Spaghetti alle vongole

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Gli spaghetti alle vongole sono un piatto napoletano a base di pasta e vongole. Come molti altri piatti della tradizione partenopea, dello stesso piatto esistono più versioni: rossa e bianca. Esiste perfino la versione senza vongole, che altro non è che spaghetti aglio e olio (aglio e uoglie) detti anche alla borbonica ovvero spaghetti cu 'e vongole fujute.
La pasta può essere vermicelli, spaghetti o linguine e va cotta al dente e poi mantecata in padella nel sauté di vongole, infine si completa il piatto con prezzemolo tritato fresco. I pomodorini, cotti e un po' appassiti, sono opzionali. È possibile condire gli spaghetti con peperoncino.

Vongole veraci

L'ingrediente principale tradizionale dei "veri" spaghetti alle vongole è la vongola verace (Ruditapes decussatus), che non va confusa con la vongola filippina (Ruditapes philippinarum), spesso chiamata verace nei mercati del nord italia, che è ormai quella maggiormente diffusa sul mercato, ed il lupino (Chamelea gallina).

Ricetta

Ingredienti

  • 200 g di spaghetti
  • 400 g di vongole
  • 400 g di pomodori da sugo, nella versione rossa
  • uno spicchio d'aglio
  • mezzo bicchiere d'olio extravergine d'oliva
  • un ciuffo di prezzemolo
  • Peperoncino, sale

Preparazione

Spurgate in acqua corrente le vongole per qualche ora, poi lavarle accuratamente e batterle leggermente, una ad una, con il lato aperto delle valve rivolto in basso (scartate quelle da cui esce anche poca sabbia), per assicurarsi che non contengano residui. Terminata questa operazione metterle in una larga padella in cui si è fatto precedentemente rosolare uno spicchio di aglio e, a piacere, del peperoncino in abbondante olio di oliva, coprire e far saltare il tutto a fuoco vivo fino alla completa apertura delle valve. Nel frattempo far cuocere la pasta in abbondante acqua salata e scolarla al dente. Versate poi la pasta nella padella con il sauté di vongole e mantecate per qualche secondo. Completare con prezzemolo tritato e, volendo, una spolverata di pepe, se non si è usato peperoncino.
Esiste anche una variante: gli spaghetti alle vongole si possono preparare anche in rosso. In questo caso seguire la procedura della versione in bianco, aggiungendo qualche pomodorino tagliato e le vongole dopo aver soffritto l'aglio, lasciar quindi cuocere per 10-15 minuti, terminare mantecando nel sugo ottenuto la pasta. Ricordarsi che nella ricetta tradizionale le vongole non vanno sgusciate.

Spaghetti alla puttanesca

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Gli spaghetti alla puttanesca sono un primo piatto tipico della cucina napoletana, detto anche semplicemente aulive e cchiapparielle (olive e capperi). Sono preparati con un sugo a base di pomodoro, olio d'oliva, aglio, olive nere di Gaeta, capperi e Origano. Dello stesso piatto esiste anche una variante laziale che vede aggiunte le acciughe sotto sale.

Origini

Le prime testimonianze di una pasta condita con una salsa molto simile a quella della Puttanesca, risalgono agli inizi del XIX secolo, quando il Cavalcanti, nel suo manuale Cucina teorico-pratica, propose alcune ricette di cucina popolare napoletana, tra le quali una "puttanesca" ante litteram, definendola "Vermicelli all'oglio con olive capperi ed alici salse". Dopo alcune sporadiche apparizioni in altri ricettari di cucina napoletana, nel 1931 la Guida gastronomica d'Italia, edita dal T.C.I., la elenca tra le specialità gastronomiche della Campania, definendola "Maccheroni alla marinara", anche se la ricetta proposta è indubbiamente quella della moderna puttanesca. Si tratta dunque di uno dei molti casi nei quali il nome con cui è nota oggi la preparazione è successivo alla comparsa della stessa. Nel linguaggio comune infatti, questo particolare condimento per la pasta è noto semplicemente come aulive e cchiapparielle.
Il primo riferimento esplicito agli "spaghetti alla puttanesca" è quello di Raffaele La Capria nel romanzo Ferito a morte (1961), in cui si menzionano gli "spaghetti alla puttanesca come li fanno a Siracusa".

