La Soppressata di Calabria (o
Suppizzata" o "suprissata o sopressata) è un
insaccato a denominazione di origine protetta. Si ottiene con carne
di maiale tagliata a pezzettoni a cui si unisce pepe nero, finocchio
(a grani), sale e peperoncino.
Preparazione
Si prepara prendendo le parti migliori
della coscia del maiale, tritate e prive di nervi e insaccandole in
budello naturale, in particolare bisogna usare il budello proveniente
dall'intestino crasso, ben lavato con acqua, vino e limone e messo a
mollo. Si usa anche il budello del bue che è più resistente. Si
impasta la carne con sale e peperoncino rosso piccante. Una volta
riempito il budello, viene forato con uno spillo e legato a mano. Il
tutto viene poi lasciato asciugare all'aria.
Vi sono due diversi modi di
stagionatura. Nella Calabria settentrionale dopo riempito il budello
viene lasciato ad asicugare all'aria e dopo circa due settimane si
sistema sul pavimento un lenzuolo di lino e vi si adagiano le
soppressate, le une vicine alle altre, con l'accortezza di lasciare
tra esse uno spazio di circa un centimetro. Le soppressate vengono
quindi coperte con un altro lenzuolo di lino, al disopra del quale
viene poggiato un tavoliere (o un rigirato). Sul tavoliere vanno
posti dei pesi in modo da ottenere quella pressatura che secondo
alcuni (erroneamente secondo altri) conferirebbe il nome al salume.
Dopo circa una settimana viene
interrotta la pressatura e gli insaccati vengono messi ad asciugare.
Nella fase di asciugatura, della durata
di circa due settimane, si usa spesso l'accorgimento di accendere un
braciere nelle vicinanze che conferisca al prodotto una leggera
affumicatura, nel braciere vengono aggiunte scorze di arance per
garantire un'affumicatura aromatica.
Quindi si ripete l'operazione della pressatura (la "soppressa").
Quindi si ripete l'operazione della pressatura (la "soppressa").
Nella fase conclusiva le soppressate
(dette anche schiacciate) vengono lasciate stagionare per un periodo
di cinque sei mesi.
Nella Calabria meridionale invece la
"suppizzata", dopo l'impasto (la carne va tritata al
coltello) con sale e pepe nero (a volte si aggiungono semi di
finocchio selvatico) e l'insaccamento nel budello, opportunamente
suddivisa in gropssi nodi, viene appesa alle travi del tetto a tegole
(si tratta, in origine di un tipico prodotto contadino e le case di
campagna erano tutte a tegole senza soffitta) della stanza ove in
inverno era acceso il focolare che conferiva una leggera
affumicatura. Oggi si appende sempre in alto in locale leggermente
arieggiato e si lascia stagionare per almeno un mese per poi può
iniziare il consumo alimentare. Per conservarla in estate si usa
porla in vasi di coccio salaturi con una pietra sopra per tenerla al
di sotto del livello dell'olio.
Secondo un'altra ipotesi più
accreditata il nome deriverebbe dalla fusione e contrazione di due
termini: susu che in calabrese antico significa "sopra" "in
alto" e mpizzare che significa "appendere" quindi il
significato è: appesa in alto. La tesi è suffragata anche dal fatto
che esiste la suppizzata di tonno siciliana che non viene messa sotto
pressa, ma anch'essa viene appesa in alto. Inoltre il salume in
questione viene messo sotto pressa solo in alcune zone della Calabria
ed, essendo indiscutibilmente un prodotto contadino di antica data,
non sembra logico collegarlo con vocaboli dell'italiano (pressa) che
non esiste nel calabrese antico e neppure si può collegare col
provenzale moderno come alcuni fantasiosamente sostengono, per ovvi
ed evidenti motivi.