Perché in questo ristorante 3 stelle Michelin si lavora solo 3 giorni a settimana

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Mentre gli altri ristoranti stellati hanno turni di 15 ore, Maaemo dà ai suoi chef quattro giorni liberi.
Quando gli chef di Maaemo - l'head chef Jordan Bailey, l'R&D chef Rob Drennan e lo chef de partie Tom Downes - hanno deciso di includere nel menù un nuovo dessert, un sorbetto con il latte intero di una sola mucca, hanno organizzato una gara. Si sono recati a Grøndalen Gårdsmejeri, e hanno diviso le mucche in gironi da quattro. Le hanno munte una a una. Quelle con il latte migliore, passavano al turno successivo. Alla fine di un processo di selezione molto scrupoloso, Bailey, Drennan e Downes hanno dichiarato la vincitrice: Isrosa, una mucca di due anni. E ne hanno comprato tutto il latte anche futuro, così che i clienti di Maaemo fossero gli unici al mondo - oltre i suoi vitelli - ad assaggiarlo.
La filosofia del ristorante, di ricercare i prodotti migliori per ogni piatto, ha un ruolo fondamentale nella fama che lo chef e proprietario Esben Holmboe Band ha in tutt'Europa. Ma in un momento storico in cui i ristoranti si auto-producono anche le sementi, il fatto che gli chef di Maaeme si affidino solo alle risorse migliori non è così caratteristico. Il fattore straordinario - nonché rivoluzionario - è che hanno il tempo di farlo.
Le difficili condizioni lavorative che vigono nell'industria della ristorazione non sono un segreto per chiunque abbia mai aperto un libro di Bourdain o guardato un episodio di Hell's Kitchen. Stage non pagati, stress emotivo e fisico, e una cultura intrisa di rabbia e machismo sono solo alcuni motivi che rendono così duro il lavoro di chef. Ma per molte persone che lavorano ai fornelli, l'aspetto più estenuante sono gli orari. Quindici ore al giorno, 85 ore a settimana: la norma, in molti dei ristoranti più famosi.
Molti giustificano questi turni con motivazioni economiche: hanno bisogno che lo staff faccia turni lunghissimi se vogliono sopravvivere in un business in cui i margini di profitto sono notoriamente sottili. Le lunghe giornate di lavoro sono parte della cultura dell'industria. Molti chef le onorano perché così è sempre stato, e la disponibilità a donare il proprio tempo (e a saltare compleanni e Natali in famiglia) è un segno di devozione, parte dell'identità collettiva della categoria, come le scottature o le braccia tatuate. Ma le conseguenze sono devastanti: burnout, stanchezza, depressione e un tasso di divorzio più alto che in qualsiasi altra categoria.
Per i primi quattro o cinque anni, Maaemo non era diverso. La domenica o il lunedì erano di libertà, ma il resto dei giorni i turni arrivavano anche fino a 20 ore di lavoro.
"Abbiamo visto le conseguenze del lavoro sulle persone," ricorda Holmboe Band. "Alcuni dovevano lasciare il lavoro perché non ce la facevano. Anche io, personalmente, sentivo di non reggere più—non potevo continuare per sempre a non vedere la mia famiglia, a stare al limite."
È proprio per questo che Holmboe Bang ha deciso di cambiare le cose. Nel settembre del 2016, ha ridotto i giorni lavorativi a Maaemo da cinque a quattro. "I risultati sono stati immediati," dice. "Le persone erano riposate, avevano più energia, quando entravano nel ristorante a inizio settimana avevano un atteggiamento da 'è qua che voglio essere oggi'".
