Minestra maritata

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La minestra maritata è un tipico piatto di origine campana, in genere preparata secondo la più stretta tradizione napoletana per pranzi festivi, quali quelli in occasione di Natale e Pasqua.
La dicitura maritata deriva dal fatto che gli ingredienti di carne e verdura si "maritano", partecipando insieme alla minestra. La ricetta nel corso degli anni è stata notevolmente rimaneggiata, eliminando o modificandone gli ingredienti, che sono sempre più rari da reperire in commercio. Durante le festività tradizionali, tuttavia, nei mercatini rionali di Napoli ancora si possono acquistare le verdure tipiche per preparare la minestra maritata, che sono cicoria, piccole scarole (scarulelle), verza, e borragine, che gli conferisce una nota amarognola. In qualche variante si usa anche la catalogna (in napoletano: puntarelle). La carne di uso tipico è quella di maiale di minor pregio, con tracchie, salsicce (tipica era la cosiddetta nnoglia, o salame pezzente), e altri tagli.
Nella tradizione più antica, invece del pane tostato si usano gli scagliuozzi, tipiche frittelle di farina di mais fritte dalla forma arrotondata, adagiate sul fondo del piatto.
La preparazione ricorre anche nella tradizione gastronomica ciociàra (della Ciociarìa, regione storica del Lazio meridionale), dove tale ricetta trova ospitalità nei libri di cucina ed è segnalata sui ricettari tipici della zona.

Pane di Triora

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Il pane di Triora è un prodotto di panetteria tradizionale riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. Viene prodotto in Liguria, nel comune di Triora - Valle Argentina.

Storia

Triora, in passato era nota come il granaio della Repubblica di Genova e aveva un unico forno comunale in Vico del Forno; il pane veniva cotto per ogni famiglia, una volta alla settimana, nel forno comune. Oggi (2007) il pane di Triora viene prodotto da un unico panificio, che lo produce in modo artigianale, per tutta la Liguria del Ponente e del basso Piemonte.

Preparazione

Il pane è preparato con farina 1, farina di grano saraceno e crusca, lievitata per una notte con acqua tiepida e sale; all'impasto viene aggiunto il giorno successivo altro lievito e farina. Dopo aver riposato ancora qualche ora su uno strato di crusca i pani, in forme basse e larghe che dopo la cottura raggiungono un peso di circa 850 grammi, vengono cotti in forno caldo utilizzando foglie di castagno per evitare che si attacchino alla base del forno. A cottura ultimata le pagnotte presentano sulla crosta una incisione di forma quadrata.

Consumo

Può servire ad accompagnare una vasta gamma di secondi, ed è particolarmente indicato - tagliato a fette - per essere spalmato di bruss. E conservabile a lungo e può essere consumato fresco per circa una settimana dopo la produzione.

Bruss

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Il bruss, in piemontese bross, in ligure brussu, bruzzu, a volte italianizzato in bruzzo, è un derivato del latte simile ad un formaggio cremoso e spalmabile dal gusto molto forte. È diffuso soprattutto in Piemonte e Liguria. La versione ligure differisce da quella piemontese, perché si ricava dalla ricotta di pecora, e/o di mucca, e/o di capra, opportunamente lasciata fermentare in appositi recipienti in luoghi freschi, umidi e bui, e rimestata ogni giorno delicatamente con cura dal basso verso l'alto. La versione piemontese, è tradizionalmente ricavata dalla fermentazione, anch'essa opportunamente controllata e rimestata, degli avanzi di uno o più formaggi locali, a pasta molle o semidura del cuneese, Langhe, Monferrato e basso Piemonte in genere, quali Toma, Raschera, Sôra, Alta Langa, Murazzano, Roccaverano, ecc. Nella versione ligure vi è una variante, che consiste nell'aggiungere, ad un certo punto della fermentazione, una modesta quantità di formaggio erborinato, come gorgonzola naturale, rimestandolo con cura. I lactobacilli riprenderanno la loro attività, donando man mano al brussu un profumo e un sapore ancora più complessi e interessanti.

Storia

Deve la sua origine alla necessità, tipica della cultura contadina e in particolare delle zone più povere, di sfruttare al meglio ogni possibile alimento.
Anticamente veniva prodotto facendo fermentare croste o pezzi di altri formaggi (spesso anche ammuffiti) nel distillato di vinacce, la grappa, che i contadini producevano in proprio.
Dopo aver mescolato il composto si otteneva un prodotto cremoso dal sapore intenso che veniva mangiato sul pane.

Diffusione

Attualmente si trova in commercio presso mercanti specializzati nella vendita di prodotti tipici ma può anche essere realizzato in proprio facendo fermentare del formaggio fresco (ad esempio robiole o tomini) con grappa o brandy. Viene spesso commercializzato in vaschette di plastica trasparenti o in vasetti di vetro.

