Anago

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Anago (穴 子, o ア ナ ゴ) è la parola giapponese per un tipo di grongo (Conger myriaster) usata in Italia in riferimento al suo impiego nelle preparazioni culinarie tipiche del Giappone. L'anago spesso è cotto a fuoco lento (sushi) o fritto (tempura).

Caratteristiche e preparazione
Spesso confuso con l'unagi rispetto a questo ha una consistenza molto morbida e meno grassa, e un gusto più dolce, ma leggermente meno ricco.
I giapponesi raramente mangiano sushi di unagi preferendo mangiare il sushi di anago che è invece molto popolare e importante.
Esistono due tipi di stili di preparazione per questo scopo: alla griglia o lo stile bollente.
Quest'ultimo consiste nell’aprire i gronghi in due longitudinalmente e nel rimuovere la lisca. Poi, facendo bollire le teste in acqua, viene preparato il dashi nuovo, una sorta di brodo. L'anago viene bollito nella salsa ottenuta mescolando il dashi appena ottenuto, la salsa di soia, del sakè e dello zucchero. Ogni volta che si prepara l'anago, alla nuova salsa viene aggiunta della salsa di Anago riutilizzata poiché le essenze di anago fluiscono nella salsa durante l'ebollizione. Questo fa sì che più viene usata la salsa reciclata, migliore è il suo gusto (viene ari usata anche per più di un anno). Il pesce viene fatto bollire circa 10 minuti con salsa mista vecchia e nuova.
Se preparato in tempura, viene fritto secondo i dettami di quello stile di cucina.

Impiego
Oltre all'impiego su nigiri sushi e in tempura, l'anago viene usato anche in molte preparazioni di origine regionale.
Ad esempio l'Anago Meshi lo prevede grigliato e servito su riso in salsa agro-dolce. Il riso è cotto in un brodo preparato con alghe kombu, testa e ossa di questi pesci. L'origine del piatto è nell'Anago Donburi, piatto tipico dei pescatori del Setonaikai modificato durante il periodo Meiji, quando divenne un pasto venduto a pranzo nelle stazioni ferroviarie. Molto apprezzato il piatto divenne presto famoso e si diffuse su tutto il territorio nazionale lungo la linea ferroviaria Sanyō. Ancora oggi è molto popolare in Giappone ed è tutt’oggi venduto come pranzo nelle stazioni ferroviarie.
A Hiroshima viene tipicamente servito alla griglia con riso caldo. Anche le origini di questa preparazione risalgono all’epoca Meiji, quando lo si vendeva in contenitori bentō nelle stazioni ferroviarie.




Andarinos

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Gli andarinos sono una specialità di pasta artigianale esclusivamente realizzata a mano, autentica testimonianza di una tradizione contadina che affonda le radici nella storia più antica della Sardegna.

