Cracco e la “cotoletta senza cotoletta”: provocazione gourmet o trovata da... bruschetta?

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Può un piatto senza il suo ingrediente principale continuare a chiamarsi allo stesso modo? È questa la domanda che nelle ultime ore infiamma social, critici gastronomici e cultori della tradizione milanese, dopo la nuova – e controversa – proposta dello chef stellato Carlo Cracco nel suo ristorante di alta cucina nel cuore di Milano: una “cotoletta” priva di carne, realizzata con pane raffermo ammollato in brodo d’ossa e scarti, poi fritto in burro e olio come si farebbe con la celebre orecchia d’elefante.

Il piatto, presentato con il nome volutamente provocatorio di “cotoletta di recupero”, è stato subito battezzato dagli utenti più polemici come “bruschetta fritta a 40 euro”, mentre altri ne hanno esaltato la creatività e l’approccio anti-spreco, in linea con i più recenti canoni della cucina sostenibile e circolare.

Cracco, del resto, non è nuovo a scelte che dividono. “È un omaggio alla città di Milano”, ha spiegato, “che parte dal recupero, dalla cucina povera, dalla capacità tutta lombarda di trasformare ciò che resta in qualcosa di degno. Non è una cotoletta tradizionale, è la sua eco culturale, la sua ombra gustativa”.

Nel piatto, niente vitello o maiale: solo pane vecchio, legato e ristrutturato dalla sapidità concentrata di un brodo ottenuto da ossa, cartilagini e ritagli, per poi essere impanato e fritto secondo i canoni classici. L’idea – dice lo chef – è quella di “cogliere l’essenza del piatto milanese per antonomasia, pur privandolo della carne, in un’ottica di riflessione contemporanea sullo spreco e sul consumo.”

Ma se l’alta cucina si nutre anche di narrazioni, i social non perdonano. L’indignazione di alcuni utenti non si è fatta attendere. “Cracco sta cercando di vendere una fetta di pane fritto a peso d’oro. Altro che cotoletta, questo è un crouton extralusso!” scrive un utente su X (ex Twitter). “Innovativo? Sì, nel prendere in giro la gente,” ironizza un altro.

Altri, però, difendono lo chef: “È un messaggio forte. Usa il linguaggio dell’alta cucina per far riflettere su quanto sprechiamo. E ci riesce.” E ancora: “Se lo avesse fatto un giovane cuoco etiope in un documentario Netflix, avremmo gridato al genio. Ma siccome lo fa Cracco a Milano, scatta la polemica.”

Al di là del clamore mediatico, il caso solleva interrogativi profondi sulla semantica del cibo: fino a che punto un piatto può essere destrutturato senza perdere la sua identità? Una “carbonara” senza uova e guanciale resta tale? Un “tiramisù” senza mascarpone può reggere il nome?

Cracco, da sempre al confine tra provocazione e classicismo, qui sembra voler sfidare il dogma della nomenclatura gastronomica, mantenendo il nome pur mutando la sostanza. È un gesto estetico e concettuale, più vicino all’arte contemporanea che alla trattoria di quartiere.

In realtà, il gesto dello chef milanese si inserisce in un movimento più ampio dell’alta cucina mondiale: quello che cerca valore nel recupero, nella materia di scarto, e che rilegge la tradizione come “contenitore fluido” piuttosto che come ricettario fisso. René Redzepi (Noma), Massimo Bottura (Osteria Francescana) e persino lo spagnolo Ángel León, definito “lo chef del mare”, hanno più volte costruito piatti iconici da elementi poveri o dimenticati.

Ma è evidente che il prezzo e il contesto fanno la differenza. La cotoletta di Cracco, servita in uno dei ristoranti più esclusivi di Milano, non è solo un piatto: è un discorso. Ed è proprio quel discorso a dividere: chi lo interpreta come riflessione alta sul consumo e sulla cultura alimentare, e chi invece lo considera un esercizio di stile snob, per palati ricchi e stomaci vuoti.

In definitiva, la “cotoletta senza cotoletta” è molto più di un piatto. È uno specchio della società contemporanea, dove le identità si scompongono e ricompongono, dove la memoria gastronomica si confronta con la crisi climatica, con i nuovi bisogni e con l’estetica dell’imperfezione. Cracco lo sa. E rilancia.

Che piaccia o no, il suo pane fritto parla. E, per una volta, ci costringe a chiederci: che cos’è davvero una cotoletta? E chi ha il diritto di dirlo?



Vitello fritto alla fiorentina: una rivisitazione leggera di un classico toscano

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La tradizione culinaria toscana è ricca di preparazioni che parlano di territorio, stagioni e sapori intensi, e fra queste spicca senza dubbio il celebre fritto misto alla fiorentina. Oggi vogliamo raccontarvi una versione più semplice e più leggera di questo piatto, proposta dallo chef Carlo Molon dello Sheraton Lake Como e membro della Compagnia degli Chef: il vitello fritto alla fiorentina.