Abbinamenti

Un abbinamento classico della versione ligure del bruss è quello con il pane di Triora. Viene anche utilizzato per condire la pasta o la polenta, per insaporire minestre o con le patate al cartoccio.
I vini più indicati per accompagnare il bruss, quanto meno nella sua versione langarola, sono robusti rossi quali i nebbioli o le barbere oppure, con un abbinamento che ne esalta il sapore piccante, vini più zuccherini quali l'Erbaluce di Caluso passito.

Riconoscimenti

È stato denominato come PAT, la versione ligure anche come presidio del gusto di Slow Food (bruzzo della valle Arroscia); quella piemontese, con la denominazione di brus.


Barbagiuai

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Barbagiuai è il nome in lingua ligure dato ai ravioli fritti (i tourtons francesi) e ripieni di zucca e formaggio, nell'entroterra ventimigliese, specialmente nella val Nervia. Ma l'origine la più probabile di questa ricetta sarebbe la città di Castellar, vicino a Menton.
Il nome di questo raviolo fritto deriverebbe da un certo zio (barba in ligure) Giovanni (Giuà), cuoco provetto ed inventore di questa ricetta.
La qualità gustativa del piatto risulta nel contrasto tra il dolce della zucca e il gusto deciso del brusso (ricotta fermentata tipica delle valli imperiesi).
Nel Principato di Monaco questa specialità fa parte della gastronomia locale e si chiama in monegasco Barbagiuan.

Cucina ligure

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La cucina ligure è costituita dai piatti della tradizione culinaria della Liguria, regione che comprende ingredienti legati sia alla produzione locale (come il preboggion, miscuglio di erbe selvatiche), sia alle importazioni provenienti da zone con cui nei secoli, i liguri hanno avuto frequenti contatti (come il pecorino sardo, uno degli ingredienti del pesto).
Per storia, radici e soprattutto elementi che la compongono si può dire che quella ligure sia la vera cucina mediterranea.
Una cucina povera, propria delle genti di campagna, dei montanari e dei naviganti, fatta di alimenti semplici, comuni ed economici, che è tuttavia diventata costosa, ricercata e piena dei fasti antichi.
Volendo riassumere si può affermare che la gastronomia della Liguria si contraddistingua per sei grandi elementi:
• le erbe selvatiche spontanee del territorio (maggiorana, salvia, rosmarino, alloro, timo ecc.) e i prodotti dell'orto di casa (cipolle, patate, basilico, melanzane ecc.)
• le primizie delle coltivazioni e dei boschi (basilico, pomodori cuore di bue, zucchine trombette, asparagi e carciofi albenganesi, funghi, tartufi della Valbormida, frutta fresca e frutta secca)
• l'olio d'oliva
• i prodotti farinacei (focacce, farinate, torte salate ecc.)
• la vasta gamma di paste secche e fresche
• il pescato del mare (acciughe, gamberi, polpi, moscardini, seppie, muscoli, triglie ecc.) e la selvaggina (data l'alta boscosità)


