"Tonco del Pontesel con Patate Selenella: il gusto autentico della memoria trentina"

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Nel cuore del Trentino, tra le valli solcate da fiumi impetuosi e i paesi avvolti nella quiete montana, sopravvive una delle espressioni più sincere della cucina popolare alpina: il Tonco del Pontesel. Uno stufato ricco, robusto, nato per sfamare i braccianti e riscaldare l’inverno, che oggi trova una nuova veste grazie all’abbinamento con un ingrediente moderno e versatile: la patata Selenella, simbolo di eccellenza agricola italiana, coltivata secondo pratiche sostenibili e selezionata per garantire sapore e tenuta alla cottura.

Questa ricetta rappresenta una sinergia perfetta tra tradizione e innovazione: da un lato, il tonco, con le sue carni cotte lentamente, i profumi intensi del soffritto, la cremosità della farina tostata; dall’altro, le patate Selenella, che sostituiscono degnamente la classica polenta o il pane rustico, offrendo un contorno che valorizza il piatto senza alterarne l’equilibrio.

La parola tonco deriva da "toncare", che nel dialetto trentino significa "tagliare grossolanamente", e fa riferimento ai pezzi di carne utilizzati: non i tagli nobili, ma quelli più adatti alla lunga cottura, come la spalla, il collo o la punta di petto. Il termine Pontesel invece richiama i piccoli ponti pedonali, spesso in legno o pietra, che attraversano torrenti e ruscelli nelle valli trentine. Si narra che i lavoratori incaricati della loro manutenzione – spesso boscaioli o muratori stagionali – portassero con sé un tegame in cui, con pochi ingredienti, cucinavano uno stufato che potesse durare giorni e migliorare col tempo.

Cotto su fornelli di fortuna o su fuochi improvvisati, il Tonco del Pontesel era un piatto “da compagnia”, preparato in grande quantità, da mangiare lentamente, tra una storia raccontata e una sigaretta accesa al tramonto. A renderlo particolare era l’aggiunta della farina tostata, che, insieme al fondo di cottura, dava vita a una salsa avvolgente, quasi nocciolata, capace di impreziosire anche i tagli più umili. L’aromatizzazione, affidata a pochi ingredienti – cipolla, aglio, rosmarino e alloro – completava un profilo gustativo schietto e appagante.

Oggi, il Tonco del Pontesel è un piatto celebrato durante le sagre locali e nei rifugi di montagna, ma grazie alla sua semplicità può essere riproposto anche in casa, adattato con ingredienti di alta qualità. È qui che entrano in gioco le patate Selenella, dalla pasta compatta e giallo brillante, ideali per assorbire il sugo e tenere la consistenza senza sfaldarsi.

Nella cucina contadina, l’attenzione alla materia prima è sempre stata una necessità prima ancora che una virtù. Non si poteva permettere spreco né scarsa qualità. Con il tempo, questa logica ha generato una cultura dell’eccellenza, fatta di ingredienti semplici ma selezionati con rigore. Le carni scelte per il Tonco devono essere ben marezzate, capaci di restituire sapore durante la lunga cottura, senza asciugarsi. I grassi sono parte integrante del piatto: devono sciogliersi lentamente, contribuendo alla rotondità del risultato finale.

Le patate Selenella, coltivate soprattutto in Emilia-Romagna con metodi a basso impatto ambientale, garantiscono caratteristiche ideali per questo tipo di preparazione: basso contenuto d’acqua, buona resistenza alla bollitura, sapore equilibrato, leggermente dolce, che contrasta con la sapidità del tonco e ne assorbe i profumi senza sovrastarlo.

Cucinare il Tonco del Pontesel è un gesto lento, meditativo, che richiede attenzione più che abilità. Si inizia tostando la farina in una padella a parte, fino a quando non sprigiona un profumo di nocciola e assume una tonalità dorata. Questo passaggio, apparentemente secondario, è in realtà cruciale: la farina tostata fungerà da legante e conferirà alla salsa un gusto unico.

Contemporaneamente, si prepara un soffritto di cipolla e aglio, si aggiungono i pezzi di carne infarinati leggermente, si rosola il tutto a fuoco vivo e si sfuma con vino bianco secco. Da quel momento in poi, tutto è questione di pazienza: la carne va coperta con brodo e lasciata sobbollire per almeno due ore, arricchita da erbe aromatiche che esaltano senza invadere.

Le patate vengono cotte a parte, in acqua salata, tagliate in grossi spicchi. Una volta cotte, si uniscono al piatto al momento del servizio, così da conservare la loro identità e offrire una texture a contrasto con la morbidezza del tonco.

La ricetta completa

Ingredienti per 4 persone:

  • 800 g di carne di manzo (spalla o collo)

  • 1 cipolla dorata

  • 2 spicchi d’aglio

  • 2 cucchiai di farina 00 + 1 cucchiaio da tostare

  • 1 bicchiere di vino bianco secco

  • 700 ml di brodo di carne (anche vegetale)

  • 2 foglie di alloro

  • 1 rametto di rosmarino

  • 4 patate Selenella medie

  • 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva

  • Sale e pepe q.b.

