Abbacchio alla Cacciatora: Un Piatto che Racconta la Tradizione

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L’abbacchio alla cacciatora è uno dei piatti simbolo della cucina romana, rappresentando non solo la ricchezza gastronomica della capitale, ma anche un pezzo importante della storia culinaria italiana. La sua preparazione semplice e genuina riesce a evocare tradizioni antiche, legate alla campagna e alla caccia, ma anche alla convivialità che accompagna i pranzi in famiglia e tra amici. Con il suo sapore rustico e ricco di sfumature, l’abbacchio alla cacciatora continua ad essere un piatto celebrato nelle trattorie di Roma e in tutta la regione Lazio.

Le origini dell’abbacchio alla cacciatora sono strettamente legate alla tradizione pastorale e agricola delle zone circostanti Roma. “Abbacchio” è il termine che in dialetto romano indica il “capretto”, un animale giovane e tenero, tipico dell’allevamento locale. La preparazione alla cacciatora risale a tempi lontani, quando i contadini e i cacciatori della campagna laziale preparavano piatti sostanziosi utilizzando gli ingredienti disponibili nel loro territorio. La carne di agnello o capretto veniva cotta in umido con pomodoro, aromi e vino, proprio come avveniva nelle antiche battute di caccia, dove la carne veniva cucinata rapidamente dopo una lunga giornata trascorsa nei boschi.

Il piatto è stato tramandato di generazione in generazione, diventando nel tempo una vera e propria tradizione culinaria romana, amata dai romani e non solo. La sua ricetta è semplice ma ricca di gusto, un perfetto esempio della cucina contadina che esalta i sapori autentici, grazie all’uso di ingredienti freschi e locali.

Preparazione e Ricetta dell'Abbacchio alla Cacciatora

Ingredienti per 4 persone:

  • 1 kg di abbacchio (capretto o agnello)

  • 2 cucchiai di olio extravergine di oliva

  • 2 spicchi d’aglio

  • 1 cipolla media

  • 400 g di pomodori pelati

  • 1 bicchiere di vino bianco secco

  • 1 rametto di rosmarino

  • 2 foglie di alloro

  • Sale e pepe q.b.

  • 50 g di olive nere

  • 1 cucchiaio di capperi sotto sale

Procedimento:

  1. Preparare la carne: Tagliare l’abbacchio in pezzi regolari, eliminando eventuali grassi in eccesso. Infarinare leggermente la carne per favorire la rosolatura.

  2. Rosolare: In una casseruola capiente, scaldare l’olio extravergine di oliva e far rosolare i pezzi di abbacchio su tutti i lati, fino a che non saranno dorati.

  3. Aggiungere gli aromi: Unire l’aglio schiacciato e la cipolla tritata finemente. Continuare a cuocere per qualche minuto, mescolando di tanto in tanto, fino a che la cipolla non diventa trasparente.

  4. Cucinare in umido: Versare il vino bianco, alzare la fiamma e lasciare evaporare l’alcol. Aggiungere quindi i pomodori pelati schiacciati con le mani, il rosmarino, le foglie di alloro, sale e pepe. Coprire e lasciare cuocere a fuoco basso per circa 45 minuti, mescolando di tanto in tanto.

  5. Arricchire il piatto: A metà cottura, aggiungere le olive nere e i capperi, per un tocco di sapidità che esalta il sapore del piatto.

  6. Finitura e riposo: Quando la carne è tenera e il sugo ben ridotto, l’abbacchio alla cacciatora è pronto. Lasciate riposare il piatto per qualche minuto prima di servirlo, affinché i sapori si amalgamino meglio.

Per accompagnare un piatto così ricco e gustoso, si consiglia un vino rosso di buona struttura. Un Chianti Classico o un Frascati Superiore si sposano perfettamente con l’abbacchio alla cacciatora, grazie alla loro acidità e corpo che contrastano la succulenza della carne e il sapore del sugo. Se preferite un vino più complesso, un Montepulciano d'Abruzzo si adatta perfettamente, con i suoi tannini morbidi e i sentori di frutta rossa e spezie che si integrano bene con il piatto.

L'abbacchio alla cacciatora non è solo un piatto tipico della tradizione romana, ma una vera e propria esperienza sensoriale che racconta la storia di una cucina legata alla terra, alla caccia e alla convivialità. Con la sua preparazione semplice ma ricca di sapore, questo piatto è la testimonianza di come i piatti più umili possano diventare protagonisti della tavola, celebrando le radici culturali e gastronomiche di una regione. Un piatto che, se preparato con attenzione e passione, saprà conquistare chiunque con il suo gusto inconfondibile.

