Hāngi

0 commenti

Risultati immagini per Hāngi


Hāngi è un metodo di cottura tradizionale neozelandese māori che consiste nel cucinare i cibi con delle pietre riscaldate poste in una buca nel terreno. È un metodo usato tuttora durante le occasioni speciali.
Si scava una buca nel terreno, ci si mettono dentro delle pietre scaldate su un grande fuoco, e sopra ad esse si pongono le ceste con il cibo da cucinare. Il tutto viene ricoperto di terra e lasciato a cucinarsi per diverse ore. Gli “esperti” di Hāngi hanno sviluppato diversi metodi di cottura, che spesso sono stati tramandati di generazione in generazione.
Un altro nome usato spesso per definire questo metodo di cottura è “umu”, per esempio l'umu tī, usato nell'Isola del Sud per cucinare il cosiddetto albero cavolo.

Cucina balinese

0 commenti

Risultati immagini per Cucina balinese



La cucina balinese è la cucina tradizionale dell'isola di Bali. Derivazione della cucina indonesiana, mostra tradizioni endemiche assieme a influenze della cucina indonesiana, cinese e indiana. Gli abitanti dell'isola sono in maggioranza induista e per questo gli ingredienti si differenziano leggermente dal resto dell'arcipelago, inoltre sempre presenti e ricchi festival e cerimonie offrono piatti speciali affiancati da piatti più tradizionali.
Il riso è consumato ad ogni pasto, assieme a verdure, carne e pesce. Carne di maiale, frutta fresca, verdure e pesce sono utilizzati spesso e in molti modi, a differenza degli induisti di altre isole dove la carne non è quasi mai usata. Il babi guling, ovvero il maialino da latte arrostito con spezie locali, è infatti il piatto da cerimonia più noto e ricercato dell'isola.

Riso

Bali ha un'importante tradizione nella produzione del riso, come possono dimostrare le numerosissime terrazze di coltivazione Subak, recentemente entrate a far parte del Patrimonio Unesco. La dea Dewi Sri è un importante Dea del riso. La si vede spesso in dipinti o rappresentazioni colorate durante le cerimonie religiose.

Spezie

Il Basa gede, anche conosciuto come basa rajang, è un pesto di spezie fresche considerato la base della maggior parte dei piatti balinesi. Inoltre il basa genep, il tipico mix di spezie balinesi, è usato per molti curry e piatti vegetariani, assieme al bumbu usato come condimento. Il sambal consiste in un condimento a parte composto da olio, lemongrass, aglio, scalogno e peperoncino fresco.

Piatti tipici

I principali piatti balinesi includono il Lawar (cocco grattugiato, aglio, peperoncino fresco, con carne di maiale e sangue), il Bebek betutu (anatra ripiena di spezie e avvolta in figlie di banano e cotta alla brace o al vapore), i sate balinesi noti anche come sate lilit (un trito di pesce e gamberi, spezie e cocco, avvolti su un bastone di lemongrass e cotti alla brace), il babi guling (maialino da latte arrosto ripieno di spezie locali come curcuma, peperoncino, zenzero e aglio).
A Bali il piatto di strada più popolare è il Nasi campur, letteralmente riso misto, in quanto comprende una porzione di riso (bianco, rosso o giallo nasi kuning) con a fianco una serie di piccole porzioni di piatti misti come sate, tonno al vapore, tofu, tempeh fritto, verdure piccanti. Lo si può trovare nei warung o nei carretti di strada, preparato al momento e avvolto in foglie di babano. I balinesi lo mangiano con le mani e spesso seduti per terra.
Con betutu si intende una tecnica applicata solitamente a pollo e anatra, e si trova anche a Lombok, e Nusa Tenggara occidentale. Tofu e tempeh sono usati spesso, generalmente fritti e piccanti o speziati con curcuma e cotti al vapore. Il bakso è un tipico piatto di strada consistente in polpette di carne o pesce e serviti in zuppa con salsa di soia e verdure.

Bevande

Il caffè balinese, Kopi Bali, e il tè caldo, teh panas sono i più popolari. Il tè è generalmente servito con zucchero (gula) e latte condensato (susu kental). Il caffè è macinato finissimo e viene servito bollente con abbondante zucchero. Il tè freddo (es teh) è sempre più popolare nei warung e in spiaggia. Il Brem è vino di riso balinese. È fatto da riso bianco o nero fermentato ed essiccato.

Ingredienti

Pollo, maiale, anatra, capra, pesce, crostacei e verdure sono molto utilizzati.
Le spezie, sempre fresche e quasi mai secche, includono zenzero, galangal, scalogno, aglio, curcuma, kaffir lime, tamarindo. Il famoso mix di 8 spezie balinese è fatto con pepe bianco, pepe nero, coriandolo, cumino, chiodi di garofano, noce moscata, semi di sesamo e candlenut. Zucchero di palma, pasta di pesce fermentato e basa gede sono inoltre spesso usati nelle marinature.
I frutti includono rambutan, mango, mangostina, banane, ananas, salak (frutto pelle di serpente), papaya, longan, melone, arance, mele, cocco e durian.

Elenco dei piatti tipici principali

  • Babi guling, maialino arrosto con spezie, piatto da cerimonia ora molto popolare
  • Betutu, pollame (pollo o anatra) ripieno di spezie arrosto o al vapore avvolto in foglia di banana
  • Bubur Sum-Sum, porridge di riso con zucchero di palma e cocco grattugiato
  • Bubur injin, pudding di riso nero glutinoso con latte di cocco e zucchero di palma, spesso usato a colazione
  • Bantal, dolcetti di riso glutinoso, cocco, zucchero e frutta (banana, arancia o mango)
  • Iga Babi, Costolette di maiale alla balinese
  • Kopi Luwak, il caffè più caro al mondo. I chicchi di caffè vengono presi dagli escrementi del Luwak e poi trattati.
  • Nasi campur, riso con un misto di altre pietanze locali
  • Sate Babi, spiedini di maiale alla brace, conditi salsa di soia dolce e salsa di arachidi
  • Sate Lilit, spiedini di pesce e gamberi alla brace, con spezie
  • Urab sayur, verdure miste con cocco grattugiato speziato (versione locale dell'urap urap)

Perché non vediamo ristoranti francesi in giro? La cucina francese si dice essere tra le migliori.

0 commenti

Risultato immagini per Perché non vediamo ristoranti francesi in giro? La cucina francese si dice essere tra le migliori.




