Bryndzové halušky

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I bryndzové halušky sono il piatto nazionale slovacco. Si preparano con patate, farina, sale, bryndza e pancetta. A volte si accompagna ai bryndzové halušky un bicchiere di latte acido o di žinčica, una bevanda molto simile.
Occorre grattugiare delle patate crude e lavorarle con farina, uova e sale. A questa pasta si dà la forma di gnocchetti molto piccoli; in Slovacchia si usa uno speciale recipiente traforato e gli gnocchetti si tagliano passando un coltello contro il recipiente. Gli gnocchetti si fanno cuocere in acqua bollente. Scolati, sono mescolati alla bryndza e vi si aggiunge la pancetta cotta. Tradizionalmente si serve mettendo la pancetta al centro del piatto e si mangia spiluccando la pancetta alternata a forchettate di halušky.
Ogni anno si svolge a Turecká, in una cornice folkloristica e tradizionale, una sagra dei bryndzové halušky che prevede il Campionato del mondo di cucina e delle mangiate di tale piatto.

Questo ristoratore basco vuole farci mangiare il pesce come la carne

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"Tendiamo a pensare al pesce come a un’entità unica, senza prestare troppa attenzione ai sapori che rivestono per esempio la carne vicino alla lisca o alla coda. Non ci rendiamo conto nemmeno di quanto gelatinosa e ‘collosa’ possa essere."
Getaria è una piccola città costiera dei Paesi Baschi, in Spagna, ed è esattamente quel tipo di posto in cui si finisce se alla guida ci si lascia distrarre facilmente dalla vista di paesaggi collinari idilliaci. Questa cittadina di 3000 persone presenta tuttavia una peculiarità specifica che è impossibile non notare, ed è la vista delle dozzine di barchette colorate da pesca che popolano la baia. Si sa, dove ci sono i pescatori c'è buon pesce, e Getaria è conosciuta per avere il miglior pesce di tutta la costa di Urola.
Ogni giorno i pescatori di Getaria sciolgono gli ormeggi e si mettono in moto, tornando poi in porto con le imbarcazioni piene di chili di rombi, merluzzi e sgombri che poi riforniscono di ottimo pesce i ristoranti della città e dei paesi limitrofi. Uno di questi stabilimenti, da molti dichiarato come il migliore ristorante di Getaria, si chiama Elkano.
Termini come "stagionale", "da capo a coda" e "sostenibile" sono diventati recentemente popolari nel panorama culinario statunitense. All'Elkano, tuttavia, tali parole descrivono semplicemente tutto ciò che Pedro Arregui ha sempre voluto per il suo ristorante, attivo dal 1964. L'ispirazione per l'Elkano gli è venuta osservando proprio i pescatori di Getaria, che passano il tempo a grigliare il pesce fresco sulle parrilla, le griglie a carbone, appositamente montate sulle loro imbarcazioni
L'Elkano prende il nome da uno de natii più famosi di Getaria, Juan Sebastián Elkano, il primo marinaio che è riuscito nell'impresa di circumnavigare la Terra. In qualità di ristorante migliore della città, si è cimentato in un'impresa ugualmente epica: servire per più di cinquant'anni chiunque lo volesse delle delicatezze culinarie a base di pesce locali. All'Elkano le prelibatezze sono numerose e includo anche guance, testa e code di pesce.
Queste "guance", che poi altro non sono che la carne più morbida vicino alla gola del pesce, si chiamano kokotxas in basco, e sono uno dei piatti preferiti fra i locali. All'Elkano le potete assaporare in tre modi diversi: grigliate, con cottura confit, o al pil pil. Quest'ultimo metodo di cottura è il più tradizionale e viene poi servito con la salsa pil pil, al cui interno si trova olio d'oliva, aglio e i guindilla (sono dei piccoli peperoncini tipici della zona).
I ristoranti di Getaria tipo l'Elkano lasciano le loro griglie fuori, creando una vista peculiare per tutti gli automobilisti che, passando per le strade della città, si ritrovano file di cuochi avvolti da nuvole di fumo. Alcuni bar locali hanno persino iniziato a lasciare le proprie griglie fuori, per strada, di modo che i pescatori possano arrostire il pesce e d conseguenza rimanere al bar (a bere) più a lungo.
