Sugo

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Il sugo nei canoni della cucina è il pilastro portante della cucina mediterranea ed è una salsa di diretta derivazione dalla salsa di pomodoro ed utilizzata per accompagnare le paste alimentari.
Altre preparazioni con lo stesso fine ma senza pomodoro vengono classificate in apposite voci come salse brune o salse bianche. Il sugo non essendo legato da amidi, acquisisce consistenza dalla polpa del pomodoro.
Vengono definite sughi preparazioni molto diverse per ingredienti, per le tecniche usate, per tipo e lavorazione del pomodoro.

Elenco di sughi con salsa di pomodoro

Questa lista è suscettibile di variazioni e potrebbe non essere completa o aggiornata.
  • Sugo con basilico
  • Sugo con olive
  • Sugo con peperoni
  • Sugo all'amatriciana
  • Sugo alla Norma
  • Ragù bolognese
  • Ragù napoletano
  • Ragù di carne di maiale
  • Ragù di carne di cinghiale
  • Ragù di carne di capra
  • Ragù di carne di coniglio
  • Sugo con salsiccia
  • Sugo con verdure
  • Sugo di lumache

Bentō

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Il bentō (お弁当 obentō) è un vassoio contenitore con coperchio, di varie forme e materiali, adibito a servire un pasto, in singola porzione, preparato in casa o all'aperto. Si tratta di un oggetto comune nella cucina giapponese.
Il bentō è un pranzo preconfezionato, solitamente consumato nella pausa pranzo. La scatola da bentō è dotata di divisori interni atti a separare cibi differenti e viene avvolta in un pezzo di carta, di tessuto o in borse speciali insieme alle bacchette ( hashi). Il bentō viene sempre confezionato in modo da creare un pacchettino esteticamente gradevole, studiando le combinazioni di colore dei cibi e la maniera di porli, coordinando bentō, bastoncini, cibo, tovaglietta e tutto il resto.
Le scatole bentō sono di vari materiali e dimensioni: possono essere di plastica usa e getta, di legno o metallo, semplici, stampate, decorate, oppure addirittura opere artistiche laccate e fatte a mano. Alcuni hanno uno scompartimento thermos, che contiene riso mantenuto caldo o miso, di solito utilizzato come bevanda per il pranzo al posto di acqua o tè.
Il bento contiene riso e contorni (おかず okazu), ovvero diverse specialità di pesce, carne, verdure, onigiri, tempura, verdure cotte o marinate, tōfu e altri cibi varianti a seconda della stagione.
I bentō possono essere personalizzati e molto elaborati. Nello stile kyaraben (キャラベン abbreviazione che sta per "bento dei personaggi"), ad esempio, il cibo viene decorato per apparire come i cartoni animati (anime), i fumetti (manga) o videogiochi giapponesi più popolari. Un altro stile per i bentō è l'oekakiben ("bentō-ritratto"), decorato per ritrarre persone, animali, edifici, monumenti o cose come fiori e piante. Vengono organizzate addirittura gare per competere nella realizzazione esteticamente più gradevole.
Il bentō viene dato ai bambini per portarlo a scuola ed agli adulti in ufficio, ma anche ai picnic ed alle feste, perciò deve essere comodo e pratico da mangiare, ad esempio porzionando i cibi in piccole parti. In Giappone il bentō assume anche valenze particolari e sentimentali. Spesso nei manga e negli anime le ragazze portano all'innamorato un bentō preparato in casa, come anche la moglie al marito.
Sebbene sia possibile trovare i bentō in moltissimi luoghi in tutto il Giappone (bentō shops (弁当屋 bentō-ya), discount e negozi di quartiere), è ancora comune per le massaie giapponesi spendere molto tempo ed energie per prepararlo per i propri mariti e figli.
I bentō sono molto diffusi anche nelle stazioni ferroviarie e in questo caso chiamati ekiben (駅弁). Essi variano da regione a regione e sono considerati un modo per promuovere le specialità e le tradizioni locali. Anche gli aeroporti offrono una versione analoga all'ekiben, chiamata soraben (空弁) ovvero bentō preparati con ricette di cucina locale, che possono essere consumati durante l'attesa o in volo.
Esistono contenitori simili al bentō nelle Filippine (detti Baon), Corea (Dosirak) Taiwan (Biadang) e India (Tiffin).
La parola "bento" deriva dal termine 便當 (biàndāng, conveniente), dialetto del Song del sud (Cina), poi portato in Giappone scritto col sistema ateji 便道, 辨道, e 辨當, mentre in shinjitai è scritto 弁当.
Le origini del bentō risalgono al tardo periodo Kamakura (1185-1333), quando fu inventato il riso chiamato hoshi-ii ( pasto essiccato), che può essere mangiato così oppure bollito in acqua e poi trasportato in piccole sacche. Nel periodo Azuchi-Momoyama (1568-1600) si cominciarono a realizzare scatole di legno laccato e il bentō veniva mangiato durante un hanami o un tè.
Nel periodo Edo (1603-1867) la cultura del bento si diffuse raffinandosi. I viaggiatori ed i turisti si portavano dietro un semplice koshibentō (腰弁当, bento a cintura), che consisteva in molti onigiri avvolti con foglie di bambù o in scatole di bambù intrecciato. Uno degli stili di bentō più popolari è chiamato makuno-uchi bentō ("bento tra gli atti"), inventato proprio in questo periodo. Coloro che andavano a vedere le opere del genere Nō e Kabuki mangiavano soprattutto bento preparati nella pausa tra due atti.
Molti libri di cucina furono pubblicati con spiegazioni su come cucinare, impacchettare e preparare bentō per occasioni come hanami e hinamatsuri.
Nel periodo Meiji (1868-1912) venne venduto il primo ekibentō o ekiben (駅弁当 "bento della stazione dei treni"). Ci sono molte documenti che pretendono di identificare il luogo dove per la prima volta è stato venduto un ekibentō, ma si ritiene comunemente che l'episodio sia avvenuto il 16 giugno 1885 alla stazione di Utsunomiya: il pasto conteneva due onigiri ed un piatto di yakuan avvolto in foglie di bambù.
Siccome molte scuole non provvedevano al pranzo, studenti ed insegnanti portavano il bento da casa, così come facevano molti lavoratori. In questo periodo si cominciò a vendere un bento stile europeo, con panini.
Nel periodo Taishō (1912-1926) fecero la loro comparsa i bentō in alluminio, considerati un lusso visto il loro aspetto simile all'argento e la semplicità d'uso. Inoltre, poiché le differenze sociali erano molto diffuse in questo periodo, a seguito del boom delle esportazioni durante la prima guerra mondiale e delle carestie di cereali nella regione Tōhoku, vi furono provvedimenti per abolire nelle scuole la pratica del bentō, che spesso rifletteva la ricchezza dello studente. Dopo la seconda guerra mondiale la pratica di portare il bentō a scuola declinò gradualmente e fu rimpiazzata da cibo fornito dalle scuole stesse a studenti ed insegnanti.
Il bentō tornò popolare negli anni ottanta, con l'aiuto dei forni a microonde e la diffusione dei convenience store. Inoltre l'alto prezzo delle scatole di legno e metallo favorirono l'utilizzo di scatole in plastica. Dagli anni duemila c'è stato un ritorno del bentō fatto in casa, pratica ormai comune nelle scuole giapponesi e che inizia a diffondersi sporadicamente anche in altri Paesi. I bentō fatti in casa sono talvolta avvolti in furoshiki, che funge sia da borsa che da sottopiatto.