Procedimento:

  1. Tostare un cucchiaio di farina in una padella antiaderente, a fuoco medio, fino a leggera doratura. Mettere da parte.

  2. Tagliare la carne a cubi grossi, infarinarla leggermente e farla rosolare in un tegame con olio, cipolla tritata e aglio schiacciato.

  3. Sfumare con il vino bianco e lasciar evaporare.

  4. Aggiungere le erbe aromatiche, la farina tostata e coprire con brodo caldo.

  5. Cuocere a fuoco basso per 2 ore, mescolando di tanto in tanto e aggiungendo brodo se necessario.

  6. A parte, lessare le patate Selenella in acqua salata, pelarle e tagliarle in quarti.

  7. Servire il tonco ben caldo con le patate accanto, irrorando il tutto con abbondante sugo.

Il piatto, corposo e saporito, richiede un vino rosso altrettanto strutturato, capace di bilanciare la grassezza e accompagnare la speziatura. Un Teroldego Rotaliano DOC, autoctono del Trentino, è la scelta naturale: intenso, fruttato, con una buona acidità che pulisce il palato. In alternativa, si può optare per un Lagrein, più scuro e materico, o per un Chianti Riserva, se si vuole un tocco toscano in tavola.

Per chi preferisce una bevanda analcolica, una birra artigianale ambrata, dal profilo maltato e leggermente caramellato, si sposa perfettamente con le note tostate della farina e il fondo della carne.

Il Tonco del Pontesel con Patate Selenella è una ricetta che racconta il passato con strumenti del presente. È un viaggio nella cucina trentina più autentica, ma anche un esempio di come, con pochi gesti attenti e materie prime di qualità, si possa costruire un piatto capace di scaldare la tavola e lasciare il segno. Non è solo una ricetta, è una storia da assaporare lentamente, una cucchiaiata alla volta.



Focaccia con Cipolle: La Tradizione Rustica che Profuma di Casa

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C’è qualcosa di profondamente rassicurante nel profumo della cipolla che caramella lentamente in padella, nel croccante dorato della superficie di una focaccia ben cotta, nella morbidezza dell’interno che si spezza sotto le dita come un gesto quotidiano. La focaccia con cipolle è una ricetta semplice e generosa, figlia della tradizione contadina e delle panetterie di quartiere, capace di unire sapori intensi e consistenze perfettamente equilibrate. È un pane arricchito, ma anche una torta salata; un piatto unico nelle cene informali, ma anche uno street food di quelli che non passano mai di moda.

Questo grande classico della cucina italiana – con le sue infinite varianti regionali – racconta una storia di sapori essenziali: farina, acqua, lievito, olio extravergine e cipolle. Eppure, come spesso accade nelle preparazioni più semplici, la vera riuscita sta nella qualità degli ingredienti e nei tempi giusti di lievitazione.

Le focacce arricchite con ortaggi sono diffuse in tutta la penisola, e quella con le cipolle ha radici profonde, specialmente in Liguria, in Puglia e nel Lazio. Era il piatto dei panettieri, che recuperavano l’impasto del pane arricchendolo con ingredienti di stagione, e delle massaie, che sfruttavano ogni verdura disponibile per trasformare un impasto neutro in un pasto completo.

In Liguria prende il nome di “fugassa co-e çiòlle”, mentre a Bari la cipolla rossa viene spesso caramellata e unita a pomodori maturi e olive. In tutte le sue versioni, però, la focaccia con cipolle resta fedele alla sua anima povera e generosa: una ricetta di confine tra pane e torta salata, tra forno e padella, tra passato e presente.

Ingredienti (per una teglia da 35x25 cm)

Per l’impasto:

  • 500 g di farina 0 (o una miscela con il 20% di farina manitoba per maggiore sofficità)

  • 350 ml di acqua tiepida

  • 3 g di lievito di birra secco (oppure 10 g fresco)

  • 2 cucchiaini di sale

  • 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva

  • 1 cucchiaino di zucchero

Per il condimento:

  • 500 g di cipolle (bianche, dorate o rosse di Tropea, a seconda dei gusti)

  • Olio extravergine d’oliva q.b.

  • Sale e pepe nero q.b.

  • Un pizzico di zucchero (facoltativo)

  • Rosmarino o origano se gradito

Procedimento

1. Preparazione dell’impasto:

In una ciotola capiente sciogli il lievito e lo zucchero in parte dell’acqua tiepida e lascia riposare per 10 minuti, finché non si forma una leggera schiuma in superficie.

Aggiungi la farina setacciata e inizia a impastare, versando la restante acqua poco per volta. Unisci il sale e l’olio extravergine, continuando a lavorare l’impasto fino a ottenere una consistenza liscia, morbida e leggermente appiccicosa.

Copri la ciotola con pellicola trasparente o un canovaccio umido e lascia lievitare in un luogo tiepido per circa 2 ore, o comunque fino al raddoppio del volume.