Il pesce dell'Elkano è talmente fresco che persino le gonadi vengono servite da sole come antipasto. Anche la testa di sgombro è uno degli ordini più richiesti del menù e viene servita separata dal resto del pesce, essendo il pezzo clou del piatto stesso, destinato a essere consumato con le mani.
Il vero pezzo forte del menu è però il rombo intero, cucinato sulla griglia a carbone e portato in tavola con la lisca. Aitor Arregi, figlio del fondatore e ora proprietario del locale, ci spiega le varie consistenze di ogni parte del pesce, servendocelo:
"Tendiamo a pensare al pesce come a un'entità unica, senza prestare troppa attenzione ai sapori che rivestono per esempio la carne vicino alla lisca o alla coda. Non ci rendiamo conto nemmeno di quanto gelatinosa e 'collosa' possa essere."
Il papà di Aitor era una sorta di leggenda nel mondo della gastronomia, poiché aveva dato prestigio alla griglia mostrando ai propri clienti quello che i pescatori, in realtà, sapevano da sempre: del pesce non si butta via niente.
Aitor ha continuato dicendoci che, mentre per la carne di manzo o suino prendiamo automaticamente in considerazione l'idea di mangiare solo tagli o parti specifiche singole dell'animale, per il pesce non è così. Per questo, continua, dovremmo iniziare a trattare il pesce esattamente come la carne.
"Prendiamo, per esempio, il rombo. Ecco, la carne del rombo ha due colori, e tali pigmentazioni variano anche la consistenza e il sapore della carne. Più è scura, più è spessa e di conseguenza croccante una volta grigliata."
Nel togliere le pinne al pesce, ci invita a mangiarle con le mani per assaporare meglio la carne che vi rimane incastrata. "Sono le alette di pollo in versione rombo", ironizza.
Stando a quanto ci dice Aitor, ci sono tre questioni principali da tenere a mente se si vogliono servire pietanze eccezionali: il prodotto o materia prima, il territorio tipico della data regione, e la stagionalità. Quando si tratta di pesce o frutti di mare, alla voce "materia prima" si deve usare come sinonimo imprescindibile la parola "freschezza".
"Io ho un'unica scelta: cucinare quello che ho vicino. Capite? E la mia fortuna è che di vicino ho dell'ottimo pesce."
Per territorio, invece, non si indica solo quello che è disponibile nel mare, ma anche come il pesce locale si presenti alla vista e al gusto. "Possiamo tranquillamente definirlo il nostro sistema di garanzia. Elkano si trova nel Golfo di Biscaglia, un territorio che garantisce che la materia prima sia facilmente pescabile (da qui la sua freschezza), sia controllata per quanto riguarda il suo tipo di alimentazione, e che sia monitorata a livello temporale."
Se si vuole servire pesce stagionale si deve per forza conoscerne il ciclo vitale. Lo sgombro, ad esempio, si nutre di un particolare tipo di gamberetti, la cui qualità migliora in un dato periodo dell'anno. Una volta appreso di quale periodo si tratti, pescare il miglior sgombro dell'anno è una conseguenza naturale.
"Se non fossi a conoscenza di queste nozioni, rischierei di pescare e grigliare un pesce che magari non è nel suo periodo migliore," continua Aitor. "Devo valutare sempre dove l'animale si sia nutrito e la sua stagionalità (tenendo conto anche il periodo riproduttivo)."
"Per noi questo tipo di conoscenza è ben più importante di una qualsiasi tecnica culinaria che potremmo imparare a scuola. Sono nozioni che abbiamo ereditato dai nostri pescatori, con i quali abbiamo intessuto rapporti stretti fin da quando mio padre ha aperto il locare. Non possiamo servire piatti buoni se il pesce è di pessima qualità. Quello che possiamo fare, però, è grigliare la pesca migliore del giorno mettendo in tavola una pietanza indimenticabile.
Le griglie dell'Elkano sono ancora disponibili sia per i pescatori che per tutti quei vicini che vogliono cucinare il proprio pesce lì. È una sorta di accordo di vicinato che prevede una sola clausola: il pesce deve essere buono.


