Ravioli al vapore

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I ravioli al vapore sono un piatto di pasta ripiena cotta al vapore diffuso in vari paesi del mondo.
Ne sono esempi:
  • Baozi - panino ripieno cotto al vapore, tipico della cucina cinese
  • Jiaozi - raviolo al vapore molto popolare in Cina, Giappone e Corea
  • Manti - pasta ripiena tipico della cucina turca, delle cucine caucasiche e dell'Asia centrale, di norma cotta al vapore
  • Nikuman - impasto salato di farina e acqua ripieno di carne di maiale, tipico della cucina giapponese
  • Wonton - formato di pasta ripiena tipico della cucina cinese
  • Mandu - pasta ripiena tipica della cucina coreana

Saganaki

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Il saganàki (greco: σαγανάκι) è una preparazione gastronomica a base di formaggio saltato in padella, tipica della cucina greca. Il nome deriva dalla tecnica stessa di preparazione, che si fa utilizzando una padella leggermente concava particolare, con due manici laterali, che in Turchia è chiamata sahan. In pratica, consiste nel friggere il formaggio, che di solito è graviera o κefalotiri, anche se sono usati spesso formaela, la feta e un formaggio tipico di Cipro, il halloumi.

Ci possono essere variazioni, la più importante delle quali dipende dal fatto che qualcuno prepara il formaggio sulla piastra, grigliato, mentre in altri casi il formaggio - sempre comunque tagliato in fette alte non più di 5 mm - è fritto dopo essere stato impanato con pan grattato o farina. Alcuni rifiniscono la preparazione con una leggera flambatura.

Il saganaki normalmente è servito da solo, con l'aggiunta (a piacere) di poche gocce di limone. In alcuni casi possono essere presentati anche dei contorni quali gamberetti, cozze o altro.

Come antipasto, il saganaki è servito accompagnato dall'ouzo o da altra bibita alcolica.





Quali sono le migliori strategie marketing per un nuovo ristorante?

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Qualche mese fa ho incominciato a lavorare per costruire una strategia di un locale in cui il ristorante è il maggior core business. Utilizzo il termine locale perché è aperto 7 giorni su 7 dalla colazione al dopo cena. Dopo tanti anni il gestore del locale non se l’è più sentita di andare avanti da solo. Per cui ha chiesto aiuto per tirare su nuovamente il locale. Ho creato una mini case history sopra. Per ora ho completato soltanto la fase di pre-analisi. Sul sito dell’agenzia pubblicheremo la case history completa.
Era la prima volta che mi capitava una scomessa del genere. Per quanto mi riguarda la cucina è già creativa di suo e vive su regole di comunicazione non scritte.
La prima cosa che ho fatto è stata quella di accendere il cervello e pensare che cosa io da cliente vorrei trovare in un locale con un concept simile. Sono partito inevitabilmente dall'offline per pensare a delle ricadute nell'online.

Punti di Forza
  • Concept store: design
  • Target: medio - alto
  • Interessi: comunicazione / archittettura [exterior - interior] / fotografia / psicologia / moda / arte / musica
  • Età: 25 - 45
  • Zona: centro città
  • Musica: ricercata, non commerciale
Punti di Debolezza
  • Troppi cambiamenti nel corso del tempo
  • Staff poco collaborativo e restio a fare ricerca, a sperimentare
  • Nessun piatto è memorabile dopo che esci dal locale
  • Nessuna differenziazione dai competitor
Per questo, dopo questa breve analisi, ho deciso di ricorrere ad una strategia che mette al centro il cliente e la sua esperienza [storytelling esperienziale]. Il cliente non si accontenta più e ricerca un'esperienza totalizzante, attraverso un coinvolgimento sensoriale e cognitivo.
  • Novità
  • Meraviglia
  • Stupore
  • Immaginazione
La difficoltà ad utilizzare questo tipo di comunicazione sta nel fatto che bisogna creare una immaginario che faccia venire voglia di andarci ancora prima di entrarci.

L'idea
Quando entri dentro un locale in cui viene servito il cibo la prima esigenza che vuoi soddisfare gira attorno al cibo.
Il cliente, una volta seduto al tavolo, deve vivere un’esperienza a 360 gradi con il cibo, mostrandogli immediatamente che il processo creativo dei piatti incomincia da quando decide di varcare l’entrata.
Attorno si muove un servizio invisibile che allestisce il palcoscenico. Il maitre si presenta, presenta il concept del locale, il menù e attorno vengono serviti acqua, pane, una pre-entrè, l’appoggio per la borsa e il cappotto viene consegnato al guardaroba. In questo modo il cliente subisce una trasformazione e diviene un ospite. Il menù non viene consultato, ma vissuto come se ogni piatto scaturisse da una penna nobile. Ogni piatto così si trasforma in un’esperienza.
Tutta la teatralità si compone in un instante di attenzione ai dettagli che conquista i clienti. Non solo cibo, ma anche arte e moda s’intrecciano attorno ai tavoli. I piatti della tradizione popolare, arricchiti di una presentazione, diventano l’interazione diretta con la storia che vogliamo raccontare ai nostri ospiti.
Dalla terra, all’aria, al mare, al fuoco. Tutti elementi gli elementi scelti creano un’esperienza, creano meraviglia, stupore e danno agli ospiti una valuta sociale per far parlare dell’esperienza che si vive nel vostro locale.