Siccome viaggio spesso in Francia, posso darti alcune informazioni:
Il miglior cibo in Francia, solitamente non si trova nei ristoranti più lussuosi.
No.
E’ quello che io chiamo ‘’cucina della nonna’’, quella che la nonnina prepara in un villaggetto o cittadina. Ingredienti molto freschi, locali e stagionati. Niente di troppo prezioso o lussuoso, ma preparato con cura, e generalmente anche parecchio economico. Per esempio, nel villaggio vicino alla mia industria (Roquefort La Bedoule), c’è un piccolo bar/café che è amministrato da due vecchietti. Lui è il barista e lei cucina. Ogni giorno, fanno un pranzo speciale che costa 8€, e 2€ in più se vuoi aggiungerci un bicchiere di vino e un dessert (hanno un menù, ma non ho mai visto nessuno ordinare dal menù, tutti ordinano il pranzo speciale). Così, occasionalmente mi dirigo là a pranzare. Questo piatto è una specie di Hachis Parmentier ( una versione del pasticcio di carne), con un po’ di insalata, una ciotola di pane e/o un pezzetto di formaggio locale o una tartina come dessert. E, indovina cosa? E’ delizioso. Definisce perfettamente il termine di cibo di conforto/consolatorio. Davvero non può importanti di meno che piatti ci siano su quella lista. Qualunque piatto è fatto con amore e cura, ti riempie, è economico e ha un buon gusto!
Ciò che comunemente si ritiene comunemente come ‘’cibo francese’’, con molta probabilità può esserlo, ma non è qualcosa che viene mangiato con frequenza dal francese tipico. In aggiunta, quello che stai mangiando in quei ristoranti magari ti arriva dall’altra parte del mondo, o qualche sovrasofisticazione di quello che era il piatto originale per sembrare più ‘’cool’’.
La Bouillabaisse è un piatto ideato da un pescatore marsigliese. Fu creato per utilizzare il pesce pescato durante il giorno, ma non per essere messo in vendita. Peschi ossei. Piccoli pesciolini. Fu un piatto creato povero creato per poveri. Il pescatore mangiava esattamente quello che aveva.


Ci sono ancora dei ristoranti oggi nella regione che preparano la bouillabaisse. Ma devi fare una prenotazione di diversi giorni prima così riescono a munirsi del pesce adatto ed il più fresco possibile. NON E’ ECONOMICO!
Quindi, la preparazione inizia con la cottura in stock di diversi pesci che vengono fatti bollire per ore (o giorni). La gelatina delle ossa, delle teste e dei gusci rende questi pesci molto ricchi e forti. Alla fine, ti vengono servite baguette tostate strofinate con aglio, aioli fatti in casa, del brodo in cui intocciare il pane (assoluto, 100% paradiso ... al diavolo con gli scampi, dammi più pane), e il pesce cotto servito separatamente . QUESTA è la Bouillabaisse.
Cosa trovi invece all’estero?
Un mucchio di pesce assortito probabilmente cucinato in una padella con salsa di pomodoro, a volte cotto correttamente, ma spesso anche no.
Questo in realtà non risponde alla domanda, però.
In posti come Lione, i ristoranti Michelin preparano piatti di altissimo livello. Ancora una volta, realizzato con ingredienti locali che sono i migliori disponibili. Nella cucina tradizionale francese, è una combinazione di ingredienti, tecnica e qualcos'altro che è difficile da descrivere. Tu non mangi. Ceni. I camerieri sono professionisti, non aspiranti attori, o artisti, o altre professioni che cercano di intrattenerti ai tavoli fino a quando qualcosa di meglio arriva. Gli chef trascorrono anni come apprendisti per affinare le loro abilità e imparare la loro arte. Anche in un'umile boulangerie, un fornaio lavora come apprendista per anni prima ancora di essere autorizzato a preparare una baguette. A molti laureati in cucina non viene insegnato loro null’altro se non imparano prima a sbucciare perfettamente una cipolla.


Questo tipo di sistema è raro in paesi al di fuori della Francia. L'attenzione ai dettagli e l'idea che esista un modo giusto per fare qualcosa, e molti modi sbagliati per farlo, è ciò che di solito manca.
Il cibo francese ha la reputazione di snobismo, classe e che stabilisce le tendenze. Tuttavia, raramente viene duplicato o preparato ben al di fuori della Francia (ci sono delle eccezioni ... A Londra, Le Gavroche mi viene in mente). Eppure, quando trovi dei ristoranti francesi, il cibo è spesso deludente, quasi sempre troppo caro a causa dell'appello snob e della finzione. Quindi, questa è la risposta alla domanda "Perché?"



Buuz

0 commenti

Risultati immagini per Buuz




I buuz ({in mongolo Бууз, traslitterato buryat, al plurale bʊːt͡s (ɐ), traslitterato buuza) è un tipo di pasta ripiena al vapore tradizionale della Mongolia.

Caratteristiche e preparazione
Tipico esempio di cucina mongola e buriata, i buuz sono grossi gnocchi ripieni di carne cotti al vapore. Vengono consumati con insalate e pane fritto e accompagnati da bevande come il süütei tsai (tè con latte) o la vodka. I buuz vengono consumati in grandi quantità durante tutto l'anno, specialmente durante le celebrazioni del Tsagaan Sar, il capodanno mongolo, che di solito cade a febbraio. L'origine etimologica del buuz è in Cina, dove è noto come baozi (包子S), un termine che indica lo gnocco al vapore in lingua mandarina.
I buuz vengono sono composti da un ripieno di carne di montone o manzo che viene macinata, aromatizzata con cipolla e/o aglio e infine salata. Occasionalmente, sono aromatizzati con semi di finocchio germogliati e altre erbe stagionali. Il ripieno può anche contenere purè di patate, cavoli o riso in sostituzione alla carne. La polpetta viene quindi avvolta in un piccolo fagotto di pasta in cui viene lasciata una piccola apertura nella parte superiore. Durante la cottura al vapore, l'impasto cattura i succhi della carne. I buuz vengono in genere mangiati con le mani. Quando vengono fritti, i buuz vengono nominati khuushuur.