Pizza rustica con ciccioli, salame e provola: la tradizione che sa di fuoco e terra

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C’è una pizza che non nasce sotto il segno della leggerezza, né cerca compromessi con i dettami della cucina contemporanea. È una pizza che profuma di campagna, di forno a legna e di mani impastate a forza. Una pizza che affonda le radici in una cultura contadina fatta di riti stagionali e di conservazione della carne: quella con ciccioli, salame e provola. Un piatto intenso, robusto, che parla un linguaggio antico fatto di terra e fuoco, di stagioni fredde e dispensa piena.

I ciccioli – conosciuti anche come “graselli”, “fricioli” o “sfrizzoli”, a seconda delle regioni – sono il risultato della pressatura dei residui della lavorazione dello strutto. Si tratta di scarti nobili, resi croccanti e saporiti da una lenta cottura, e da sempre utilizzati per arricchire pani e pizze rustiche. A questi si unisce il salame, preferibilmente artigianale, tagliato a tocchi spessi per preservarne la consistenza durante la cottura, e la provola, formaggio filante a pasta semidura, spesso affumicato, che aggiunge cremosità e un profumo deciso di fumo.

La combinazione dei tre ingredienti dà vita a un’esplosione di sapore che non concede esitazioni: ogni morso è un inno alla rusticità. La base ideale per questa pizza è un impasto ad alta idratazione, con lunga lievitazione naturale o a pasta madre, capace di reggere la ricchezza del condimento senza perdere in leggerezza e digeribilità. La cottura in forno a legna sarebbe l’ideale, ma anche un forno casalingo ben preriscaldato può offrire risultati degni, purché si usi una pietra refrattaria o una teglia in ferro.

Non è una pizza da tutti i giorni. È una pizza da condividere, da portare a tavola nelle occasioni in cui si celebra qualcosa o qualcuno. In alcune zone della Campania e della Basilicata, è ancora oggi una preparazione tradizionale del periodo della macellazione del maiale, spesso proposta durante feste contadine o sagre invernali. È un cibo che tiene insieme comunità, racconta di risorse non sprecate, di carni utilizzate fino all’ultimo boccone, di mani esperte che sanno quando un impasto “è pronto” senza bisogno di bilance o cronometri.

Nel corso di questo articolo approfondiremo la storia e il contesto culturale che ha dato origine a questa pizza, offriremo una ricetta dettagliata con dosi precise per la sua preparazione casalinga, e concluderemo con un abbinamento enogastronomico ragionato, pensato per valorizzare le sue componenti forti senza schiacciarle. Perché questa pizza, se ben eseguita, è una sinfonia campestre, una dichiarazione d’amore al gusto pieno, alla cucina che non si dimentica.

La pizza con ciccioli, salame e provola è espressione diretta della cucina rurale del Centro-Sud Italia, in particolare della Campania, dell’Irpinia e di alcune aree del Molise e della Lucania. Qui, il maiale è da sempre considerato una risorsa fondamentale, di cui nulla viene sprecato. Il detto popolare “del maiale non si butta via niente” trova nella produzione dei ciccioli una delle sue applicazioni più gustose.

Durante il periodo invernale, quando si macellava il maiale, le famiglie si riunivano per affrontare insieme il lavoro della lavorazione e conservazione delle carni. I ciccioli erano un sottoprodotto prezioso: croccanti e ricchi di sapore, si conservavano bene e venivano utilizzati per arricchire pani, focacce e pizze rustiche. Un tempo riservata alle occasioni speciali, questa pizza si preparava anche per celebrare la fine della macellazione, come piatto di festa e di ringraziamento.

Il salame, altro prodotto derivato dalla lavorazione del suino, veniva spesso aggiunto in pezzi grossi o sbriciolato, donando alla pizza una spinta speziata e grassa, ideale per affrontare il freddo. La provola, invece, serviva a bilanciare la sapidità e a legare il tutto in una farcitura filante e fumicata. Il risultato era un pasto ricco, completo, che sfamava e confortava.

Oggi questa tradizione resiste, soprattutto nelle zone dove la cultura contadina è ancora viva. Ma anche in contesti urbani, la pizza con ciccioli, salame e provola è sempre più riscoperta dagli appassionati di lievitati rustici e autentici, spesso proposta da forni artigianali e pizzerie che valorizzano la materia prima locale.