A quel punto, ha fatto una cosa ancora più controcorrente. L'impatto di quella riduzione era così evidente, che ha deciso di andare oltre: ha ridotto gli orari lavorativi del suo staff a tre giorni a settimana. Tutti - in sala e in cucina - avrebbero continuato a lavorare 45 ore a settimana, ma sempre con quattro giorni liberi di fila. Una volta al mese i giorni liberi erano cinque di fila, abbastanza per visitare parenti lontani, o per viaggiare.
E questo, dice il caposala Benjamin Ausland, ha cambiato tutto. "Prima c'era sempre tensione. Le persone diventavano intolleranti, si rispondevano male. Mi arrabbiavo con i camerieri perché non sorridevano abbastanza," ricorda. "Ma adesso siamo diventati persone normali. Ci ha dato energia."
Con i nuovi orari veniva cancellato il servizio a cena del giovedì, ma aggiunto il pranzo del venerdì, così Maaemo ha dovuto assumere più personale. Dovevano anche gestire il tempo in modo più intelligente. "Se una persona lavora sia a pranzo che a cena, ha bisogno di una pausa in mezzo," dice Ausland. "Quindi invece di far pulire le posate a tutti per due ore tra i turni, ne abbiamo comprato un altro set."
Assumere più personale e comprare più posate ha un prezzo, e Bang ammette senza problemi che queste spese hanno influito sul profitto del ristorante. "Se fossimo andati avanti come prima, saremmo stati pieni di soldi," dice. "Ma mi accontento di andarci in pari. È una questione di cosa sacrificare - a cosa sei disposto a rinunciare? Noi abbiamo rinunciato al profitto."
Ovviamente non tutti i ristoranti possono o vogliono fare lo stesso. Homboe è cosciente dei privilegi - tre stelle Michelin e il fatto di trovarsi in un paese benestante con un forte sistema di welfare sociale - di cui gode Maaemo. E questa scelta non nasce dal voler rappresentare un modello per gli altri. "Tutti i ristoranti sono diversi, è una cosa molto personale," dice. "Da chef, passi la vita a cerca di essere unico. Quindi non credo che possiamo trovare una formula e applicarla a tutti."
Ma crede anche che valga la pena mettere in discussione alcuni concetti della ristorazione che consideriamo dogmi. "Quest'idea secondo cui dovremmo sempre dire 'Voglio lavorare 18 ore di fila al giorno, vivo di adrenalina' - non è solo una scusa? Una cazzata? Non vedo perché non puoi unire l'essere una persona zelante ed entusiasta del lavoro all'avere una vita. Non dovresti aver bisogno di essere sadico o masochista per aver successo."
Di certo i risultati di Maaemo smentiscono la filosofia del masochismo. Non soltanto il personale del ristorante è più contento - nessuno si è mai licenziato da quando l'orario è stato ridotto - ma è anche più innovativo. "Dio, siamo molto più creativi," dice Bang. "C'è un surplus di energie. Si vede in tutte le cose che stiamo creando, in tutti questi nuovi piatti."
Uno a caso: il sorbetto di latte di Isrosa.
Per l'R&D Chef Drennan, i nuovi orari sono stati stimolanti. "Ero abituato a lavorare sempre, quindi all'inizio è stato spiazzante—vuoi dire che posso lavorare in un ristorante tre stelle e avere una vita? Ma credo che tutti stiamo usando parte del tempo libero per essere più bravi nel nostro lavoro. Ci ha permesso di conoscere più a fondo la cucina norvegese."
Holboe Bang considera ancora questo cambiamento come una specie di esperimento, e anche se gli farebbe piacere se altri ristoranti seguissero il suo esempio, crede che a volte basti una sola persona a far scattare il cambiamento. "Non so se funzionerà, magari tra un anno scopriremo di esserci impigriti. Ma per adesso voglio provare. E se funziona, perché tornare a sentirci miserabili?" dice. "Perché non essere felici?"


