Mortadella di Campotosto

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La mortadella di Campotosto (popolarmente detta coglioni di mulo) è un salume tipico prodotto in limitate quantità nel territorio del comune di Campotosto in provincia dell'Aquila e zone limitrofe.

Storia

Per un periodo di tempo la città di Amatrice si era appropriata della paternità del salume, in seguito al dominio che nel periodo medioevale aveva avuto sulle zone di Campotosto e paesi vicini. La tradizione della mortadella di Campotosto è molto antica, si ritiene abbia più di 500 anni, per come la conosciamo oggi, solo pochi campotostari continuano la tradizione della mortadella, e solo pochi palati hanno oggi la possibilità di degustarla, causa la rarità del prodotto.

Descrizione

La mortadella è composta solamente da carne di suino, che i pastori e i vari fattori allevavano nel territorio dei Monti della Laga. Ha una forma ovoidale (ed un peso tradizionalmente individuato in 330 gr). Ha una grana fine e all'interno, ha infilata su tutta la sua lunghezza una barretta di lardo che caratterizza il prodotto rispetto agli altri salumi. Quando viene tagliata, la sezione presenta un colore roseo, mentre la barretta centrale di lardo ha un colore bianco. La preparazione dell'insaccato avviene nella seguente maniera:
  • macinazione molto fine delle carni;
  • condimento con sale, pepe e vino bianco;
  • maturazione dell'impasto per almeno 24 ore all'interno di un contenitore di legno (lo scifone) oppure di acciaio. L'impasto viene rimescolato più volte con infuso di chiodi di garofano e cannella.
L'insaccatura avviene manualmente, con cucitura del budello attorno all'impasto. Nella parte inferiore del salame viene apposto un tralcetto che avvolge lo spago durante l'allentamento dovuto alla stagionatura.
Il prodotto può essere consumato dopo almeno tre mesi dalla macinatura.

Salame Aquila

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Il salame aquila è un insaccato ottenuto dalla macinazione di tagli di carne magra e grassa di maiale, originario dell'Aquila, capoluogo abruzzese da cui esso prende il nome.
La carne viene tritata e amalgamata con pepe, sale e vino bianco, quindi viene insaccata in budelli naturali o artificiali, legati infine con spago alle due estremità.
In seguito viene sottoposta a pressione, per farne fuorisucire l'aria all'interno che potrebbe rovinare la carne. La forma finale ne risulta appiattita e irregolare.
Spesso, nelle preparazioni artigianali, vengono sconciati i prosciutti per utilizzarne la carne nell'impasto del salame.

Cuccìa

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La cuccìa è un piatto tipico della provincia cosentina, a base di grano bollito, carne di capra e/o di maiale e spezie. Viene preparato tradizionalmente nei comuni della fascia presilana della provincia di Cosenza. La preparazione del piatto richiede circa 3 giorni e passa attraverso diverse fasi: la pulizia del grano, la successiva macerazione, la bollitura e la cottura nel tradizionale forno a legna. Per la preparazione si usa un contenitore tradizionale in terracotta che prende il nome di Tinìellu. I primi accenni relativi a questa antica tradizione sono stati scritti da Vincenzo Padula, prete poeta di Acri. Si segnala una pietanza simile in Sicilia che però è un dolce.

Origini

Attualmente non ci sono certezze sull'origine. Per assonanza e somiglianza un'ipotesi è quella della derivazione dal cus cus, il tipico piatto arabo e saraceno. Per tale ragione il piatto risalirebbe alle origini dei casali presilani, quando i saraceni invasero Cosenza. Degno di nota è la particolarità dell'aggiunta di carne di maiale a quella della capra (della tradizione saracena) che sembra come l'appropriarsi di una pietanza per negarla a chi è di religione musulmana e ritiene il maiale un animale impuro.

Frittole

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Il termine frittole di maiale (in dialetto reggino frittuli, raramente al singolare frittula) indica un piatto tipico della città di Reggio Calabria e zone limitrofe. I frammenti di carne di piccole dimensioni che si depositano sul fondo della pentola di bollitura vengono comunemente detti curcuci. Le frittole di maiale sono tipiche della città di Reggio Calabria. Al di fuori di essa (se non nel diretto circondario) esistono preparazioni simili, prodotte con tecniche largamente differenti, che assumono nomi come risimoglie, scarafuagli o sprinzuli.

