagne oltre agli ingredienti della tipica Margherita.

  2. Ogni americano ne mangia 13 kg a testa annui. Noi italiani siamo al secondo posto con 7,6 pro capite.

  3. Nel 2009 un programmatore ha pagato 10 mila bitcoin (129 mln di euro) per due pizze a domicilio.

  4. La prima pizza nacque grazie agli Egizi nel 4000 a.C. col nome di "pita". Essendo anche grandi bevitori di birra, furono i primi ad abbinare pizza/birra.

  5. In origine si preparava col farro, poi sostituito da grano e condita con aglio e olio. Le pizze rosse risalgono al Settecento.

  6. La pizza più antica è la marinara: pomodoro, aglio, olio extravergine di oliva e origano. Si chiama così perché la mangiavano i pescatori una volta rientrati in porto.

  7. La pizzeria più antica si chiamava "Port'Alba" e fu aperta nel 1738. 90 anni dopo, fornirà per prima le sedie ai suoi clienti (tra cui spicca Gabriele D'Annunzio).

  8. La Margherita nacque invece nel 1830 ad opera di Raffaele Esposito, che volle sorprendere la regina Margherita.

  9. All'Expo l'Italia ha presentato la pizza più lunga del mondo: copriva una distanza di 1600 metri per 5 tonnellate di peso.

  10. Fino a pochi anni fa, la pizzeria "Airport Pizza" in Alaska spediva le proprie pizze in aereo ai villaggi vicini.


 
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