Pur mantenendo la sua essenza autentica, questo piatto è pensato per valorizzare la delicatezza del vitello e offrire una preparazione meno complessa rispetto al tradizionale fritto misto, che prevede l’utilizzo di molteplici parti dell’animale, comprese animelle, cervello e fegato. Qui si predilige un taglio selezionato come la noce o lo scamone, scelti per la loro tenerezza e per una consistenza ideale alla frittura.

Il fritto misto alla fiorentina nasce come una celebrazione della ricchezza dei tagli meno nobili del vitello, una cucina di recupero che si è trasformata in arte. Nel corso degli anni è diventato un simbolo del patrimonio gastronomico toscano, apprezzato per la varietà di sapori e consistenze che riesce a esprimere.

Tradizionalmente, questa preparazione viene servita in occasioni speciali, momenti di festa in cui ogni parte dell’animale viene esaltata da una leggera impanatura e una frittura sapiente, per esaltare l’intensità del gusto e la croccantezza. La versione che vi presentiamo oggi si allontana da questa complessità per offrire un’alternativa più facile da replicare a casa, mantenendo però il rispetto per la materia prima e la cultura culinaria fiorentina.

La carne di vitello rappresenta una delle basi più versatili della cucina italiana. La noce e lo scamone sono tagli particolarmente indicati per questo tipo di preparazione. Si tratta di parti magre, con una struttura fibrosa fine, che garantiscono una consistenza morbida e un sapore delicato, perfetti per essere valorizzati da una marinatura e da una frittura leggera.

Il segreto sta proprio nella marinatura: il succo di limone, l’olio extravergine d’oliva, il sale e il pepe permettono alla carne di ammorbidire ulteriormente, e al tempo stesso di arricchirne il profilo aromatico. Questo passaggio non solo rende più succulenti i bocconcini di vitello, ma aiuta a bilanciare la naturale dolcezza della carne con una nota di freschezza.

La pastella, che avvolgerà la carne prima della frittura, deve essere creata con attenzione per ottenere la giusta consistenza: né troppo densa, né troppo liquida. La base prevede uova e latte, elementi che conferiscono morbidezza e leggerezza, a cui si aggiunge farina per raggiungere una densità equilibrata.

L’aggiunta di Grana Padano grattugiato e prezzemolo tritato dà carattere e una sfumatura aromatica che rende questa panatura particolarmente gustosa senza sovrastare la delicatezza della carne. Sale e pepe completano il condimento, consentendo un risultato armonico.

L’olio di semi di girasole, scelto per la sua alta soglia di fumo, permette di friggere a temperature adeguate senza alterare il sapore. I bocconcini di vitello, dopo essere stati passati nella pastella, vanno immersi nell’olio caldo fino a raggiungere una doratura uniforme, segno di una panatura perfetta e di una carne cotta ma ancora morbida all’interno.

È fondamentale mantenere la temperatura costante durante la cottura per evitare che il fritto assorba troppo olio, perdendo leggerezza e diventando pesante. I tempi di frittura sono brevi proprio per garantire che il vitello mantenga la sua naturale succosità.

La ricetta completa: Vitello fritto alla fiorentina

Ingredienti per 4 persone

  • 400 g di spezzatino di vitello (preferibilmente noce o scamone)

  • 1 limone (succo)

  • Olio extravergine di oliva qb

  • 2 uova

  • Farina qb

  • 1/2 bicchiere di latte

  • 50 g di Grana Padano grattugiato

  • 2 cucchiaini di prezzemolo tritato

  • Sale e pepe qb

  • Olio di semi di girasole per friggere

  • Funghi champignon trifolati per accompagnare

Preparazione

  1. Preparazione della carne
    Taglia a metà i cubetti di spezzatino per ottenere bocconcini più piccoli. Sbatti leggermente ogni pezzo con un batticarne per uniformare lo spessore.

  2. Marinatura
    Disponi i bocconcini in una ciotola e coprili con il succo di limone, un filo di olio extravergine d’oliva, sale e pepe. Lascia marinare per almeno due ore in frigorifero, affinché la carne si ammorbidisca e si insaporisca.

  3. Pastella
    In una ciotola, sbatti le uova con il latte. Aggiungi gradualmente la farina fino a raggiungere una consistenza media, che possa aderire bene senza risultare troppo pesante. Incorpora il Grana Padano e il prezzemolo, regola di sale e pepe.

  4. Frittura
    Riscalda abbondante olio di semi di girasole in una padella profonda. Passa i bocconcini di vitello nella pastella, assicurandoti che siano ben coperti, quindi immergili nell’olio caldo. Friggi fino a doratura uniforme, pochi minuti per lato.

  5. Scolare e servire
    Scola il vitello fritto su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso. Servi subito accompagnando con funghi champignon trifolati, il cui sapore terroso contrasta piacevolmente con la croccantezza della carne.

Il vitello fritto alla fiorentina, con la sua panatura leggera e il gusto delicato, si presta a essere accompagnato da contorni semplici ma saporiti. I funghi champignon trifolati, scelti dallo chef Molon, rappresentano l’abbinamento perfetto: la loro texture morbida e il gusto deciso bilanciano la croccantezza del fritto.

In alternativa, una insalata di rucola e pomodorini con un filo d’olio extravergine può aggiungere freschezza e contrasto.