Ricetta: Pizza rustica con ciccioli, salame e provola (per 4 persone)

Ingredienti per l’impasto (a lunga lievitazione):

  • 500 g di farina tipo 1 o 0

  • 350 ml di acqua

  • 2 g di lievito di birra secco (o 6 g fresco)

  • 12 g di sale

  • 1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva

Ingredienti per il condimento:

  • 120 g di ciccioli artigianali

  • 100 g di salame tipo Napoli, tagliato a cubetti

  • 200 g di provola (affumicata o fresca, ben scolata)

  • Pepe nero macinato fresco

Preparazione:

  1. Impasto
    Sciogliere il lievito in poca acqua tiepida. In una ciotola capiente, unire la farina con il lievito disciolto, quindi aggiungere gradualmente l’acqua restante. Iniziare a impastare e aggiungere il sale e l’olio solo alla fine. Lavorare l’impasto per 10–15 minuti fino a ottenere una massa liscia ed elastica. Coprire e far lievitare in frigorifero per 18–24 ore.

  2. Stesura e farcitura
    Rimuovere l’impasto dal frigo e lasciarlo acclimatare per 1 ora. Stenderlo in una teglia ben unta o su una pietra refrattaria se si usa il forno casalingo. Distribuire uniformemente i ciccioli, il salame e infine la provola tagliata a fette o cubetti. Spolverare con pepe nero.

  3. Cottura
    Cuocere in forno preriscaldato a 250 °C per 12–15 minuti, fino a quando la base è ben cotta e la superficie dorata e filante. Se si utilizza un forno a legna, bastano 2–3 minuti a temperatura elevata.

Una pizza così intensa richiede un vino rosso strutturato ma non eccessivamente tannico. Perfetto un Aglianico del Vulture, con note speziate e fruttate che ben si sposano con i toni affumicati della provola e la ricchezza del salame. Altre opzioni valide sono il Rosso Conero o un Montepulciano d’Abruzzo, capaci di tenere testa alla grassezza senza sovrastare gli aromi.

Chi preferisce la birra può optare per una Amber Ale o una Dubbel belga, con dolcezza e corposità sufficienti a bilanciare l’impatto salino e il carattere rustico del piatto.

La pizza con ciccioli, salame e provola non è un compromesso, è una dichiarazione. Non cerca di sedurre con leggerezza o artifici visivi, ma colpisce al cuore con il suo gusto pieno, con la memoria che evoca, con la coerenza tra ingredienti e territorio. È la quintessenza della cucina che nasce per sfamare, ma finisce per raccontare: di mani esperte, di riti tramandati, di ingredienti poveri trasformati in esperienza gastronomica. È una pizza che non si dimentica, che lascia il segno, come ogni piatto che ha radici profonde e verità da raccontare.



Frittata di pasta saporita con capperi, olive e acciughe: il recupero diventa maestria

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La cucina del recupero, quando è eseguita con consapevolezza e intelligenza, riesce a trasformare gli avanzi in piatti che nulla hanno da invidiare alle preparazioni più elaborate. La frittata di pasta ne è un esempio magistrale: nata dall’esigenza di non sprecare il cibo, è diventata col tempo una specialità in grado di raccontare il gusto e la storia di intere generazioni. In questa variante saporita, arricchita da capperi, olive nere e acciughe sott’olio, si esprime con una forza gustativa decisa, netta, che richiama i sapori del Mediterraneo più autentico.

Non si tratta solo di una pietanza rustica o di un pasto improvvisato: questa frittata, se ben eseguita, può diventare il cuore di una tavola conviviale, il protagonista di un brunch estivo o l’elemento forte di un buffet. È il risultato di un’alchimia semplice, fondata sulla qualità degli ingredienti e sulla capacità di valorizzare ciò che resta di una cottura precedente, trasformandolo in qualcosa di nuovo, compatto, aromatico. La sua forza non è nella presentazione sfarzosa, ma nell’intensità del sapore, nella consistenza densa e appagante, nella memoria che evoca.

La pasta — solitamente spaghetti o bucatini, ma non si disdegnano neppure penne o fusilli — deve essere ben condita e, preferibilmente, raffreddata. Questo consente alla struttura dell’amido di compattarsi, rendendo più semplice l’unione con le uova e più efficace la tenuta in cottura. A questa base si aggiunge un trittico sapido: capperi sotto sale, da dissalare con cura; olive nere denocciolate, carnose e dal gusto intenso; acciughe sott’olio, che si sciolgono nel calore sprigionando la loro inconfondibile carica umami. Insieme formano un condimento aromatico che attraversa il piatto senza sovrastarlo, regalando profondità e un carattere spiccatamente mediterraneo.