2. Preparazione delle cipolle:

Mentre l’impasto lievita, affetta sottilmente le cipolle e falle appassire in padella con un filo generoso di olio extravergine. Cuoci a fiamma dolce per circa 20-25 minuti, mescolando spesso. Se vuoi un sapore più dolce e caramellato, puoi aggiungere un pizzico di zucchero a metà cottura. Aggiusta di sale e pepe e, se gradito, profuma con rosmarino o origano.

Una volta pronte, lasciale raffreddare completamente.

3. Stesura e seconda lievitazione:

Ungi generosamente una teglia con olio extravergine d’oliva. Versa l’impasto lievitato e stendilo con le mani unte, senza sgonfiarlo troppo. Lascia lievitare nuovamente per 30 minuti.

Distribuisci uniformemente le cipolle sulla superficie, premendole leggermente nell’impasto. Irrora con un filo d’olio e un pizzico di sale.

4. Cottura:

Inforna in forno statico preriscaldato a 220°C per circa 25-30 minuti, o finché la superficie non sarà ben dorata e la base cotta. Se usi il forno ventilato, abbassa la temperatura a 200°C e controlla la cottura dopo 20 minuti.

Una volta sfornata, lascia intiepidire qualche minuto prima di tagliarla. È ottima sia calda che a temperatura ambiente.

La focaccia con cipolle è straordinaria da sola, ma può diventare ancora più interessante con alcuni abbinamenti mirati. Servila con una selezione di formaggi freschi e stagionati, come una crescenza o un pecorino giovane. Ottima anche accanto a salumi delicati, come prosciutto cotto alle erbe, mortadella o coppa dolce.

Per un pasto completo e leggero, prova ad accompagnarla con un’insalata di finocchi e arance, oppure con una vellutata di legumi, in particolare ceci o lenticchie rosse.

Dal punto di vista enologico, prediligi un bianco secco e profumato come un Vermentino di Liguria o un Fiano di Avellino. Anche un rosato strutturato può fare da contraltare alla dolcezza delle cipolle caramellate.



La focaccia con cipolle rappresenta una delle espressioni più genuine della cucina casalinga italiana. Non ha bisogno di effetti speciali, né di ingredienti costosi. Chiede solo tempo, un po’ di pazienza e la capacità di ascoltare i tempi della lievitazione e della cottura. In cambio, offre un risultato profumato, saziante e profondamente legato alle radici del gusto.

È la focaccia delle merende al parco, dei cestini da pic-nic, degli aperitivi improvvisati con un bicchiere di vino e un tagliere. È la focaccia che si prepara per chi si ama, con pochi gesti e tanta sostanza.



Fiori di Zucca Ripieni di Ricotta: Eleganza Contadina in Fiore

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I fiori di zucca rappresentano una delle massime espressioni della cucina stagionale italiana, quella che segue il ritmo lento della terra, raccogliendo ogni ingrediente al momento giusto. Diffusi in tutte le regioni, ma particolarmente celebrati nel Centro-Sud, i fiori di zucca – teneri, sgargianti, fragilissimi – hanno da sempre affascinato cuoche e cuochi per la loro versatilità.

L’usanza di farcirli è antica, legata alla necessità di valorizzare ogni parte della pianta, senza sprechi. Con il tempo, si è evoluta in una pratica raffinata, che unisce estetica e sapore. La variante con ricotta è tra le più amate e rappresenta il perfetto equilibrio tra la dolcezza del latticino fresco e la consistenza vegetale del fiore.

Non c'è trattoria romana, osteria umbra o cucina napoletana che non abbia reso omaggio a questa preparazione, oggi simbolo di una cucina semplice eppure estremamente curata. Ma i fiori di zucca ripieni di ricotta restano soprattutto una preparazione casalinga, cucinata al volo in primavera o estate, quando l’orto regala quei grandi fiori arancioni ancora aperti, pronti a ricevere il loro morbido ripieno.

I fiori di zucca non sono ingredienti da trattare con fretta. Vanno puliti uno a uno, con gesti lievi. Il pistillo va rimosso, ma senza lacerare la corolla. Ogni fiore è un piccolo scrigno che va rispettato.

La ricotta, dal canto suo, deve essere freschissima. Ideale quella di pecora per il suo gusto più deciso, ma anche quella vaccina può essere usata, magari arricchita con parmigiano, noce moscata o erbe aromatiche.

La cottura può avvenire in forno, per un risultato più leggero, oppure fritta in pastella, per chi vuole osare con croccantezza e sapore. La versione al forno consente di esaltare la naturale delicatezza degli ingredienti, mantenendo il piatto equilibrato, elegante, perfetto per un antipasto raffinato o un secondo vegetariano completo.


Ricetta per 4 persone

Ingredienti:

  • 12 fiori di zucca freschissimi

  • 250 g di ricotta di pecora (o vaccina ben scolata)

  • 2 cucchiai di parmigiano grattugiato

  • 1 uovo piccolo

  • Noce moscata q.b.