Tipi di bentō

  • Makunōchi bentō (幕の内弁当) è uno stile classico di bentō con riso, ume sottaceto (umeboshi), una fetta di salmone alla griglia, un uovo in camicia, ecc.
  • Noriben (海苔弁 bentō d'alghe) è il bentō più semplice, con riso bollito avvolto in alghe nori, imbevute nella salsa di soia.
  • Sake bentō (鮭弁当 bentō al salmone) è un semplice bentō con salmone alla griglia come piatto base.
  • Shidashi bentō (仕出し弁当) è preparato nei ristoranti e consegnato durante il pranzo, è spesso mangiato in occasioni speciali come feste o funerali.
  • Hinomaru bentō (日の丸弁当) è il nome per un bentō formato da riso bianco con al centro un umeboshi, senza altre pietanze insieme. Il nome deriva da Hinomaru, la bandiera giapponese, che ha uno sfondo bianco con un cerchio rosso al centro. L'origine dell'hinomaru bentō è attribuita all'niziativa di una studentessa della prefettura di Hiroshima nel 1937, dove questo pasto veniva consumato ogni lunedì dagli studenti in segno di solidarietà con le truppe stanziate in Cina. Dal 1939 questo tipo di bentō si diffuse in tutto il Paese e negli anni a seguire divenne un simbolo dell'unità nazionale e della mobilitazione bellica.
  • Hokaben (他弁 "altro" bentō) si riferisce ad ogni tipo di bentō comprato nei negozi da asporto. Il termine si è iniziato a diffondere negli anni '80 del XX secolo, soprattutto tra i giovani.
  • Hayaben (早弁) è un bentō mangiato prima di pranzo, quando si sa che si avrà un pasto poco dopo. Il termine deriva da hayai (早い) che significa "presto".
  • Chūka bentō (中華弁当), bento contenente cibo cinese, come involtini primavera, pollo fritto, ecc. Tipico della stazione di Nagano.
  • Sanshoku bentō (三色弁当 bentō dai tre colori), composto da tre sezioni separate contenenti: pollo e riso; sushi su riso; vari ingredienti come gamberi, polpette di pesce, ecc. su riso. Tipico della stazione di Hakata, nella prefettura di Fukuoka.