La frittata va cotta lentamente, preferibilmente in padella antiaderente, con poco olio extravergine, in modo da ottenere una crosticina dorata e croccante all’esterno e un cuore morbido, ben legato. Il passaggio chiave, come in ogni frittata che si rispetti, è il momento del ribaltamento: un gesto che richiede sicurezza e precisione, ma che segna la differenza tra un risultato casalingo e uno professionale.

Questa preparazione è perfetta anche fredda, il giorno dopo, anzi: guadagna in compattezza e sviluppo aromatico. È quindi ideale per un picnic, un pranzo in ufficio o una merenda salata che non vuole essere banale. Il gusto persistente delle acciughe si ammorbidisce nel tempo, mentre i capperi e le olive rilasciano lentamente il loro profumo, rendendo ogni fetta diversa, ogni morso completo.

Nel prosieguo dell’articolo entreremo nel dettaglio della storia e delle trasformazioni della frittata di pasta, forniremo una ricetta precisa e bilanciata, e concluderemo con consigli di abbinamento sia enogastronomici che di presentazione.

La frittata di pasta ha origini popolari e antiche, specialmente nel Sud Italia, dove il rispetto per il cibo è un principio inviolabile. Napoli, in particolare, ne ha fatto una delle sue preparazioni simboliche, spesso preparata con gli spaghetti avanzati del giorno prima, conditi con ciò che la dispensa offriva. In origine era un piatto da portare al lavoro, facile da trasportare e da mangiare anche freddo, oppure una merenda nutriente per i bambini. Con il tempo è entrata a pieno titolo nella cucina casalinga italiana, diventando oggetto di varianti regionali e personali.

La versione “saporita” che proponiamo oggi, con capperi, olive e acciughe, affonda le radici nella tradizione mediterranea: ingredienti dal gusto deciso, conservati, facilmente reperibili anche nelle case più modeste, ma capaci di esaltare una base neutra come la pasta con le uova. È una ricetta che non solo recupera gli avanzi, ma anche un’idea di cucina genuina, astuta, che non butta via nulla e sa trasformare poco in molto.

Ricetta: Frittata di pasta saporita con capperi, olive e acciughe (per 4 persone)

Ingredienti:

  • 300 g di spaghetti o altra pasta avanzata

  • 5 uova grandi

  • 4 filetti di acciuga sott’olio

  • 2 cucchiai di capperi sotto sale

  • 8–10 olive nere (tipo Gaeta o taggiasche)

  • 2 cucchiai di parmigiano grattugiato (facoltativo)

  • 1 spicchio d’aglio

  • Prezzemolo fresco tritato q.b.

  • Olio extravergine di oliva

  • Sale e pepe nero q.b.

Preparazione:

  1. Preparare il condimento
    Sciacquare accuratamente i capperi sotto acqua corrente, poi lasciarli a bagno in acqua tiepida per 10 minuti. Snocciolare le olive, tagliarle a metà. In una padella, scaldare un filo d’olio con lo spicchio d’aglio e aggiungere i filetti di acciuga: lasciarli sciogliere a fiamma bassa. Unire capperi e olive, far insaporire un paio di minuti, poi spegnere il fuoco e rimuovere l’aglio.

  2. Unire la pasta
    Versare il condimento sulla pasta già cotta e raffreddata. In una ciotola a parte, sbattere le uova con un pizzico di sale, pepe e, se gradito, parmigiano. Aggiungere il prezzemolo tritato e poi versare tutto sulla pasta, mescolando bene per amalgamare.

  3. Cottura della frittata
    Scaldare un filo d’olio in una padella antiaderente (diametro 24–26 cm) e versare il composto, livellando con una spatola. Cuocere a fuoco medio-basso per 8–10 minuti, finché il fondo sarà ben dorato e la frittata si sarà rassodata. A questo punto, aiutandosi con un piatto, girare la frittata e cuocerla sull’altro lato per altri 5–6 minuti.