Preparazione

Le frittole si ottengono riscaldando il grasso macinato del maiale (grossolanamente privato di carne e altre impurità), in un pentolone di rame stagnato, detto caddàra (quadàra o cardara in altri paesi vicino al capoluogo). Durante la laboriosa fase di preparazione la pentola viene letteralmente foderata di grasso macinato. In tal modo esso si scioglie con aggiunta di poca acqua leggermente salata. Quando il grasso è parzialmente sciolto si dispongono, con particolari accorgimenti in relazione alle dimensioni ed al tipo di carne, le costine e le parti meno nobili del maiale (collo, guancia, lingua, muso, orecchie, gamboni, pancia, rognoni, cotenna e tutte quelle parti che non possono essere consumate in altro modo) e si lasciano bollire a fuoco lentissimo nel grasso per almeno sei ore, aggiungendo solo sale e rimescolando frequentemente. Con questo procedimento la carne si impregna del sapore del grasso e diventa molto tenera, rendendo edibili anche le parti cartilaginee.
Tradizionalmente la caddàra veniva allestita fuori dalle abitazioni contadine quando si macellava il maiale, evento che si verificava una volta all'anno viste le condizioni economiche della zona. Oggi la si vede sobbollire accanto alle macellerie reggine, che il sabato preparano la cottura per servire già a metà mattino la pietanza, accompagnata a pane e cosparsa di pepe nero. La caddàra va consumata necessariamente calda, meglio se appena levata dalla pentola. Ciò che resta viene poi venduto per il pranzo del sabato.
Come accennato sopra, una volta esaurite le parti di maggiori dimensioni, tutto quello che rimane sul fondo del pentolone, come piccoli pezzi di carne, cotenna e sugna, si solidifica e prende il nome di curcùci (Reggio) o salimorati (zone limitrofe) o risimoglie (catanzarese). Il prodotto è molto simile ai ciccioli napoletani. Grazie alla conservazione sotto lo strato di sugna, le curcùci possono essere successivamente consumate in diversi modi. Alcune preparazioni tipiche sono la a pulenta chi brocculi e curcuci (che si consuma durante l'inverno) e la pitta ca ricotta, l'ovu e curcuci, una sorta di pizza chiusa in crosta che costituisce anche il piatto tipico della scampagnata del Lunedì dell'Angelo.

Tradizioni

L'uccisione del maiale, in Calabria, era un vero e proprio avvenimento collettivo, di tipo liberatorio e allo stesso tempo propiziatorio, durante il quale il pericolo delle forze della natura veniva imprigionato in un rito simbolico e culturale. In passato, infatti, il maiale calabrese era detto il nero, appellativo che sta a rappresentare non solo il colore, ma, al pari del cinghiale, anche lo stato selvaggio nei boschi. Il tipico detto popolare ru pòrcu non si jètta nènti ("del maiale non si butta via nulla") sta a indicare che durante tutta la fase dell'uccisione e della macellazione si trae qualcosa di utile da ogni parte dell'animale.
Le frittole a Reggio Calabria vengono consumate tradizionalmente in occasione della Festa della Madonna della Consolazione, patrona della città e più in generale durante alcuni periodi di festività (Natale, e soprattutto nel periodo di Carnevale, particolarmente nel giorno di Giovedì Grasso). In questi periodi, lungo le strade del centro cittadino è possibile sentirne il profumo che contribuisce a creare il pittoresco e caratteristico ambiente festivo popolare. Tradizione vuole che il maiale si macelli solo nel periodo compreso fra la festa della Patrona e il martedì grasso. Naturalmente in epoca recente, per motivi commerciali, questa usanza è disattesa, ma dopo Carnevale (specie nel periodo della Quaresima e ancor di più nei mesi caldi) è difficile che vengano prodotte frittole.
Il giorno della macellazione del maiale, risorsa di lusso per molte famiglie, ancora oggi nei paesi di montagna sopravvive un'antica usanza di fare la serenata, festeggiando con amici e parenti l'assaggio delle rinomate "frittuli". Si lasciando le parti più nobili per la conservazione nei vasi con la sugna. In queste occasioni anticamente il padrone di casa faceva assaggiare diversi pezzi di carne agli ospiti ed ogni pezzo aveva un significato differente, ad esempio la coda del maiale si dava alle donne incinte per propiziare la nascita di un figlio maschio.
Ancora oggi è molto diffuso un antico proverbio calabrese sul maiale: "Cu si marita è cuntentu nu jornu, cu ammazza u porceju è cuntentu n'annu" (Chi si sposa è contento un solo giorno, chi ammazza il maiale è contento un anno intero)