Ciabatta

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La ciabatta è un classico tipo di pane italiano con un alto contenuto di liquidi almeno il 70% sul peso totale della farina, generalmente senza lipidi, riconoscibile dalla grande alveolatura della mollica, dalla crosta generalmente bruna e dalla sua croccantezza.
Il procedimento di questo pane venne messo a punto ad Adria (in provincia di Rovigo) da Arnaldo Cavallari assieme al già noto panificatore Francesco Favaron. Nel 1982, Cavallari lo registrò come marchio commerciale con il nome di "Ciabatta Italia".
L'impasto è formato in gran parte da biga a cui verrà aggiunta poi nella fase di impastamento una ulteriore quantità di farina.
Dosi per l'impasto:
  • 14,5 kg di biga (10 kg di farina W 320, 100 grammi di lievito di birra fresco e 4,5 L di acqua impasto lasciato riposare 18—24 ore)
  • 2 kg di farina di rinfresco tipo 0 (w 260)
  • 3,9 L d'acqua (70% sul totale del peso della farina, ma si può arrivare anche all'80% dipende dalla farina utilizzata)
  • 80 g malto
  • 200 g sale
  • 40 g lievito di birra
Impastare bene aggiungendo l'acqua un po' alla volta, e una volta terminato lasciar riposare in mastella per 25 minuti, quindi schiacciare l'impasto per far fuoriuscire l'anidride carbonica e taglia l'impasto delle pezzature desiderate. Una volta terminato di tagliare tutto l'impasto, lasciar lievitare per 40—45 minuti per prodotti con pezzature fino a 200 grammi e circa 1 ora per prodotti fino a 1 kg.
Per pezzature da 70 a 200 g cuocere a 235—240° C per 25/35 minuti a seconda del peso, per prodotti da 1 kg cuocere a 210° C per 1 ora.

Bourride

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Il bourride è un piatto di pesce di mare, simile al bouillabaisse, nativo della Provenza e della Linguadoca. È particolarmente noto a Sète (Hérault).
Il termine bourride è preso dal provenzale bourrido, che è derivata da boulido, bollito.
È preparato con pesce bianco, tra cui la rana pescatrice (nome mediterraneo della coda di rospo), che vengono cotti a vapore. Poi nella casseruola viene aggiunta verdura cotta a dadini (sedano, porri, carote, cipolle, ecc.). Si aggiunge poi maionese e olio d'oliva. Il tutto è portato sul tavolo insieme con crostini strofinati con aglio.
Simile come nome, ma di differente preparazione, è la zuppa di pesce ligure chiamata buridda.


Dentro la vita turbolenta di un famoso critico gastronomico

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Tra tentativi di corruzione, chef arrabbiati e problemi con l'anonimato.
Qualche mese fa Mac van Dinther ha festeggiato i suoi vent'anni di carriera critica. Bazzica l'ambiente da così tanto tempo che non solo è il critico più esperto e noto d'Olanda, ma è anche il più temuto. Ogni settimana nel corso degli ultimi due decenni ha setacciato il suo paese alla ricerca di piatti innovativi, ingredienti sorprendenti ed esperienze uniche. Dopo aver mangiato, scrive, e poi condivide le sue misurate osservazioni con i lettori del quotidiano nazionale olandese de Volkskrant.
Farti pagare per cenare fuori potrebbe sembrare il lavoro perfetto, ma non è proprio tutto qui. MUNCHIES ha parlato con Mac van Dinther di chef con problemi di gestione dell'ira, di tutti i modi in cui hanno tentato di corromperlo, e di che trucchi usa per cercare di rimanere anonimo.

Come sei diventato un critico culinario?
Mac van Dinther: Venticinque anni fa ho cominciato a scrivere, sempre sullo stesso quotidiano, di socioeconomia — cose come il mercato del lavoro e l'assegno di disabilità. Ma nel tempo libero potevo fare quello che volevo. Prendevo gli inviti alle degustazioni o alle aperture dei ristoranti che nessuno voleva e poi ci scrivevo qualche riga. All'inizio i miei colleghi mi prendevano in giro, ma allora sui media si parlava davvero poco di cibo. Alla fine, sia i colleghi che il pubblico del giornale si sono sempre più interessati alla ristorazione. Hanno cominciato a passarmi automaticamente gli inviti, e ci ho costruito sopra una carriera.

Hai festeggiato di recente i tuoi vent'anni da critico culinario. Pensavi di durare così a lungo nella professione?
Be', era quello che volevo. Dal primo giorno ho detto al mio caporedattore che non solo sarei stato il critico più magro della storia, ma anche il più longevo. Sono sicuro della seconda cosa, della prima non così tanto.

Pensi di essere anche il più temuto?
Ah, dipende dallo chef a cui chiedi. Funziona che un ristorante di una cittadina ha forse più paura della stampa locale, mentre un ristorante i cui clienti leggono il Volkskrant ha più paura di me. Altri, di me se ne sbattono proprio.

La tua faccia è abbastanza ignota al pubblico. Come sei riuscito a mantenere un relativo anonimato?Mi ci sono impegnato, non mi sono mai fatto fare foto come molti altri critici. E poi non vado agli eventi, giusto a un paio di presentazioni della guida Michelin. Comunque, cerco di volare basso.