Per quanto riguarda il vino, si suggerisce un bianco toscano strutturato, come un Vermentino, oppure un rosato delicato, che con la loro acidità e mineralità riescono a pulire il palato e ad accompagnare senza appesantire.

Questa versione del vitello fritto alla fiorentina rende accessibile un piatto della tradizione toscana con un approccio più semplice e leggero, senza rinunciare al gusto e alla qualità. La scelta attenta della carne, la marinatura e la pastella aromatica sono gli ingredienti fondamentali per ottenere un risultato elegante e bilanciato.

Portare in tavola questa preparazione significa omaggiare la cucina regionale in modo contemporaneo, capace di conquistare chiunque cerchi sapori autentici e tecniche rispettose della materia prima. Una ricetta che unisce storia, tecnica e piacere del palato in un abbraccio fragrante e irresistibile.



Costolette alla milanese: croccante tradizione nel cuore della Lombardia

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C’è un piatto che, più di molti altri, riesce a racchiudere l’identità gastronomica di Milano in una sola, fragrante forchettata. Le costolette alla milanese, con la loro panatura dorata e la carne tenera, sono da secoli emblema della cucina lombarda: semplici all’apparenza, ma tutt’altro che banali nella realizzazione.

Non è solo una cotoletta impanata. È un secondo piatto che nasce da regole ben precise, da rituali tramandati, da gesti che richiedono attenzione e precisione. Ogni passaggio contribuisce al risultato finale: croccante fuori, succosa dentro, e rigorosamente fritta nel burro chiarificato.

Nel corso del tempo, molti piatti hanno cercato di assomigliarle – alcune versioni più leggere, altre più creative – ma la costoletta alla milanese autentica resta un caposaldo inimitabile. Oggi la prepariamo insieme partendo dalle sue origini storiche, passando per i segreti della tecnica, fino ad arrivare a tavola, con qualche consiglio per l’abbinamento.

Le prime testimonianze della cotoletta alla milanese risalgono al Medioevo. Nel “Liber de coquina”, un manoscritto latino del XIII secolo, si fa riferimento a una preparazione che prevedeva carne impanata e fritta nel burro, molto simile a quella attuale. Ma è nel 1134 che compare un documento ufficiale che menziona una “lombolos cum panitio”, ovvero lombata impanata: una portata servita ai canonici di Sant'Ambrogio durante i banchetti solenni.

Questo fa della cotoletta un piatto che ha attraversato i secoli, mantenendo intatta la sua struttura e la sua popolarità. Alcuni storici gastronomici italiani la difendono strenuamente da paragoni con la Wiener Schnitzel viennese, che sarebbe comparsa solo secoli dopo.

A Milano, la tradizione vuole che la costoletta venga preparata con la carne attaccata all’osso, elemento distintivo rispetto ad altre cotolette italiane. Ed è proprio questa struttura che conferisce al piatto una presenza scenica immediata.

La base per una vera costoletta alla milanese è la lombata di vitello con l’osso, idealmente ricavata dal carré. Il taglio dev’essere alto circa 3-4 centimetri, con l’osso ben visibile: questo non solo migliora la cottura, ma aiuta anche a mantenere la carne tenera e umida.

È importante che il macellaio elimini la pelle esterna e i nervetti, per evitare che la carne si arricci in padella. Dopo la pulizia, il secondo gesto fondamentale è battere leggermente la fetta con un batticarne, per rendere la fibra più tenera e uniforme nella cottura.

L’uovo sbattuto serve da collante. La carne deve essere immersa con cura, rigirata più volte per garantirne la copertura. Subito dopo, il passaggio nel pangrattato finissimo è cruciale: va fatto aderire bene con le mani, premendo leggermente.

A differenza di altre impanature, qui non è previsto l’uso della farina, né del doppio passaggio. La crosta che si formerà sarà sottile, dorata e croccante, senza coprire il sapore della carne.

Una padella larga, idealmente di ferro o rame stagnato, permette di cuocere due o più costolette contemporaneamente senza sovrapporle. Il burro chiarificato, che resiste alle alte temperature senza bruciare, è il grasso ideale per questa frittura.

Le costolette vanno cotte a fiamma media, girandole una sola volta per lato. L’obiettivo è ottenere una crosta uniforme e asciutta, con un colore dorato intenso. A fine cottura, vanno disposte su carta assorbente per eliminare l’eccesso di burro, ma senza asciugarle troppo.

Un piccolo trucco: irrorare le costolette con il burro di cottura caldo prima di servirle, per esaltarne il sapore e restituire brillantezza alla panatura.

Ricetta: Costolette alla milanese

Ingredienti per 4 persone

  • 4 costolette di vitello con l’osso (spesse circa 3 cm)

  • 2 uova grandi

  • 100 g burro chiarificato (più altro per servire)

  • Pangrattato q.b.

  • Sale q.b.

Preparazione

  1. Prepara la carne
    Elimina la pelle e i nervetti dalle costolette (chiedi al macellaio di fiducia). Appiattisci leggermente ogni fetta con un batticarne, facendo attenzione a non rompere la fibra.