  4. Servizio
    Lasciar intiepidire prima di tagliare a fette. È ottima sia calda che fredda, anche il giorno dopo.

Questa frittata richiede un vino con buona freschezza e discreta aromaticità, capace di tenere testa alla sapidità delle acciughe e al gusto marcato di olive e capperi. Un Vermentino di Sardegna risponde perfettamente a questa esigenza: equilibrato, minerale, con note agrumate che contrastano la componente salina. In alternativa, un Greco di Tufo o un Etna Bianco porteranno nel bicchiere la stessa intensità che il piatto regala al palato.

Per chi preferisce una bevanda analcolica, un’acqua tonica secca o un tè nero affumicato (come il Lapsang Souchong) possono offrire un abbinamento sorprendente e raffinato, giocando sul contrasto aromatico.

La frittata di pasta saporita con capperi, olive e acciughe non è solo un piatto di recupero. È una lezione di cucina e di cultura. Parla di economia domestica, di creatività applicata alla necessità, ma anche di sapienza gustativa: perché orchestrare ingredienti dal carattere forte senza perdere l’equilibrio richiede precisione, misura e attenzione. È il genere di piatto che ci ricorda come l’essenza della cucina italiana risieda nella capacità di far parlare i sapori, senza bisogno di orpelli o complicazioni. Bastano pochi ingredienti ben dosati, una buona padella e la volontà di dare valore a ciò che spesso si considera marginale. In questo, la frittata di pasta è un piccolo capolavoro.









Ziti al Forno con Sugo di Capretto, Patate e Piselli

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Nel cuore del Meridione, tra le alture dell'entroterra campano e lucano, esiste un piatto che racconta più di una semplice ricetta. Gli ziti al forno con sugo di capretto, patate e piselli sono il simbolo di una cucina che non ha fretta, che nasce dalla terra e cresce intorno al focolare familiare. È un piatto che si prepara per le grandi occasioni, per le domeniche di festa, spesso legato alla tradizione pasquale, ma capace di evocare, in ogni stagione, la forza evocativa della cucina rurale italiana.

Lo zito spezzato a mano, il capretto stufato lentamente, le patate che assorbono ogni sapore, i piselli che aggiungono un tocco gentile. E poi il forno, che sigilla tutto con una crosticina fragrante, dorata, saporita.

Ingredienti (per 6 persone)

Per il sugo:

  • 1,2 kg di carne di capretto (spalla e coscia, con osso)

  • 1 cipolla grande

  • 2 spicchi d’aglio

  • 1 bicchiere di vino bianco secco

  • 750 ml di passata di pomodoro rustica

  • 2 cucchiai di concentrato di pomodoro

  • Olio extravergine d’oliva q.b.

  • Sale, pepe nero e alloro

Per la pasta:

  • 500 g di ziti lunghi

  • 2 patate medie, a dadini

  • 250 g di piselli freschi o surgelati

  • 100 g di pecorino stagionato grattugiato

  • 100 g di provola affumicata a dadini

  • Basilico fresco (facoltativo)

Preparazione

  1. Prepara il sugo di capretto: in una casseruola capiente, rosola i pezzi di carne con un filo d’olio, l’aglio e la cipolla tritata finemente. Sfuma con il vino bianco e lascia evaporare. Aggiungi la passata, il concentrato, una foglia di alloro, sale e pepe. Cuoci a fuoco molto basso per circa 2 ore, coprendo a metà cottura. La carne deve diventare tenera e il sugo denso e profumato.

  2. Nel frattempo, lessa le patate in acqua salata per 5 minuti (devono restare sode), sbollenta i piselli per 3-4 minuti e scolali.

  3. Cuoci gli ziti spezzati a mano in acqua salata per la metà del tempo indicato sulla confezione. Scolali molto al dente.

  4. Sminuzza la carne di capretto e rimettila nel sugo. Se preferisci, puoi lasciarla in pezzi interi con osso per una versione più rustica.

  5. In una ciotola capiente, mescola la pasta con abbondante sugo, i piselli, le patate, il pecorino e metà della provola. Aggiusta di sale.

  6. Versa tutto in una teglia ben unta, copri con altro sugo, pecorino e la restante provola. Inforna a 200°C per circa 30 minuti, fino a quando in superficie si forma una crosticina dorata e croccante.

Questo piatto è molto più di una gratinatura ben riuscita: è la materializzazione del tempo lento. Ogni passaggio, dalla cottura della carne al profumo che invade la cucina durante la cottura in forno, è un ritorno a un’epoca in cui il cibo era rito, e la domenica non era completa senza qualcosa che borbottasse sul fuoco sin dall’alba.