Ristorazione sostenibile

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La ristorazione sostenibile è un tipo di approccio gestionale alla ristorazione finalizzato a ridurre gli impatti negativi sull'ambiente e ad incrementare, allo stesso tempo, i benefit di natura socio-economica. Semplici procedure e tecnologie innovative permettono infatti di incrementare significativamente le prestazioni ambientali di una piccola - media impresa, di ridurne i costi fissi di gestione e conseguentemente offrire un servizio ad un prezzo concorrenziale.

Introduzione

L'ambiente ha acquisito negli ultimi anni un ruolo sempre più importante nelle scelte e nelle decisioni degli amministratori pubblici e dei cittadini, questi ultimi declinati nei loro molteplici ruoli di “consumatori” di territorio, tradizioni locali, prodotti e materie prime. In effetti, oltre agli aspetti legati alla qualità e alla sicurezza, organizzazioni e imprese si trovano a fronteggiare un numero crescente di richieste relative alla qualità ambientale dei propri prodotti e servizi. Come per gli altri settori economici, la domanda di ristoranti eco-compatibili nel settore della ristorazione è cresciuta negli ultimi anni. Non a caso la gestione sostenibile di un ristorante si sta configurando sempre più come una best practice a livello internazionale e anche nel nostro Paese negli ultimi anni diversi sono i progetti avviati.

Panoramica

Internazionale

Nello scenario internazionale sono già molteplici i progetti sviluppati nell'ottica di un miglioramento della qualità ecologica del servizio di ristorazione; negli Stati Uniti ad esempio: l'etichetta Green Restaurant Certification 4.0 Standards e la Green Seal GS-46, l'iniziativa ecologica della National Restaurant Association denominata Conserve Solution for Sustainability, le linee guida della American Beverage Association che affrontano i temi della sostenibilità ambientale e sono rivolte a tutti gli attori protagonisti nella produzione e nella commercializzazione delle bevande; progetti simili sono stati sviluppati anche in Nuova Zelanda (The Better Cafè and Restaurant) e dal Dipartimento per la Protezione Ambientale di Hong Kong chiamato GreenRestaurants.
In ambito europeo invece è di rilevante importanza l'etichetta ecologica sviluppata dalla Nordic Ecolabel, volta a migliorare la qualità ambientale del servizio di ristorazione, mirando ad una riduzione significativa degli impatti ambientali causati dalle diverse attività connesse a tale servizio.
Nordic Ecolabelling for Restaurants In Europa lo standard di riferimento per il settore della ristorazione è rappresentato dalla certificazione Nordic Ecolabelling for Restaurants, sviluppata nel 2006 dal comitato Nordic Ecolabel. Il Nordic Ecolabel for restaurants, etichetta volontaria per la ristorazione, presuppone l'ottenimento della certificazione a fronte del superamento di una soglia minima di prestazione ambientale. Presuppone una verifica di terza parte per garantire la soddisfazione dei criteri obbligatori e volontari previsti nella checklist.