Storia
La loro origine è incerta, ma in assenza di ulteriori elementi è lecito supporre che si tratti di una tradizione nata in Sardegna. L'isola è stata una grande produttrice ed esportatrice di pasta fin dai tempi delle dominazioni genovese e pisana e continuò ad esserlo anche successivamente in seguito alla conquista spagnola. Le mete della pasta sarda erano soprattutto i porti catalani e quelli di Genova e Pisa, ne rimangono tracce nel basso Piemonte, a Ovada, dove ancora oggi vengono preparati gli “andarini”, descritti come una sorta di piccoli gnocchi o piccole trofie, che vengono serviti in brodo in occasione delle festività pasquali.
La prima testimonianza scritta dell'esistenza degli andarinos si deve nel XVII secolo al “visitatore reale” Martin Carrillo, inviato in Sardegna dal re Filippo III di Spagna affinché riferisse circa le situazioni socio-economiche e giudiziarie dell'Isola. Nella sua relazione, redatta a Barcellona nel 1612, si legge il resoconto di un pranzo offerto dal dottor Antiogo Marcello di Mamoiada, nel quale vennero serviti tra le tante pietanze anche “los andarines”.
All'inizio del XVIII secolo, il padre domenicano Jean-Baptiste Labat indicò gli “andarini” tra le paste artigianali prodotte dalle donne sarde. Nella sua relazione, il religioso si soffermò ironicamente sul fatto che la lavorazione manuale della pasta artigianale, non richiedendo una grande attenzione, non impedisse alle donne di chiacchierare tra di loro, un esercizio, definito dal padre Labat, “comune a tutto il gentil sesso”.
Li troviamo poi citati come “andarinus” nel vocabolario sardo-italiano di Giovanni Spano, stampato del 1851-52, indicati come “specie di minestra che fanno le donne coi pezzetti di pasta compressi nel crivello”.
Intorno alla fine del secolo scorso erano rimaste poche testimonianze dell'esistenza degli andarinos, lasciate alle mani sapienti di poche anziane donne rimaste depositarie di questa antica manualità, le quali, tramandandone la memoria li hanno tenuti in vita solo nel paese di Usini, mentre risultano scomparsi nel resto della Sardegna. Erano, queste donne, le eredi dell'antica tradizione contadina, di quel prezioso lavoro femminile e domestico legato più che altro alla panificazione, e rispetto al quale la produzione della pasta era una conseguenza diretta della manipolazione delle farine e delle semole utilizzate per la preparazione del pane.
La pasta confezionata in casa era un alimento tanto prezioso da essere consumato nei momenti festivi in famiglia (domeniche, feste patronali, Natale, Pasqua) oppure collettivamente in occasione dei matrimoni o delle feste campestri.
A partire dal 2000 la Pro Loco di Usini ha riscoperto e rivalutato questa pasta artigianale, riproponendola e facendola conoscere attraverso l'edizione di una sagra di consolidato successo, giunta, nel 2015, alla sua sedicesima edizione. La manifestazione “Andarinos de Usini” ha costituito un importante volano per la rivalutazione di questa tipologia di pasta, tanto che si sono moltiplicate le persone, anche tra le più giovani, che ne hanno appreso la tecnica di lavorazione, per cui si può affermare con soddisfazione il successo e l'efficacia di un'operazione di salvaguardia di questo prodotto alimentare unico nel suo genere, le cui forme e sapori possono definirsi distanti anni luce dall'omologazione delle paste di realizzazione industriale.
Poiché nulla è stato finora fatto per favorire la produzione meccanica di questo tipo di pasta, gli andarinos vengono ancora oggi preparati rigorosamente a mano, con l'antica e sempiterna tecnica di lavorazione che prevede la formazione di un impasto di semola di grano duro e acqua con l'aggiunta del sale. Il composto così ottenuto, elastico e omogeneo, viene assottigliato e poi frammentato in listelli di tre o quattro centimetri, i quali vengono premuti su una superficie rigata e fatti roteare con tre o quattro movimenti rapidi e calibrati del polpastrello, che conferiscono al prodotto finale una forma elicoidale, simile ad un piccolo fusillo o alla trofia genovese. A differenza di queste ultime tipologie di pasta, gli andarinos sono decorati dalle rigature a rilievo, ottenute grazie alla pressione esercitata sulla superficie di un vetro rigato o di un “chiliru” di giunco o di asfodelo. Ancora oggi, terminata la fase della lavorazione, la pasta fresca viene essiccata, esponendola al sole per alcune ore, stesa sui “canistreddos”. Gli andarinos essiccati si devono poi cuocere per venti minuti in acqua salata e si condiscono con un “ghisadu” di carni miste (pecora, manzo e maiale) e con una grattata di pecorino sardo.


Fonduta al raschera

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La Fonduta al Raschera è un ottimo piatto consumato così com'è, ma in realtà si tratta di un semilavorato. Questa fonduta dal sapore piccante e un po' amarognolo è perfetta per accompagnare verdure lessate (poco) e poi leggermente saltate in padella (poco) con un po' d'olio.
Ad esempio un piatto tipico piemontese è la fonduta al raschera con i cardi. I cardi in questo caso vanno sbollentati, fatti a fette e cotti con poco olio in padella a fuoco vivo sino a che si ricoprono di una superficie ambrata. A questo punto sistemare nel piatto un poco di fonduta e sopra due tre fette di cardo. Gustosissimi anche i finocchi, trattati allo stesso modo del cardo.