Olio di palma

0 commenti

Risultati immagini per Olio di palma


L'olio del frutto della palma e l'olio di semi di palma (quest'ultimo detto anche olio di palmisto) sono degli oli vegetali, prevalentemente costituiti da trigliceridi con alte concentrazioni di acidi grassi saturi, ricavati dalle palme da olio, principalmente Elaeis guineensis ma anche da Elaeis oleifera e Attalea maripa.
L'uso dell'olio di palma è cresciuto nel corso della seconda metà del XX secolo, tanto da farlo divenire un ingrediente di uso diffuso dell'industria alimentare, nella quale sono andati a sostituire, per il basso costo e per le sue caratteristiche, altri grassi di uso tradizionale nei paesi a clima temperato, quali Europa e Nord America. Costituenti spesso fondamentali di molti prodotti alimentari, gli oli di palma, insieme a farina e zuccheri semplici, possono essere uno dei tre ingredienti prevalenti in molte creme, dolci e prodotti da forno di produzione industriale nei paesi importatori del prodotto, mentre, in forma non raffinata, è un tradizionale ingrediente di uso domestico nei paesi dell'Africa occidentale subsahariana.
Sono materia prima nella formulazione di molti saponi, polveri detergenti, prodotti per la cura della persona; per questi utilizzi vengono spesso usati i saponi di sodio o potassio e gli esteri semplici dei suoi acidi grassi come il palmitato di isopropile. Hanno trovato un nuovo controverso uso come combustibile di fonte agroenergetica.
Dal frutto della palma da olio si ricavano olio di palma (ottenuto dal frutto) e olio di palmisto (estratto dai suoi semi): entrambi sono solidi o semi-solidi a temperatura ambiente, ma con un processo di frazionamento si possono separare in componente liquida (olio di palma bifrazionato, usato per la frittura) e solida.
Pur impegnando nel 2014 solo il 5,5% dei terreni coltivati per la produzione olearia mondiale, gli oli ricavati dalla palma rappresentano oltre il 32% della produzione mondiale di oli e grassi.
La fornitura e distribuzione annua su scala mondiale (secondo dati disponibili a febbraio 2016) si attesta su 66,22 milioni di tonnellate per l'olio di palma e 7,33 milioni di tonnellate per l'olio di palmisto.



Due differenti prodotti

Olio del frutto della palma

I frutti della palma, facilmente deperibili, dopo il raccolto vengono sterilizzati tramite il vapore, in seguito vengono snocciolati, cotti, pressati e filtrati. L'olio che se ne ricava è di colore rossastro per via dell'alto contenuto di beta-carotene, solido a temperatura ambiente e ha un odore caratteristico; il sapore può essere dolciastro. Dopo un ulteriore processo di raffinazione può assumere un colore bianco giallino. È usato come olio alimentare, per farne margarina e come ingrediente di molti cibi lavorati, specie nell'industria alimentare. È uno dei pochi oli vegetali con un contenuto relativamente alto di grassi saturi (come anche l'olio di cocco) e quindi semi-solido a temperatura ambiente.

Olio di semi di palma (olio di palmisto)

I semi, una volta separati nella fase di produzione dell'olio di palma, vengono essiccati e macinati. Vengono poi pressati per ricavarne un blocco solido che contiene un'elevata percentuale di acido laurico, in modo analogo all'olio di cocco. Il prodotto non raffinato ha un colore giallo-brunastro che dopo la raffinazione diventa bianco-giallastro. L'olio di palmisto fonde ad una temperatura di 26°-28°C; da esso si ricavano dei grassi particolari utilizzati nell'industria dolciaria per le glasse, la canditura e le farciture a base di cacao.

Storia

L'olio di palma è sempre stato molto usato nei paesi dell'Africa occidentale come olio alimentare. I mercanti europei che commerciavano in quei luoghi talvolta lo importavano in Europa, ma poiché l'olio era abbondante ed economico, l'olio di palma rimase raro fuori dall'Africa occidentale. Nella regione di Ashanti, schiavi di stato furono usati per impiantare vaste piantagioni di palme da olio, mentre nel vicino Dahomey (l'attuale Benin) re Ghezo, nel 1856, approvò una legge che vietava ai suoi sudditi di tagliare palme da olio.
La palma da olio fu introdotta nel 1848 dagli olandesi nell'isola di Giava, e nel 1910 in Malesia dallo scozzese William Sime e dal banchiere inglese Henry Darby. Le prime piantagioni furono istituite e gestite soprattutto da britannici come Sime Darby. A partire dagli anni sessanta il governo promosse un grande piano di coltivazione della palma da olio con lo scopo di combattere la povertà. A ciascun colono venivano assegnati circa 4 ettari di terra da coltivare con palma da olio o gomma, e 20 anni per ripagare il debito. Le grandi società di coltivazione rimasero quotate nella Borsa di Londra finché il governo malese non promosse la loro nazionalizzazione negli anni '60 e '70.
L'olio di palma in seguito divenne un prodotto molto commerciato dai mercanti britannici per il suo uso come lubrificante per le macchine della rivoluzione industriale, e come materia prima per prodotti a base di sapone come il Sunlight della Lever Brothers (a partire dal 1884) e il sapone statunitense Palmolive.
In Malesia, paese dove si produce il 39% della produzione mondiale di olio di palma, ha sede uno dei più importanti centri di ricerca sugli oli e grassi di palma al mondo, il Palm Oil Research Institute of Malaysia (Porim), fondato da B.C.Shekhar.