Etimologia

Sul singolare nome esistono varie possibili interpretazioni. Arthur Schwartz riporta quanto segue circa questo piatto:
«... Per quanto riguarda la sua origine etimologica, [il termine puttanesca] è stato oggetto degli sforzi di immaginazione di molti studiosi, che hanno tentato in ogni modo di trovare la soluzione all’enigma. Alcuni dicono che il nome di questa ricetta derivò, all'inizio del secolo, dal proprietario di una casa di appuntamenti nei Quartieri Spagnoli, che era solito rifocillare i propri ospiti con questo piatto, sfruttandone la rapidità e facilità di preparazione. Altri fanno riferimento agli indumenti intimi delle ragazze della casa che, per attirare e allettare l'occhio del cliente, indossavano probabilmente biancheria di ogni tipo, di colori vistosi e ricca di promettenti trasparenze. I tanti colori di questo abbigliamento si ritroverebbero nell'omonima salsa: il verde del prezzemolo, il rosso dei pomodori, il viola scuro delle olive, il grigio-verde dei capperi, la tinta granata dei peperoncini. Altri sostengono che l'origine del nome sia da attribuire alla fantasia di una ragazza di vita, Yvette la Francese, che s'ispirò alle proprie origini provenzali. Yvette, probabilmente, non era dotata solo di fantasia, ma anche di senso dell'umorismo e di un'ironia alquanto caustica, che forse sfruttò per celebrare, attraverso il nome di questo piatto, la professione più antica del mondo. ...»
Jeanne Caròla Francesconi riporta invece una versione diversa:
«... Questi maccheroni, sebbene più ricchi dei loro parenti, si chiamavano alla marinara. Ma subito dopo la seconda guerra mondiale, a Ischia, il pittore Eduardo Colucci, non so come né perché, li ribattezzò con il nome con cui oggi è generalmente conosciuto. Colucci, che viveva per gli amici, d'estate abitava a Punta Molino - in quel tempo uno degli angoli più pittoreschi di Ischia - in una rustica e minuscola costruzione; camera con cucinino e un terrazzo in mezzo al quale si innalzava un albero di ulivo. Oltre ai consueti più intimi amici, sfilavano sulla sua terrazza le più svariate personalità italiane e straniere. E lui, dopo aver offerto come aperitivo un fresco e genuino vinello d'Ischia, improvvisava spesso una cenetta a base di questi maccheroni che erano la sua specialità. ...»
Annarita Cuomo riporta una versione ancora diversa:
«...Fu infatti l'architetto Sandro Petti, ai fornelli del suo Rancio Fellone, una sera di normale routine culinaria, di un'estate qualunque dell'inizio degli anni '50, a inventare il "Sugo alla Puttanesca", utilizzando quei prodotti freschi dei nostri orti, che tutti hanno normalmente in dispensa. È lo stesso architetto Sandro Petti a raccontarcelo: "Quella sera di tanti anni fa, era molto tardi, ai tavoli del locale sedettero un gruppo di amici veramente affamati... io avevo finito tutto, e li avvisai: "Mi dispiace non ho più nulla in cucina, non posso preparavi niente". Ma loro insistettero e mi esortarono dicendo: "Ma dai Sandro, è tardi e abbiamo fame, dove vuoi che andiamo... facci una puttanata qualsiasi". La "puttanata qualsiasi", che l'eclettico Sandro Petti (che in cucina è un autentico mago) portò in tavola di lì a poco, era proprio un fumante piatto di "Spaghetti alla Puttanesca" (solo che ancora non erano stati battezzati tali)... una pietanza che da quella famosa sera, divenne un must della tradizione culinaria dei ristoranti non solo ischitani, ma addirittura di tutto il mondo....»



Sartù di riso

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Il sartù di riso è un piatto tipico della cucina napoletana.
Si prepara con riso condito con ragù, piselli, pancetta, funghi, fior di latte o provola, polpettine di carne, salsicce, uova sode e, tradizionalmente, con fegatini di pollo. Il tutto viene infornato e quindi sformato prima di essere servito.
Si può presentare in sia nella versione al sugo, con ragù, che in bianco, senza.