Bauru

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Il Bauru è un panino originale del Brasile inventato da Casimiro Pinto Neto, il nome deriva dalla città natale del suo creatore, Bauru nello Stato di San Paolo.
La ricetta originale è composta da un panino con roast-beef, fette di pomodoro, cetriolini, formaggio mozzarella, sale e origano. Come tutte le ricette ha le sue varianti:
  • Bauru francese = Panino con roast-beef, formaggio gruviera, senape.
  • Bauru italiano = Panino con roast-beef, pomodori secchi, prosciutto di Parma, formaggio mozzarella, origano.
  • Bauru americano = Panino con roast-beef, fette di pomodoro, lattuga, cetriolini, formaggio mozzarella, sale e origano.

Ravioli al vapore

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I ravioli al vapore sono un piatto di pasta ripiena cotta al vapore diffuso in vari paesi del mondo.
Ne sono esempi:
  • Baozi - panino ripieno cotto al vapore, tipico della cucina cinese
  • Jiaozi - raviolo al vapore molto popolare in Cina, Giappone e Corea
  • Manti - pasta ripiena tipico della cucina turca, delle cucine caucasiche e dell'Asia centrale, di norma cotta al vapore
  • Nikuman - impasto salato di farina e acqua ripieno di carne di maiale, tipico della cucina giapponese
  • Wonton - formato di pasta ripiena tipico della cucina cinese
  • Mandu - pasta ripiena tipica della cucina coreana

Saganaki

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Il saganàki (greco: σαγανάκι) è una preparazione gastronomica a base di formaggio saltato in padella, tipica della cucina greca. Il nome deriva dalla tecnica stessa di preparazione, che si fa utilizzando una padella leggermente concava particolare, con due manici laterali, che in Turchia è chiamata sahan. In pratica, consiste nel friggere il formaggio, che di solito è graviera o κefalotiri, anche se sono usati spesso formaela, la feta e un formaggio tipico di Cipro, il halloumi.

Ci possono essere variazioni, la più importante delle quali dipende dal fatto che qualcuno prepara il formaggio sulla piastra, grigliato, mentre in altri casi il formaggio - sempre comunque tagliato in fette alte non più di 5 mm - è fritto dopo essere stato impanato con pan grattato o farina. Alcuni rifiniscono la preparazione con una leggera flambatura.

Il saganaki normalmente è servito da solo, con l'aggiunta (a piacere) di poche gocce di limone. In alcuni casi possono essere presentati anche dei contorni quali gamberetti, cozze o altro.

Come antipasto, il saganaki è servito accompagnato dall'ouzo o da altra bibita alcolica.





Quali sono le migliori strategie marketing per un nuovo ristorante?

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Qualche mese fa ho incominciato a lavorare per costruire una strategia di un locale in cui il ristorante è il maggior core business. Utilizzo il termine locale perché è aperto 7 giorni su 7 dalla colazione al dopo cena. Dopo tanti anni il gestore del locale non se l’è più sentita di andare avanti da solo. Per cui ha chiesto aiuto per tirare su nuovamente il locale. Ho creato una mini case history sopra. Per ora ho completato soltanto la fase di pre-analisi. Sul sito dell’agenzia pubblicheremo la case history completa.
Era la prima volta che mi capitava una scomessa del genere. Per quanto mi riguarda la cucina è già creativa di suo e vive su regole di comunicazione non scritte.
La prima cosa che ho fatto è stata quella di accendere il cervello e pensare che cosa io da cliente vorrei trovare in un locale con un concept simile. Sono partito inevitabilmente dall'offline per pensare a delle ricadute nell'online.

Punti di Forza
  • Concept store: design
  • Target: medio - alto
  • Interessi: comunicazione / archittettura [exterior - interior] / fotografia / psicologia / moda / arte / musica
  • Età: 25 - 45
  • Zona: centro città
  • Musica: ricercata, non commerciale
Punti di Debolezza
  • Troppi cambiamenti nel corso del tempo
  • Staff poco collaborativo e restio a fare ricerca, a sperimentare
  • Nessun piatto è memorabile dopo che esci dal locale
  • Nessuna differenziazione dai competitor
Per questo, dopo questa breve analisi, ho deciso di ricorrere ad una strategia che mette al centro il cliente e la sua esperienza [storytelling esperienziale]. Il cliente non si accontenta più e ricerca un'esperienza totalizzante, attraverso un coinvolgimento sensoriale e cognitivo.
  • Novità
  • Meraviglia
  • Stupore
  • Immaginazione
La difficoltà ad utilizzare questo tipo di comunicazione sta nel fatto che bisogna creare una immaginario che faccia venire voglia di andarci ancora prima di entrarci.