Chimica e lavorazione

L'olio di palma e l'olio di palmisto sono trigliceridi: acidi grassi esterificati con glicerolo. Entrambi contengono un'alta quantità di acidi grassi saturi, circa il 50 e 80% rispettivamente. L'olio di palma dà il nome all'acido palmitico (acido grasso saturo con 16 atomi di carbonio), suo principale componente, ma contiene anche acido oleico monoinsaturo, mentre l'olio di palmisto contiene soprattutto acido laurico.
Da questi oli per l'industria chimica con processi di interesterificazione, idrolisi, saponificazione, possono essere prodotti acidi grassi ed alcoli grassi, con glicerolo come sottoprodotto. Gli acidi grassi più richiesti sono acido laurico e miristico per l'industria dei tensioattivi.
Gli oli di palma e palmisto sono prodotti nei mulini e mediante raffinazione; prima si procede al frazionamento, con processi di cristallizzazione e separazione per ottenere stearina solida e oleina liquida. Con un'ulteriore raffinazione per liquefazione si rimuovono le impurità e si ottiene l'olio filtrato. Quindi attraverso un processo di decolorazione (con argilla smectica, carbone attivo o silice) eventualmente preceduta da decerazione e neutralizzazione degli acidi grassi liberi, si toglie il colore, prevalentemente dovuto ai carotenoidi. In un ulteriore processo con vapore sotto vuoto viene deodorato formando olio di palma sbiancato e deodorato (in inglese refined bleached deodorized palm oil o RBDPO). Le sostanze estratte per chemoassorbimento o stripping durante i processi di decolorazione e deodorazione (carotenoidi, tocoli, squalene ecc.) possono essere purificate e fornite all'industria alimentare, cosmetica e farmaceutica. L'olio di palma sbiancato e deodorato è il prodotto oleoso di base che può essere venduto nel mercato globale delle materie prime, prevalentemente per la produzione di oli o grassi alimentari o di sapone. Molte compagnie lo separano ulteriormente in oleina e stearina di palma, per adeguarne la viscosità e punto di fusione ai diversi utilizzi.
L'olio di palma e di palmisto possono essere utilizzati come ingredienti cosmetici. I loro nomi INCI più utilizzati sono rispettivamente: ELAEIS GUINEENSIS OIL e ELAEIS GUINEENSIS KERNEL OIL.
Le frazioni ad alto punto di fusione, le stearine, possono chiamarsi: ELAEIS GUINEENSIS BUTTER.
Nello sviluppo della cosmesi industriale l'olio di palma ed i suoi derivati hanno avuto un ruolo fondamentale per la produzione di saponi, tensioattivi ed emollienti.
Il napalm prende nome dagli acidi naftenico e palmitico.

Composizione

In tutti gli oli vegetali la composizione può variare in funzione del coltivare, delle condizioni ambientali, della raccolta e della lavorazione e del metodo di analisi. Ci sono diversi oli di palma e palmisto con diversa distribuzione di acidi grassi, ottenuti prevalentemente per frazionamento. I principali sono:
  • PO: olio di palma, ottenuto dai frutti della Elaeis guineensis,
  • PKO: olio ottenuto dal nocciolo, seme, della palma,
  • POHO: oleina di palma, ottenuta dall'olio di palma (PO) con un frazionamento che ne alza il contenuto di acido oleico,
  • PKHO: oleina di palmisto, ottenuta dall'olio di palmisto con un frazionamento che ne alza il contenuto di acido oleico,
  • PKHS: stearina di palmisto, ottenuta dall'olio di palmisto con un frazionamento che ne alza il contenuto di acidi grassi saturi,
  • POS: stearina di palma, chiamata stearina per il suo punto di fusione alto, nonostante sia composta prevalentemente di acido palmitico. Ottenuta come resto del frazionamento con cui vengono prodotte le oleine e le superoleine di palma,
  • PSO superoleina di palma, ottenuta dall'olio di palma, con uno o più frazionamento che ne portino il numero di iodio sopra a 60. Conosciuto come olio di palma bifrazionato.
Legenda: concentrazioni tipiche in % w/w sul totale di acidi grassi, valori riportati nel Codex Alimentarius
acido grasso n° atomi di C:
n° doppi legami e
ω
PO PKO POHO PKHO PKHS POS PSO
acido laurico 12:0 0-0,5 45,0-55,0 0,1-0,5 39,7-47,0 52,0-59,7 0,1-0,5 0,1-0,5
acido miristico 14:0 0,5-2,0 14,0-18,0 0,5-1,5 11,5-15,5 20,0-25,0 1,0-2,0 0,5-1,5
acido palmitico 16:0 39,3-47,5 6,5-10,0 38,0-43,5 6,2-10,6 6,7-10,0 48,0-74,0 30,0-39,0
acido palmitoleico 16:1ω7 0-0,6 0-0,2 0-0,6 0-0,1 0 0-0,2 0-0,5
acido margarico 17:0 0-0,2 0 0-0,2 0 0 0-0,2 0-0,1
acido eptadecenoico 17:1ω8 0 0 0-0,1 0 0 0-0,1 0
acido stearico 18:0 3,5- 6,0 1,0-3,0 3,5-,5,0 1,7-3,0 1,0-3,0 3,9-6,0 2,8-4,5
acido oleico 18:1ω9 36,0-44,0 12,0-19,0 39,8-46,0 14,4-24,6 4,1-8,0 15,5-36,0 43,0-4
acido linoleico 18:2ω6 9,0-12,0 1,0-3,5 10,0-13,5 2,4-4,3 0,5-1,5 3,0-10,0 10,5-1
acido α-linolenico 18:3ω3 0-0,5 0-0,2 0-0,6 0-0,3 0-0,1 0-0,5 0,2-1,0
acido arachico 20:0 0-1,0 0-0,2 0-0,6 0-0,5 0-0,5 0-1,0 0-0,4
acido gadoleico 20:1ω9 0-0,4 0-0,2 0-0,4 0-0,2 0-0,1 0-0,4 0-0,2
acido beenico 22:0 0-0,2 0-0,2 0-0,2 0 0 0-0,2 0-0,2
Totale saturi
~55,6 ~81,5 ~46,8 ~68,0 ~89,3 ~68,4 ~39,8
Totale insaturi
~44,4 ~18,4 ~53,2 ~32,0 ~10,7 ~31,6 ~60,2
La distribuzione di acidi grassi dell'olio di palmisto è relativamente simile a quella dell'olio di cocco di cui può essere un surrogato visto il minor costo. La distribuzione di acidi grassi ed il punto di fusione della stearina di palmisto la rendono idonea come surrogato del burro di cacao. L'olio di palma è una delle principali fonti naturali di carotenoidi e tocotrienolo, un membro della famiglia della vitamina E; contiene inoltre quantità elevate di vitamina K e magnesio.

Olio di palma combustibile

La palma è usata anche nella produzione di biodiesel, o come olio di palma poco raffinato miscelato con gasolio convenzionale, oppure lavorato mediante transesterificazione per produrre un estere di metile dell'olio di palma che rispetta le norme EN 14214, con glicerolo come sottoprodotto. Il procedimento usato varia a seconda della nazione e delle esigenze dei mercati di esportazione. Si stanno anche sperimentando, anche se in piccole quantità, processi produttivi di biocarburante di seconda generazione.