Come fai a non farti riconoscere quando entri in un ristorante?
Prenoto sotto falso nome, porto qualcuno con me, e cerco di farmi i fatti miei. Questo è tutto. Metto il bloc-notes di fianco al piatto. Quando un cameriere mi chiede cosa scrivo, rispondo, "Mi appunto sempre quello che mangio". È la verità. Se insistono, gli dico che non sono fatti loro. A volte si arrabbiano perché pensano che gli stia rubando le ricette.

Ti sei mai mascherato?
No, non lavoro per i servizi segreti, sono un critico culinario. Mi rifiuto di mascherarmi.
Alcuni critici mentono sul lavoro che fanno, quando incontrano persone nuove…
Io dico che faccio il giornalista, e se continuano a pressarmi, gli dico che faccio il critico per de Volkskrant. A volte mi rispondono "Ooh, ma sei quel Mac van Dinther." Non è un segreto, amici e famiglia sanno cosa faccio.

Succede che ti riconoscano "sul lavoro"?
Certo. Una volta mi hanno accolto all'ingresso di un ristorante dicendomi, "Buonasera signor van Dinther, a che nome ha prenotato questa sera?" Probabilmente il miglior benvenuto della mia vita. Ovviamente preferisco rimanere anonimo perché voglio vivere la stessa esperienza degli altri clienti. Non voglio nessun trattamento speciale. So benissimo che se lo staff mi riconosce, sarò meno buono. Mi aspetterò qualcosa di più.

I ristoratori fanno una "caccia ai critici", per riconoscervi?
Ho sentito dire che i grandi ristoranti tengono le foto dei critici più noti in cucina. Ma penso che succeda soprattutto all'estero. In Olanda non tanto.

Cosa fanno, una volta che ti hanno riconosciuto, per assicurarsi che tutto vada bene?
Be', di solito mi continuano a portare vino, anche vino costosissimo che non ho chiesto. Una volta mi hanno servito del vino della cui straordinarietà mi sono immediatamente accorto. Ho guardato sulla carta, e costava 150 euro la bottiglia. Una bottiglia così non è solitamente consigliata per gli abbinamenti con il cibo. Sono trucchetti di cui ti accorgi subito. Uno chef un'altra volta insisteva per non farmi pagare quello che avevo bevuto — ridicolo. Ho detto, "Senti, paga il giornale, non io". Ma lui insisteva. Cosa avrei dovuto fare? Non potevo mettergli un coltello alla gola.
"Una volta uno chef arrabbiato ha scritto una lettera al caporedattore dopo una recensione sfavorevole, chiedendo in pratica che venissi licenziato"

Qual è la risposta più memorabile che hai ricevuto, dopo una recensione?
Non mi rispondono spesso, a volte magari un'e-mail carina dopo una recensione positiva. Ma una volta, uno chef arrabbiato ha scritto una lettera al caporedattore dopo una recensione sfavorevole, chiedendo in pratica che venissi licenziato. Il tono era tipo, "Chi si crede di essere il vostro critico? Non sa di che parla." Gli ho mandato una risposta amichevole, "Senti, faccio questo lavoro da vent'anni, sono abbastanza certo di sapere di cosa parlo. Invece che prendertela con me, usa queste energie per migliorare i tuoi ristoranti. I clienti apprezzeranno."

Che cosa hai imparato in questi vent'anni?
Più cose scopro su cucina e cibo, meno netto divento. In passato ero più duro. Ora penso spesso: chi sono io per dirlo?

Vai mai fuori a cena per divertimento?
Sì, ma a volte succedono cose strane. Per esempio, una volta io e mia moglie volevamo andare a cena al ristorante di un amico. Ma dato che era tutto pieno, lui ci ha prenotato un tavolo in un altro posto. Gli ha detto chiaramente che non ero lì per scrivere una recensione, ma comunque lo staff quando siamo arrivati era molto nervoso — ci riempivano i bicchieri fino all'orlo e continuavano a parlare. Non troppo divertente.

Hai qualche consiglio per i critici in erba?
No. Dovete fare da soli. È il modo migliore per imparare.


Ceppe

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Le ceppe (più propriamente maccheroni con le ceppe) sono un tipo di pasta all'uovo tipiche della provincia di Teramo, in particolare di Civitella del Tronto. Sono una sorta di bucatini corti 8-10 cm, ottenuti arrotolando la pasta (farina, acqua, uova) intorno a un bastoncino di legno, la ceppa appunto. Con il tempo, per metonimia, con il termine ceppa si è passati ad indicare non solo lo strumento, ma il tipo di pasta stesso.
All'originale ceppa in legno è andata via via sostituendosi un sottile ferro in acciaio inox.