Informazioni Generali
Raschera
Il Raschera (DOP) è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta e riconosciuto nella sua tipologia d'alpeggio come presidio Slow Food.

Territorio
Una fetta di Raschera confezionata con pellicola alimentare per la grande distribuzione. Il nome Raschera deriva dal nome di un pascolo e di un lago situati ai piedi del monte Mongioie (2.630 m s.l.m.) situata nel comune di Magliano Alpi sulle Alpi Marittime in provincia di Cuneo.

Descrizione
Il disciplinare di produzione distingue due tipi di formaggio Raschera:
  • Raschera d'alpeggio: che è prodotto e stagionato esclusivamente nei comuni di Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Roburent, Roccaforte Mondovì, Pamparato, Ormea, Garessio e Magliano Alpi.
  • Raschera prodotto e stagionato in tutto il territorio della provincia di Cuneo.
La forma è quadrata o tonda, la stagionatura minima è di un mese ma ne esistono anche a stagionatura più lunga con sapore più accentuato. Il latte utilizzato è quello vaccino, addizionato in alcuni casi con modeste quantità di latte di capra o di pecora.

Sagre
A Frabosa Soprana e ad Ormea si organizza tutti gli anni una sagra del Raschera dove si può acquistare il formaggio.

Ricetta
Ingredienti
Per 4 persone:
  • 100 grammi raschera (Il raschera è un formaggio d'alpeggio o di malga, a latte crudo, tipico del cuneese).
  • 100 grammi di panna (La panna è necessaria per la perfetta soluzione del formaggio. Il latte non è adatto e produce molti grumi. Latte + olio va meglio, ma potrebbe alterare il sapore).
  • 1 rosso d'uovo.
Preparazione
  1. Tagliare a tocchetti piccoli il formaggio, mettere in un piccolo tegame (14 cm.) dai fianchi alti e ricoprire di panna. La panna dovrebbe riempire gli interstizi del formaggio che dovrebbero appena vedersi sopra la panna (per inciso questo è il metodo per capire quando la panna è sufficiente).
  2. Porre il tegame sul fuoco a bagnomaria (Per cottura a bagnomaria si intende una cottura che avviene con due recipienti uno dentro l'altro. Il recipiente più grosso è riempito con acqua. Questo accorgimento permette alla fiamma di non arrivare in diretto contatto con il recipiente più piccolo dove c'è il prodotto e consente una perfetta distribuzione del calore ( e mescolare fino a che è completamente fuso e la miscela ha incorporato un poco di aria (si sente il rumore caratteristico scuotendo il cucchiaio).
  3. Quando la miscela è perfettamente omogenea spegnere il fuoco ed aggiungere il rosso d'uovo sbattuto con un goccino d'acqua, continuando a mescolare e rimettere per circa un minuto nel bagnomaria.
  4. A questo punto la fonduta è pronta per l'utilizzo che deve avvenire nei primi minuti immediatamente successivi, perché raffreddandosi tende rapidamente a raddensare.
Consigli e regolazioni
Se la fonduta appare troppo liquida è possibile aggiungere poca farina (1/2 cucchiaino) o un po' d'olio per raddensare.


Alheira di Vinhais

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La Alheira de Vinhais IGP è un prodotto tipico di origine portoghese, con Indicazione Geografica Protetta dell'Unione europea (UE) dal 17 luglio del 2008.

Area di produzione
Al di là dell'area circoscritta di nascita, allevamento, ingrasso, macello e preparazione dei suini Bísaros e i loro incroci che si usano nella produzione dell'Alheira de Vinhais IGP, l'area geografica di trasformazione è molto limitata e ridotta ai municipi di Alfândega da Fé, Bragança, Carrazeda de Ansiães, Freixo de Espada à Cinta, Macedo de Cavaleiros, Miranda do Douro, Mirandela, Mogadouro, Torre de Moncorvo, Vila Flor, Vimioso e Vinhais, del distrito de Bragança nel nord-ovest del Portogallo.

Consorzio di gestione
Il consorzio di gestione della IGP "Alheira de Vinhais" è la ANCSUB - Associazione nazionale degli allevatori dei suini della razza Bísara.