Olio di palma e ambiente

Pur essendo in teoria una fonte di energia rinnovabile, il carburante da olio di palma è osteggiato da diverse associazioni ambientaliste (per esempio Greenpeace e Friends of the Earth) a causa degli effetti collaterali della sua produzione, che includono la necessità di convertire alla coltivazione di palme aree ecologicamente importanti come zone di foresta pluviale o aree precedentemente adibite alla produzione alimentare. Inoltre, la monocoltura di palme da olio può produrre considerevoli emissioni di carbonio; in Indonesia e Papua Nuova Guinea, per esempio, il terreno per la coltivazione è stato preparato spesso drenando e dando alle fiamme aree di foresta palustre e torbiera, con un conseguente rilevante danno ambientale, ed è stato valutato che anche in seguito a questi fenomeni l'Indonesia sia diventata il terzo emettitore mondiale di gas serra; inoltre la deforestazione minaccia d'estinzione gli oranghi, diffusi solo in quelle aree. Secondo il rapporto congiunto della Banca Mondiale e del Governo britannico], il solo settore forestale indonesiano sarebbe responsabile del rilascio in atmosfera di 2,563 MtCO2e (Metric Tonne (ton) Carbon Dioxide Equivalent). Secondo il Rapporto quinquennale FAO sulle foreste del 2007, la sola Indonesia perde un milione di ettari all'anno di foreste pluviali. La United States Environmental Protection Agency (EPA) ha escluso il biodiesel da olio di palma dai combustibili ecologici, proprio perché l'impronta di carbonio derivante dalla sua produzione non permette la riduzione del 20% richiesta per le emissioni dei biocarburanti: l'olio di palma ha costi ambientali elevatissimi alla produzione.
Anche in Africa la palma da olio inizia ad espandersi nelle regioni forestali, minacciando importanti ecosistemi; questo è il caso per esempio della Costa d'Avorio, dell'Uganda e del Camerun.


Olio di palma e salute

Gli oli di palma e di palmisto sono ingredienti alimentari molto comuni nelle regioni di produzione. In Europa e Nord America progressivamente dalla seconda metà del XX secolo, per motivi commerciali, si sono diffusi nell'industria alimentare come succedanei di altri ingredienti più costosi. La sostituzione è stata resa possibile da un analogo comportamento organolettico e produttivo. In particolare, pur se comparabili ad altri grassi per alcuni parametri, come il grado di saturazione (analogo ad esempi al burro con circa il 50% di saturazione), sono differenti per altri, come la lunghezza delle catene degli acidi grassi (differente ad esempio dal burro, che è ricco di volatili a corta catena da cui il termine butirrico, C4), o la posizione sostituente sul glicerolo, parametri che ne modificano il percorso metabolico nell'uso alimentare. Gli acidi grassi a corta e media catena, solubili in acqua, si assorbono infatti a livello intestinale per proseguire nel fegato il processo metabolico, senza passare dalla fase di chilomicroni e dalle vie linfatiche dei grassi più pesanti.
Il grande uso dell'olio di palma nell'industria alimentare del resto del mondo si spiega quindi col suo basso costo, che lo rende uno degli oli vegetali o alimentari più economici sul mercato, e coi nuovi mercati emersi negli USA, stimolati da una ricerca di alternative agli acidi grassi trans dopo che la Food and Drug Administration ha imposto di mostrare la quantità di acidi grassi trans contenuti in ogni porzione servita.
Alcuni stati, come il Belgio, alla fine del 2013, hanno consigliato un uso limitato dell'olio di palma.
Con l'entrata in vigore del Regolamento UE 1169/2011, dal 2015 è obbligatorio indicare in chiaro, nelle etichette dei prodotti alimentari prodotti nell'Unione europea, la specifica origine di oli e grassi vegetale e, di conseguenza, dichiarare l'utilizzo anche dell'olio di palma.
L'olio di palma rosso è considerato più sano dell'olio di palma raffinato (incolore), in quanto lo stato grezzo preserva molte sostanze benefiche che esso contiene:
  • carotenoidi in particolare beta-carotene che donano il caratteristico colore rosso arancio all'olio non sbiancato;
  • co-enzima Q10 (ubiquinone);
  • squalene;
  • vitamina E.
Di queste, le più significative sono i carotenoidi, presenti anche allo 0,08% negli oli di palma rosso rubino. Di questi oltre l'80% sono α e β carotene, quindi possono svolgere una attività provitaminica verso la vitamina A. Molte ricerche hanno riscontrato come l'assunzione alimentare di olio di palma rosso possa contrastare la carenza di vitamina A.
L'olio di palma viene applicato, tra l'altro, sulle ferite per facilitare la guarigione, grazie alle caratteristiche dell'olio; inoltre, si ritiene che l'olio di palma non raffinato, come anche l'olio di cocco, possa avere effetti antimicrobici, ma le ricerche non lo confermano in modo chiaro.

Effetti su colesterolemia, ipertrigliceridemia e fattori di rischio cardiovascolare, genotossico e cancerogeno