Siamo ancora al lavoro!
Siamo ancora nella fase di pre-analisi e stiamo lavorando sui concetti che voglio emergano dal racconto
  • L'interazione cliente e piatti
  • Quali piatti ricercare
  • Come comunicare con il menù
  • Come comunicare su i social (Facebook - Instagram - Pinterest)
Questo potrebbe essere un inizio per una nuova strategia di un ristorante. Spero che leggendo questa risposta tu possa trovare degli spunti utili per incominciare a lavorare alla tua strategie.


Perché il cappello da chef è fatto di cotone?

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Questo copricapo affonda le sue origini nella storia, non solo moderna ma anche più antica. Secondo alcune antiche leggende, il tipico copricapo era in uso già nelle cucine dei Re assiri, che temendo di essere avvelenati imposero ai cuochi di indossare alti copricapi, come corone, per renderli facilmente visibili e controllabili.

Più cruenta la leggenda che vuole la creazione del cappello da cuoco presso la corte di Enrico VII, che trovando un capello nel piatto impose un copricapo per evitare lo spiacevole incidente, non prima di ordinare che venisse tagliata la testa a chi aveva preparato il suo piatto.

Secondo un’altra leggenda, il cappello nacque per volontà di Maurice Boucher, cuoco alla corte del principe francese Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, nel 1795 per motivi igienici.

Sia la forma alta, che il materiale, generalmente cotone, ma in origine anche carta idrorepellente, erano stati scelti dagli chef proprio per evitare che si formasse troppa umidità sul cuoio capelluto, per evitare gli odori della cucina sui capelli, e proteggere le preparazioni dall'eventuale caduta di capelli.

Al di là delle leggende, il cappello da chef pare essere nato tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. C’è chi lo attribuisce al cuoco francese Alfred Suzanne, che si proclamò chef (capo) sottolineando la gerarchia vigente in cucina, e dando il là all’utilizzo di questo appellativo. C’è chi invece attribuisce il primo utilizzo all’illustre cuoco francese Marie-Antoine Carême, che operava nelle cucine di Re Giorgio IV nel Regno Unito.
Carême dettava legge in tutta Europa tanto che il copricapo si diffuse con grande rapidità presso le altre corti e nelle cucine di tutto il continente.

Il nome Toque del copricapo deriva dal nome francese del tocco, cappello un po’ floscio.
In seguito, per il colore bianco adottato da tutti, prese il nome di Toque Balche, che va ad indicare il copricapo utilizzato dagli chef.

La Toque Balnche è indicativa proprio dello chef, che in questo modo si distingue dal resto della Brigata. Può essere alta e inamidata con pieghe all’estremità, o floscia e portata all’indietro.
Una curiosità è legata alle 100 pieghe che la caratterizzano; rappresenterebbero infatti la conoscenza di almeno 100 modi di cuocere le uova.


È veramente così importante per uno chef, lavorare sempre con i propri coltelli personali?

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Sì.



Per un professionista di cucina ci sono poche cose peggiori di prendere in mano un coltello poco adatto allo scopo.

Dal disossare un carré, allo sfilettare un pesce, allo spellare un'arancia serve il giusto strumento in perfetto stato e purtroppo i coltelli di solito in dotazione alla cucina sono dozzinali, poco appropriati e soprattutto senza "filo".


E' demagogico dire che mia nonna cucinava benissimo senza strumenti particolari, perché mia nonna non doveva fare determinate operazioni per centinaia di persone e soprattutto aveva a disposizione tutto il tempo necessario per arrivare al risultato che si prefiggeva. Inoltre, a parte casi particolari, andava dal macellaio a farsi tagliare la carne secondo il tipo di preparazione richiesta; la "resa" delle derrate acquistate contava fino a un certo punto, soprattutto per i giorni festivi dove non si badava a spese; la presentazione dei piatti era un optional rispetto alla bontà ecc ecc

E' evidente che chi sa cucinare è in grado di farlo anche con un coltello di selce, ma è come chiedere a un meccanico di girare una vite con una moneta o a un pittore di dipingere con una piuma d'oca


Perché nella cultura cinese si usano le bacchette per mangiare?

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Perchè nella cultura cinese si spizzica

Ognuno prende dalla parte girevole del tavolo



prendi quello che vuoi del piatto che preferisci

poi non è vero che usano solo le bacchette ma anche il cucchiaio





Il mio roast beef all'inglese a Bordeaux

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Ricordo di essermi fermato a Bordeaux una volta e di essermi imbattuto in un ristorante che offriva roast beef all'inglese la domenica.

Tranne che era di gran lunga superiore a qualsiasi roast beef che ho mangiato in Inghilterra.

Erano fette rare di controfiletto cucinato alla perfezione



insieme alle patate arrosto Hasselback,


fagiolini e beignets d'Yorkshire (budini dello Yorkshire) che erano cuscini leggeri e croccanti di pastella.


Il tutto con un sottile jus al posto del sugo. E rafano fatto in casa.

Mai avuto un roast beef migliore prima o dopo.



 
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