  • Sale e pepe nero macinato al momento

  • Erba cipollina o prezzemolo tritato (facoltativo)

  • Olio extravergine d’oliva

  • Pangrattato (per la versione al forno)

Procedimento:

  1. Pulizia dei fiori
    Eliminate delicatamente il gambo, i filamenti laterali e il pistillo interno. Sciacquateli brevemente sotto un filo d’acqua fredda e lasciateli asciugare su carta da cucina, aperti ma non strappati.

  2. Preparazione del ripieno
    In una ciotola mescolate la ricotta con il parmigiano, l’uovo, un pizzico di noce moscata, sale, pepe e, se desiderate, erbe tritate finemente. Il composto deve essere omogeneo ma non liquido. Se risulta troppo morbido, lasciate sgocciolare ulteriormente o unite un cucchiaio di pangrattato.

  3. Farcitura dei fiori
    Aiutandovi con una sac à poche o un cucchiaino, farcite ogni fiore per circa 2/3 della sua lunghezza. Richiudete leggermente le punte dei petali, arrotolandole su se stesse per sigillare il ripieno.

  4. Cottura in forno (versione leggera)
    Disponete i fiori farciti su una teglia leggermente unta o rivestita con carta forno. Spolverate con un po’ di pangrattato, irrorate con un filo d’olio e cuocete in forno statico preriscaldato a 180°C per 15-18 minuti, finché leggermente dorati in superficie.

  5. Cottura fritta (versione classica)
    Se preferite la versione fritta, preparate una pastella con farina, acqua frizzante freddissima e un pizzico di sale. Immergete i fiori già ripieni nella pastella e friggeteli in olio di arachidi ben caldo, finché dorati e croccanti. Scolate su carta assorbente e servite caldissimi.

I fiori di zucca ripieni di ricotta si abbinano perfettamente a vini bianchi secchi, minerali e floreali. Un Greco di Tufo ben strutturato, un Verdicchio dei Castelli di Jesi o un Etna Bianco possono esaltare la cremosità del ripieno senza sovrastarlo.

Se optate per la versione fritta, un Franciacorta Brut o un Metodo Classico Trentino secchi e con buona acidità aiuteranno a bilanciare la grassezza, lasciando il palato fresco e pulito.

Nel piatto dei fiori di zucca ripieni di ricotta convivono l’eleganza della forma, la genuinità del contenuto e il calore delle cucine familiari. Non è un piatto da preparare in fretta, e proprio per questo ha il valore delle cose pensate, dedicate, offerte.

È un esempio di come anche gli ingredienti più semplici – un latticino fresco, un fiore raccolto all’alba – possano dare origine a una preparazione che conquista occhi e palato. Una celebrazione della natura, delle mani pazienti e del sapore che nasce dal rispetto delle stagioni.

Ogni morso racconta un piccolo rito: un equilibrio tra leggerezza e sostanza, tra tradizione e delicatezza. E ogni primavera, quando tornano i fiori nei mercati e negli orti, la voglia di prepararli si rinnova con la stessa emozione di sempre.


La “Pizza Cilentana”: Alici, Olive Nere e Origano – Il fuoco ancestrale del Sud in un impasto vivo

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Nata nei forni a legna delle case rurali del Cilento, la pizza cilentana è un tesoro gastronomico che racconta storie di famiglie numerose, raccolti stagionali, mani impastate al ritmo delle stagioni. Diversa dalla pizza napoletana per forma, consistenza e spirito, questa variante rustica è il risultato diretto dell’incontro tra l’entroterra e il mare. Una sfoglia generosa, ben cotta, croccante ai bordi e morbida dentro, condita in superficie da pochi ingredienti forti, identitari, non mediati.

Gli elementi tipici? Alici sotto sale o sott’olio, rigorosamente pescate nel Tirreno meridionale. Olive nere cilentane, in genere della varietà “Salella”, piccole, polpose, dal gusto intenso e tendente all’amaro. Origano selvatico raccolto a mano, essiccato al sole e conservato come fosse oro. E infine il peperoncino, usato senza parsimonia, come simbolo di carattere e verità.

Questa pizza non era solo cibo. Era una celebrazione del raccolto, un pasto conviviale preparato durante le feste paesane o le domeniche d’estate, quando si accendeva il forno a legna e si cuocevano più pizze insieme, da consumare calde, fredde o il giorno dopo, magari arrotolate e portate nei campi come merenda di metà mattina.

Il segreto della pizza cilentana risiede in un impasto semplice ma preciso, spesso realizzato con semola rimacinata mista a farina di grano tenero, acqua, lievito e olio extravergine locale. La lunga lievitazione dona alla base una consistenza leggera, fragrante, che ben si presta a sopportare condimenti decisi senza perdere equilibrio.

Anche la cottura è parte essenziale del processo: tradizionalmente avviene su pietra refrattaria o direttamente nel forno a legna, a temperature elevate che garantiscono una doratura intensa, soprattutto ai bordi. La superficie, cosparsa con attenzione, diventa il palcoscenico di sapori archetipici.