Il CSPI (Center for Science in the Public Interest), citando ricerche e meta-analisi, afferma che l'olio di palma aumenta i fattori di rischio cardiovascolare. Da molti anni è stato accertato che i principali acidi grassi che alzano il livello di colesterolo, aumentando i rischi di coronaropatia, sono gli acidi grassi saturi con 12 atomi di carbonio (acido laurico), 14 atomi di carbonio (acido miristico) e 16 atomi di carbonio (acido palmitico). Ricerche statunitensi ed europee confermano lo studio dell'OMS; in particolare, l'associazione non-profit statunitense American Heart Association elenca l'olio di palma fra i grassi saturi dei quali consiglia di limitare l'uso a coloro che devono ridurre il livello di colesterolo.
In risposta allo studio dell'OMS, il Comitato di promozione dell'olio di palma malese (Malaysian Palm Oil Promotion Council) ha sostenuto che non ci sono prove scientifiche sufficienti per elaborare linee guida globali sul consumo di olio di palma e ha citato uno studio cinese che avendo comparato lardo, olio di palma, olio di soia e olio di arachidi, i primi due con un alto contenuto di grassi saturi e generalmente considerati poco salutari, sostenendo che l'olio di palma aumenti il livello di colesterolo "buono" (HDL) riducendo il colesterolo "cattivo" (LDL) e che l'olio di palma sia meglio dei grassi trans, grassi che (nei paesi dove non sono regolamentati) sarebbero comunemente scelti come suoi sostituti in diverse produzioni alimentari; queste affermazioni sono sostenute da uno studio precedente su vari oli e salute cardiovascolare.
Tuttavia, uno studio del dipartimento di Scienza e Medicina agricola, alimentare e nutrizionale dell'Università dell'Alberta ha mostrato che sebbene l'acido palmitico non abbia effetti ipercolesterolemici qualora l'assunzione di acido linoleico sia superiore al 4,5% dell'energia, se la dieta contiene acidi grassi trans allora il colesterolo "cattivo" (LDL) aumenta e quello "buono" (HDL) diminuisce; inoltre, gli studi a sostegno del Comitato di promozione dell'olio di palma malese sono limitati agli effetti dell'olio di palma sulla colesterolemia e in parte sui trigliceridi.
L'industria dell'olio di palma sottolinea che gli oli di palma contengano grandi quantità di acido oleico (è il secondo, col 38,7%, nell'olio di oliva l'acido oleico è il 55-83%), acido grasso protettivo, e, in contrapposizione a quanto noto in medicina e dietetica, sostiene che l'acido palmitico influisce sui livelli di colesterolo in modo molto simile all'acido oleico; afferma, inoltre, che gli acidi monoinsaturi come l'acido oleico sono tanto efficaci quanto gli acidi grassi polinsaturi (come l'acido alfa-linoleico) nel ridurre il livello di colesterolo "cattivo".
Nel 2013 Fattore e Fanelli dell'Istituto Mario Negri pubblicano una rassegna sulla letteratura scientifica inerente alle prove di correlazione tra olio di palma ed effetti negativi sulla salute, evidenziando come ci siano pochi studi che analizzino gli effetti negativi dell'olio in sé e che principalmente gli effetti negativi delineati dagli studi esistenti riguardino il relativamente alto livello di acidi grassi saturi presenti nell'olio, in particolare l'acido palmitico, che sono stati correlati all'aumento di problematiche coronariche e all'insorgenza di alcuni tumori; tuttavia, indicano come alcuni recenti studi sull'argomento riconsiderino il ruolo negativo degli acidi grassi saturi nella dieta come fattore di rischio cardiovascolare, individuando non solo il tipo di grasso, ma che anche la struttura dei trigliceridi gioca un ruolo fondamentale nella colesterolemia. Per quanto riguarda la possibile insorgenza di tumori a causa dell'assunzione di olio di palma, gli studi sono scarsi e non vi sono prove convincenti.
A settembre 2015 l'Istituto Superiore di Sanità conclude un suo parere tecnico scientifico sull'olio di palma affermando: "non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l'olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/poliinsaturi, quali, ad esempio, il burro" e aggiunge: "Il suo consumo non è correlato all'aumento di fattori di rischio per malattie cardiovascolari nei soggetti normo-colesterolemici, normopeso, giovani e che assumano contemporaneamente le quantità adeguate di polinsaturi".
A maggio 2016 una nota dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare riporta che gli oli vegetali raffinati ad alte temperature, come l'olio di palma, possono contenere tre sostanze tossiche. Questo rapporto rileva come le sostanze tossiche si formino nel processo di raffinazione ad alte temperature (200 °C) degli oli vegetali. Le sostanze in questione sono: estere glicidico degli acidi grassi (GE), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e loro esteri degli acidi grassi. Ci sono evidenze sufficienti che il glicidolo, precursore del GE sia genotossico e cancerogeno. Il problema riguarderebbe anche altri oli vegetali e margarine (in gran parte derivate da olii di palma), ma l'olio di palma ne conterrebbe di più. La disamina del gruppo ha messo in luce che i livelli di GE negli oli e grassi di palma si sono dimezzati tra il 2010 e il 2015, grazie alle misure volontarie adottate dai produttori. Ciò ha contribuito a un calo importante dell'esposizione dei consumatori a dette sostanze. Per i consumatori di tre anni di età e oltre, margarine e 'dolci e torte' sono risultati essere le principali fonti di esposizione a queste sostanze.




Cucina austriaca

0 commenti

Risultati immagini per Cucina austriaca



La cucina austriaca (Österreichische Küche) è stata sviluppata in Austria sotto la notevole influenza dei paesi storicamente parte dell'impero austro-ungarico. Pertanto si ritrovano contaminazioni da parte delle tradizioni alimentari di Repubblica Ceca, Ungheria, Germania, Italia, dell'ex Iugoslavia, e in tempi recenti perfino di Grecia e Turchia, già di per sè ancorate alle tradizioni dei popoli di lingua tedesca.

Primi piatti

Popolare nella cucina austriaca è la zuppa. Tra le più celebri vi sono:
  • Tomatencremesuppe: zuppa composta a base di pomodori
  • Grießnockerlsuppe: gnocchetti di semolino in brodo
  • Leberknödelsuppe: gnocchetti di fegato in brodo
  • Fischbeuschelsuppe: a base di carpa
  • Zwiebelsuppe: zuppa di cipolle
  • Nudelsuppe: pasta in brodo
  • Kürbiscremesuppe: una crema di zucca, con crostini di pane e olio
  • Frittatensuppe: composta da strisce di crespella in brodo.

Secondi piatti

Tra i secondi piatti ritroviamo il Wiener Schnitzel, pietanza che assomiglia molto alla cotoletta alla milanese; il Kalbsrahmgulasch, uno spezzatino di vitello con canederli a base di pane; lo Zwiebelrostbraten, costata di manzo arrostita accompagnata con della cipolla; il Tiroler Gröstl, costituito da carne cotta assieme a uova e patate e la Gefüllte Paprika, peperoni riempiti con sugo di pomodoro e della carne.
Come contorni, questo tipo di cucina condivide, con la cucina tedesca e svizzera, la tipica insalata di patate. A base di patate è anche il Kartoffelkäse (letteralmente, formaggio di patate), che - nonostante il nome - non contiene formaggio: è una crema spalmabile a base di purea di patate e panna acida aromatizzate.

Dolci

Nella cultura culinaria austriaca, riveste notevole importanza la torta Sacher, nata nel 1832 e la cui ricetta originale è segreta. Tipico del paese è anche lo strudel oltre ai Marillenknödel, ai Germknödel e alla Kaiserschmarrn

Bevande

Tra le bevande analcoliche è consumato il succo di mele (Apfelsaft). Tra gli alcolici, il Paese vanta una notevole produzione di vino e birra.