Caratteristiche della cucina ligure

La cucina ligure risente delle caratteristiche geomorfologiche del suo territorio. È pertanto cucina sia di mare sia di terra, secondo il naturale connubio delle due anime che contraddistinguono il territorio ligure: la costa e l'entroterra. La cucina ligure si trasforma, inoltre, attraverso i secoli in relazione allo strato sociale del commensale cui si fa riferimento, oltre al luogo in cui egli vive. Si passa così da piatti che sono di tradizione popolare, a piatti che sono elaborati sulle tavole dei potenti e dei ricchi, anche se rispetto ad altre tradizioni (ad esempio la cucina emiliana) la tradizione povera, o meglio, frugale, è molto più caratterizzante e tipica. La cucina utilizza infatti, per lo più, gli alimenti che il luogo offre. La scarsità di pascoli bovini costrinse i Liguri a sviluppare piatti a base di ingredienti alternativi quali il pesce e le erbe, a cui successivamente si aggiunse la selvaggina: nascono così i condimenti a base di erbe selvatiche o coltivate, tra cui spicca il pesto, che viene usato sia come salsa per condire la pasta, sia aggiunto ai minestroni prevalentemente autunnali ricchi di molte varietà di verdure fresche; importanza assumono anche le molte torte salate alle verdure, la più famosa delle quali è la torta pasqualina, i ripieni e le focacce, tra queste rinomata è la focaccia col formaggio di Recco. Vi sono piatti che hanno alla base ingredienti poveri come, ad esempio, le erbe o le castagne. Si tratta di piatti che provengono dalla mensa del contadino ligure che con la propria tenacia ha domato l'asprezza dei luoghi per poter coltivare la terra su strette fasce, e soprattutto appartengono alla tavola degli abitanti delle zone montane più impervie. Ugualmente, la cucina ligure risente della contaminazione di altri luoghi e popoli con i quali nell'arco dei secoli i liguri ed i genovesi sono entrati in contatto, soprattutto per commercio e conquiste. Ecco così che oltre che ad essere una cucina "localizzata", al suo interno troviamo contaminazioni preziose. In questo senso, la cucina ligure si arricchisce di esperienze diverse. Basti poi pensare alle spezie (oltre ai tradizionali odori o sapori) che anche nei tempi antichi erano cosa di uso comune in Liguria ma in altre regioni di uso piuttosto raro. Particolare, poi, è l'impiego del sale, così prezioso per la conservazione dei cibi: senza sale non esisterebbe per esempio la focaccia, tipica di questi luoghi ed unica, anche se oggi imitata altrove. Altra anima della cucina è il mare: ci sono i piatti nati a bordo e quelli nelle case, nelle famiglie che restavano a casa o al ritorno dei congiunti.
Rispetto al discorso contaminazioni fra cucine regionali vicine ed il mare che bagna l'esteso arco ligure, si pensi all'enorme quantità di cibi, spezie e nuovi alimenti provenienti da altre città italiane o paesi e continenti (Americhe, Asia, Medioriente) si sia riversata in Italia ed in Europa attraverso Genova. Sino a poco tempo fa erano presenti in porto i vecchi silos del grano: impressionanti da vedere, così come quelli di altre materie.
Trova luogo così anche il porto nella tradizione culinaria: c'entra il lavoro … si parte da quello contadino e montano, si passa attraverso il commercio o la conquista e si arriva al lavoro del porto ed a quello operaio delle grandi industrie, oggi ormai scomparse.
Infine c'è la cucina dei giorni di festa e poi quella del nostos (ritorno) dei naviganti a casa e quella delle ricchissime mense dei potenti: dei Dogi, dei futuri Papi, dei conquistatori dei mari.
Fondamentale nella cucina ligure è poi la conservazione degli alimenti e dunque l'uso delle arbanelle, riempite ad esempio con funghi sott'olio, marmellate, miele, acciughe sotto sale, prodotti in salamoia, e intingoli tra i più disparati.
La bandiera di questa cucina è senza dubbio il pesto di basilico.

La cuciniera genovese

Scritto da Gio Batta Ratto, La cuciniera genovese, con sottotitolo La vera maniera di cucinare alla genovese, nel 1863, è la prima pubblicazione di un saggio completo (481 ricette) della cucina del territorio genovese. Nelle edizioni successive appare anche il nome del figlio Giovanni.

Maccaronara

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La maccaronara è un tipo di pasta fatta a mano, simile ad uno spaghettone ma a sezione quadrangolare, preparata secondo una antica ricetta semplice, ma molto saporita.
Preparata al sugo o con i fagioli, rappresenta un piatto tipico della cucina irpina, a Montemarano, Castelvetere sul Calore, Castelfranci e in tutta l'area limitrofa è conservata l'antica tradizione della preparazione rigorosamente a mano,partendo da un impasto ottenuto con semola di grano duro,o talvolta anche farina di grano tenero e acqua,dopo di che viene stesa a circa un centimetro di altezza e tagliata con un matterello apposito,un tempo ottenuto dal legno oggi di ottone, che ha delle scannellature di forma circolare tutti intorno al matterello,in modo tale che,passando con leggera pressione questo sulla pasta si ottiene un taglio a spaghetto,che poi viene staccato uno ad uno a mano con una certa dimestichezza prima da un lato e poi dall'altro.
Ad agosto, da anni, nella piazza centrale di Castelfranci (AV) si tiene la Sagra della Maccaronara, accompagnata da balli, musica e canti popolari.

Paccheri

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I paccheri sono un tipo di pasta tradizionale napoletana aventi la forma di maccheroni giganti, generalmente realizzati con semola di grano duro.
Il termine deriva del greco antico (da πας, "tutto" e χειρ, "mano") dei primi fondatori di Parthènope e ancora usato nella lingua italiana come "pacca", ovvero uno schiaffo dato a mano aperta, senza intenzioni ostili. Da qui il nome del tipo di pasta, dalla taglia molto superiore alla norma, in genere accompagnato da sughi succulenti. I paccheri possono essere anche farciti, con ricotta o altri ingredienti, e serviti con il ragù.

Curiosità

Il termine pacchero è impiegato anche con il significato di schiaffo, in alcune espressioni popolari:
  • Stare sotto al pacchero: stare sotto i comandi di qualcuno
  • Dare un pacchero a mano smerza: dare uno schiaffo con il dorso della mano

 
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