Brodetto di Porto Recanati

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«Quant'è bonu el brudettu purtannaru
che gustu sapuritu, marinaru
é 'n'arte antiga sempre più deffusa
nun ve so' di pe' fallu cusa s'usa.
De l'arte sua ve giuru so' un sumaru
però quannu lu magnu é celu e maru»
(Luigi Sorgentini)

Il brodetto di Porto Recanati è un piatto unico a base di pesce, tipico della cittadina marchigiana.
Del brodetto Porto Recanati detiene una delle quattro ricette storiche della gastronomia marchigiana, assieme a Fano, Ancona e San Benedetto del Tronto, fra le quali sembra sia la più antica, come testimonierebbe l'assenza del pomodoro. Nato dall'estro del cuoco Giovanni Velluti, titolare di uno dei più antichi chalet dell'epoca, questa variante portorecanatese risale ai primi del ‘900 e si impose ben presto alla tradizione gastronomica marinara della città.
Risale ad una pubblicazione del Touring Club Italiano del 1923 l'indicazione del “Brodetto Bianco che si prepara a sud del Monte Conero”; nell'articolo si nota che già da allora il brodetto veniva inviato già cotto a Milano; la variante portorecanatese prevede infatti l'assenza di pomodoro e l'aggiunta di zafferanella o zafferanone (zafferano selvatico del Conero) che dà al piatto un colorito giallognolo (occhiu de gallu), caratteristica comune anche alla provenzale bouillabaisse, in cui però entra il più nobile Crocus sativus.
Il colore giallo dell'intingolo secondo alcuni fa riferimento all'oro, nella tradizione cristiana emblema della santità e di riflesso della salubrità del piatto.
Al brodetto bianco di Porto Recanati è dedicata un'importante manifestazione, “La settimana del brodetto” che si svolge ogni anno nella prima settimana di giugno e che vede la possibilità di degustare presso i ristoranti locali aderenti a prezzo promozionale.
Come in tutte le zone di mare, anche a Porto Recanati il brodetto nasce come piatto povero, nato dalla necessità di utilizzare anche il pescato meno richiesto dal mercato (a volte anche il ghiozzo, detto localmente guàtto), o quello che avanzava dalla vendita perché troppo piccolo.
E il Brodetto nacque così: tanti tipi di pesce povero, acqua di mare e come condimento solamente un po' d'olio; per satollarsi non rimaneva che far ammorbidire nel "brodetto" le durissime gallette portate a bordo.
Via via il piatto ha subito evoluzioni sempre più raffinate, conquistando una ben meritata fama in tutto il territorio Nazionale e diventando prerogativa indiscutibile delle Marche.
Per tradizione, il piatto necessita di non meno di nove, o meglio undici varietà di pesce, tra seppia, merluzzo, gallinella (Mazzulina), palombo (Stèra), pesce prete ('Occa'in cà'u), scorfano (Scòrfenu), tracina (Ragnu), cicala (Pannocchia), coda di rospo (Rospu), sogliole (Sfòja), triglia (Rusciòlu), razza (Ràggia), pesce San Pietro (Sampietru).
Far soffriggere in una grande casseruola a due manici in olio di oliva abbondante, la cipolla finemente affettata; aggiungere poi delle seppie precedentemente tagliate a pezzi, lasciarle insaporire e rosolare a fuoco lento, ricoprire poi le stesse di brodo di pesce ed aggiungere la zafferanella.
Aggiungere sale e pepe e portare a cottura sempre molto lentamente. In altra grande casseruola sistemare a strati i vari pesci (precedentemente infarinati) avendo cura di lasciare per ultimi quelli più teneri. Ad operazione ultimata versare tutto il brodetto precedentemente ottenuto con le seppie ( già sistemate tra gli strati di pesce di cui sopra ); aggiungere in parti eguali, acqua calda e vino bianco secco, regolare con sale e pepe e portare a cottura a fuoco allegro per 15/18 minuti circa.
Non toccare mai il pesce con mestoli o palette ma utilizzare i due manici della casseruola per smuovere di tanto in tanto il brodetto in cottura, evitando così di rompere i pesci. A cottura ultimata disporre delle fette di pane abbrustolito su appositi piatti, ricoprirle di pesce e versare la preparazione.