Storia

Il riso, prodotto importato dagli Aragonesi nel Regno di Napoli, non riscontrò successo a Meridione - tranne in Sicilia, dove venne introdotto dagli Arabi. Venne adottato dalla Scuola Salernitata di Medicina e prescritto come cura per gli ammalati, ma non dal popolo, che gli preferiva la pasta. Il sartù nacque probabilmente dalla necessità di adattare questa pietanza al gusto di corte, sotto l'influenza della regina austriaca Maria Carolina. I monsù, cuochi francesi di corte, crearono nel Settecento questo piatto, arricchendo il riso con numerosi ingredienti e mascherandone il sapore con la salsa di pomodoro. Il nome stesso del piatto verrebbe dal francese surtout, il centrotavola che venne in uso nel Settecento e che poteva anche essere usato per portare in tavola il sartù, cucinato come un timballo.

Taddi e fave

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Taddi e fave (it.: talli e fave) è un tipico piatto povero della cucina campana, in particolare di quella del Cilento.
Si tratta di una minestra primaverile di verdure, la cui base è costituita dai talli, ovvero dai getti e dai germogli, in questo caso di scarola, che spuntano dal cespo interrato dopo che la parte aerea e commestibile della pianta è stata tagliata e destinata ad altri consumi. L'altro ingrediente fondamentale che entra nella preparazione è costituito dalle fave fresche sgusciate dal baccello. L'uso delle fave conferisce al piatto la sua collocazione tardo-primaverile.

Preparazione

I talli, tagliati grossolanamente, vengono fatto brevemente rosolare in olio d'oliva insieme alla cipollina bianca; si aggiunge quindi dell'acqua (o un blando brodo vegetale), si sala il tutto e si lascia continuare la cottura facendo sobollire. Visto il più breve tempo di cottura, le fave fresche si aggiungono nel corso dell'ebollizione, quando la cottura dei talli è vicina al completamento: le fave dovranno essere preventivamente private del picciolo coriaceo, ma non andranno estratte dalla loro pellicola tenera.
La minestra si consuma calda o tiepida, con eventuale aggiunta di un filo di olio d'oliva crudo. Si consuma intingendo nel brodo il pane, eventualmente tostato o biscottato.
Si accompagna a un robusto vino rosso.

Varianti e adattamenti

Vista la non reperibilità commerciale dei talli di scarola, questi possono essere sostituiti o surrogati dai talli di cicoria (più amari) o di catalogna, le cosiddette puntarelle, preferibilmente non sminuzzati come in alcune preparazioni tipiche di quest'ultimo ingrediente. Le fave fresche possono essere sostituite con quelle surgelate.
Varianti simili possono essere rinvenute nella cucina regionale di altri contesti dell'Italia meridionale.

Pasta e ceci

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Pasta e ceci è un tipico piatto della cucina campana, pugliese (salentina), siciliana e romana, di origine molto antica.
È un primo piatto povero, ma molto nutriente, perché i ceci - come tutti i legumi - contengono una notevole quantità di proteine che integra l'apporto nutritivo della pasta, tipicamente ricca di carboidrati.
La versione romana prevede l'aggiunta delle acciughe.

Polpette alla mammolese

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Polpette alla mammolese è un'antica pietanza della cucina montanara di Mammola, territorio del Parco nazionale dell'Aspromonte e delle zone della provincia di Reggio Calabria.
La ricetta: carne di maiale macinata, uova, pane ammollato nell'acqua, formaggio di capra grattugiato, aglio e peperoncino.
Anticamente le polpette venivano utilizzate nelle ricorrenze festive, con il sugo veniva condita la pasta fatta in casa. Le polpette sono servite come secondo piatto.

Crocchetta

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La crocchetta (dal francese croquette, derivato di croquer con significato di croccare) è una pietanza generalmente di carne macinata, di pesce, di patate o di riso solitamente a forma cilindrica o sferica, impastata nel tuorlo dell'uovo, impanata e fritta in padella in olio o burro.

Diffusione

Particolarmente noti nella cucina italiana sono gli arancini di riso, i supplì e le crocchette di riso alla milanese mentre tipici della cucina quotidiana sono le crocchette di patate, particolarmente facili da preparare.
Un'altra nota tipologia di crocchette è quella delle crocchette di pollo, a base di carne di pollo impanata o impastellata. Queste ultime sono tipiche sia del fritto misto alla bolognese che del fritto misto alla piemontese.
Sono anche una tradizionale ricetta russa (crocchette di pollo alla Pazarskij).



 
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