Chazuke

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Il chazuke (茶漬け, ちゃづけ) o ochazuke (お茶漬け), è un piatto tipico della cucina giapponese. Nato dall'idea di utilizzare in maniera veloce il riso avanzato viene chiamato anche cha-cha gohan. Noto nella città di Kyoto come bubuzuke.
Lo si prepara versando del tè verde e dashi (in alternativa della semplice acqua calda) su del riso caldo. Vengono utilizzati diversi condimenti come tsukemono, umeboshi, nori, furikake, tarako e mentaiko, shiokara e wasabi.
Questa pietanza viene preparata sin dai tempi del periodo Heian.

Bryndzové halušky

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I bryndzové halušky sono il piatto nazionale slovacco. Si preparano con patate, farina, sale, bryndza e pancetta. A volte si accompagna ai bryndzové halušky un bicchiere di latte acido o di žinčica, una bevanda molto simile.
Occorre grattugiare delle patate crude e lavorarle con farina, uova e sale. A questa pasta si dà la forma di gnocchetti molto piccoli; in Slovacchia si usa uno speciale recipiente traforato e gli gnocchetti si tagliano passando un coltello contro il recipiente. Gli gnocchetti si fanno cuocere in acqua bollente. Scolati, sono mescolati alla bryndza e vi si aggiunge la pancetta cotta. Tradizionalmente si serve mettendo la pancetta al centro del piatto e si mangia spiluccando la pancetta alternata a forchettate di halušky.
Ogni anno si svolge a Turecká, in una cornice folkloristica e tradizionale, una sagra dei bryndzové halušky che prevede il Campionato del mondo di cucina e delle mangiate di tale piatto.

Questo ristoratore basco vuole farci mangiare il pesce come la carne

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"Tendiamo a pensare al pesce come a un’entità unica, senza prestare troppa attenzione ai sapori che rivestono per esempio la carne vicino alla lisca o alla coda. Non ci rendiamo conto nemmeno di quanto gelatinosa e ‘collosa’ possa essere."
Getaria è una piccola città costiera dei Paesi Baschi, in Spagna, ed è esattamente quel tipo di posto in cui si finisce se alla guida ci si lascia distrarre facilmente dalla vista di paesaggi collinari idilliaci. Questa cittadina di 3000 persone presenta tuttavia una peculiarità specifica che è impossibile non notare, ed è la vista delle dozzine di barchette colorate da pesca che popolano la baia. Si sa, dove ci sono i pescatori c'è buon pesce, e Getaria è conosciuta per avere il miglior pesce di tutta la costa di Urola.
Ogni giorno i pescatori di Getaria sciolgono gli ormeggi e si mettono in moto, tornando poi in porto con le imbarcazioni piene di chili di rombi, merluzzi e sgombri che poi riforniscono di ottimo pesce i ristoranti della città e dei paesi limitrofi. Uno di questi stabilimenti, da molti dichiarato come il migliore ristorante di Getaria, si chiama Elkano.
Termini come "stagionale", "da capo a coda" e "sostenibile" sono diventati recentemente popolari nel panorama culinario statunitense. All'Elkano, tuttavia, tali parole descrivono semplicemente tutto ciò che Pedro Arregui ha sempre voluto per il suo ristorante, attivo dal 1964. L'ispirazione per l'Elkano gli è venuta osservando proprio i pescatori di Getaria, che passano il tempo a grigliare il pesce fresco sulle parrilla, le griglie a carbone, appositamente montate sulle loro imbarcazioni
L'Elkano prende il nome da uno de natii più famosi di Getaria, Juan Sebastián Elkano, il primo marinaio che è riuscito nell'impresa di circumnavigare la Terra. In qualità di ristorante migliore della città, si è cimentato in un'impresa ugualmente epica: servire per più di cinquant'anni chiunque lo volesse delle delicatezze culinarie a base di pesce locali. All'Elkano le prelibatezze sono numerose e includo anche guance, testa e code di pesce.
Queste "guance", che poi altro non sono che la carne più morbida vicino alla gola del pesce, si chiamano kokotxas in basco, e sono uno dei piatti preferiti fra i locali. All'Elkano le potete assaporare in tre modi diversi: grigliate, con cottura confit, o al pil pil. Quest'ultimo metodo di cottura è il più tradizionale e viene poi servito con la salsa pil pil, al cui interno si trova olio d'oliva, aglio e i guindilla (sono dei piccoli peperoncini tipici della zona).