Ricetta per una teglia rotonda da 35 cm

Ingredienti per l’impasto:

  • 300 g di farina tipo “0”

  • 100 g di semola rimacinata di grano duro

  • 250 ml di acqua tiepida

  • 3 g di lievito di birra secco (o 8 g fresco)

  • 1 cucchiaio raso di sale

  • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva

Ingredienti per il condimento:

  • 6 filetti di alici sott’olio (o sotto sale, dissalate)

  • 10-12 olive nere del Cilento (possibilmente Salella), denocciolate

  • 1 cucchiaio abbondante di origano secco

  • Peperoncino fresco tritato o secco q.b.

  • Olio extravergine d’oliva

  • (Facoltativo: qualche pomodorino schiacciato a mano)

Procedimento:

  1. Preparazione dell’impasto
    In una ciotola grande, sciogliete il lievito nell’acqua tiepida. Aggiungete le due farine, mescolate inizialmente con un cucchiaio, quindi aggiungete il sale e l’olio. Impastate per almeno 10 minuti fino a ottenere un composto liscio e omogeneo. Lasciate lievitare in un luogo tiepido per almeno 3 ore, coperto da un panno umido.

  2. Stesura e seconda lievitazione
    Una volta raddoppiato, stendete l’impasto direttamente nella teglia unta con olio. Lasciate riposare altri 30-40 minuti, coperto.

  3. Condimento
    Distribuite uniformemente le olive nere spezzettate con le dita, i filetti di alici tagliati a metà, abbondante origano e peperoncino a piacere. I più tradizionalisti evitano il pomodoro, ma se gradite, potete aggiungere qualche cucchiaiata di pomodorini schiacciati a mano, senza esagerare.

  4. Cottura
    Infornate in forno preriscaldato a 230°C per circa 20-25 minuti, finché la pizza sarà ben cotta, con i bordi dorati e croccanti. Sfornate e irrorate con un filo d’olio extravergine a crudo prima di servire.

Per accompagnare degnamente la pizza cilentana, servono vini che non temano l’intensità del condimento. Un rosato del Cilento DOC, ottenuto da uve Aglianico o Piedirosso, si sposa perfettamente grazie al suo corpo snello, la freschezza naturale e i sentori di ciliegia e spezie. Alternativamente, un Falanghina del Sannio o un Coda di Volpe, bianchi territoriali con struttura e mineralità, sono ottimi per bilanciare la sapidità delle alici e il calore del peperoncino.

La pizza cilentana con alici, olive nere, origano e peperoncino non è un cibo alla moda, non segue tendenze, non si piega a rivisitazioni gourmet. È schietta, intensa, radicata. Parla un dialetto antico, fatto di gesti contadini, mani abbronzate e occhi rivolti al mare.

Mangiarla è un’esperienza culturale oltre che culinaria: racconta del Cilento, delle sue colline profumate di timo selvatico, dei pescatori di Marina di Camerota e delle nonne che impastano a occhi chiusi, ricordando dosi tramandate a voce.

E quando, mordendone un pezzo ancora caldo, senti la croccantezza dell’impasto fondersi con l’umido salmastro delle alici, l’amaro delle olive e la carezza pungente del peperoncino, capisci che sei di fronte a qualcosa di essenziale. Una pizza che è orgoglio e appartenenza. Una pizza che non chiede scuse.



Rintrocilo al Sugo Trappitara: Tradizione Lucana nel Cuore del Grano

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Il rintrocilo è una pasta antica, corposa, scolpita a mano, che nasce nei paesi dell’entroterra lucano, dove la cucina è ancora un atto di resistenza alla fretta e al tempo. Il sugo alla trappitara, che ne accompagna il gusto, affonda le sue radici nelle tradizioni rurali legate alla raccolta e alla molitura delle olive, quando i contadini si riunivano nei “trappeti” — gli antichi frantoi — per lavorare insieme e condividere il poco che c’era, condito con ciò che la terra offriva con generosità: aglio, peperoni, pomodori secchi, olio nuovo.

Oggi, questa combinazione vive e respira nel piatto che vi racconterò: rintrocilo saltato con sugo alla trappitara, arricchito da peperone dolce e piccante. È una celebrazione della cultura contadina lucana, un piatto che riunisce il gesto lento della pasta fatta a mano e il brio vivace del peperone crusco. Ogni forchettata è un tuffo nella materia viva del Sud, dove ogni sapore ha un’identità netta e un carattere irriducibile.

In Basilicata, la figura del “trappitaro” era centrale nella microeconomia agricola: si occupava della frangitura delle olive ma anche della preparazione del fuoco, dell’olio, dei pasti. Il sugo alla trappitara, detto anche “condimento del frantoiano”, era un pasto povero quanto nutriente, pensato per scaldare gli animi e saziare chi lavorava ore al freddo.

Il suo profilo aromatico è deciso: base d’aglio, abbondante olio extravergine, peperone secco dolce e piccante, qualche pomodoro secco, all’occorrenza acciughe sotto sale o una punta di lardo per dare rotondità. Nulla di sofisticato, tutto intensamente vero.

Il rintrocilo, invece, è un formato ruvido, preparato a mano con semola di grano duro e acqua, spesso ottenuto arrotolando la pasta attorno a un ferretto (simile al ferro per fusilli). La sua anima è ruvida e adatta a trattenere sughi rustici e decisi, come appunto quello della tradizione trappitara.