Nazionale

Il panorama nazionale manca invece di una vera e propria certificazione esclusiva per il settore della ristorazione. Le etichette ecologiche presenti in Italia e che trattano la gestione sostenibile di un ristorante sono quelle riguardanti il settore della ricettività turistica: EU Ecolabel, Legambiente Turismo, ICEA Eco-Bio Turismo e AIAB Agriturismo Bio-Ecologico. Le etichette ambientali per le strutture turistiche considerano le attività di somministrazione pasti esclusivamente se associate ad una offerta di pernottamento. Tuttavia in Italia sono diversi i progetti partiti in questi anni che trattano la tematica della ristorazione sostenibile in maniera organica, sia a scala regionale che a scala locale:
Ecoristorazione Trentino - Provincia Autonoma di Trento
La Provincia Autonoma di Trento è attualmente impegnata nello sviluppo di una etichetta ecologica di terza parte, che verrà rilasciata solo agli esercizi di ristorazione che garantiscono elevate prestazioni ambientali. L'intento infatti è di migliorare il già eccellente servizio offerto dai ristoratori trentini, aumentandone e valorizzandone l'attenzione ai temi ambientali. Linea comune del progetto è lo sviluppo sostenibile, nella accezione più larga del termine (ambientale, etica e sociale), nel quale, all'ottimizzazione nell'uso delle risorse, si associano comportamenti e tecnologie per ridurre i carichi ambientali e i costi superflui di un settore tra i prioritari per lo sviluppo territoriale.
In particolare il disciplinare di certificazione verterà sui seguenti ambiti di lavoro:
  1. alimenti e bevande > priorità ai prodotti biologici, locali, solidali;
  2. rifiuti > priorità alla riduzione, in particolare della frazione organica;
  3. energia > priorità al risparmio energetico;
  4. acqua > priorità al risparmio idrico;
  5. acquisti non alimentari > priorità ai prodotti ecologici;
  6. informazione, comunicazione, educazione ambientale > per il coinvolgimento della clientela nelle buone pratiche ambientali.
Carta Volontaria del Ristorante Sostenibile - Emilia-Romagna La Carta Volontaria del Ristorante Sostenibile è un progetto promosso da CONFESERCENTI Emilia-Romagna e sviluppato grazie al supporto scientifico di ARPA.
Cuore della fase di sviluppo del disciplinare è stata la fase di sperimentazione in cui sono stati coinvolti nove esercizi di ristorazione diversi per tipologia di servizio offerto e numero di coperti e scelti in maniera da essere eterogenei in tutta la regione. Per aderire al circuito dei “ristoranti sostenibili” gli esercizi di ristorazione emiliano romagnoli sono tenuti a soddisfare una serie di criteri ambientali orientati alla riduzione degli impatti ambientali causati dalle normali attività dei ristoranti e alla sensibilizzazione/esortazione a stili di vita sostenibili. Il rilascio dell'etichetta ambientale è vincolato al superamento di una soglia minima di prestazione ambientale, che, a sua volta, si traduce a seconda del punteggio ottenuto dall'esercizio in tre livelli di certificazione sequenziali: 1. Basso, 2. Medio e 3.Alto. I requisiti da soddisfare per ogni livello di certificazione sono ripartiti in otto macroaree:
  • Alimenti e bevande;
  • Prodotti chimici;
  • Energia;
  • Acqua;
  • Rifiuti;
  • Prodotti ecologici e solidali;
  • Sistema di gestione;
  • Trasporti ed emissioni.
Progetto RISTECO - Sotral Spa
RISTECO, nasce come divisione ambiente della Sotral SpA, che si occupa di servizi di logistica per la ristorazione e raccoglie al proprio interno le competenze in campo ambientale sviluppate da Life Cycle Engineering ed Environment Park di Torino.
In particolare gli obiettivi di RISTECO sono:
  • Implementare la raccolta differenziata nelle mense con avvio a idoneo recupero dei rifiuti generati;
  • Progettare le piattaforme ed i sistemi di gestione dei rifiuti generati nella preparazione e somministrazione dei pasti;
  • Implementare sistemi gestione ambientale per le aziende di ristorazione;
  • Erogare moduli di formazione su tematiche ambientali per operatori della ristorazione;
  • Fornire servizi di educazione ambientale e didattica rivolte ai bambini.
Progetto Sportello Mense Bio - Regione Emilia-Romagna
Nell'ambito delle politiche agricole, il progetto Sportello Mense Bio sostiene le produzioni agroalimentari certificate, legate al territorio d'origine, ottenute con metodi produttivi controllati, rispettosi della salute e dell'ambiente. Tale attività è stata di recente regolamentata dalla legge regionale n. 29/2002 "Norme per l'orientamento dei consumi e l'educazione alimentare e per la qualificazione dei servizi di ristorazione collettiva". La norma esorta al consumo, nell'ambito della ristorazione collettiva pubblica, di prodotti provenienti da coltivazioni biologiche, integrate, nonché di prodotti tipici e tradizionali regolamentati ai sensi della normativa comunitaria, nazionale, regionale vigente. Ciò anche nella consapevolezza di dover tutelare la salute dei propri cittadini e in particolare delle categorie più esposte come i giovani, i malati e gli anziani, oltre che per favorire il consumo di produzioni locali e quindi promuovere lo sviluppo di attività agricole ecocompatibili nel proprio territorio.