  2. Impanatura
    In un piatto fondo, sbatti le uova con un pizzico di sale. In un altro piatto, distribuisci il pangrattato in uno strato uniforme. Passa le costolette prima nell’uovo, poi nel pane, premendo con le mani per far aderire bene la panatura.

  3. Cottura
    In una padella capiente, fai sciogliere il burro chiarificato a fuoco medio. Quando è caldo ma non fumante, adagia le costolette e cuocile 6-7 minuti per lato, girandole una sola volta. Devono diventare dorate e croccanti. Scolale su carta assorbente.

  4. Servizio
    Disponi le costolette su un piatto da portata, irrorale con un cucchiaio di burro caldo filtrato e aggiungi un pizzico di sale. Servile subito, ben calde.

Le costolette alla milanese, con la loro grassezza bilanciata dalla croccantezza esterna, si sposano bene con contorni leggeri e freschi. I più classici sono:

  • Insalata verde con limone e olio d’oliva

  • Pomodori datterini con origano e cipolla rossa

  • Patate novelle al forno o bollite

Per chi ama la tradizione milanese, l’abbinamento ideale resta con risotto allo zafferano, servito come primo piatto prima della cotoletta.

Per il vino, si consiglia un bianco strutturato o un rosso giovane con poca tannicità. Ottimi un Lugana, un Franciacorta Brut oppure un Bonarda dell’Oltrepò Pavese.

La costoletta alla milanese è una ricetta che non ammette scorciatoie. Ogni elemento, dalla scelta della carne alla qualità del burro, concorre a definire un gusto che è allo stesso tempo elegante e confortante.

È un piatto che si prepara con lentezza e cura, perfetto per un pranzo domenicale o una cena che vuole rendere omaggio alla cucina lombarda più autentica. Prepararla significa non solo riproporre una tradizione, ma difendere un modo di cucinare che non accetta compromessi.

E mentre i profumi del burro e della carne si diffondono per casa, ci si accorge che la semplicità – quella vera – ha bisogno di rigore. Come tutte le cose che durano nel tempo.



Zuppa Santella con Scarola e Polpette: la minestra contadina che racconta due regioni

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C’è qualcosa di profondamente rassicurante in una zuppa. Non solo per il calore che sprigiona, ma per la storia che racchiude. Alcuni piatti attraversano i secoli portando con sé tracce di gesti antichi, di stagioni passate e confini valicati a piedi o a dorso di mulo. La zuppa santella è una di queste ricette: nasce da una tradizione molisana, si trasforma attraversando la linea invisibile che separa il Molise dalla Campania, e prende una nuova forma a base di scarola e polpettine.

Originaria di Agnone, piccolo centro dell’Alto Molise, la ricetta affonda le sue radici nella zuppa alla Santè, nome che in dialetto suona come “zuppa della salute” e che un tempo veniva servita durante le feste di Natale come piatto beneaugurante. Con il passare degli anni, varcando i confini provinciali, questo piatto si è adattato al territorio e alla disponibilità stagionale degli ingredienti, trasformandosi nella zuppa santella che oggi conosciamo: un piatto nutriente, umile nei componenti ma straordinariamente ricco di sapori.

Perfetta per una giornata qualunque di marzo – magari quando la pioggia batte lenta sui vetri o il vento ancora freddo scoraggia le uscite – questa minestra rappresenta un piccolo atto di resistenza domestica: cuocere lentamente, profumare la casa, nutrire nel profondo.

La base della zuppa santella è un brodo di carne che va curato con attenzione. Si possono usare diversi tagli, ma qui suggerisco la guancia di vitello, una parte ricca di collagene che regala corpo e sapore senza eccessiva intensità. Le verdure – sedano, carota, cipolla – non devono mancare, così come un mazzetto di erbe aromatiche legato con spago da cucina: alloro, prezzemolo, magari un accenno di rosmarino.

Il brodo cuoce lentamente, schiumato con pazienza, e viene salato solo al termine per non alterarne la concentrazione. Si può preparare anche il giorno prima e conservare in frigorifero, così da poter eliminare il grasso in superficie con maggiore facilità.

Attraversato il confine campano, la zuppa accoglie un ingrediente che ne cambia completamente il carattere: la scarola. Non quella liscia e tenera da insalata, ma quella più resistente e croccante, perfetta per la cottura. Sbollentata brevemente e poi passata in acqua e ghiaccio, mantiene il suo colore verde brillante e regala alla zuppa una nota vegetale amarognola che bilancia la morbidezza delle polpettine.

La scarola è una verdura tipica dei mesi freddi, resistente, versatile, e proprio per questo largamente utilizzata nella cucina dell’entroterra campano. Il suo inserimento nella zuppa santella è un esempio di come le tradizioni locali non siano mai immobili ma si modellino sul presente, pur conservando una memoria viva.

Nulla è lasciato al caso. Le polpettine, piccole quanto una nocciola, si preparano con macinato di vitello, uovo, pane raffermo ammollato, parmigiano, sale e pepe. Un impasto semplice, dove il pane, ben strizzato, regala leggerezza, e il formaggio aggiunge sapidità.