Fare lo chef mi ha reso dipendente dal sesso

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Prima di cominciare a lavorare in cucina, ero uno studente di design e grafica. Ma le lunghe e faticose ore là dentro mi hanno fatto perdere interesse per le relazioni sentimentali. Alla fine del turno, non pensavo ad altro che al sesso.
Nelle cucine vige un meteo a se stante. L'aria è impregnata di grasso, fumo e odori pungenti di grembiuli zeppi di sudore. Non importa quale sia la temperatura fuori, durante il turno può sembrare di essere nel mezzo del Sahara.
Sono uno di quegli uomini che, nei mesi più caldi, è vittima di un potentissimo risveglio ormonale. Tutte quelle gambe nude, quelle clavicole, quei colli mi fanno girare la testa.
Come i temporali possono essere causa di improvvisa agitazione per alcuni, per me il caldo è un catalizzatore di eccitamento. C'è qualcosa di animalesco nel modo in cui il corpo umano reagisce al calore - il sudore, il rossore della pelle, il respiro affannato. E anche se non posso attribuire la mia (auto-diagnosticata) dipendenza dal sesso solo al calore dell'ambiente lavorativo, sicuramente ha giocato un ruolo.
Sì, avete letto bene: dipendenza dal sesso. Prima di lavorare in una cucina ero uno studente di design e grafica che amava l'erba e la McSweeney's [casa editrice]. Avevo una vita sessuale nella media - non nel senso di relazioni stabili e a lungo termine, ma nel senso di una buona dose di sesso soddisfacente con ragazze alle quali piacevo e a cui volevo dare piacere. Tutto ciò è cambiato quando ho abbandonato l'idea di far carriera nel mondo della grafica, per buttarmi in una cosa che mi faceva eccitava a livello viscerale: la cucina.
Nel mio primo lavoro, in un ristorante molto frequentato a Soho, non c'era tempo per guardare le cameriere. Ero chef-de-partie, responsabile di un piatto che consisteva in costolette di agnello e carote. Lavoravo 16 ore al giorno. Mi svegliavo, ingurgitavo due caffè, andavo al lavoro, tornavo a casa, e mi addormentavo vestito. Sei giorni a settimana. Sollevavo a malapena la testa per parlare con i miei colleghi in cucina, figurarsi quelli che lavoravano in sala. Anche se fisicamente facevo fatica - a un certo punto avevo vesciche blu su tutte le dita e una scottatura sul polso - lo adoravo. Lavorare con cibo di quella qualità ed essere pagato per farlo, per me equivaleva alla realizzazione di un sogno.
È stato solo quando ho cominciato a lavorare nel ruolo di junior sous chef in un altro locale molto frequentato di Londra che ho realizzato che stavo cambiando. Qualsiasi chef ti dirà che fino a che non sei al punto di poter aprire un tuo locale, in cui tu stesso decidi gli orari, non hai una vita. La prospettiva di avere una relazione è ridicola; ho provato, per un breve periodo, ma il fatto che ci vedessimo dopo mezzanotte o per le poche ore in cui ero sveglio la domenica ha fatto sì che la ragazza in questione presto decidesse di chiudere. Quando qualsiasi tipo di contatto intimo con un altro essere umano diventa una chimera, cominci a valutare le altre opzioni.
Non credo di passare per pervertito se dichiaro che ho bisogno di fare sesso. Spesso. Masturbarsi sotto la doccia prima di andare al lavoro non basta. Non voglio esclusivamente darmi piacere da solo.
E così mi sono trovato, durante tutte quelle ore calde e piene di sudore in cucina, a bramare il sesso più di quanto non mi fosse mai successo nella vita. Flirtavo continuamente con le cameriere. A fine turno andavo a sedermi al bancone con le bartender, mandavo via i clienti, e alla fine mi sono trovato a fare regolarmente sesso con le mie colleghe. E non ero il solo - si è scoperto che là dentro tutti si scopavano tutti.
C'era un rispetto implicito e reciproco per la natura di quegli incontri. Non commentavamo. Non volevamo dichiarazioni d'amore. Volevamo solo un corpo caldo accanto al quale dormire.