Servito su una tavola imbandita, questo timballo contadino raccoglie intorno a sé i sorrisi e i racconti, si taglia a fette come un dolce solenne, e lascia sulle dita quel velo di sugo che è un invito a tornare bambini. C'è tutta la forza di una cucina povera ma sapiente, che non ha mai avuto bisogno di sofisticazioni per essere grande.


Abbinamento consigliato: un Aglianico del Vulture giovane o un Piedirosso campano: vini capaci di tenere testa all’intensità del piatto, esaltandone le note selvatiche e terrose.

Chiudete gli occhi, affondate la forchetta, e lasciate che gli ziti vi raccontino la loro storia.




Pepite Fritte Ripiene di Mac & Cheese: L’Oro Croccante della Comfort Food Revolution

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In un’epoca in cui la cucina di strada incontra l’alta creatività gastronomica, le pepite fritte ripiene di Mac & Cheese emergono come uno degli esperimenti più golosi e riusciti della cultura food contemporanea. Croccanti fuori, cremose e filanti all’interno, racchiudono l’essenza del comfort food americano reinterpretato in chiave pop, street e irresistibilmente sfiziosa.

Queste pepite non sono semplici finger food: sono bombe di gusto che uniscono l’iconico maccherone al formaggio statunitense a una panatura dorata e fragrante, pensate per conquistare palati di tutte le età. Nate probabilmente nei bistrot urbani e nei food truck americani, oggi sono diventate protagoniste di menù da aperitivo, brunch creativi e street festival internazionali.

Ingredienti (per circa 20 pepite):

Per il Mac & Cheese:

  • 200 g di maccheroni (elbow pasta o ditali)

  • 25 g di burro

  • 25 g di farina 00

  • 250 ml di latte intero

  • 150 g di cheddar grattugiato

  • 50 g di parmigiano reggiano

  • Sale, pepe nero e un pizzico di noce moscata

Per impanare e friggere:

  • 2 uova

  • 100 g di farina 00

  • 150 g di pangrattato (meglio se panko per extra croccantezza)

  • Olio di semi di arachide q.b. per friggere

Preparazione:

  1. Cuoci la pasta al dente in abbondante acqua salata. Scolala e mettila da parte con un filo d’olio per non farla attaccare.

  2. Prepara la besciamella al formaggio: in un pentolino sciogli il burro, aggiungi la farina e cuoci per un minuto mescolando. Versa il latte a filo continuando a mescolare con una frusta fino a ottenere una salsa densa. Aggiungi il cheddar e il parmigiano, regola di sale, pepe e noce moscata.

  3. Unisci la pasta al formaggio fuso e amalgama bene. Versa il composto in una teglia larga, copri con pellicola a contatto e lascia raffreddare completamente. Poi trasferisci in frigo per almeno 2 ore (meglio tutta la notte): il composto deve compattarsi.

  4. Forma delle pepite con le mani, grandi poco più di una noce. Se preferisci, puoi aiutarti con un cucchiaio da gelato per porzionarle con precisione.

  5. Passa ogni pepita prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto e infine nel pangrattato. Per una croccantezza estrema, puoi ripetere uovo e pangrattato una seconda volta.

  6. Friggi in olio caldo a 170°C, poche alla volta, fino a doratura uniforme. Scola su carta assorbente.

Consigli da chef:

  • Puoi arricchire il cuore delle pepite aggiungendo cubetti di pancetta affumicata, jalapeños per una nota piccante o tartufo grattugiato per una variante gourmet.

  • Se vuoi prepararle in anticipo, una volta impanate possono essere congelate e fritte direttamente da congelate all’occorrenza.

  • Servile con salse di accompagnamento: ketchup speziato, maionese al lime, salsa BBQ o una crema al formaggio blu.

Le pepite di Mac & Cheese non sono solo una trovata da fast food. Sono diventate una piccola ossessione globale, interpretate in infiniti modi da chef stellati, cuochi di casa e influencer del cibo. In esse si fondono la nostalgia dei sapori dell’infanzia e la voglia di novità. È questo connubio – fra il familiare e il sorprendente – a renderle così universali e amate.

Che si servano su un piatto di ardesia in un ristorante newyorkese o in un cartoccio di carta al festival del cibo di strada a Bologna, queste pepite sanno conquistare tutti. Perché ogni morso racconta una storia fatta di formaggio fuso, ricordi caldi e croccanti piaceri.

Un boccone tira l’altro. E nessuno ne vuole solo uno.