I ristoranti di Getaria tipo l'Elkano lasciano le loro griglie fuori, creando una vista peculiare per tutti gli automobilisti che, passando per le strade della città, si ritrovano file di cuochi avvolti da nuvole di fumo. Alcuni bar locali hanno persino iniziato a lasciare le proprie griglie fuori, per strada, di modo che i pescatori possano arrostire il pesce e d conseguenza rimanere al bar (a bere) più a lungo.
Il pesce dell'Elkano è talmente fresco che persino le gonadi vengono servite da sole come antipasto. Anche la testa di sgombro è uno degli ordini più richiesti del menù e viene servita separata dal resto del pesce, essendo il pezzo clou del piatto stesso, destinato a essere consumato con le mani.
Il vero pezzo forte del menu è però il rombo intero, cucinato sulla griglia a carbone e portato in tavola con la lisca. Aitor Arregi, figlio del fondatore e ora proprietario del locale, ci spiega le varie consistenze di ogni parte del pesce, servendocelo:
"Tendiamo a pensare al pesce come a un'entità unica, senza prestare troppa attenzione ai sapori che rivestono per esempio la carne vicino alla lisca o alla coda. Non ci rendiamo conto nemmeno di quanto gelatinosa e 'collosa' possa essere."
Il papà di Aitor era una sorta di leggenda nel mondo della gastronomia, poiché aveva dato prestigio alla griglia mostrando ai propri clienti quello che i pescatori, in realtà, sapevano da sempre: del pesce non si butta via niente.
Aitor ha continuato dicendoci che, mentre per la carne di manzo o suino prendiamo automaticamente in considerazione l'idea di mangiare solo tagli o parti specifiche singole dell'animale, per il pesce non è così. Per questo, continua, dovremmo iniziare a trattare il pesce esattamente come la carne.
"Prendiamo, per esempio, il rombo. Ecco, la carne del rombo ha due colori, e tali pigmentazioni variano anche la consistenza e il sapore della carne. Più è scura, più è spessa e di conseguenza croccante una volta grigliata."
Nel togliere le pinne al pesce, ci invita a mangiarle con le mani per assaporare meglio la carne che vi rimane incastrata. "Sono le alette di pollo in versione rombo", ironizza.
Stando a quanto ci dice Aitor, ci sono tre questioni principali da tenere a mente se si vogliono servire pietanze eccezionali: il prodotto o materia prima, il territorio tipico della data regione, e la stagionalità. Quando si tratta di pesce o frutti di mare, alla voce "materia prima" si deve usare come sinonimo imprescindibile la parola "freschezza".
"Io ho un'unica scelta: cucinare quello che ho vicino. Capite? E la mia fortuna è che di vicino ho dell'ottimo pesce."
Per territorio, invece, non si indica solo quello che è disponibile nel mare, ma anche come il pesce locale si presenti alla vista e al gusto. "Possiamo tranquillamente definirlo il nostro sistema di garanzia. Elkano si trova nel Golfo di Biscaglia, un territorio che garantisce che la materia prima sia facilmente pescabile (da qui la sua freschezza), sia controllata per quanto riguarda il suo tipo di alimentazione, e che sia monitorata a livello temporale."
Se si vuole servire pesce stagionale si deve per forza conoscerne il ciclo vitale. Lo sgombro, ad esempio, si nutre di un particolare tipo di gamberetti, la cui qualità migliora in un dato periodo dell'anno. Una volta appreso di quale periodo si tratti, pescare il miglior sgombro dell'anno è una conseguenza naturale.
"Se non fossi a conoscenza di queste nozioni, rischierei di pescare e grigliare un pesce che magari non è nel suo periodo migliore," continua Aitor. "Devo valutare sempre dove l'animale si sia nutrito e la sua stagionalità (tenendo conto anche il periodo riproduttivo)."
"Per noi questo tipo di conoscenza è ben più importante di una qualsiasi tecnica culinaria che potremmo imparare a scuola. Sono nozioni che abbiamo ereditato dai nostri pescatori, con i quali abbiamo intessuto rapporti stretti fin da quando mio padre ha aperto il locare. Non possiamo servire piatti buoni se il pesce è di pessima qualità. Quello che possiamo fare, però, è grigliare la pesca migliore del giorno mettendo in tavola una pietanza indimenticabile.
Le griglie dell'Elkano sono ancora disponibili sia per i pescatori che per tutti quei vicini che vogliono cucinare il proprio pesce lì. È una sorta di accordo di vicinato che prevede una sola clausola: il pesce deve essere buono.