Per qualche anno questa situazione mi è andata bene. In qualsiasi ristorante nuovo andassi a lavorare, mentre facevo carriera, mi trovavo ad andare a letto con tutte le cameriere. Facevo pensieri sempre più perversi. Se arrivava una ragazza nuova, la presentavo agli altri e mi ritrovavo a pensare a cosa le piacesse fare a letto. A una certa ho cominciato a condividere questi pensieri con gli altri chef. Non fatevi fregare: un gruppo di uomini in un ambiente caldo, chiuso e teso genera inevitabilmente conversazioni orrende. Anche se non credi a metà delle cose che stai dicendo, c'è una specie di gara a chi la spara più grossa. Se nella cucina c'è una donna ci si dà una controllata, ma nella mia esperienza anche lei starebbe al gioco. È fantastico.
Comunque, con il tempo - ero uno chef professionista da circa otto anni- ho cominciato a provare disgusto per l'uomo che stavo diventando. Con il senno di poi mi accorgevo che, nonostante le mie qualità e la mia esperienza, stavo rinunciando all'idea di aprire un posto tutto mio o di ottenere un ruolo serio da qualche parte. Avevo molte offerte. A un certo punto ho rifiutato un'offerta in un ristorante due Stelle Michelin. Perché? Perché mi stavo affezionando a una vita in cui potevo flirtare continuamente, ignorare ogni possibilità di trovare una donna con cui costruire qualcosa di serio, e fare moltissimo sesso occasionale.
Per dirla con parole semplici, avevo sviluppato una dipendenza dal sesso con le cameriere.
Ho raggiunto il punto in cui ho cominciato a sentirmi un parassita del sesso. Mi sono ritrovato a dire alle cameriere frasi che non avrei mai pronunciato prima, a buttare occhiate alle loro scollature quando mi passavano davanti. Pregavo che le loro mani sfiorassero le mie quando prendevano un piatto. Ecco a che punto ero arrivato.
Sono cresciuto in una famiglia di donne, senza nessun modello maschile a cui fare riferimento. Mio padre - un ex musicista - ci ha lasciati quando ero molto piccolo, e mia madre e le mie sorelle mi hanno insegnato a rispettare le donne. Quindi, in termini di esperienze formative, non c'era niente che sembrasse giustificare il tipo di relazione che avevo con le donne da adulto. Non ho mai visto mio padre trattare male mia madre, né un qualsiasi uomo trattare male una donna. Forse è proprio questo il punto. Non sapevo nemmeno cosa stavo facendo.
Mi sento ridicolo ad attribuire questa mia specie di dipendenza dal sesso al lavoro in cucina, e sicuramente ho tutta un'altra serie di problemi, che adesso infatti sto affrontando con un analista. Ma da un punto di vista cronologico, l'ambiente lavorativo ha sicuramente fatto emergere il peggio di me.
La vita da chef mi ha permesso di concedermi un tipo di intimità che appagava i miei desideri fisici. Quegli orari mi hanno portato a convincermi che non potevo vivere in nessun altro modo, che era questo ciò che volevo e in cui ero bravo, e che avrei dovuto sfruttarlo al massimo. Se le mie uniche relazioni si svolgevano la notte, sempre con donne diverse, come avrei potuto anche solo immaginarmi di avere una relazione? Ovviamente non era questo quello che volevo. Mi nascondevo, per qualche paura di essere rifiutato.
Ho smesso di fare lo chef qualche anno fa, dopo esser finalmente andato da un analista, su consiglio di una ragazza attorno a cui bazzicavo in uno strano tentativo di coinvolgerla nella mia orbita sessuale. Non è stato facile farlo, ma tra un turno e l'altro, un giorno sono salito sulla metro e sono andato da un analista che mi ha detto, in modo molto chiaro, che quello che stavo facendo non mi faceva bene. Ha detto che vedeva che avevo bisogno di intimità, qualcuno che condividesse i miei desideri sessuali ma capace anche di darmi risate, stabilità, affetto, gentilezza, tutte queste cose. Mi ero semplicemente convinto di non volerle.
So che tutto quello che ho scritto mi fa sembrare un adolescente stronzo e arrapato che non ha alcun controllo sul proprio pisello, e alla fine della mia carriera mi sentivo proprio così. Adesso sto cercando di mettere a posto la mia vita, e lavoro freelance come grafico. Sono tornato dall'analista, che mi aiuta a sistemare i miei pensieri costantemente-arrapati-e-costantemente-sessuali. Perché quando incontrerò la donna giusta, voglio riuscire a darle il meglio di me.