Gli ingredienti (per 4 persone)

Per la pasta fresca (rintrocilo):

  • 400 g di semola rimacinata di grano duro

  • 200 ml di acqua tiepida

  • Un pizzico di sale

Per il sugo alla trappitara:

  • 4 cucchiai abbondanti di olio extravergine d’oliva lucano

  • 2 spicchi d’aglio in camicia

  • 4 peperoni secchi dolci (cruschi)

  • 1 peperone secco piccante

  • 3 pomodori secchi sott’olio

  • 2 filetti di acciuga sotto sale (facoltativi)

  • 1 cucchiaio di conserva di pomodoro densa (conserva casalinga o triplo concentrato)

  • Sale q.b.

  • Prezzemolo tritato fresco (facoltativo)

Preparazione: gesti antichi, precisione moderna

1. La pasta: lavorare con le mani
Versa la semola su una spianatoia, forma una fontana al centro e aggiungi l’acqua tiepida poco per volta, impastando energicamente fino a ottenere un panetto liscio e omogeneo. Lascia riposare coperto per 30 minuti.

Trascorso il tempo, stacca dei pezzi di pasta e forma dei lunghi cilindri del diametro di circa mezzo centimetro. Con l’aiuto di un ferretto (o di uno spiedino in metallo), arrotola la pasta su se stessa per ottenere una sorta di fusillo lungo. Estrai delicatamente il ferretto e lascia asciugare i rintrocili su un vassoio spolverato di semola.

2. Il sugo: aromi e fuoco lento
In una padella capiente, scalda l’olio extravergine con l’aglio in camicia. Quando l’aglio comincia a dorarsi, aggiungi le acciughe e lasciale sciogliere lentamente. Aggiungi quindi i pomodori secchi tagliati a listarelle e il cucchiaio di conserva.

Nel frattempo, friggi rapidamente i peperoni cruschi e quelli piccanti in olio caldo, facendo attenzione a non bruciarli (bastano pochi secondi per lato): devono diventare croccanti, non amari. Scolali e tienili da parte su carta assorbente. Sbriciola grossolanamente metà dei peperoni dolci e piccanti e aggiungili al sugo. L’altra metà servirà per la decorazione finale.

Fai cuocere il condimento a fuoco dolce per 10-15 minuti, regolando di sale solo alla fine.

3. Cottura e mantecatura
Cuoci i rintrocili in abbondante acqua salata per circa 6-7 minuti (il tempo varia in base allo spessore). Scolali al dente direttamente nella padella con il sugo, aggiungendo un mestolino d’acqua di cottura. Manteca energicamente per legare il tutto, lasciando che la pasta si lucidi e assorba il condimento.

4. Impiattamento e finitura
Distribuisci nei piatti e completa con i peperoni croccanti rimasti, un filo d’olio a crudo e, se lo gradisci, una spolverata leggera di prezzemolo tritato. Servi immediatamente, mentre il contrasto tra la cremosità del sugo e la croccantezza dei cruschi è ancora vivo.

Il piatto esprime una personalità intensa, speziata e leggermente affumicata. L’abbinamento più naturale è un Aglianico del Vulture, vino rosso vulcanico e strutturato, con tannini levigati e sentori di prugna, cuoio e spezie. La sua mineralità e profondità si sposano magnificamente con il sapore deciso del peperone secco e dell’acciuga.

Per chi predilige una bevanda più leggera, una birra ambrata artigianale, non filtrata, con note di caramello e un finale erbaceo, riesce a rinfrescare il palato e a reggere il confronto con la sapidità del piatto.

Il rintrocilo con sugo alla trappitara, arricchito con peperone dolce e piccante, è un piatto che parla il dialetto della terra, della fatica e della festa. Non cede a compromessi né a mode fugaci: resta saldo nella sua identità contadina e nella sua capacità di raccontare una Basilicata profonda, ruvida e generosa. È una pasta che esige rispetto, nella preparazione e nella degustazione, perché ogni suo elemento — dalla semola alle acciughe, dal peperone crusco all’olio novello — porta con sé un pezzo di storia, di paesaggio, di umanità.

Non è un piatto da fare di fretta: è una preparazione che richiede tempo, attenzione e una certa predisposizione all’ascolto. Ma la ricompensa è straordinaria: un sapore pieno, persistente, che sa di casa, di grano e di sole, come ogni vero piatto della cucina del Sud.

Melanzane Tricolore: l’Italia in un piatto, tra semplicità e splendore

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Nel cuore dell’estate mediterranea, quando la terra regala ortaggi succosi e pieni di vita, nasce uno dei piatti più vibranti e rappresentativi della cucina italiana: le Melanzane Tricolore. Una preparazione che racchiude nei suoi colori la bandiera nazionale e nei suoi sapori la storia contadina, la creatività delle nonne e l’eleganza della cucina contemporanea.