Progetto Km Zero - Regione Veneto
Si chiama Progetto Km Zero l'operazione con cui Coldiretti Veneto vuole convincere mense, chef e grande distribuzione a proporre ai consumatori preferibilmente prodotti stagionali del territorio. Il progetto “Km Zero” oggi è regolamentato attraverso una Legge Regionale, la n. 7 del 25 luglio 2008, la prima a livello nazionale che riconosce gli esercizi che adottano la produzione enogastronomia veneta, nella misura percentuale dal 30 al 50 percento.
Menu a km zero - Parco Nazionale Appennino tosco-emiliano
Il Parco Nazionale dell'Appennino tosco-emiliano, in collaborazione con le federazioni Coldiretti di Massa, Lucca, Reggio Emilia e Parma, dall'autunno 2008 propone una competizione tra ristoranti in cui vengono proposti menu con prodotti, locali e di stagione, provenienti dalle campagne vicine. I pasti offerti nell'ambito del progetto Menu a Km Zero, oltre a garantire qualità e freschezza nel rispetto dell'ambiente, riducono l'inquinamento causato dai trasporti. Il progetto intende recuperare e valorizzare il patrimonio agro-alimentare e gastronomico locale, promuovere negli esercizi di ristorazione la valorizzazione dei prodotti agro-alimentari del territorio del Parco nazionale, incentivare forme di turismo correlate alle eccellenze del territorio in una stagione turisticamente ancora marginale come l'autunno ed incentivare le filiere agro-alimentari locali e tradizionali, avvicinando produttori e consumatori, contribuire alla riduzione dei gas "effetto serra" derivanti dal trasporto delle merci.

