Taco

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I tacos sono delle tortilla messicane piegate su loro stesse, fatte con farina di mais o di frumento (Nord), contenenti condimenti di vari tipi. Esistono due tipi di taco ben distinti.
Il taco tradizionale messicano utilizza tortilla di mais o di frumento morbide, unte nel sugo del ripieno e scaldate brevemente, mentre quelle comuni in altri paesi usano tortillas fritte al punto di essere croccanti (hard shell tacos), preparate industrialmente e vendute nei supermercati, spesso come parte di un pacchetto comprendente gli altri ingredienti necessari. I tacos con le tortillas croccanti non vengono considerati come "messicani" in Messico, ma piuttosto un'invenzione tex-mex.
Il ripieno è anche molto differente. In Messico i veri taco vengono preparati con carne cotta in vari modi (è spesso usata quella di manzo), pesce, queso fundido (formaggio fuso), cipolla cruda, salsa di chili verde piccante, insalata e soprattutto limone verde e foglie di coriandolo (cilantro). Spesso vi si aggiunge crema (panna acida), Pico de gallo, guacamole.
I taco "tex-mex" hanno un ripieno più standardizzato che consiste di carne macinata cotta in spezie considerate "messicane", formaggio grattugiato, pezzetti di pomodoro crudo, lattuga e salsa di pomodoro più o meno piccante.
I taco croccanti sono un piatto diffusissimo, tipico della Tex-Mex, assolutamente da non confondere con i burrito che si differenziano dai taco soprattutto per il modo in cui viene usata la tortilla, letteralmente arrotolata attorno al condimento come a formare un grande involtino. Si possono preparare a casa, usando gli appositi ingredienti commerciali o comperare già pronti nei negozi di pasto rapido.
Né il taco messicano né il taco croccante vanno confusi col taco indiano, diffuso nelle comunità indigene degli Stati Uniti.
Negli Usa è molto popolare una catena di fast food: "Taco Bell", i cui menu sono composti soprattutto di taco e burrito. Recentemente, anche in America si sono diffusi i "soft taco", preparati con tortillas non croccanti. Però questi ultimi utilizzano tortilla di farina di frumento, non quella di mais usata nei taco tradizionali.

Bigoli alle noci alla veneta

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Ingredienti

Per 4 persone
  • 400 g bigoli
  • 70 g gherigli di noci
  • 20 g burro
  • 2 cucchiai pangrattato
  • 1 pizzico zucchero
  • 1 pizzico cannella in polvere
  • 1 pizzico noce moscata appena grattugiata
  • olio, sale, pepe q.b.

Preparazione

  1. Cuocete la pasta in abbondante e bollente acqua salata.
  2. Nel contempo pestate in un mortaio i gherigli di noci e unite lo zucchero, la cannella e la noce moscata, salate e pepate.
  3. In un tegame sciogliete il burro e fate saltare per pochi secondi sul fuoco il pan grattato facendolo dorare.
  4. Scolate i bigoli, badando di tenere da parte alcuni cucchiai dell'acqua di cottura.
  5. Condite la pasta con l'olio d'oliva, aggiungere la salsa di noci, cospargete con il pangrattato e servite.



Perché il riso fritto fatto in casa non ha mai lo stesso sapore del riso fritto di un ristorante cinese?

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Non posso dire con certezza se ti manca o meno qualche ingrediente segreto, dal momento che non conosco la tua ricetta. Sono certo che ti manchi un componente chiave, e questo è il calore.

I ristoranti cinesi cucinano su fornelli wok commerciali, che emettono 36,6 kW (125.000 BTU) di calore. I tuoi fornelli a casa potrebbero generare 4,4 kW (15.000 BTU) dal suo quadro più grande. Questa è una differenza piuttosto significativa.

Il calore di un bruciatore wok conferisce un sapore caratteristico ai cibi. Quando gli alimenti colpiscono la superficie polimerizzata di un wok d'acciaio caldo, rilasciano istantaneamente umidità, che lascia il cibo sotto forma di vapore. Gli alimenti vengono mescolati attraverso il vapore che sale, dove catturano le goccioline d'acqua e ricadono nel wok. Questa azione, ripetuta più volte, è l'essenza della cottura wok. Il calore intenso provoca anche una rapida doratura e caramellizzazione e conferisce al cibo un caratteristico sapore affumicato. Il sapore, noto come Wok Hei, è ciò che rende il cibo cinese così appetitoso e non può essere riprodotto sui fornelli di casa. Niente di ciò che ho descritto può essere duplicato, nella stessa misura, su un fornello domestico. Semplicemente non genera abbastanza calore.

Questo è un bruciatore wok da 36,6 kW.