Parliamo di un antipasto o secondo piatto vegetariano che esalta i tre ingredienti cardinali della gastronomia nostrana: melanzane, pomodori e mozzarella. A completare l’armonia gustativa, non può mancare il basilico fresco, che insieme all’olio extravergine d’oliva crea un connubio aromatico capace di evocare, al primo assaggio, il sole e la passione delle tavole italiane.

Le melanzane, arrivate in Italia attraverso il mondo arabo, hanno trovato terreno fertile soprattutto nel Sud della penisola. Inizialmente guardate con sospetto, furono riscoperte nelle cucine popolari dove, grazie alla loro versatilità, divennero presto protagoniste di numerose ricette. La loro capacità di assorbire i sapori e restituirli in forma amplificata le rende ideali per piatti semplici ma intensi.

Le Melanzane Tricolore non hanno un’origine codificata, ma si inseriscono in quella vasta categoria di piatti nati dalla logica dell’“assemblaggio intelligente”: ortaggi cotti con cura, un formaggio morbido a contrastare e un tocco acido o aromatico a bilanciare il tutto. La forza di questa ricetta sta proprio nella sua accessibilità e nella capacità di esprimere l’Italia da Nord a Sud, cucchiaio dopo cucchiaio.

Ingredienti (per 4 persone)

  • 2 melanzane grandi

  • 300 g di mozzarella fiordilatte (o mozzarella di bufala ben sgocciolata)

  • 300 g di pomodorini datterini o ciliegini

  • 1 spicchio d’aglio

  • Olio extravergine di oliva q.b.

  • Sale e pepe nero q.b.

  • Foglie di basilico fresco

  • Origano secco (facoltativo)

  • Parmigiano Reggiano grattugiato (opzionale, per un tocco più intenso)

Preparazione: colori, profumi, armonie

1. Preparazione delle melanzane
Lava le melanzane, tagliale a fette rotonde di circa mezzo centimetro e disponile in uno scolapasta a strati, cospargendole di sale grosso per eliminare l’amaro. Lasciale riposare 30-40 minuti, poi risciacquale e asciugale bene con carta da cucina.

2. Cottura delle fette
Griglia le melanzane su una piastra ben calda o cuocile in forno a 200°C con un filo d’olio per circa 15 minuti, girandole a metà cottura. Devono risultare tenere ma non sfatte.

3. Preparazione del pomodoro
In una padella, scalda due cucchiai di olio con uno spicchio d’aglio. Aggiungi i pomodorini tagliati a metà, aggiusta di sale e lascia cuocere a fuoco vivo per 10 minuti, schiacciandoli leggermente per far uscire il succo. Se preferisci, puoi frullarli a fine cottura per ottenere una salsa liscia.

4. Composizione del piatto
Disponi le fette di melanzana su una teglia con carta forno. Sopra ciascuna, adagia un cucchiaio di pomodorini cotti, poi una fettina di mozzarella. Spolvera con un pizzico di origano e, se desideri, un velo leggero di parmigiano grattugiato. Inforna a 180°C per 10-15 minuti, giusto il tempo che la mozzarella si sciolga senza strabordare.

5. Decorazione e servizio
Una volta sfornate, guarnisci le Melanzane Tricolore con foglie di basilico fresco e un filo d’olio a crudo. Servile calde o a temperatura ambiente, accompagnate da una fetta di pane casereccio o da una focaccia appena tostata.

Il profilo aromatico delle Melanzane Tricolore, fatto di griglia, latticini freschi e note erbacee, si sposa alla perfezione con un vino bianco strutturato ma fresco come un Fiano di Avellino. Le sue note floreali e fruttate, unite a una buona acidità, bilanciano la grassezza della mozzarella e l'intensità della melanzana.

Per una versione analcolica, si può optare per un’acqua aromatizzata con fettine di limone e foglie di menta: una scelta semplice che dona freschezza e pulisce il palato tra un boccone e l’altro.

Le Melanzane Tricolore sono molto più di una semplice ricetta vegetariana. Sono un inno all’estate, alla cucina fatta con pochi ingredienti ma scelti con cura, all’amore per l’equilibrio e la bellezza. Rappresentano l’Italia nelle sue forme più autentiche: generosa, solare, conviviale. Un piatto che conquista con la semplicità e lascia un ricordo intenso, come una vacanza nel Sud più vero. Prepararle è un gesto d’amore verso chi le gusterà, ma anche verso la nostra tradizione gastronomica più luminosa.



Fritturina di Calamari: La Tradizione del Mare in un Piatto Croccante

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La frittura di calamari è uno dei piatti più amati e apprezzati della cucina mediterranea. Croccante all’esterno e tenera all’interno, la frittura di calamari è un piatto che evoca immagini di pranzi in riva al mare, di tavole imbandite di profumi e colori intensi. Nonostante la sua semplicità, la fritturina di calamari è in grado di conquistare i palati più esigenti, grazie alla sua delicatezza e al perfetto equilibrio tra il sapore del mare e la croccantezza della panatura.