Agnolotti piemontesi

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Gli agnolotti piemontesi, o più semplicemente agnolotti (agnolòt o gnolòt in piemontese), sono una specialità di pasta ripiena tradizionale del Piemonte, e in particolare, della zona del Monferrato, nelle province di Alessandria e Asti, ma diffusa in tutta la regione. Esistono varianti degli agnolotti, tra cui gli agnolotti pavesi, che si differenziano per il ripieno a base di stufato.
L'origine del nome è incerta: la tradizione popolare identifica in un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelòt, la formulazione della ricetta; in seguito la specialità di Angelòt sarebbe diventata l'attuale Agnolotto. Un'altra teoria più moderna fa derivare il nome dal piemontese anolòt che nient'altro era che un ferro adoperato per tagliare questa pasta a forma di anello, che a detta di alcuni era appunto la forma primitiva che assunsero gli agnolotti.
La forma tradizionale è quadrata, con il ripieno racchiuso da due sfoglie di pasta all'uovo. La caratteristica principale dell'agnolotto piemontese rispetto alle altre specialità di pasta ripiena del resto d'Italia è l'utilizzo di carne arrosto per il ripieno.
Caratteristici della zona delle Langhe e del Monferrato sono gli agnolotti del plin (o al plin), di piccole dimensioni e forma perlopiù rettangolare (il termine deriva appunto dal "plin", ovvero il pizzicotto che viene dato per chiuderlo). Unici in tutto il Piemonte, e tipici del paese di Calliano in provincia di Asti, sono gli agnolotti d'asino, che si caratterizzano, a differenza di quelli standard, per avere il ripieno di carne d'asino.
Sia gli agnolotti piemontesi che gli agnolotti del plin sono inseriti nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani, stilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e quindi tutelati secondo un disciplinare della Regione Piemonte. Pur potendo essere cucinati in diversi modi, sono quattro le ricette tradizionali:
  • con sugo di carne arrosto.
  • con burro, salvia e formaggio grana.
  • con ragù di carne alla piemontese.
  • in brodo di carne.
  • nel vino (solo in alcuni paesi dell'Alto Monferrato).
La ricetta classica non prevede la creazione di agnolotti piemontesi di magro: nel raro caso vengano prodotti, sono comunque denominati ravioli; allo stesso modo sono denominati ravioli gli agnolotti piemontesi contenenti un ripieno a base di fontina, comuni nel Canavese e nella Valle d'Aosta.
L'agnolotto è un piatto classico della cucina popolare piemontese: è infatti consuetudine utilizzare per il ripieno gli avanzi di arrosto dei giorni precedenti, triturati e mescolati fra loro, insieme a verdure, formaggio o altri ingredienti. Considerando questa origine risulta improprio parlare di una ricetta tradizionale per il ripieno, in quanto questo variava in relazione agli avanzi a disposizione; il fatto che questa sia da considerare l'origine più genuina dell'agnolotto è attestata dall'utilizzo del sugo d'arrosto per il condimento: questa ricetta infatti prevede di riutilizzare non solo la carne avanzata, ma anche l'intingolo dell'arrosto, coerentemente con la tradizione contadina che prevede di evitare ogni spreco.

Abbinamenti consigliati
Gli agnolotti piemontesi riempiono la bocca di tanti sapori e quindi dopo un po' bisogna lavare bene la lingua con dei vini rossi locali di origine povera.l:
  • Dolcetto d'Ovada
  • Dolcetto d'Alba
  • Barbera d'Asti
  • Barbera del Monferrato



Civraxeddas

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La Civraxeddas è una antica ricetta sarda dell'Ogliastra.

Informazioni Generali
Pecorino Sardo
Il Pecorino Sardo (DOP) è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta.