Brodetto di Porto Recanati

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«Quant'è bonu el brudettu purtannaru
che gustu sapuritu, marinaru
é 'n'arte antiga sempre più deffusa
nun ve so' di pe' fallu cusa s'usa.
De l'arte sua ve giuru so' un sumaru
però quannu lu magnu é celu e maru»
(Luigi Sorgentini)

Il brodetto di Porto Recanati è un piatto unico a base di pesce, tipico della cittadina marchigiana.
Del brodetto Porto Recanati detiene una delle quattro ricette storiche della gastronomia marchigiana, assieme a Fano, Ancona e San Benedetto del Tronto, fra le quali sembra sia la più antica, come testimonierebbe l'assenza del pomodoro. Nato dall'estro del cuoco Giovanni Velluti, titolare di uno dei più antichi chalet dell'epoca, questa variante portorecanatese risale ai primi del ‘900 e si impose ben presto alla tradizione gastronomica marinara della città.
Risale ad una pubblicazione del Touring Club Italiano del 1923 l'indicazione del “Brodetto Bianco che si prepara a sud del Monte Conero”; nell'articolo si nota che già da allora il brodetto veniva inviato già cotto a Milano; la variante portorecanatese prevede infatti l'assenza di pomodoro e l'aggiunta di zafferanella o zafferanone (zafferano selvatico del Conero) che dà al piatto un colorito giallognolo (occhiu de gallu), caratteristica comune anche alla provenzale bouillabaisse, in cui però entra il più nobile Crocus sativus.
Il colore giallo dell'intingolo secondo alcuni fa riferimento all'oro, nella tradizione cristiana emblema della santità e di riflesso della salubrità del piatto.
Al brodetto bianco di Porto Recanati è dedicata un'importante manifestazione, “La settimana del brodetto” che si svolge ogni anno nella prima settimana di giugno e che vede la possibilità di degustare presso i ristoranti locali aderenti a prezzo promozionale.
Come in tutte le zone di mare, anche a Porto Recanati il brodetto nasce come piatto povero, nato dalla necessità di utilizzare anche il pescato meno richiesto dal mercato (a volte anche il ghiozzo, detto localmente guàtto), o quello che avanzava dalla vendita perché troppo piccolo.
E il Brodetto nacque così: tanti tipi di pesce povero, acqua di mare e come condimento solamente un po' d'olio; per satollarsi non rimaneva che far ammorbidire nel "brodetto" le durissime gallette portate a bordo.
Via via il piatto ha subito evoluzioni sempre più raffinate, conquistando una ben meritata fama in tutto il territorio Nazionale e diventando prerogativa indiscutibile delle Marche.
Per tradizione, il piatto necessita di non meno di nove, o meglio undici varietà di pesce, tra seppia, merluzzo, gallinella (Mazzulina), palombo (Stèra), pesce prete ('Occa'in cà'u), scorfano (Scòrfenu), tracina (Ragnu), cicala (Pannocchia), coda di rospo (Rospu), sogliole (Sfòja), triglia (Rusciòlu), razza (Ràggia), pesce San Pietro (Sampietru).
Far soffriggere in una grande casseruola a due manici in olio di oliva abbondante, la cipolla finemente affettata; aggiungere poi delle seppie precedentemente tagliate a pezzi, lasciarle insaporire e rosolare a fuoco lento, ricoprire poi le stesse di brodo di pesce ed aggiungere la zafferanella.
Aggiungere sale e pepe e portare a cottura sempre molto lentamente. In altra grande casseruola sistemare a strati i vari pesci (precedentemente infarinati) avendo cura di lasciare per ultimi quelli più teneri. Ad operazione ultimata versare tutto il brodetto precedentemente ottenuto con le seppie ( già sistemate tra gli strati di pesce di cui sopra ); aggiungere in parti eguali, acqua calda e vino bianco secco, regolare con sale e pepe e portare a cottura a fuoco allegro per 15/18 minuti circa.
Non toccare mai il pesce con mestoli o palette ma utilizzare i due manici della casseruola per smuovere di tanto in tanto il brodetto in cottura, evitando così di rompere i pesci. A cottura ultimata disporre delle fette di pane abbrustolito su appositi piatti, ricoprirle di pesce e versare la preparazione.

 
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