Vanno cotte velocemente in padella con un filo d’olio, giusto il tempo di formare una leggera crosticina esterna, che le proteggerà nel brodo senza farle disfare. Una volta immerse nella zuppa, completano il piatto con la loro delicatezza e lo arricchiscono con proteine e sapore.

La ricetta della Zuppa Santella con Scarola e Polpette

Ingredienti per 4 persone

Per il brodo:

  • 1 guancia di vitello (o altro taglio simile)

  • 1 costa di sedano

  • 1 carota

  • 1 cipolla bianca

  • 1 mazzetto di erbe aromatiche (alloro, prezzemolo, timo)

  • Sale grosso q.b.

Per la zuppa:

  • 1 cespo di scarola

  • 300 g di macinato di vitello

  • 1 uovo

  • 1 cucchiaio di Parmigiano grattugiato

  • 2 fette di pane raffermo (ammollate in latte o acqua e ben strizzate)

  • Sale e pepe q.b.

  • Olio extravergine d’oliva

Facoltativi:

  • Crostini di pane

  • Un filo di olio a crudo per completare

Preparazione

1. Il brodo
In una pentola capiente, inserisci la carne, le verdure pulite e tagliate grossolanamente, e le erbe legate. Copri con abbondante acqua fredda e porta a bollore. Schiuma con un mestolo man mano che si forma l’impurità in superficie. Lascia cuocere a fuoco basso per almeno due ore. A fine cottura, filtra il brodo e regola di sale.

2. La scarola
Lava bene la scarola, eliminando le foglie rovinate. Sbollentala in acqua salata per 10 minuti, poi scolala e immergila in una bacinella con acqua e ghiaccio. Questo passaggio serve a mantenere vivo il colore. Quando è fredda, strizzala leggermente e tienila da parte.

3. Le polpettine
In una ciotola mescola la carne macinata con l’uovo, il pane ammollato e strizzato, il Parmigiano, sale e pepe. Lavora l’impasto fino a ottenere una consistenza morbida ma compatta. Forma delle polpettine molto piccole, grandi quanto una nocciola. Scalda un filo d’olio in padella e rosolale brevemente su tutti i lati.

4. Assemblaggio
Riporta il brodo a leggero bollore, aggiungi le polpettine e lasciale sobbollire per circa 10 minuti. Aggiungi la scarola e lascia insaporire ancora qualche minuto.

Servi la zuppa calda, completando con crostini di pane rustico e, se desideri, un giro d’olio extravergine a crudo.

Questa zuppa, pur nella sua semplicità, ha un equilibrio complesso di sapori: la dolcezza del brodo, l’amaro della scarola, la morbidezza delle polpettine. Per accompagnarla, puoi optare per un vino bianco strutturato, come un Greco di Tufo, oppure un rosato molisano che tenga testa al brodo senza sovrastarlo.

Come secondo, basterà un piatto di formaggi locali con miele e noci, oppure un’insalata di arance, finocchi e olive nere. Per concludere, una fetta di ciambella rustica o una crostata con confettura di uva fragola.

La zuppa santella è la dimostrazione concreta che cucina di territorio non significa povertà, ma attenzione, stagionalità e rispetto per ciò che si ha. È un piatto che non alza mai la voce ma resta impresso. Cucinata in un giorno qualsiasi, regala una sensazione di completezza e calore che difficilmente si dimentica.

In un tempo in cui tutto deve stupire, questa zuppa invita a rallentare, a ritrovare il piacere dei gesti misurati, dei profumi familiari, dei pasti condivisi senza fretta. Un piatto antico, ma sempre attuale.


Tagliatelle con ragù bianco di vitello, tartufo e crema di Parmigiano: un primo piatto per sorprendere anche un mercoledì qualunque

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Non serve attendere un’occasione speciale per concedersi un piatto capace di cambiare il tono di una giornata. A volte basta un mercoledì di marzo, quando l’inverno sta lentamente lasciando spazio alla primavera, per ritagliarsi una parentesi di cura, bellezza e gusto. È proprio in giorni come questi che una ricetta come le tagliatelle con ragù bianco di vitello, tartufo e crema di Parmigiano riesce a fare la differenza: elegante ma non pretenziosa, ricca ma bilanciata, perfetta per chi vuole concedersi un momento di piacere nel mezzo della settimana.

L’idea di portare in tavola un piatto così strutturato in un giorno feriale può sembrare azzardata, ma è proprio nei ritmi ordinari che riscopriamo il valore delle piccole cose. Preparare un ragù bianco, lasciarlo sobbollire lentamente mentre fuori piove o si alza il primo sole primaverile, aggiungere una fonduta morbida e profumata di Parmigiano, affettare con attenzione il tartufo bianco... tutto questo non è solo cucina: è un gesto di attenzione verso sé stessi, una forma concreta di benessere.

In questa ricetta, il ragù di vitello – chiaro, gentile, aromatico – incontra la complessità del tartufo e la rotondità di una crema al Parmigiano. È una combinazione che parla di boschi umbri e cascine emiliane, di pranzi lenti e cucina d’affetto. Perfetta per una sera in cui hai voglia di spegnere il telefono e accendere il fornello.