Ambiti d'intervento

Gli impatti ambientali dei servizi di ristorazione sono molteplici: consumi energetici e idrici, trasporto delle risorse alimentari, consumo di prodotti (per: pulizia, promozione, somministrazione pasti, etc.), produzione di rifiuti, etc.; pur non essendo disponibili molti dati di letteratura a questo riguardo sembra che l'interesse stia rapidamente crescendo e diversi studi e analisi sono stati effettuati nel corso degli ultimi anni.
Menù La scelta degli alimenti, ingredienti e bevande offerti al cliente può contribuire notevolmente alla sostenibilità di questo comparto.
  • Alimenti e ingredienti stagionali e a "km zero" garantiscono una riduzione dei consumi di energia altrimenti associati al trasporto e alla conservazione degli alimenti e, allo stesso tempo, sono una spinta all'economia locale; gli acquisti alimentari rappresentano infatti, nel settore ristorazione, la fonte principale di impatti negativi sull'ambiente (Baldwin C., Wilberforce N., Kapur A., 2010). Inoltre sono ampiamente dimostrati dalla comunità scientifica (Joshipura et al. 1999; Lampe, 1999; Cox et al. 2000) gli effetti benefici sulla salute in quanto verdura e frutta di stagione hanno concentrazioni maggiori di vitamine ed elementi nutritivi rispetto agli stessi alimenti che subiscono processi di trasporto e conservazione.
  • Alimenti, ingredienti e bevande certificati secondo lo standard da agricoltura biologica della Comunità Europea. "La filosofia dietro a questo diverso modo di coltivare le piante e allevare gli animali non è unicamente legata all'intenzione di offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o concimi chimici di sintesi, ma anche (se non di più) alla fondata volontà di non determinare nell'ambiente esternalità negative, cioè impatti negativi sull'ambiente a livello di inquinamento di acque, terreni e aria" (fonte: agricoltura biologica), oltre che a contrastare la perdita di biodiversità, considerata da diversi studi scientifici come uno dei principali impatti negativi dovuti alla conversione degli ecosistemi naturali in agricoltura intensiva (Rockstrom, 2009).
  • Alimenti, ingredienti e bevande (non reperibili a "km zero" come ad es. spezie e frutta tropicali) provenienti dal commercio Equo&Solidale (certificati secondo lo standard internazionale Fairtrade). In maniera da essere coerenti con la "sfera" etica della sostenibilità, supportando progetti etico-sociali nei quali si cerca di far crescere aziende economicamente sane e di garantire ai produttori ed ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso.
Energia Il consumo di energia rappresenta una delle criticità principali per quanto riguarda la gestione ambientale di un ristorante, si pensi alle numerose apparecchiature presenti: forni, congelatori, stanze del freddo, lavastoviglie, ecc. Se i consumi vengono normalizzati alla superficie unitaria, il settore della ristorazione arriva a essere la tipologia di attività commerciale più energivora in assoluto, come si desume da uno studio condotto nel 2003 dall'Autorità Americana per l'Energia (EIA), sul consumo energetico per edifici commerciali statunitensi (Fonte: Commercial Buildings Energy Consumption Survey (CBECS), Autorità Americana per l'energia). La riduzione dei consumi energetici di un ristorante ha come ricaduta positiva, diretta, una riduzione dei costi fissi di gestione e indirettamente un aumento di competitività legato all'ottimizzazione del servizio. Inoltre si avrà un nuovo appeal presso i consumatori più attenti all'ambiente.
Acqua I consumi idrici sono tra i principali aspetti da prendere in considerazione per ridurre i carichi ambientali connessi alla ristorazione: si stima che ad ogni pasto sia associato un consumo idrico di 20-40 litri/pasto. Questo dato considera solo l'uso di acqua imputabile agli aspetti diretti (da bere, per cucinare, lavastoviglie, sanitari, etc.), mentre i carichi ambientali “nascosti”, imputabili alla coltivazione e alla lavorazione del cibo (allevamento, agricoltura), sarebbero ancor più intensi, si pensi che: l'impronta idrica associata ad una bistecca di manzo è di circa 4.650 litri d'acqua! Come per il consumo di energia, ci sono diverse tecnologie o semplici scelte per ridurre l'ammontare di acqua consumata. Questi accorgimenti ridurranno anche le pressioni delle acque reflue prodotte dal ristorante, che necessitano di essere opportunamente depurate e smaltite. Si possono ottenere grandi riduzioni nei consumi di acqua senza investire soldi in tecnologie, ma semplicemente cambiando abitudini e informando/formando lo staff.
Prodotti ecologici La preferibilità ambientale nelle forniture di prodotti e servizi implica l'introduzione di criteri ambientali (minimi impatti su acqua, suolo, aria, energia, rifiuti) nelle politiche di acquisto. Lo scopo di questa politica green è ridurre gli impatti ambientali associati alla domanda e al consumo di beni e servizi lungo tutto il loro ciclo di vita: dalle fasi di estrazione delle materie prime a quelle di smaltimento del prodotto a fine-vita; questo approccio permette di estendere il proprio impegno ambientale a tutte le filiere connesse alla propria attività ristorativa.
I sistemi di etichettatura ambientale consentono di scegliere prodotti a minore impatto ambientale. L'Ecolabel europeo, il sistema di etichettatura ecologica pubblico regolamentato dall'Unione Europea, comprende tra i prodotti: detergenti multiuso; detersivi per lavastoviglie; detersivi per piatti; detersivi per bucato; carta da ufficio; tessuto carta; ecc. .
Rifiuti
I ristoranti producono grandi quantità di rifiuti, tra le principali criticità associate alla produzione di materiali di scarto figurano gli imballaggi e i rifiuti organici. In proporzione i più impattanti sono gli scarti organici, costituiti dai cospicui avanzi di cibo pre e post-consumo: “… se si donasse il 5% degli avanzi alimentari annui si riuscirebbero a nutrire 14 milioni di persone” (fonte: Feeding America - associazione non profit americana). Nella maggior parte dei casi i rifiuti organici sono assimilati all'indifferenziato, causando l'incremento delle emissioni in discarica per fermentazione anaerobica metano-genica, condizione che rappresenta, in accordo con studi effettuati dall'EPA, la principale fonte di metano antropogenico (gas con un potenziale di effetto serra superiore all'anidride carbonica).