Lagane e Ceci: Il Cuore Umile e Gustoso della Tradizione Lucana

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Nel panorama della cucina regionale italiana, pochi piatti incarnano l’anima contadina e la sapienza gastronomica del Sud come le lagane e ceci. Piatto povero solo in apparenza, affonda le radici in una tradizione millenaria che attraversa la Magna Grecia, l’Impero Romano e le cucine delle nonne del Mezzogiorno. Con pochi ingredienti essenziali, questo primo piatto sa raccontare una storia di semplicità, ingegno e sapore profondo.

La parola lagana compare già nei testi di Orazio, poeta latino che nel I secolo a.C. descriveva una sfoglia di pasta tirata a mano, precorritrice della moderna lasagna, ma ben diversa per composizione e utilizzo. L’accostamento con i ceci ha radici che affondano nella cultura contadina e nei principi dell’alimentazione mediterranea: un equilibrio perfetto tra carboidrati e proteine vegetali, che offriva energia e sazietà anche nei mesi più rigidi.

Nel Sud Italia – in particolare tra Basilicata, Calabria e Campania – lagane e ceci ha resistito all’omologazione gastronomica proprio grazie alla sua essenza rustica e al legame identitario con la terra.

Le lagane sono larghe tagliatelle di pasta fresca, prive di uova, realizzate solo con farina e acqua. La loro consistenza è corposa, pensata per reggere sughi densi e legumi robusti. L’impasto si lavora a mano e si stende con il mattarello, come si faceva un tempo sulle spianatoie in legno, in un rito che spesso univa le generazioni.

I ceci, messi in ammollo almeno 12 ore prima, vanno cotti lentamente, con aromi semplici come aglio, rosmarino e alloro. È questo passaggio che dà al piatto la sua intensità: il brodo dei ceci diventa la base cremosa in cui le lagane si insaporiscono e si amalgamano, restituendo un gusto pieno, profondo e avvolgente.

La ricetta tradizionale

Ingredienti per 4 persone:

  • Per le lagane:

    • 300 g di farina di semola rimacinata

    • 150 ml circa di acqua

    • Un pizzico di sale

  • Per il condimento:

    • 250 g di ceci secchi (oppure 500 g già lessati)

    • 2 spicchi d’aglio

    • 1 rametto di rosmarino

    • 1 foglia di alloro

    • Olio extravergine d’oliva q.b.

    • Sale e pepe nero q.b.

    • (Facoltativo) un pizzico di peperoncino

Preparazione:

  1. La sera prima: mettere a bagno i ceci in abbondante acqua fredda con un pizzico di bicarbonato.

  2. Il giorno dopo: sciacquare bene i ceci e cuocerli in acqua nuova, con alloro, rosmarino e uno spicchio d’aglio, per circa 2 ore (oppure 40 minuti se si usa una pentola a pressione). Salare solo verso fine cottura.

  3. Nel frattempo, preparare le lagane: impastare la farina con l’acqua e il sale fino a ottenere un composto liscio. Far riposare 30 minuti coperto da un canovaccio, poi stendere la pasta a uno spessore di circa 2 mm e tagliare delle strisce larghe 1-1,5 cm.

  4. In un tegame capiente, scaldare olio extravergine d’oliva con uno spicchio d’aglio (che poi andrà tolto) e, se piace, un pizzico di peperoncino. Aggiungere i ceci con un po’ del loro brodo di cottura.

  5. Cuocere le lagane direttamente nel tegame con i ceci, aggiungendo altra acqua calda se necessario. Mescolare spesso: la pasta rilascerà amido, legando il tutto in una crema densa e avvolgente.

  6. Servire caldo, con un filo d’olio a crudo e una macinata di pepe nero fresco.

Lagane e ceci non è solo una ricetta, è un inno alla cucina delle origini, a quel mangiare “di una volta” che parlava di terra, stagioni e famiglia. In un’epoca in cui l’alta cucina riscopre il valore dell’essenzialità, questo piatto si fa esempio lampante di come la sobrietà possa tradursi in eccellenza.

Senza sfarzo, senza eccessi: un piatto che conforta, nutre e racconta. Un piccolo capolavoro di equilibrio, come solo le grandi tradizioni popolari sanno offrire.