Arghillà (vino)

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L'Arghillà è un vino ad Indicazione Geografica Tipica (IGT) la cui produzione è consentita nella provincia di Reggio Calabria e, in particolare, nei comuni di Calanna, Campo Calabro, Fiumara, Villa San Giovanni e Reggio Calabria.


Nome

Il suo nome deriva da un quartiere a nord di Reggio Calabria, cioè Arghillà. È uno dei più rinomati vini rossi e rosati calabresi. Viene prodotto su colline molto soleggiate, dal terreno argilloso giallo-grigio scuro e di tessitura fine e scheletro abbondante.


Vendemmia

Si vendemmia verso la terza decade di settembre. Dopo essere state pigiate, le uve fermentano per 48/60 ore a 28°C, poi vengono pressate ed il mosto viene messo in serbatoi d'acciaio per circa 12 giorni a temperatura controllata. Viene imbottigliato a fine dicembre e invecchiato per un periodo che va dai due ai quattro anni. La gradazione alcoolica è di 13°.


Rosso e Rosato

  • Titolo alcolometrico volumico minimo: 12%;
  • Vitigni: uno o più vitigni raccomandati o autorizzati per la provincia di Reggio Calabria a bacca di colore corrispondente;
  • Resa massima di uva per ettaro di vigneto:120 quintali;
  • Tipologie: novello.


Caratteristiche organolettiche

  • colore: rosso porpora o rosato.
  • aroma: vinoso, intenso e ampio.
  • gusto: in bocca ha una buona energia e i tannini presenti non sono fastidiosi ma ne allungano la persistenza.


Abbinamenti consigliati

L'Arghillà si abbina perfettamente a carni alla griglia, arrosti, cacciagione e formaggi stagionati. Da servire a 16°-18°.


Produzione

Provincia, stagione, volume in ettolitri
  • Reggio Calabria (1995/96)
  • Reggio Calabria (1996/97)
  • Reggio Calabria (1998/99)
  • Reggio Calabria (2000/01)
  • Reggio Calabria (2001/02)
  • Reggio Calabria (2002/03)
  • Reggio Calabria (2003/04)



Cacioricotta

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Il cacioricotta è un formaggio prodotto nel mezzogiorno d'Italia, in particolare in Basilicata, Puglia e Calabria.

Lavorazione

Come indica il nome, è prodotto con una tecnica di lavorazione ibrida, a metà tra quella del formaggio e quella della ricotta. Si realizza con latte solitamente di pecora o di capra, ma talvolta anche di mucca o di bufala.
Per la sua realizzazione si porta il latte, opportunamente filtrato, all'ebollizione o quasi; poi si procede ad abbassarne la temperatura fino ad una temperatura di 38-40°, solo a questo punto viene aggiunto il caglio. Avendo portato, a differenza del formaggio ordinario, il latte a temperature vicino ai 90°, si ottiene che venga inglobata nella cagliata non solo la caseina (come un qualsiasi formaggio) ma anche l'albumina che invece si separa con il siero (come succede per la ricotta).
Rotta la cagliata la pasta viene inserita nelle caratteristiche "fruscelle" o "fascedde"; In Basilicata con questa pasta vengo realizzati "L CASIDD": la pasta viene stretta fra le mani per favorirne la fuoriuscita del siero e a darne una forma rotonda o ovale.


Riconoscimenti

La cacioricotta è riconosciuta prodotto agroalimentare tradizionale su proposta delle seguenti regioni:
Regione Basilicata
  • cacioricotta
Regione Calabria
  • cacioricotta
Regione Campania
  • cacioricotta di capra cilentana
Regione Lazio
  • cacioricotta di bufala
regione Puglia
  • Cacioricotta salentino

Caciocavallo

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Il caciocavallo è un formaggio stagionato a pasta filata tipico dell'Italia meridionale di forma tondeggiante, a "sacchetto", prodotto con latte particolarmente grasso di vacche podoliche, con l'aggiunta di solo caglio, fermenti lattici e sale. Per la sua conservazione è talvolta fatto uso di paraffina (sostanza derivata dal petrolio che ha lo scopo in genere di far scivolare un qualcosa su una superficie).
Queste mucche vengono allevate allo stato brado, quasi come fossero pecore, pascolando nella macchia mediterranea fino alle steppe appenniniche in luoghi ricchi di arbusti e piantine di sottobosco. La presenza di piante aromatiche nella zona dove si è nutrito l'animale caratterizza le sue note aromatiche e i suoi profumi, tanto che, a titolo esemplificativo, in primavera esso assume un caratteristico colore rosato dovuto alle fragoline di bosco ingerite dalle bestie, e dai camparini.
Tipico di tutte le regioni che formavano il Regno delle Due Sicilie, ebbe una tale fama, da ispirare anche modi di dire popolari, come ad esempio "far la fine del caciocavallo", in analogia alla sua forma strozzata da una corda nella parte alta. Le varietà più conosciute sono quelle del caciocavallo Silano, del caciocavallo siciliano, che a sua volta può essere caciocavallo di Godrano, e del caciocavallo podolico e quello del Molise con il caciocavallo di Agnone.
Caciocavallo viene menzionato per la prima volta da Ippocrate nel 500 a.C.
La prima certificazione ufficiale risale al DPR del 30 ottobre 1955.