Pita

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La pita (in greco πίτα, in ebraico פִּתָּה o פיתה, in arabo كماج) è un tipo di pane piatto lievitato, rotondo, a base di farina di grano. È un cibo tradizionale delle cucine del Medio Oriente e del Mediterraneo, dal Nord Africa all'Afghanistan. Viene anche chiamata pita greca o pane arabo.

Etimologia

Nei dizionari italiani, il termine "pita" è abbastanza recente in quanto risale alla seconda metà del Novecento, riferendosi ai Balcani, e in special modo alla cucina greca. Molti linguisti attribuiscono l'origine della parola al greco moderno di "torta", "dolce" (es. Vasilopita) oppure "pane", che deriverebbe a sua volta dal termine greco antico pēktos col significato di "denso"; a differenza di altri che pensano derivi dall'ebraico פת (pat), che significa "pagnotta" o "pezzetto". La parola "pita" (come פיתא), esiste ancora nell'aramaico del Talmud babilonese e indica il pane in generale. Un'altra possibile etimologia viene dalla parola "pită", che in rumeno arcaico (all'epoca parlato anche nel nord della Grecia), vuol dire pane. Un'altra etimologia si rifà a un particolare tipo di pino (Pinus Rigida) costituito da strati, proprio come il pane pita, che però non condivide l'origine con l'italiano pizza, come taluni pensano, in quanto questa parola deriva dal romano pinsa.
Da segnalare la relazione con il termine romagnolo "pìda" (e le sue varianti "piê", "pièda"), ad indicare la piadina, di origine bizantina. Stessa genesi avrebbe la calabrese pitta, un pane bianco a forma di ciambella schiacciata, cotto al forno. Il termine è talvolta impiegato per indicare lo stesso prodotto da forno, come in pitta 'nchiusa (un dolce contenente miele e frutta secca).