Ciabatta

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La ciabatta è un classico tipo di pane italiano con un alto contenuto di liquidi almeno il 70% sul peso totale della farina, generalmente senza lipidi, riconoscibile dalla grande alveolatura della mollica, dalla crosta generalmente bruna e dalla sua croccantezza.
Il procedimento di questo pane venne messo a punto ad Adria (in provincia di Rovigo) da Arnaldo Cavallari assieme al già noto panificatore Francesco Favaron. Nel 1982, Cavallari lo registrò come marchio commerciale con il nome di "Ciabatta Italia".
L'impasto è formato in gran parte da biga a cui verrà aggiunta poi nella fase di impastamento una ulteriore quantità di farina.
Dosi per l'impasto:
  • 14,5 kg di biga (10 kg di farina W 320, 100 grammi di lievito di birra fresco e 4,5 L di acqua impasto lasciato riposare 18—24 ore)
  • 2 kg di farina di rinfresco tipo 0 (w 260)
  • 3,9 L d'acqua (70% sul totale del peso della farina, ma si può arrivare anche all'80% dipende dalla farina utilizzata)
  • 80 g malto
  • 200 g sale
  • 40 g lievito di birra
Impastare bene aggiungendo l'acqua un po' alla volta, e una volta terminato lasciar riposare in mastella per 25 minuti, quindi schiacciare l'impasto per far fuoriuscire l'anidride carbonica e taglia l'impasto delle pezzature desiderate. Una volta terminato di tagliare tutto l'impasto, lasciar lievitare per 40—45 minuti per prodotti con pezzature fino a 200 grammi e circa 1 ora per prodotti fino a 1 kg.
Per pezzature da 70 a 200 g cuocere a 235—240° C per 25/35 minuti a seconda del peso, per prodotti da 1 kg cuocere a 210° C per 1 ora.

Bourride

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Il bourride è un piatto di pesce di mare, simile al bouillabaisse, nativo della Provenza e della Linguadoca. È particolarmente noto a Sète (Hérault).
Il termine bourride è preso dal provenzale bourrido, che è derivata da boulido, bollito.
È preparato con pesce bianco, tra cui la rana pescatrice (nome mediterraneo della coda di rospo), che vengono cotti a vapore. Poi nella casseruola viene aggiunta verdura cotta a dadini (sedano, porri, carote, cipolle, ecc.). Si aggiunge poi maionese e olio d'oliva. Il tutto è portato sul tavolo insieme con crostini strofinati con aglio.
Simile come nome, ma di differente preparazione, è la zuppa di pesce ligure chiamata buridda.


Dentro la vita turbolenta di un famoso critico gastronomico

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Tra tentativi di corruzione, chef arrabbiati e problemi con l'anonimato.
Qualche mese fa Mac van Dinther ha festeggiato i suoi vent'anni di carriera critica. Bazzica l'ambiente da così tanto tempo che non solo è il critico più esperto e noto d'Olanda, ma è anche il più temuto. Ogni settimana nel corso degli ultimi due decenni ha setacciato il suo paese alla ricerca di piatti innovativi, ingredienti sorprendenti ed esperienze uniche. Dopo aver mangiato, scrive, e poi condivide le sue misurate osservazioni con i lettori del quotidiano nazionale olandese de Volkskrant.
Farti pagare per cenare fuori potrebbe sembrare il lavoro perfetto, ma non è proprio tutto qui. MUNCHIES ha parlato con Mac van Dinther di chef con problemi di gestione dell'ira, di tutti i modi in cui hanno tentato di corromperlo, e di che trucchi usa per cercare di rimanere anonimo.

Come sei diventato un critico culinario?
Mac van Dinther: Venticinque anni fa ho cominciato a scrivere, sempre sullo stesso quotidiano, di socioeconomia — cose come il mercato del lavoro e l'assegno di disabilità. Ma nel tempo libero potevo fare quello che volevo. Prendevo gli inviti alle degustazioni o alle aperture dei ristoranti che nessuno voleva e poi ci scrivevo qualche riga. All'inizio i miei colleghi mi prendevano in giro, ma allora sui media si parlava davvero poco di cibo. Alla fine, sia i colleghi che il pubblico del giornale si sono sempre più interessati alla ristorazione. Hanno cominciato a passarmi automaticamente gli inviti, e ci ho costruito sopra una carriera.

Hai festeggiato di recente i tuoi vent'anni da critico culinario. Pensavi di durare così a lungo nella professione?
Be', era quello che volevo. Dal primo giorno ho detto al mio caporedattore che non solo sarei stato il critico più magro della storia, ma anche il più longevo. Sono sicuro della seconda cosa, della prima non così tanto.

Pensi di essere anche il più temuto?
Ah, dipende dallo chef a cui chiedi. Funziona che un ristorante di una cittadina ha forse più paura della stampa locale, mentre un ristorante i cui clienti leggono il Volkskrant ha più paura di me. Altri, di me se ne sbattono proprio.

