Ne sto parlando già da un po' di tempo
con mio cognato (che ha un bar) ed un vicino di casa (che ha un bar).
Ed entrambi mi dicono che la riapertura sarà un serio problema e che
stanno cercando di capire se converrà loro riaprire.
Perchè il tema del distanziamento
sociale e della riduzione delle superfici è un problema
enorme
e compromette seriamente la tenuta
del conto economico. Quindi in centinaia di migliaia di esercenti
dovranno porsi questo interrogativo.
E nel mio piccolo penso già che in
molti, anche durante il lavoro, preferiranno la macchinetta al salto
al bar, con code e distanziamenti che non sai quanto potrebbero
allungarti la pausa caffè.
Confcommercio stima la chiusura di
270.000 esercizi, precisando che si tratta di una stima
prudenziale. No, non sarà una ripartenza serena…
In rete ho trovato questa lettera,
scritta da una coppia che ha deciso dopo 5 anni di chiudere il loro
ristorante. Non credo ci sia altro da aggiungere alla puntuale
descrizione di una situazione drammatica:
Carissimi amici,
esattamente 2 mesi fa, l'11 marzo,
chiudevamo i Tre Musoni in ottemperanza al Dpcm per l'emergenza
covid-19. Tantissimi di voi ci hanno chiamato chiedendoci come
stavamo affrontando la situazione e le prospettive per il locale:
nelle righe che seguono rispondiamo mettendovi al corrente di quanto
si sta profilando per l'immediato futuro.
FASE 1
Senza poter prevedere quanto sarebbe
durata la quarantena, il giorno successivo, il 12 marzo, abbiamo
deciso di lasciare un importo sul conto corrente aziendale
sufficiente a pagare per circa tre mesi quei servizi (luce, gas,
telefono) assolutamente necessari per il giorno della riapertura,
prelevando la differenza da destinare ad un “polmone” per la
nostra vita privata (per la spesa, l'affitto di casa, le bollette, la
benzina, eccetera); per fortuna non avevamo esposizioni con nessun
fornitore, tuttavia abbiamo chiesto al proprietario dei muri, al
commercialista, all'assicuratore e ad altri consulenti di seguirci
sin quando possibile, perchè di lì a qualche settimana non saremmo
più stati in grado di onorare le loro competenze.
Ad oggi, trascorsi 60 giorni, non
abbiamo ricevuto 1 euro dallo Stato: ne' i 600 euro del bonus partite
iva, ne' la cassa integrazione, ne' il 20% dell'importo dell'affitto
dei muri come promesso, neanche i buoni spesa alimentari. Nel
frattempo, non avendo altre fonti di reddito, abbiamo intaccato
sensibilmente quel polmone iniziale.
E veniamo alla situazione odierna:
sinora abbiamo accumulato 14.350,00 euro
(quattordicimilatrecentocinquanta) di debiti tra affitti non pagati,
imposte del primo trimestre, imposte del secondo trimestre,
contributi previdenziali, tasse relative all'esercizio 2019, onorari
dei consulenti, eccetera eccetera. Sono gran parte anche se non la
totalità delle spese “strutturali” che non possiamo eludere o
ridurre.
FASE 2
E' stata indicata la data del 18
maggio o forse del 1 giugno per la riapertura del locale.
Nel frattempo ci è stata concessa
la possibilità dell'asporto: senza essere del settore, anche voi
potete immaginare che non è possibile replicare gli incassi che
facevamo prima della chiusura attraverso l'asporto: per motivi
logistici (siamo obbligati ad appoggiarci ad una ditta specializzata
nelle consegne), per motivi evidenti (pensate a quante consumazioni
al bar e al tavolo non vengono più effettuate), per motivi fiscali
(mentre il servizio all'interno del locale ha un'aliquota iva del
10%, per l'asporto l'aliquota sale al 22%, quindi un quinto
dell'incasso va allo Stato).
Per rimediare al gap economico,
abbiamo la possibilità di accedere ad un credito bancario: i famosi
25.000 euro. In realtà si tratta di un limite massimo, per noi
inferiore dato che la cifra è modulata sul bilancio 2019 di ogni
azienda. Indipendentemente dall'importo, si tratta di prestito
bancario che va restituito, un buco economico che non produce nulla
(non è un prestito che chiediamo per eseguire migliorie al locale o
acquistare nuove attrezzature, ma servirebbe solo a coprire quelle
spese che nonostante l'attività sia ferma continuano a “camminare”,
compreso il pagamento delle tasse che non sono state abolite bensì
solo posticipate).
LA RIPARTENZA
Ed eccoci al prossimo 18 maggio o 1
giugno: anzitutto non abbiamo a tutt'oggi (11 maggio) un vademecum
ufficiale da parte dell'Inail sulle disposizioni e norme tecniche
atte a garantire ai clienti (ed a noi stessi) la protezione
sanitaria. Come voi, apprendiamo dalla televisione qualche
indiscrezione in merito, ma anche nella migliore delle ipotesi ci
vedremo ridotta del 50% la capienza del locale rispetto a 60 giorni
fa (ma con i costi strutturali invariati). Basterebbe questo dato a
farci desistere dal riaprire. Vogliamo però aggiungere che dovremo
“investire” almeno 2.000 (duemila) euro per eseguire la
sanificazione del locale, acquistare distanziatori, plexiglass, gel
disinfettanti, visiere e probabilmente qualche prodotto specifico per
sterilizzare bicchieri, piatti e posate.
LO STATO DELL'ARTE
Come potete dedurre, riaprire in
queste condizioni significa accumulare ogni mese tra i 3 ed i 4.000
euro di debito. Anche ammesso che l'emergenza covid-19 duri solo
ancora 6 mesi, potete calcolare da soli il nostro bilancio al 31
dicembre prossimo.
Oggi dobbiamo arrenderci
all'evidenza: la nostra attività non vale più niente: niente poiché
non sarà più in grado di abbattere le spese necessarie a mantenerla
aperta; niente perché non si presenterà nessun acquirente a
rilevarla.
5 anni di lavoro e di vita buttati
via.
Tra quelle quattro mura, al banco e
tra i tavoli, sono nate e rimarranno le amicizie, vostre e dei tanti
simpatizzanti e conoscenti che ci hanno sostenuto in questo lungo
percorso, e di questo ringraziamo tutti col cuore: non solo ci avete
dato da vivere materialmente, ma moralmente ci avete arricchito: con
voi abbiamo dialogato, riso, ragionato, discusso, condiviso emozioni
e pensieri, come in una famiglia allargata dove il locale era una
casa che accoglieva tutti.
Grazie