Abitudini alimentari

La pita è utilizzata per raccogliere sughi o salse come lo hummus, il baba ganush, la shakshuka e per avvolgere sandwich come kebab, gyros (ricetta greca a base di carne) e falafel (polpette egiziane). La maggior parte dei pani assimilabili alla pita vengono cotti al forno ad alte temperature (700 °F o 370 °C), facendo sì che i dischi appiattiti di pasta crescano velocemente. Una volta rimossi dal forno gli strati di pasta cotta restano separati all'interno della pita sgonfia, consentendo che il pane presenti un'apertura a forma di tasca, da usare in varie farciture.
A partire dagli anni settanta, molta della popolarità della pita è dovuta a queste tasche; infatti invece di essere usate per raccogliere salse, esse vengono riempite di vari ingredienti per formare un panino farcito. Queste sono di solito chiamate "tasche di pita". Alcuni fabbricanti specificano sulle loro confezioni la differenza fra la pita classica (senza aperture) e le pita con tasche.
In Turchia, la pita, chiamata pide e alquanto diversa dalla pita greca o araba, è utilizzata per fare una pietanza simile alla pizza italiana, chiamata lahmacun. L'impasto viene modellato come una canoa e riempito con carne, verdure e a volte uovo, per poi essere cotto in forno.
In Gran Bretagna, la parola "pita" è talvolta usata erroneamente per indicare il naan o il khubz arabo, dal momento che entrambi presentano il medesimo aspetto della pita.
In Grecia, la pita si mangia tradizionalmente con varie salse quale lo tzatziki, oppure con pietanze come il gyros.
Nella cucina bulgara, la pita si serve per le occasioni speciali. La sua preparazione e consumo hanno un significato rituale. Per esempio, nella notte prima della vigilia di Natale (bulgaro: Бъдни вечер - badni vecher), ogni casalinga prepara le pite e le decora con simboli augurali di fertilità per il bestiame e un raccolto ricco dai campi, nonché prosperità per ogni membro della famiglia. In ognuna di esse, nasconde una monetina di nichel; secondo la tradizione, chiunque lo trovi diventi il più sano e il più ricco della famiglia. La pita inoltre, è preparata quando sono previsti cari ospiti a pranzo o a cena. Una tradizionale festa di benvenuto in Bulgaria, prevede che siano serviti la pita sale o miele. Il significato di questo rituale può essere trovato nell'espressione "accogliere qualcuno con pane e sale" (dal momento che il pane è un elemento fondamentale della cucina bulgara - e come dice un proverbio bulgaro: "nessuno è più grande del pane", mentre il sale è quell'ingrediente base che insaporisce ogni pasto). Ciò dimostra come i padroni di casa desiderano avere ospiti e condividere pietanze con loro.
La pita libanese è simile a quella cipriota, anche se la prima è due volte più lunga della seconda. Il pane di pita, cotto come la pita di Agio Basilio, è una tradizione cristiana bizantina, condivisa da tutte le nazioni che un tempo facevano parte dell'Impero Romano d'Oriente, rinforzando nuovamente la cultura Cristiana Ellenica che ha diffuso la pita. Il pane di pita o "pita di Basilio" è come un dolce o una torta, con un singolo strato di pan di Spagna o di pane, posti generalmente in piani circolari.
Nei paesi balcanici (Grecia compresa) il termine "pita" ha un significato più ampio rispetto a quello convenzionale di pane. Indica infatti una pietanza a strati (o arrotolata), dolce o salata, fatta di molteplici strati di pasta, di solito non lievitata, alternati con degli strati di condimento e cotta nel forno. Alcune di queste pite in Italiano potrebbero essere intese come "torte" (dolci o salate), ma nei paesi in questione il termine "torta" è riservato ai dolci stratificati fatti con la pasta lievitata, o eventualmente senza pasta (alcune torte di frutta). Per alcuni tipi di pita si usa la pasta sfoglia o la pasta frolla, ma la più frequente è la pasta fillo. Nel forno gli strati esterni di questa pasta diventano molto croccanti, mentre quegli interni assorbono una grande quantità d'acqua diventando molto soffici e formando una specie delle membrane interne. Alcune ricette prevedono una spennellata superficiale d'uovo ed esistono anche alcuni tipi di pita dove lo strato di copertura non è rappresentato da pasta, ma dal condimento. Come condimento si usano diversissimi prodotti, vegetali o animali, ad esempio, per le pite dolci: formaggio non stagionato (simile alla ricotta), noci, mandorle, varia frutta (mele, amarene, frutti di bosco, prugne, pere, more, lamponi, fragole), zucca (pita "bundevara"), semi di papavero (pita "makovnjača"), panna, carrube, lardo o ciccioli con eventuale aggiunta di uva sultanina, vaniglia, cannella, noci di moscato ecc., tutto cosparso di zucchero a velo, mentre per le pite salate si usano: carne macinata (suina, bovina, ovina, mista..), formaggio non stagionato o semi-stagionato, funghi, spinacio, erba brusca (pita "zeljanica") o varie altre verdure a foglia, porro, patate, melanzane, cavoli ecc. con pepe nero, aglio e altre spezie. Tradizionalmente le pite erano riservate per le festività e altre occasioni speciali. Oggi sono una pietanza abbastanza comune, si trovano anche nei negozi di strada, come fast food, si preparano regolarmente nelle cucine casalinghe e nei ristoranti, vengono consumate a colazione, a merenda, come snack, a pranzo, come antipasto, o come dessert, ma anche come pasto unico a cena. Anche lo strudel e il burek sono considerati tipi di pita.

Tarator

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Il taratòr o taratur (albanese: tarator, bulgaro: таратор, macedone: таратур, persiano: آب دوغ خیار, serbo: таратор) è un piatto tradizionale ottomano.

Preparazione

Il taratòr viene preparato con yogurt, cetrioli, aglio, noci, aneto, olio vegetale e acqua; è servito freddo o anche con ghiaccio. Esistono tuttavia molte varianti regionali.

Diffusione

Si tratta di una zuppa fredda popolare in estate in Bulgaria, Albania, Macedonia, nel sud-est della Serbia, Turchia, Iran, Armenia e Cipro (dove è conosciuto come ttalattouri).

 
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