La frittura di calamari ha radici antiche nella tradizione gastronomica italiana, in particolare nelle regioni costiere come la Sicilia, la Campania e la Puglia. Il calamaro, un mollusco di mare dal sapore delicato e dalla carne morbida, è sempre stato un ingrediente versatile, perfetto per essere cucinato in vari modi: dai sughi alle grigliate, fino appunto alla frittura. La frittura di calamari si è nel tempo trasformata in una vera e propria tradizione, simbolo della cucina rustica e genuina, amata non solo nei ristoranti di pesce ma anche nelle sagre estive e nei pranzi informali tra amici e familiari.

In molte zone d’Italia, la frittura di calamari è considerata il piatto perfetto per un incontro conviviale, dove il gusto e la leggerezza della preparazione si uniscono alla socialità del momento. Accompagnata da una spruzzata di limone e, talvolta, da un contorno di verdure fresche o una semplice insalata, la frittura di calamari è sempre un successo.

La frittura di calamari non richiede ingredienti sofisticati, ma è fondamentale che siano freschi e di alta qualità. Ecco cosa ti serve per preparare una fritturina di calamari perfetta.

Calamari Freschi: Scegli calamari freschissimi, preferibilmente di piccole dimensioni, che sono più teneri e delicati. Se non hai accesso a calamari freschi, puoi optare per quelli surgelati, ma assicurati che siano di buona qualità. I calamari vanno puliti con cura, rimuovendo le interiora, la pelle e l’osso centrale, per ottenere solo la parte commestibile.

Farina di Semola o Farina 00: Per una panatura leggera e croccante, puoi utilizzare farina di semola di grano duro, che conferisce una croccantezza maggiore rispetto alla farina 00. Tuttavia, entrambi i tipi di farina sono perfetti per ottenere una panatura che aderisca bene ai calamari.

Olio di Semi per Frittura: Per friggere i calamari, è importante utilizzare un olio di semi di girasole o mais, che resistano a temperature elevate senza alterare il sapore del piatto. L’olio deve essere abbondante e ben caldo, per ottenere una frittura croccante senza che l’olio penetri troppo nel calamaro.

Sale e Pepe: Il sale e il pepe sono essenziali per insaporire i calamari, ma ricordati di aggiungerli solo alla fine, per evitare che la panatura diventi troppo umida durante la frittura.

Limone: Un limone fresco è l’accompagnamento ideale per la frittura di calamari. Il succo di limone, spruzzato sui calamari appena fritti, esalta il loro sapore e dona una nota di freschezza che bilancia la croccantezza della panatura.

La preparazione della frittura di calamari è semplice, ma ci sono alcuni accorgimenti da seguire per ottenere una frittura perfetta, leggera e croccante. Ecco i passaggi da seguire:

  1. Pulizia dei Calamari: Inizia con la pulizia dei calamari. Se non sono già stati puliti, rimuovi la pelle esterna, la testa e le interiora. Taglia i tentacoli dalla testa, eliminando la parte più dura dell'osso centrale. Fai attenzione a non rompere il corpo del calamaro mentre lo pulisci. Una volta puliti, taglia i calamari a rondelle di circa 1-2 cm di larghezza. Puoi anche decidere di lasciarli interi se preferisci una frittura più rustica.

  2. Infarinatura: In un piatto fondo, versa la farina di semola (o la farina 00, se preferisci) e aggiungi un pizzico di sale e pepe. Mescola bene per distribuire uniformemente il condimento. Passa i calamari nella farina, assicurandoti che siano ben ricoperti su tutti i lati. La farina deve aderire leggermente, senza formare grumi.

  3. Frittura: In una padella ampia, versa l’olio di semi e portalo a una temperatura di circa 180°C. Per testare se l’olio è pronto, puoi immergere una piccola quantità di farina: se sfrigola immediatamente, l’olio è caldo a sufficienza. A questo punto, inizia a friggere i calamari in piccole quantità, senza sovraffollare la padella. Friggi per circa 2-3 minuti, fino a quando i calamari diventano dorati e croccanti. È importante non friggere troppo a lungo per evitare che diventino gommosi.

  4. Scolatura e Servizio: Rimuovi i calamari dalla padella con una schiumarola e adagiali su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso. Salali leggermente appena fuori dalla padella, mentre sono ancora caldi. Servi immediatamente, accompagnando con spicchi di limone fresco da spremere sopra i calamari.

Per accompagnare la fritturina di calamari, si consiglia un vino bianco fresco e minerale, che bilanci la ricchezza della frittura e la delicatezza del pesce. Un Vermentino di Sardegna o un Greco di Tufo saranno ideali per esaltare il piatto senza sovrastarlo. Se preferisci un vino spumante, un Prosecco brut potrebbe essere una scelta perfetta, con la sua effervescenza che pulisce il palato tra un boccone e l’altro.

La frittura di calamari è un piatto che riesce sempre a conquistare. La sua semplicità, la croccantezza della panatura e la delicatezza del calamaro lo rendono un piatto intramontabile della cucina mediterranea. Perfetta per un pranzo informale in famiglia, una cena estiva con gli amici o come antipasto durante una festa, la fritturina di calamari è sempre un successo. Basta seguire pochi accorgimenti per ottenere una frittura leggera, croccante e saporita, ideale per ogni occasione.


 
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