La cucina borghese è nata in
Francia tra il 1715 e il 1750 come espressione di una cultura
gastronomica legata all'emergente nuova classe borghese.
A differenza di una cucina incentrata
sulla carne e votata all'occultamento dei sapori naturali (mediante
l'utilizzo di frollature, cotture plurime, e forti speziature), la
cucina borghese predilige gli alimenti freschi, le salse, le glasse e
gli accostamenti oculati.
«Una cucina più semplice e
forse anche più dotta [che persegue] un'armonia, per così dire,
di tutti i gusti fusi insieme»
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(Pierre Brunoy e Guillaume
Hyacinthe Bougeant, nella prefazione a Les
dons de Comus ou les délices de la table,
François Marin) |
Storia
Tra il 1715 e il 1750 si registra, in
Francia, il tramonto di una civiltà gastronomica che resisteva da
oltre tre secoli e si assiste al sorgere di un'altra di segno
contrario, come documenta Vincent La Chapelle nel suo Cuisinier
moderne (1733): «la tavola di un gran signore, se apparecchiata
oggi come vent'anni fa, lascerebbe i commensali insoddisfatti».
Nel 1746, con la pubblicazione della
Cuisinière bourgeoise di Menon, all'aggettivo "moderno"
si accoppia l'aggettivo "borghese". Questo termine era già
stato utilizzato in precedenza, ma, mentre prima per cucina borghese
si intendeva una cucina di paese o regionale, ora questa si carica di
un significato polemico nei confronti della declinante cucina della
nobiltà.
Ricezione
Dalla Francia il nuovo verbo culinario
dilaga in breve tempo in tutta Europa. L'anonimo Cuoco piemontese
perfezionato a Parigi è il primo manuale italiano di cucina
moderna e costituisce uno spartiacque fra la trattatistica
gastronomica di vecchia e nuova osservanza.
Se nel Cuoco piemontese la
lezione d'Oltralpe è dichiarata nel frontespizio, debitori alla
Francia sono tutti i ricettari italiani dell'ultimo Settecento e del
primo Ottocento: dal Cuoco galante del napoletano Vincenzo
Corrado (1773) all’Apicio moderno di Francesco Leonardi
(1790); dalla Nuovissima cucina economica di Vincenzo
Agnoletti (1814) al Nuovo cuoco milanese economico di Giovan
Felice Luraschi (1829). In questi e negli altri ricettari
sette-ottocenteschi si contano a decine i piatti denominati "alla
borghese": l'espressione non designa una preparazione specifica,
ma allude a un tipo di cucina insieme raffinato e sobrio.
Nel 1814, insieme con la Nuovissima
cucina economica del romano Vincenzo Agnoletti, è data alle
stampe La cucina borghese semplice ed economica di ignoto
autore. Qui e altrove l'aggettivo economico – accoppiato di norma
agli aggettivi nuovo e moderno, in aggiunta o sostituzione di
borghese, di cui è a un dipresso sinonimo – rimanda a un'etica
alimentare e culinaria che rifiuta «sprechi, splendori insoliti e
stravaganze» (come annota Piero Camporesi a proposito del manuale di
Pellegrino Artusi), in nome di una «cucina semplice ma saporita, non
fine ma equilibrata, ragionevolmente sana, pratica ed oculata.
Improntata a una «morale [...] chiusa in sé stessa, sorda e un poco
impietosa», olimpicamente dimentica del dramma della
!sottoalimentazione delle masse popolari e anzi dichiaratamente
classista («s'intende bene», precisa Pellegrino Artusi, «che io in
questo scritto parlo alle classi agiate»), La scienza in cucina e
l'arte di mangiar bene, del 1891 – l'anno dell'enciclica Rerum
Novarum e della nascita del Partito Socialista Italiano –
costituisce il punto d'approdo della cucina borghese italiana, di
cui, di fatto, diverrà presto e resterà a lungo la bibbia.