Storia della pizza

0 commenti

Risultati immagini per Storia della pizza



La storia della pizza è lunga, complessa e incerta. Le prime attestazioni scritte della parola "pizza" risalgono al latino volgare di Gaeta nel 997 e in un contratto di locazione con data sul retro 31 gennaio 1201 a Sulmona ed in seguito in quello di altre città italiane come Roma, L'Aquila, Pesaro, Penne, ecc. Nel XVI secolo a Napoli ad un pane schiacciato venne dato il nome di pizza che deriva dalla storpiatura della parola "Pitta".
Prima del XVII secolo la pizza era coperta con salsa bianca. Fu più tardi sostituita con olio d'oliva, formaggio, pomodori o pesce: nel 1843, Alexandre Dumas (padre) descrisse la diversità dei condimenti della pizza.
La pizza marinara risale al 1734, mentre la pizza Margherita è degli anni 1796-1810. Nel giugno 1889, per onorare la Regina d'Italia Margherita di Savoia, il cuoco Raffaele Esposito preparò la "Pizza Margherita", una pizza condita con pomodori, mozzarella e basilico, per rappresentare i colori della bandiera italiana.

Origini

Il pane è uno dei cibi preparati più antichi e le sue origini risalgono almeno al Neolitico. Nel corso della storia, sono stati aggiunti diversi ingredienti al pane, per conferirgli particolari sapori. Alcuni archeologi italiani e francesi hanno trovato in Sardegna un tipo di pane infornato risalente a circa 3.000 anni fa. Secondo il parere di Philippe Marinval, le popolazioni della Sardegna conoscevano e utilizzavano il lievito. Gli antichi greci preparavano un pane di forma appiattita, chiamato πλακοῦς (plakous, genitivo πλακοῦντος - plakountos) che veniva condito con vari aromi, tra cui aglio e cipolla. Inoltre si dice che il re dei persiani, Dario il Grande (521-486 a.C.) cuoceva un tipo di pane appiattito usando gli scudi per la cottura, con una farcitura di formaggio e datteri, e nel I secolo a.C. il poeta latino Virgilio (noto anche come Publio Virgilio Marone) da Andes (Mantova) fa riferimento all'antica idea del pane come piatto commestibile o tagliere per altri cibi in questo estratto del suo poema latino, l'Eneide:
Altro per avventura allor non v'era
di che cibarsi. Onde, finiti i cibi,
volser per fame a quei lor deschi i denti,
e motteggiando allora: «O - disse Iulo -
fino a le mense ancor ne divoriamo?»
Questi pani di forma piatta, come la pizza, provengono dell'area del Mediterraneo e altri esempi di essi che sopravvivono ai giorni nostri da quell'antico mondo sono la "focaccia" che può essere fatta risalire fino agli antichi etruschi, la "coca" (che ha varietà sia dolci che salate) della Catalogna, della zona di Valencia e delle Isole Baleari, la "pita" greca e italiana o "pide" in turco o "piadina" in romagnolo. Pani simili, sempre a forma piatta, in altre parti del mondo comprendono il "paratha" indiano, il "naan" sudasiatico, il "carasau" , la "spianata" e il "pistoccu" sardi, la "flammkuchen" alsaziana e il "rieska" finlandese.

La genesi

Vi sono notizie che risalgono alla fine del Cinquecento ed inizi del Seicento di una pizza soffice chiamata alla "mastunicola", ossia preparata con basilico (strutto, formaggio, foglie di basilico e pepe). In seguito si diffuse la pizza ai "cecinielli", ossia preparata con minutaglia di pesce. La prima vera unione tra la pasta ed il pomodoro (accolto all'inizio con diffidenza) avvenne a metà del Settecento nel Regno di Napoli. La pizza a Napoli fu popolarissima sia presso i napoletani più poveri che presso i nobili, compresi i sovrani borbonici.
Il successo della pizza conquistò anche i sovrani di Casa Savoia, tanto che proprio alla regina Margherita di Savoia nel 1889 il pizzaiolo Raffalele Esposito dedicò la "pizza Margherita", che rappresentava il nuovo vessillo tricolore con il bianco della mozzarella, il rosso del pomodoro ed il verde del basilico. Quella che oggi è chiamata pizza Margherita era tuttavia già stata preparata prima della dedica alla regina di Savoia. Francesco De Bourcard nel 1866 riporta la descrizione dei principali tipi di pizza, ossia quelli che oggi prendono nome di pizza marinara, pizza margherita e calzone:
«Le pizze più ordinarie, dette coll'aglio e l'oglio, han per condimento l'olio, e sopra vi si sparge, oltre il sale, l'origano e spicchi d'aglio trinciati minutamente. Altre sono coperte di formaggio grattugiato e condite con lo strutto, e allora vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Alle prime spesso si aggiunge del pesce minuto; alle seconde delle sottili fette di muzzarella. Talora si fa uso di prosciutto affettato, di pomidoro, di arselle, ec. Talora ripiegando la pasta su se stessa se ne forma quel che chiamasi calzone. »
(Francesco de Bourcard, Usi e costumi di Napoli, Vol. II, pag. 124)



Bisogna tuttavia notare che già nel 1830, un certo "Riccio" nel libro Napoli, contorni e dintorni, aveva scritto di una pizza con pomodoro, mozzarella e basilico. Lentamente la focaccia di origine popolare arricchita con pomodoro si diffuse in tutte le classi sociali ed in tutte le regioni italiane, e con essa anche i locali specializzati nella preparazione della pizza: dapprima probabilmente forni in cui la pizza si consumava in piedi per strada, poi in seguito trattorie e pizzerie.
Sino al principio del Novecento la pizza e le pizzerie rimangono un fenomeno prettamente napoletano, e gradualmente italiano (nell'Italia settentrionale iniziò a diffondersi solo nel secondo dopoguerra), poi, sull'onda dell'emigrazione, iniziano a diffondersi all'estero ma soltanto dopo la seconda guerra mondiale, adeguandosi ai gusti dei vari paesi, diventano un fenomeno mondiale.
Gli italiani emigrati hanno fatto conoscere, apprezzare e anche modificare la pizza nel mondo. Oggi ormai anche molti cuochi di differenti nazionalità sono diventati esperti pizzaioli per i quali esiste anche un campionato mondiale dove misurarsi. Oggi il giro di affari legato alla pizza (pizzerie, consegne a domicilio, surgelati, catene di fast food) è molto rilevante nel mondo, al punto che alcuni abili imprenditori (come ad esempio l'americano Tom Monaghan fondatore della Domino's Pizza) hanno costruito intorno alla pizza grandi fortune.