Etimologia

Il nome di "caciocavallo" sembra derivare dall'uso di appendere le forme fresche, legate a coppie, a cavallo di una trave per farle essiccare. Potrebbe anche derivare dall'uso di lavorare la pasta "a cavalluccio" o dal marchio di un cavallo che veniva impresso sulle forme di caciocavallo durante il Regno di Napoli. Un'altra ipotesi sull'origine della denominazione "caciocavallo" la fa derivare al periodo in cui veniva effettuata la transumanza (migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori) e dalla consuetudine dei pastori nomadi di cagliare direttamente nei campi il latte munto e di appendere le forme di formaggio, in coppie, a dorso di cavalli per venderli o barattarli nei paesi attraversati. In uno scritto napoletano dell'Ottocento è riportato che nei mercati cavalli e asini erano ornati di forme di caciocavallo accoppiate, anche se esistono diverse interpretazioni possibili sui motivi di quest'usanza e sulla sua rilevanza etimologica. In realtà, molti studi condotti partendo dalla constatazione dell'esistenza nei Balcani, fino dal XV secolo, di un diffusissimo formaggio di vacca chiamato Kashcaval, induce a pensare che il nome italiano e la tipologia del formaggio derivino in qualche modo dall'antenato Balcano/Ottomano. In tutta l'area ottomana e oggi soprattutto nella zona che va dalla Turchia alla Bulgaria, in Kashcaval è il formaggio più prodotto e consumato e di qui esportato verso paesi ex ottomani. Sembrerebbe che il nome abbia relazione con il termine ebraico Kasher, cioè puro/permesso dalla legge giudaica, ed infatti in varie zone del mondo ex ottomano si parla di questo formaggio come del formaggio degli ebrei, che lo avrebbero portato in Turchia a cavallo del 1500, dopo l'espulsione dal regno di Spagna e provenendo dalla Mancha, regione che oggi produce il celebre queso Manchego, peraltro a base di latte di pecora.
L'ingenua ipotesi che il nome italiano di caciocavallo derivi dal fatto che fosse in qualche modo collegato agli equini, appare in effetti estremamente debole, tuttavia ha curiosamente trovato accoglienza ampia, anche in pubblicazioni dotte e in manuali ed enciclopedie.

Pellaro (vino)

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Il Pellaro è un vino ad Indicazione Geografica Tipica (IGT) la cui produzione è consentita nella provincia di Reggio Calabria e, in particolare, nei comuni di Motta San Giovanni e Reggio Calabria.


Denominazione

Il suo nome deriva da un quartiere a sud di Reggio Calabria, cioè Pellaro. È uno dei più rinomati vini rossi calabresi. Viene prodotto su colline a terrazzo, dal terreno sabbioso e asciutto, ad una altitudine di 100 m s.l.m.


Lavorazione

Si vendemmia verso metà settembre. Dopo essere state pigiate, le uve fermentano per 48/60 ore, poi vengono pressate ed il mosto viene messo in serbatoi d'acciaio a temperatura controllata, dove rimane fino al primo travaso nel mese di novembre. Dopo altri travasi a febbraio e maggio, il vino viene messo in botti di legno castagno per circa due mesi e poi messo in bottiglia a 18 mesi dalla vendemmia, dove affina per almeno altri due mesi. La gradazione alcoolica è di 14°.



Caratteristiche organolettiche

  • colore: rosso rubino con leggere sfumature porpora.
  • odore: intenso, è delicatamente fruttato con note di lampone e mela.
  • sapore: fine, morbido, di vellutata eleganza.



Abbinamenti consigliati

Il Pellaro si abbina perfettamente a carni rosse, cacciagione, insaccati e formaggi stagionati. Da servire a 18°-20°.



Produzione

Provincia, stagione, volume in ettolitri
  • Reggio Calabria (1990/91)
  • Reggio Calabria (1991/92)
  • Reggio Calabria (1992/93)
  • Reggio Calabria (1993/94)
  • Reggio Calabria (1994/95)
  • Reggio Calabria (1995/96)
  • Reggio Calabria (1996/97)





 
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