La ricetta

Ingredienti per 4 persone

  • 320 g di tagliatelle all’uovo fresche

  • 500 g di macinato di vitello

  • 1 carota

  • 1 gambo di sedano

  • 1 cipolla bianca

  • 1 rametto di timo fresco

  • 1 bicchierino di Marsala secco

  • Brodo di vitello q.b.

  • 80 g di Parmigiano Reggiano grattugiato

  • 100 ml di panna fresca

  • 30 g di burro

  • Tartufo bianco fresco q.b.

  • Sale e pepe nero macinato al momento

Preparazione passo passo

1. Il ragù bianco

Trita finemente sedano, carota e cipolla. In una casseruola capiente, fai sciogliere 20 g di burro e rosola il trito per circa 5 minuti a fuoco dolce, fino a quando sarà tenero e profumato. Aggiungi il macinato di vitello e mescola con cura, lasciando rosolare la carne finché non prende colore.

Sfuma con il Marsala, aggiungi il rametto di timo, regola di sale e pepe e, una volta evaporato l’alcool, versa un mestolo di brodo caldo. Copri e cuoci a fiamma bassa per 30 minuti, aggiungendo brodo se necessario: il risultato dovrà essere un sugo cremoso, leggero, ma ricco di sapore.

2. La crema di Parmigiano

Scalda la panna in un pentolino fino a quasi raggiungere il bollore. Abbassa la fiamma e incorpora gradualmente il Parmigiano, mescolando con una frusta fino a ottenere una crema liscia e vellutata. Tieni da parte, coperta, senza farla addensare troppo.

3. La pasta

Cuoci le tagliatelle in abbondante acqua salata bollente. Scolale al dente direttamente nella casseruola con il ragù di vitello, aggiungendo un po’ di acqua di cottura o di brodo per facilitare la mantecatura. Unisci una piccola noce di burro e mescola delicatamente finché la pasta non sarà lucida e ben condita.

Distribuisci le tagliatelle nei piatti formando un nido al centro. Versa un cucchiaio abbondante di crema di Parmigiano su ciascuna porzione e termina con il tartufo bianco affettato finemente. Se vuoi aggiungere un ulteriore tocco aromatico, qualche foglia fresca di timo completerà perfettamente il piatto.

Servi subito, quando il profumo del tartufo è ancora vivo e la pasta calda ne esalta gli aromi.

Un piatto come questo merita un vino bianco dal corpo deciso e una buona struttura. Un Fiano di Avellino, un Lugana Riserva o un Friulano dei Colli Orientali possono accompagnare egregiamente i toni avvolgenti della crema di Parmigiano e il profilo boschivo del tartufo.

Per completare il pasto, scegli contorni leggeri ma interessanti. Una insalatina di valeriana, pere e nocciole tostate, condita con un filo d’olio extravergine, aggiunge freschezza e croccantezza. In alternativa, una crema di topinambur o una zuppetta di porri e patate possono accompagnare senza sovrastare.

Cucinare queste tagliatelle in un giorno qualunque, come può essere un mercoledì di marzo, è un gesto che rompe la routine con eleganza. È un invito a rallentare, a ritrovare attenzione nei gesti quotidiani. Non serve un evento particolare per rendere il pranzo o la cena speciali: basta scegliere ingredienti buoni, accendere i fornelli e ascoltare i profumi che si diffondono nella cucina.

Le tagliatelle con ragù bianco di vitello, tartufo e crema di Parmigiano ci ricordano che l’eccellenza non è una questione di calendario, ma di intenzione. Una ricetta che, proprio per questo, vale la pena preparare quando meno te lo aspetti — e proprio allora sarà la più apprezzata.


Braciola alla messinese: gli involtini ripieni che raccontano la Sicilia

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La Sicilia è una terra che parla attraverso i suoi piatti. Ogni ricetta tramandata di generazione in generazione racchiude memorie, riti familiari e un profondo legame con il territorio. Tra queste, la braciola alla messinese occupa un posto d’onore. Nata come piatto povero ma sapiente, capace di valorizzare pochi ingredienti con grande maestria, è oggi una delle preparazioni più amate e riproposte nelle case siciliane e nei ristoranti che rispettano la tradizione.

Nonostante il nome “braciola” possa trarre in inganno, non si tratta della classica fetta di carne da grigliare, bensì di sottili fettine di vitello arrotolate su se stesse, farcite con un ripieno rustico a base di pangrattato, pecorino, aglio, prezzemolo e cubetti di formaggio. Una volta infilzate sugli spiedi, queste piccole delizie vengono cotte rapidamente alla griglia o in padella, formando all’esterno una leggera crosticina e custodendo all’interno un cuore morbido e aromatico.

Ogni famiglia messinese custodisce la propria versione, con piccole variazioni che vanno dalla scelta del formaggio alla quantità di prezzemolo, ma ciò che non cambia mai è l’approccio artigianale e l’attenzione al dettaglio nella preparazione.

Quella delle braciole alla messinese è una ricetta adatta anche a chi ha poca dimestichezza in cucina. La preparazione è semplice, gli ingredienti facilmente reperibili e la cottura rapidissima. Bastano meno di venti minuti per portare in tavola un piatto ricco, saporito e appagante.