Innovazione

L'innovazione che ci diede la particolare focaccia che chiamiamo pizza fu l'uso del pomodoro come condimento. Per alcuni anni dopo che il pomodoro fu portato in Europa dalle Americhe nel XVI secolo, molti europei credevano che fosse velenoso (come varie altre piante del genere Solanum a cui appartiene). Il piatto guadagnò in popolarità e presto la Pizza divenne un'attrazione turistica quando i visitatori a Napoli si avventuravano nelle zone più povere della città per provare le specialità locali.
Fino al 1830 circa la pizza era venduta in bancarelle ambulanti e da venditori di strada fuori dai forni. Alcune pizzerie mantengono viva questa antica tradizione ancora oggi. L'Antica Pizzeria Port'Alba a Napoli è considerata la più antica pizzeria della città ancora oggi esistente: iniziarono a produrre pizze per venditori ambulanti nel 1738 ma si espansero ad un ristorante-pizzeria con sedie e tavoli nel 1830. Una descrizione della pizza a Napoli intorno al 1835 è data dallo scrittore ed esperto di cibo francese Alexandre Dumas (padre) nella sua opera Il Corricolo, Capitolo VIII. Egli scrive che la pizza era l'unico cibo per la gente umile a Napoli durante l'inverno, e che "a Napoli la pizza è aromatizzata con olio, lardo, sego, formaggio, pomodoro, o acciughe sotto sale".
I Napoletani prendono la loro pizza molto seriamente. I puristi, come nella famosa pizzeria “Da Michele” in Via C. Sersale, a Forcella, (fondata nel 1870) sostengono che esistono solo due vere pizze: la “Marinara” e la “Margherita”, ed è tutto ciò che servono. La Marinara è la più antica e ha un condimento di pomodoro, origano, aglio, olio extra-vergine d'oliva e solitamente basilico. Era chiamata “Marinara” non, come molti credono, perché contiene pesce (non è così) ma perché era il cibo che i pescatori mangiavano quando tornavano a casa dalle lunghe giornate di pesca nella Baia di Napoli. La Margherita è invece attribuita al panettiere Raffaele Esposito, che lavorava alla pizzeria "Pietro... e basta" che fu fondata nel 1880 ed opera ancora oggi sotto il nome di "Pizzeria Brandi".
Nel 1889 infornò tre diverse pizze per la visita del Re Umberto I e della Regina Margherita di Savoia. La preferita della Regina era una pizza che evocava i colori della bandiera italiana – verde (foglie di basilico), bianco (mozzarella) e rosso (pomodori). Questa combinazione fu battezzata Pizza Margherita in suo onore. L'"Associazione Verace Pizza Napoletana", fondata nel 1984, riconosce solo la Marinara e la Margherita verace ed ha stabilito le regole molto specifiche che devono essere seguite per un'autentica pizza Napoletana.
Queste includono che la pizza deve essere cucinata in un forno a legno, alla temperatura di 485 °C per non più di 60-90 secondi; che la base deve essere fatta a mano e non deve essere utilizzato il mattarello o comunque non è consentito l'utilizzo di mezzi meccanici per la sua preparazione (i pizzaioli fanno la forma della pizza con le loro mani facendola "girare" con le loro dita) e che la pizza non deve superare i 35 cm di diametro o essere spessa più di un terzo di centimetro al centro. L'associazione seleziona anche le pizzerie nel mondo per produrre e diffondere la filosofia e il metodo della pizza verace napoletana. Ci sono molte pizzerie famose a Napoli dove si possono trovare queste pizze tradizionali, la maggior parte di esse sono nell'antico centro storico di Napoli.
Talvolta tali pizzerie andranno anche oltre le regole specificate, ad esempio, usando solo pomodori della varietà "San Marzano" cresciuti sulle pendici del Vesuvio e utilizzando solamente l'olio di oliva e aggiungendo fette di pomodoro in senso orario. Un'altra aggiunta alle regole è l'uso di foglie di basilico fresco sulla pizza marinara: non è nella ricetta "ufficiale", ma è aggiunto dalla maggior parte delle pizzerie napoletane per guarnirla. Le basi per pizza a Napoli sono soffici e friabili ma a Roma preferiscono una base sottile e croccante. Un'altra forma popolare di pizza in Italia è la "pizza al taglio" che è la pizza infornata in teglie rettangolari con un'ampia varietà di condimenti e venduta a peso.

La pizza negli Stati Uniti

La pizza fece la sua prima apparizione negli Stati Uniti con l'arrivo degli immigrati italiani nel tardo XIX secolo. Fu sicuramente il caso delle città con vaste popolazioni italiane, come San Francisco, Chicago, New York, e Philadelphia dove la pizza fu inizialmente venduta sulle strade dei quartieri italiani. Nel tardo XIX secolo a Chicago, ad esempio, la pizza fu introdotta da un venditore ambulante che camminava su e giù lungo Taylor Street con un mastello di pizze sulla testa. Questo era il modo tradizionale in cui si vendeva la pizza a Napoli, in cilindri di rame con delle maniglie ai lati e un coperchio sopra per mantenere calde le pizze. Non passò molto tempo prima che i piccoli caffè e le drogherie iniziassero ad offrire le pizze alle loro comunità italoamericane.

Etimologia

L'etimologia del nome "pizza" (che non è necessariamente legata all'origine del prodotto) deriverebbe secondo alcuni, da pinsa (dalla lingua napoletana), participio passato del verbo latino pinsere oppure del verbo "pansere", cioè pestare, schiacciare, pigiare che deriverebbe da pita mediterranea e balcanica, in greco πίττα, derivato da πεπττος ossia "infornato"; secondo quest'ultima ipotesi la parola deriverebbe dall'ebraico פִּתָּה o פיתה, dall'arabo كماج che appartiene alla stessa categoria di pane o focacce (vedi anche Storia della pizza). Il primo utilizzo della parola "pizza" risale al 997 ed è testimoniato in un testo latino proveniente dalla città di Gaeta. Altre ipotesi a proposito sono le seguenti:
  • L'antica parola germanica “bizzo” o “pizzo”, dal significato di "morso", "focaccia" (in relazione anche alle parole inglesi "bit" e "bite") è stata importata in Italia nella metà del VI secolo durante l'invasione dei Longobardi. Questa è l'origine più accreditata secondo l'Oxford English Dictionary, anche se non è stata definitivamente confermata.

Cinema

Nel 2003, la produzione, Lanterna Magica, ha dedicato un cartone animato, con il titolo di: Totò sapore e la magica storia della pizza, con un trama fantasiosa, ma l'ambientazione è sempre a Napoli.



 
  • 1437 International food © 2012 | Designed by Rumah Dijual, in collaboration with Web Hosting , Blogger Templates and WP Themes