L'idea
Quando entri dentro un locale in cui viene servito il cibo la prima esigenza che vuoi soddisfare gira attorno al cibo.
Il cliente, una volta seduto al tavolo, deve vivere un’esperienza a 360 gradi con il cibo, mostrandogli immediatamente che il processo creativo dei piatti incomincia da quando decide di varcare l’entrata.
Attorno si muove un servizio invisibile che allestisce il palcoscenico. Il maitre si presenta, presenta il concept del locale, il menù e attorno vengono serviti acqua, pane, una pre-entrè, l’appoggio per la borsa e il cappotto viene consegnato al guardaroba. In questo modo il cliente subisce una trasformazione e diviene un ospite. Il menù non viene consultato, ma vissuto come se ogni piatto scaturisse da una penna nobile. Ogni piatto così si trasforma in un’esperienza.
Tutta la teatralità si compone in un instante di attenzione ai dettagli che conquista i clienti. Non solo cibo, ma anche arte e moda s’intrecciano attorno ai tavoli. I piatti della tradizione popolare, arricchiti di una presentazione, diventano l’interazione diretta con la storia che vogliamo raccontare ai nostri ospiti.
Dalla terra, all’aria, al mare, al fuoco. Tutti elementi gli elementi scelti creano un’esperienza, creano meraviglia, stupore e danno agli ospiti una valuta sociale per far parlare dell’esperienza che si vive nel vostro locale.

Siamo ancora al lavoro!
Siamo ancora nella fase di pre-analisi e stiamo lavorando sui concetti che voglio emergano dal racconto
  • L'interazione cliente e piatti
  • Quali piatti ricercare
  • Come comunicare con il menù
  • Come comunicare su i social (Facebook - Instagram - Pinterest)
Questo potrebbe essere un inizio per una nuova strategia di un ristorante. Spero che leggendo questa risposta tu possa trovare degli spunti utili per incominciare a lavorare alla tua strategie.


Perché il cappello da chef è fatto di cotone?

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Questo copricapo affonda le sue origini nella storia, non solo moderna ma anche più antica. Secondo alcune antiche leggende, il tipico copricapo era in uso già nelle cucine dei Re assiri, che temendo di essere avvelenati imposero ai cuochi di indossare alti copricapi, come corone, per renderli facilmente visibili e controllabili.

Più cruenta la leggenda che vuole la creazione del cappello da cuoco presso la corte di Enrico VII, che trovando un capello nel piatto impose un copricapo per evitare lo spiacevole incidente, non prima di ordinare che venisse tagliata la testa a chi aveva preparato il suo piatto.

Secondo un’altra leggenda, il cappello nacque per volontà di Maurice Boucher, cuoco alla corte del principe francese Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, nel 1795 per motivi igienici.

Sia la forma alta, che il materiale, generalmente cotone, ma in origine anche carta idrorepellente, erano stati scelti dagli chef proprio per evitare che si formasse troppa umidità sul cuoio capelluto, per evitare gli odori della cucina sui capelli, e proteggere le preparazioni dall'eventuale caduta di capelli.

Al di là delle leggende, il cappello da chef pare essere nato tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900. C’è chi lo attribuisce al cuoco francese Alfred Suzanne, che si proclamò chef (capo) sottolineando la gerarchia vigente in cucina, e dando il là all’utilizzo di questo appellativo. C’è chi invece attribuisce il primo utilizzo all’illustre cuoco francese Marie-Antoine Carême, che operava nelle cucine di Re Giorgio IV nel Regno Unito.
Carême dettava legge in tutta Europa tanto che il copricapo si diffuse con grande rapidità presso le altre corti e nelle cucine di tutto il continente.

Il nome Toque del copricapo deriva dal nome francese del tocco, cappello un po’ floscio.
In seguito, per il colore bianco adottato da tutti, prese il nome di Toque Balche, che va ad indicare il copricapo utilizzato dagli chef.

La Toque Balnche è indicativa proprio dello chef, che in questo modo si distingue dal resto della Brigata. Può essere alta e inamidata con pieghe all’estremità, o floscia e portata all’indietro.
Una curiosità è legata alle 100 pieghe che la caratterizzano; rappresenterebbero infatti la conoscenza di almeno 100 modi di cuocere le uova.


 
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