Questa caratteristica le rende ideali non solo per i pranzi della domenica, ma anche per una cena informale o un’occasione speciale in cui si voglia stupire senza passare ore ai fornelli. Inoltre, la presentazione su spiedo, oltre ad agevolare la cottura uniforme, regala un aspetto ordinato e conviviale che stimola l’appetito al solo sguardo.

Ingredienti

Per 6 spiedini da circa 8 involtini ciascuno:

  • 400 g di carpaccio di vitello (fette sottilissime)

  • 150 g di pangrattato, meglio se leggermente umido o "morbido"

  • 100 g di pecorino romano grattugiato

  • 80 g di provola ragusana o provolone piccante a cubetti

  • 1 spicchio d’aglio tritato finemente, privato dell’anima

  • Prezzemolo fresco tritato q.b.

  • 100 ml di olio extravergine di oliva

  • Sale e pepe q.b.

Preparazione passo passo

  1. Preparare il ripieno: In una ciotola capiente, unire il pangrattato, il pecorino, l’aglio tritato, il prezzemolo, un pizzico di sale e una macinata di pepe. Versare l’olio extravergine a filo e mescolare con una forchetta fino a ottenere un composto umido ma sgranato.

  2. Farcire la carne: Stendere le fettine di carpaccio su un tagliere. Se sono troppo grandi, dividerle a metà. Su ogni fetta sistemare una piccola quantità di ripieno e un cubetto di formaggio al centro.

  3. Arrotolare gli involtini: Ripiegare prima i lati corti della fettina verso l’interno, poi arrotolarla saldamente partendo da un’estremità. Una volta formati gli involtini, comprimerli leggermente nel palmo della mano per sigillarli meglio.

  4. Infilzarli e impanarli: Infilzare gli involtini su spiedini di legno, alternando eventuali foglie di alloro o cubetti di cipolla per profumare. Una volta completati gli spiedi, passarli delicatamente nel pangrattato rimasto per creare una crosticina in superficie.

  5. Cottura: Cuocere su griglia ben calda o padella antiaderente con un filo d’olio a fiamma media. Bastano 3 minuti per lato: il tempo sufficiente a dorare l’esterno e far fondere il formaggio all’interno.

  6. Servizio: Servire gli spiedini ben caldi, magari direttamente sul piatto con uno stuzzicadenti più corto per ogni involtino, oppure interi come portata centrale da cui ognuno si serve.

Il composto di pangrattato e formaggio è una base tradizionale della cucina siciliana. Si ritrova in numerose preparazioni, dalle melanzane ripiene alla cotoletta alla palermitana. Se ne avanza, può essere impiegato in modo creativo:

  • Come frittatina: Aggiungendo un uovo ogni 80 g di ripieno e versandolo in padella con olio caldo, si ottiene una frittatina rustica perfetta per un antipasto o un panino gustoso.

  • Come gratinatura: Può essere distribuito su verdure al forno per una crosticina dorata e saporita.

Il carpaccio di vitello è la scelta migliore per garantire tenerezza e rapidità di cottura. La carne deve essere tagliata sottilmente e priva di nervature. In alternativa si può usare manzo, purché tagliato in fette molto sottili e battuto con il batticarne per ammorbidirlo.

Evita tagli troppo grassi o fibrosi: comprometterebbero la struttura e renderebbero più difficile ottenere involtini uniformi.

Per valorizzare al meglio la braciola alla messinese, si consiglia un contorno semplice ma ben bilanciato:

  • Insalata di arance e finocchi: Fresca e profumata, aiuta a pulire il palato tra un boccone e l’altro.

  • Verdure grigliate: Zucchine, melanzane e peperoni, magari condite con una vinaigrette agli agrumi.

  • Patate al forno con rosmarino: Una scelta classica ma sempre gradita.

Per quanto riguarda il vino, un rosso siciliano giovane, come un Nero d’Avola non troppo strutturato o un Frappato, accompagna perfettamente la sapidità della carne e dei formaggi. Chi preferisce il bianco, può optare per un Grillo o un Inzolia ben freddo.

Le braciole alla messinese sono un piccolo gioiello della cucina siciliana, che esprimono in ogni morso la maestria contadina e l’amore per la materia prima. Facili da realizzare e dal successo garantito, offrono un’esperienza gustativa completa: croccantezza, morbidezza, sapidità e profumo si fondono in un equilibrio che soddisfa tutti i sensi.

Prepararle è un gesto che sa di casa, di domeniche in famiglia, di tavole allegre e profumi che invadono la cucina. È proprio in queste ricette che la cucina regionale italiana dimostra il suo valore più autentico: saper trasformare ingredienti semplici in piatti che restano impressi nella memoria.





Tagliata di vitello in crosta di erbe aromatiche: leggerezza, profumo e precisione in cucina

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C’è un fascino antico nella semplicità della carne grigliata, e una soddisfazione quasi chirurgica nel tagliarla a fette perfette, ancora rosate all’interno. Ma la semplicità, in cucina, spesso è solo apparenza: richiede attenzione, qualità e rispetto per la materia prima. La tagliata di vitello in crosta di erbe aromatiche incarna tutto questo. Un piatto essenziale e preciso, in cui ogni ingrediente ha un ruolo fondamentale, ogni passaggio fa la differenza. Oggi vi propongo una versione che esalta la delicatezza della carne di vitello senza sovraccaricarla, grazie a una crosta profumata di erbe mediterranee e un contorno che ne bilancia sapidità e consistenza.