Chuño

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Il chuño, voce originaria delle Ande centrali (aymara, quechua: ch'uñu "ruga" o "piega"), è il risultato della disidratazione o addirittura della liofilizzazione della patata, o altri tuberi di montagna.
La preparazione del chuño è la forma tradizionale di conservare e immagazzinare le patate per periodi lunghi, a volte anche anni. Questo prodotto è uno degli elementi centrali dell'alimentazione indigena e, in generale, della gastronomia delle regioni dove viene prodotto. Attualmente si produce e consuma chuño regolarmente nel nord-ovest dell'Argentina, nell'altipiano boliviano, nel nord del Cile e nella regione andina e costiera del Perù.
In Argentina e in Chile si chiama chuño anche l'amido che si ottiene tritando le patate ed in seguito alla decantazione di granuli di amido che galleggiano nel succo di patata prodotto. In Argentina con tale amido si preparano occasionalmente dolci simili ai flan.
Durante la Seconda guerra mondiale gli Alleati scoprirono le forme di liofilizzare patate e cereali; tale procedimento era uguale a quello utilizzato da secoli dai popoli andini. Da lì la comparsa sulle nostre tavole dei purè istantanei.

Borzat

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Il borzat è un insaccato di carne di pecora, prodotto esclusivamente nel comune di Livigno, in provincia di Sondrio, che è posto in una valle con una altezza minima di 1.800 metri, al di là della linea di displuvio delle Alpi, con un fiume lo Spöl, affluente dell'Inn che è tributario del bacino del Danubio.
Il borzat è stato riconosciuto come un prodotto agroalimentare tradizionale e consiste in un parallelepipedo di pelle di pecora, cucito a mano, ripieno di carne di pecora, aromatizzato con aglio, pepe, sale, cannella.
Il peso è di 1/3 kg. La carne di pecora è tagliata a pezzetti e viene introdotta nell'involucro che viene cucito con un filo di lana. Una bruciatura elimina la lana in eccesso.
Il prodotto viene consumato cotto previa bollitura.


Cavati e ravioli alla ragusana

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I cavati e ravioli sono uno dei primi piatti più tipici del ragusano, i ravioli sono conditi con la ricotta prodotta nell'altopiano, in alcune parti della provincia (Ragusa e zone montane) la ricotta viene dolcificata, nella restante parte (Modica e zone marine) la ricotta viene lasciata al naturale o condita con pepe nero e erba maggiorana. Mentre i cavati sono un tipo di pasta corta ottenuti con la stessa pasta dei ravioli.
Ravioli e cavatelli sono spesso consumati insieme conditi con il sugo di maiale. Questo sugo (a sarsa o u sugu) si ottiene mediante una lenta cottura di carne di maiale, salsiccia ragusana, cotenna, cotti con strattu (passata di pomodoro essiccata al sole) e passata di pomodoro.