La tua faccia è abbastanza ignota al pubblico. Come sei riuscito a mantenere un relativo anonimato?Mi ci sono impegnato, non mi sono mai fatto fare foto come molti altri critici. E poi non vado agli eventi, giusto a un paio di presentazioni della guida Michelin. Comunque, cerco di volare basso.

Come fai a non farti riconoscere quando entri in un ristorante?
Prenoto sotto falso nome, porto qualcuno con me, e cerco di farmi i fatti miei. Questo è tutto. Metto il bloc-notes di fianco al piatto. Quando un cameriere mi chiede cosa scrivo, rispondo, "Mi appunto sempre quello che mangio". È la verità. Se insistono, gli dico che non sono fatti loro. A volte si arrabbiano perché pensano che gli stia rubando le ricette.

Ti sei mai mascherato?
No, non lavoro per i servizi segreti, sono un critico culinario. Mi rifiuto di mascherarmi.
Alcuni critici mentono sul lavoro che fanno, quando incontrano persone nuove…
Io dico che faccio il giornalista, e se continuano a pressarmi, gli dico che faccio il critico per de Volkskrant. A volte mi rispondono "Ooh, ma sei quel Mac van Dinther." Non è un segreto, amici e famiglia sanno cosa faccio.

Succede che ti riconoscano "sul lavoro"?
Certo. Una volta mi hanno accolto all'ingresso di un ristorante dicendomi, "Buonasera signor van Dinther, a che nome ha prenotato questa sera?" Probabilmente il miglior benvenuto della mia vita. Ovviamente preferisco rimanere anonimo perché voglio vivere la stessa esperienza degli altri clienti. Non voglio nessun trattamento speciale. So benissimo che se lo staff mi riconosce, sarò meno buono. Mi aspetterò qualcosa di più.

I ristoratori fanno una "caccia ai critici", per riconoscervi?
Ho sentito dire che i grandi ristoranti tengono le foto dei critici più noti in cucina. Ma penso che succeda soprattutto all'estero. In Olanda non tanto.

Cosa fanno, una volta che ti hanno riconosciuto, per assicurarsi che tutto vada bene?
Be', di solito mi continuano a portare vino, anche vino costosissimo che non ho chiesto. Una volta mi hanno servito del vino della cui straordinarietà mi sono immediatamente accorto. Ho guardato sulla carta, e costava 150 euro la bottiglia. Una bottiglia così non è solitamente consigliata per gli abbinamenti con il cibo. Sono trucchetti di cui ti accorgi subito. Uno chef un'altra volta insisteva per non farmi pagare quello che avevo bevuto — ridicolo. Ho detto, "Senti, paga il giornale, non io". Ma lui insisteva. Cosa avrei dovuto fare? Non potevo mettergli un coltello alla gola.
"Una volta uno chef arrabbiato ha scritto una lettera al caporedattore dopo una recensione sfavorevole, chiedendo in pratica che venissi licenziato"

Qual è la risposta più memorabile che hai ricevuto, dopo una recensione?
Non mi rispondono spesso, a volte magari un'e-mail carina dopo una recensione positiva. Ma una volta, uno chef arrabbiato ha scritto una lettera al caporedattore dopo una recensione sfavorevole, chiedendo in pratica che venissi licenziato. Il tono era tipo, "Chi si crede di essere il vostro critico? Non sa di che parla." Gli ho mandato una risposta amichevole, "Senti, faccio questo lavoro da vent'anni, sono abbastanza certo di sapere di cosa parlo. Invece che prendertela con me, usa queste energie per migliorare i tuoi ristoranti. I clienti apprezzeranno."

Che cosa hai imparato in questi vent'anni?
Più cose scopro su cucina e cibo, meno netto divento. In passato ero più duro. Ora penso spesso: chi sono io per dirlo?

Vai mai fuori a cena per divertimento?
Sì, ma a volte succedono cose strane. Per esempio, una volta io e mia moglie volevamo andare a cena al ristorante di un amico. Ma dato che era tutto pieno, lui ci ha prenotato un tavolo in un altro posto. Gli ha detto chiaramente che non ero lì per scrivere una recensione, ma comunque lo staff quando siamo arrivati era molto nervoso — ci riempivano i bicchieri fino all'orlo e continuavano a parlare. Non troppo divertente.

Hai qualche consiglio per i critici in erba?
No. Dovete fare da soli. È il modo migliore per imparare.


 
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