L'ispirazione per questa ricetta nasce da una conversazione con Valeria Airoldi, appassionata di cucina salutare e sportiva per vocazione. Il concetto era chiaro: preparare un piatto appagante ma senza eccessi, in grado di esaltare le qualità del vitello — carne tenera, magra, naturalmente saporita — grazie all'uso sapiente delle erbe aromatiche. Niente salse coprenti, niente impanature o fritture: solo un velo di timo, maggiorana, aneto e rosmarino, un buon taglio di carne e una cottura calibrata al grado.

L’utilizzo delle erbe non è solo un vezzo aromatico: la crosta che si crea durante la rosolatura protegge la carne, ne trattiene i succhi e regala profumo ad ogni boccone. E poi c’è il collagene naturalmente presente nel vitello che, una volta a contatto con il calore, aiuta le erbe ad aderire alla superficie, senza bisogno di uova o pane.

Ingredienti per 4 persone

  • 800 g di scamone di vitello (in un solo pezzo, oppure tagliato in 2 tranci spessi)

  • 20 g di rosmarino sfogliato

  • 20 g di timo fresco

  • 20 g di maggiorana

  • 20 g di aneto

  • Sale e pepe q.b.

  • Olio extravergine d’oliva

Per accompagnare:

  • Patate rosse (4 medie), con buccia

  • Parmigiano Reggiano grattugiato (facoltativo)

  • 1 finocchio fresco

Preparazione: metodo e temperatura fanno la differenza

1. Il letto aromatico
Lavate e asciugate accuratamente tutte le erbe aromatiche. Tritatele finemente con un coltello affilato, cercando di non schiacciarle. Versatele in una ciotola, aggiungete un pizzico di sale e una macinata di pepe. Massaggiate il mix su tutta la superficie della carne, premendo leggermente per far aderire bene le erbe.

2. Rosolatura
Scaldate una griglia in ghisa o una padella antiaderente. Ungetela leggermente con un filo d’olio. Quando è ben calda, adagiatevi il vitello e lasciatelo cuocere su un lato per circa 2 minuti, poi giratelo e proseguite per altri 3 minuti sull’altro lato. La superficie deve risultare ben sigillata, ma l’interno ancora morbido.

3. Finitura in forno
Preriscaldate il forno a 250 °C in modalità grill. Trasferite la carne in una teglia con un filo d’olio e, se desiderate una crosticina più marcata, spolverate con un po’ di pangrattato aromatizzato alle erbe. Infornate sul ripiano centrale per 3–4 minuti. Per una cottura precisa, affidatevi a un termometro da cucina: la carne sarà al sangue a 45 °C, media a 55 °C. Non superate i 60 °C se volete evitare che il vitello si asciughi.

4. Riposo e taglio
Appena fuori dal forno, lasciate riposare la carne coperta da un foglio di alluminio per 3–5 minuti. Questo passaggio è fondamentale: permette ai succhi di redistribuirsi, mantenendo la tagliata morbida e succosa. Poi affettate in diagonale con un coltello affilato.

Il contorno: patate rosse al forno e finocchio crudo

Le patate rosse sono perfette in questa ricetta per la loro polpa soda e il gusto più deciso rispetto alle classiche patate gialle. Lavatele bene, tagliatele a spicchi e disponetele su una teglia con carta forno. Conditele con olio, sale e una spolverata di parmigiano grattugiato. Cuocetele a 200 °C per circa 25 minuti, girandole a metà cottura.

Il finocchio crudo, affettato sottilissimo, aggiunge una nota fresca e croccante che bilancia la dolcezza della carne e la sapidità delle patate. Potete condirlo con qualche goccia di limone e un filo d’olio.

Per una tagliata di vitello così aromatica e tenera, l’abbinamento ideale è con un vino bianco strutturato o un rosso giovane ma non eccessivamente tannico.
Suggerimenti:

  • Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore: note floreali e un sorso minerale accompagnano senza coprire.

  • Pinot Nero dell’Alto Adige: fresco, leggero, con profumi di frutti rossi, ideale per una carne delicata come il vitello.

  • Per chi preferisce le birre: una blonde ale artigianale, leggermente amara e fruttata, si sposa bene con la crosta erbacea.

La tagliata in crosta di erbe aromatiche è un esempio riuscito di come la cucina salutare non debba essere rinunciataria. Al contrario, può essere elegante, ricca di contrasti, capace di esaltare i sapori autentici attraverso tecniche semplici e ingredienti ben scelti. È una preparazione che si presta a cene importanti, ma anche a pranzi leggeri e nutrienti.

Provate questa versione e scoprite come una manciata di erbe fresche possa trasformare un taglio di carne in qualcosa di sorprendente, dove la leggerezza non è mai sinonimo di banalità, ma frutto di precisione, misura e attenzione al dettaglio.


 
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