Bracciatello

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Il bracciatello è un tipico prodotto da forno romagnolo preparato a base di farina e uova. Prima si cuoce in acqua bollente, poi si passa nel forno, normalmente quello del pane, dopo essere stato pennellato con albume d'uovo che da il caratteristico colore giallo dorato e lucido. Esso è tradizionalmente preparato anche a Pesaro e dintorni, in virtù della notevole comunanza culturale e gastronomica di quest'area con la vicina Romagna.
A forma di ciambella spesso contiene al centro un uovo sodo intrappolato nella pasta. Di colore giallo e consistenza solida e filamentosa, tradizionalmente si mangia da solo o insieme a salumi vari.
Viene preparato dalle massaie in occasione della Pasqua. In alcune zone è tradizione farlo benedire da un sacerdote e mangiato la mattina della domenica di Pasqua.
In dialetto romagnolo è chiamato comunemente brazadèl.
Nel comune di Portico e San Benedetto (FC) il bracciatello viene immerso nell'alchermes e spolverato di zucchero.
Per Pasquetta a Bocconi, una delle tre frazioni del comune, viene fatta la sagra del bracciatello.
Gli anziani del paese dicono che il bracciatello così colorato ricorda la corona di spine di Gesù Cristo.
Oltre al bracciatello intorno a Pasqua si prepara la panina, dolce simile al panettone con uvetta e canditi ma con consistenza più dura e sapore meno dolce.

La vita di un ispettore sanitario nei ristoranti è piena di topi morti e salmonella

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"Vedere l’interno di una macchina per il ghiaccio completamente ricoperto di muffa è un’esperienza che ti segna. Per sempre"
La maggior parte dei proprietari di un ristorante conosce benissimo la sensazione di panico che suscita l'arrivo di un critico gastronomico nel proprio locale. Ma c'è un'altra visita non preannunciata che può avere conseguenze ben peggiori per la reputazione di un ristorante. Altro che la recensione negativa di un giornalista un po' troppo pignolo.
Parliamo delle visite degli ispettori sanitari. Come la storia ci ha ampiamente dimostrato, non è solo il paninaro all'angolo a beccarsi qualche multa durante l'ispezione: anche i pesi massimi della ristorazione possono beccarsi qualcosa in meno di un sorriso entusiasta, con conseguente tesserino giallo d'ammonizione. (In Danimarca, la valutazione dell'igiene di un ristorante viene fatta con faccine più o meno sorridenti).
Ciao Kent! Ti sei mai sentito a disagio durante un'ispezione?
Kent Kirkegaard Jensen: Personalmente, non mi sono mai sentito a disagio, né minacciato dal dover eseguire un'ispezione. La maggior parte di proprietari sa che le nostre visite fanno parte del gioco, quindi solitamente fila tutto abbastanza liscio.
Ma capita che ti chiedano di fare una seconda ispezione, perché durante la prima magari un tuo collega si è sentito minacciato o ha avuto qualche difficoltà. Ci sono persone che credono di poter risolvere i problemi intimidendo chi hanno di fronte, e tocca a noi far capire loro che non è così che funzionano le cose.
Cerchiamo sempre di essere corretti, ma se qualcuno si comporta da stronzo, tendiamo a interpretare le leggi (aka il codice sanitario) in modo più severo.