Il Ciareghì con Funghi Porcini: Un'Esplosione di Sapore della Tradizione Alpina

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Il "Ciareghì" è un piatto tipico della tradizione alpina, in particolare della Lombardia e delle valli circostanti, che racchiude in sé il calore e la ricchezza dei sapori montani. La ricetta che proponiamo, che vede l'abbinamento dell'uovo al tegamino con la polenta taragna e i funghi porcini trifolati, è un vero e proprio omaggio alla cucina rustica, genuina e saporita delle nostre terre più fredde.

Il nome "Ciareghì" (o "ciaregghi") è un termine dialettale che affonda le radici nelle tradizioni culinarie della zona prealpina. È un piatto che si è evoluto nel tempo, diventando simbolo della cucina contadina montana, dove ingredienti semplici come l'uovo, la polenta e i funghi venivano utilizzati per preparare piatti ricchi e nutrienti, ideali per affrontare i rigori dell'inverno.

La polenta taragna, in particolare, è un tipo di polenta che si prepara mescolando farina di mais con farina di grano saraceno, tipica delle valli bergamasche e bresciane. Questo tipo di polenta ha una consistenza più morbida e un sapore più deciso rispetto alla polenta classica, che si sposa perfettamente con i funghi porcini, un ingrediente pregiato che cresce spontaneamente nei boschi delle zone montane.

La preparazione di questo piatto richiede pochi passaggi, ma è fondamentale che ogni componente venga preparato con cura per esaltare al massimo i sapori. L'uovo al tegamino deve essere cucinato con attenzione per mantenere il tuorlo morbido, mentre la polenta deve essere cremosa e ben mantecata. I funghi porcini, infine, vanno trifolati con aglio e prezzemolo per sprigionare tutto il loro profumo.

Ingredienti per 4 persone:

  • 4 uova fresche

  • 300 g di polenta taragna

  • 200 g di funghi porcini freschi (o secchi se non sono disponibili freschi)

  • 2 spicchi d'aglio

  • 30 g di burro

  • Prezzemolo fresco tritato q.b.

  • Sale e pepe q.b.

  • Olio extravergine di oliva

Preparazione:

  1. Preparare la polenta taragna: Inizia preparando la polenta taragna. Porta a ebollizione circa 1 litro e mezzo di acqua salata in una pentola capiente. Quando l'acqua bolle, versa a pioggia la farina di polenta, mescolando continuamente per evitare grumi. Cuoci per circa 30-40 minuti, mescolando spesso, fino a ottenere una consistenza morbida e cremosa. Quando la polenta è pronta, manteca con una noce di burro e aggiusta di sale. Mantieni caldo.

  2. Trifolare i funghi porcini: Pulisci i funghi porcini con un panno umido, rimuovendo la terra in eccesso. Tagliali a fettine sottili. In una padella ampia, scalda un filo di olio extravergine di oliva con uno spicchio d'aglio schiacciato. Quando l'aglio inizia a dorarsi, aggiungi i funghi porcini e falli saltare a fuoco vivo per circa 10-15 minuti, finché non si ammorbidiscono e rilasciano il loro liquido. Aggiusta di sale e pepe e spolvera con prezzemolo fresco tritato prima di spegnere il fuoco.

  3. Cuocere l'uovo al tegamino: In un'altra padella, scalda una noce di burro. Rompi delicatamente le uova e cuocile al tegamino, facendo attenzione a non rompere il tuorlo. L'uovo deve essere cotto al punto giusto, con il bianco sodo ma il tuorlo ancora morbido. Aggiusta di sale e pepe.

  4. Assemblare il piatto: Su ogni piatto, disponi una porzione di polenta taragna, facendo un piccolo incavo al centro. Posiziona sopra l'uovo al tegamino e circondalo con i funghi porcini trifolati. Completa con una spolverata di prezzemolo fresco tritato e, se gradito, una grattugiata di formaggio grana.

  5. Servire: Servi il "Ciareghì" con funghi porcini immediatamente, ben caldo. Questo piatto, che racchiude la semplicità e la bontà della tradizione alpina, è perfetto per una cena rustica ma raffinata, che sa come coccolare i commensali con i suoi sapori intensi e genuini.

Il "Ciareghì con funghi porcini" è un piatto che incarna la filosofia della cucina montana, fatta di ingredienti semplici ma pieni di sapore, cucinati con amore e passione. La combinazione della polenta taragna, dell'uovo al tegamino e dei funghi porcini trifolati crea un'armonia perfetta, che rende ogni boccone un'esperienza indimenticabile. Questo piatto è perfetto per le occasioni in cui si desidera assaporare il gusto autentico delle valli italiane, portando un po' di montagna sulla tavola.



 
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