Storia
Il pecorino sardo è un formaggio di lunghissima tradizione storica culturale assieme all'allevamento della pecora che sull'isola ha tradizioni antichissime. Il Pecorino Sardo DOP è prodotto con latte di pecora sardo pastorizzato, caglio, sale, fermenti lattici e viene commercializzato in due versioni: una giovane (o fresco) ed una maturo (stagionato). Il pecorino Sardo DOP giovane ha circa 1-2 mesi, mentre quello maturo ha più di 6 mesi. Il Pecorino Sardo DOP si distingue da tutti gli altri tipi di formaggi prodotti in Sardegna, perché segue le direttive presenti all'interno di un disciplinare di produzione. Il disciplinare di produzione prevede alcuni obblighi, come quello di utilizzare solo latte di pecora sardo, oppure l'obbligo di utilizzare un determinato tipo di etichettatura che deve obbligatoriamente contenere il simbolo del consorzio di Tutela, che ha sede a Cagliari.
Il Pecorino Sardo DOP è l'unico formaggio prodotto in Sardegna a poter vantare questa denominazione. Tutte le altre varianti (pecorino prodotto in Sardegna, Formaggio Sardo, Formaggio di Pecora Sardo) hanno lo scopo di richiamare la denominazione DOP, senza però sottostare alle dure condizioni dettate dal disciplinare di produzione.
Il Pecorino Sardo DOP è stato, per parecchi anni, sponsor principale del Cagliari Calcio.

Ricetta
Ingredienti
Per 4 persone.

Per l'impasto
  • g. 200 di farina di grano tenero tipo "00"
  • g. 100 di farina di grano tenero tipo "0"
  • g. 180 di acqua
  • g. 10 di sale marino fine
  • g. 8 (poco meno di un panetto) di lievito di birra fresco
  • g. 10-15 di olio extravergine d'oliva
Per la farcia
  • Kg. 1 di patate
  • g. 150 di pecorino sardo
  • 1 cipolla gialla, non molto grande
  • 1 uovo
  • menta q.b.
  • 1 spruzzata di noce moscata
  • 1/2 spicchio d'aglio
  • ciccioli q.b. omissibili per un piatto più leggero
  • sale q.b.
Preparazione
Per l'impasto
  1. Setacciare la farina
  2. Sciogliere il lievito in acqua debolmente tiepida (max 25 gradi) e aggiungere l'olio
  3. Aggiungere metà della farina ed iniziare ad impastare sino a che si ottiene una preparazione omogenea anche se un po' liquida
  4. Aggiungere il resto della farina, il sale e continuare ad impastare per una decina di minuti
  5. Lasciare riposare l'impasto per c.a. 3 ore
  6. Aiutandovi con un altro po' di farina 00 dividete l'impasto in due parti e stendetelo con un mattarello fino ad ottenere delle strisce piuttosto sottili
  7. Tagliate le strisce formando quadrati di c.a. 8-10 centimetri di lato.
  8. Lasciate riposare le strisce su una spianatoia infarinata e dedicatevi alla farcia.

Per la farcia
  1. Lessare le patate per c.a. 30-40 minuti (dipende dalla dimensione delle patate) in acqua bollente (per evitare shock termici è bene partire con acqua tiepida o fredda)
  2. Sbucciare le patate bollenti (aiutarsi con dei guanti o con uno strofinaccio) e passarle man mano con uno schiacciapatate (usare la trafila piccola) formando una purea.
  3. Lasciare intiepidire la purea
  4. Nel frattempo tagliate a fettine sottili la cipolla, mettetele in poco olio bollente e lasciate soffriggere lievemente.
  5. Tritate finemente l'aglio e la menta e grattugiate il formaggio
  6. Aggiungete alla purea la menta, la cipolla soffritta, il pecorino, l'uovo, il sale, spruzzate con un poco di noce moscata ed impastate fino a che la farcia non diventi omogenea.
Assemblaggio e cottura
  1. Riscaldare il forno fino ad una temperatura di 230-250 gradi
  2. Mettere su ciascun quadrato di pasta un po' di farcia, sino ad esaurire farcia e pasta.
  3. Per ciascun quadrato di pasta: prendere gli angoli e ripiegarli verso il centro della farcia componendo un fagottino aperto
  4. Riporre i fagottini su una placca ben distanziati
  5. Mettere la placca in forno e cuocere per c.a. 15 minuti, dando un colpetto finale di grill per dorare le estremità dei fagottini
  6. Sfornare e lasciar intiepidire in ambiente ben aerato qualche minuto e poi servire