Certo. Probabilmente non sei l'ospite di cui tutti attendono con ansia l'arrivo. Qual è il peggior benvenuto che tu abbia mai ricevuto?
Sono stato attaccato verbalmente da un proprietario: si era piantato di fronte all'ingresso e ha continuato a urlare per dieci minuti buoni. Le temperature delle celle frigo che contenevano latte e carne erano troppo alte, quindi gli ho dovuto fare una multa e chiedere di buttare quanto contenuto al momento nel frigorifero. Era una faccenda davvero banale, e non si trattava neanche di chissà quanta carne, ma si è arrabbiato moltissimo. Alla fine si è rivelata la mossa sbagliata, perché mentre discutevamo tutto il ristorante l'ha sentito urlare e dare i numeri. Ma io non sono proprio piccolino, quindi non mi ha fatto paura. Mi sono quasi sentito in imbarazzo per lui, perché il suo comportamento era davvero ridicolo visto con gli occhi dei clienti presenti in sala.
Ma ci sono anche un sacco di storie dell'orrore. Tra le altre cose, ho sentito di un ispettore che è stato chiuso nella cella frigo da un ristoratore incazzato durante l'ispezione. Per fortuna, aveva il cellulare con sé e il segnale era abbastanza forte da chiamare qualcuno per farsi aprire la porta.

Come reagiscono i proprietari quando ti vedono entrare?
Ho visto persone saltare su come grilli e, nel panico più totale, iniziare a pulire. Tieni a mente che ai loro occhi noi siamo un'autorità, quindi alcuni hanno davvero paura di noi. È per questo che cerchiamo sempre di lavorare con tranquillità e proviamo a creare un ambiente sereno intorno a noi.

Quali sono le norme igieniche che non vengono mai rispettate?
C'è il classico errore di tagliare la carne ancora cruda sullo stesso tagliere usato per le verdure: è il modo giusto per servire una bella porzione di salmonella insieme al contorno. Ma è solo un esempio. Dal punto di vista alimentare, ci sono un mare di trappole ad attendere il personale di cucina. Il trasporto, i batteri, le possibili contaminazioni.
Poi c'è la preparazione - che dovrebbe eliminare i batteri naturalmente presenti negli alimenti crudi - e la pulizia della cucina stessa. Ultima, ma non per importanza, la documentazione, cioè tutta la noiosissima parte burocratica. Ecco, è questo il mio mondo.

Nel corso degli anni devi aver assistito a dei veri e propri casini. Qual è la cosa peggiore che tu ti sia mai trovato davanti?
Tolti i topi morti e i loro escrementi, sono stato abbastanza fortunato da non aver mai dovuto assistere a cose estreme. Una volta, stavo ispezionando un ristorante che aveva già ricevuto una multa per mancanza di documentazione. Dietro la cucina, c'era spazio per quattro o cinque celle frigo lungo il muro. Di fronte c'era un divano con un tavolino da caffè, dove ho trovato alcuni dipendenti seduti a fumare e guardare la TV tutti insieme, assurdo. Appena ci hanno visto si sono alzati in piedi alla velocità della luce e sono corsi fuori dall'uscita sul retro. È stato ridicolo, perché ovviamente li avevamo già visti.

Un lavoro come il tuo deve avere effetti sul lungo termine, o sbaglio?
Esatto! È una benedizione e una maledizione contemporaneamente. Ovviamente, tutto è potenzialmente pericoloso se non sai come gestire le diverse situazioni nel modo giusto. Ad esempio, non ho mai ordinato nulla che contenesse cubetti di ghiaccio prodotti da una macchina per il ghiaccio, perché possono essere un vero covo per la proliferazione dei batteri. Non berrò mai un drink con ghiaccio, poco ma sicuro. Vedere l'interno di una macchina per il ghiaccio completamente ricoperto di muffa è un'esperienza che ti segna. Per sempre.

Leggi sempre i resoconti delle ispezioni fatte dai tuoi colleghi quando vai a cena al ristorante?
Certo, lo faccio sempre. Non riesco a farne a meno. Una volta me ne sono andato perché il ristorante in questione era stato ammonito per il modo in cui preparava la carne. Non ho voluto rischiare l'intossicazione. Però, quando un collega ti consiglia di andare a cena in un posto che ha ispezionato, ecco, quello ti fa capire che quel ristorante è davvero buono.


 
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