Fonduta al castelmagno

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La Fonduta al Castelmagno, analogamente alla fonduta al raschera è un ottimo piatto consumato così com'è, ma in realtà si tratta di un semilavorato. Questa fonduta dal sapore salato e molto profumato è perfetta come condimento degli gnocchi.
Nel cuneese gli gnocchi al castelmagno sono un piatto tipico e il modo migliore per realizzare questo connubio è proprio quello di fare una fonduta.
Il castelmagno è un formaggio di malga molto raro perché prodotto solo nei dintorni dell'alpe Chaslar a 1.800 metri nella valle omonima, non lontana dal capoluogo (Cuneo). Si presenta sempre in una forma stagionata ed ha la caratteristica di sbriciolarsi facilmente.

Informazioni Generali
Castelmagno
Il Castelmagno è un formaggio italiano a denominazione di origine protetta, prodotto nel territorio dei comuni di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana.

Descrizione
Si tratta di un formaggio a pasta semidura, erborinata, prodotto in forme cilindriche con diametro fra i quindici ed i venticinque centimetri, scalzo fra i dodici ed i venti e peso compreso tra i due ed i sette chilogrammi. La crosta, piuttosto fine, è giallo-brunastra, con varianti più scure a seconda della stagionatura, mentre la pasta è bianca o tendente al giallognolo, giallo oro se stagionata, con rare venature verdi dovute all'erborinatura.

Produzione
È prodotto principalmente con latte vaccino prodotto di due mungiture consecutive (serale e mattutina), talvolta addizionato con latte caprino od ovino in percentuali che non superano mai il 20%.
Il latte, dopo l'addizione di caglio di vitello, viene portato ad una temperatura variabile tra i 35 °C ed i 38 °C. Dopo la rottura della cagliata, si procede alla pressatura della forma ed al suo avvolgimento in un telo asciutto, viene appesa ed infine posta in contenitori appositi. Terminata questa prima fase, si procede nuovamente alla rottura delle forme, che vengono salate, poste in fascere cilindriche e pressate. La stagionatura avviene in locali freschi ed asciutti, oppure in grotte che presentino naturalmente queste caratteristiche.

Consumo
Il Castelmagno è utilizzato nella cucina piemontese per la preparazione di diversi piatti, primi fra tutti gli gnocchi di patate, conditi con formaggio Castelmagno fuso. È anche spesso gustato come formaggio da tavola, puro o con miele.

Storia
Il primo documento in cui viene citato esplicitamente è una sentenza arbitrale del 1277 con la quale si imponeva al comune di Castelmagno il pagamento di un canone annuale al marchese di Saluzzo, da effettuarsi in forme di formaggio Castelmagno anziché denaro.
Altro documento storico in cui viene citato il pregiato formaggio è un decreto di re Vittorio Amedeo II che ordinava, nel 1722, la fornitura di forme di Castelmagno al feudatario locale.
Al di là delle citazioni documentali, si ipotizza che la produzione del Castelmagno nella sua forma attuale sia iniziata intorno all'anno mille, anche se non si possono avere prove certe in questo senso.

Ricetta
Ingredienti
Per 4 persone:
  • 100 grammi castelmagno.
  • 100 grammi di panna.
  • 1 rosso d'uovo.
Preparazione
  1. Grattugiare finemente il formaggio per facilitarne la fusione con la panna, mettere in un piccolo tegame (14 cm.) dai fianchi alti e ricoprire di panna.
  2. Porre il tegame sul fuoco a bagnomaria e mescolare fino a che è completamente fuso e la miscela ha incorporato un poco di aria (si sente il rumore caratteristico scuotendo il cucchiaio).
  3. Quando la miscela è perfettamente omogenea spegnere il fuoco ed aggiungere il rosso d'uovo sbattuto con un goccino d'acqua, continuando a mescolare e rimettere per circa un minuto nel bagnomaria.
  4. A questo punto la fonduta è pronta per l'utilizzo che deve avvenire nei primi minuti immediatamente successivi, perché raffreddandosi tende rapidamente a raddensare.
Consigli e regolazioni
Se la fonduta appare troppo liquida è possibile aggiungere poca farina (1/2 cucchiaino) o un po' d'olio per raddensare.


 
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