Agnolotti piemontesi

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Gli agnolotti piemontesi, o più semplicemente agnolotti (agnolòt o gnolòt in piemontese), sono una specialità di pasta ripiena tradizionale del Piemonte, e in particolare, della zona del Monferrato, nelle province di Alessandria e Asti, ma diffusa in tutta la regione. Esistono varianti degli agnolotti, tra cui gli agnolotti pavesi, che si differenziano per il ripieno a base di stufato.
L'origine del nome è incerta: la tradizione popolare identifica in un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelòt, la formulazione della ricetta; in seguito la specialità di Angelòt sarebbe diventata l'attuale Agnolotto. Un'altra teoria più moderna fa derivare il nome dal piemontese anolòt che nient'altro era che un ferro adoperato per tagliare questa pasta a forma di anello, che a detta di alcuni era appunto la forma primitiva che assunsero gli agnolotti.
La forma tradizionale è quadrata, con il ripieno racchiuso da due sfoglie di pasta all'uovo. La caratteristica principale dell'agnolotto piemontese rispetto alle altre specialità di pasta ripiena del resto d'Italia è l'utilizzo di carne arrosto per il ripieno.
Caratteristici della zona delle Langhe e del Monferrato sono gli agnolotti del plin (o al plin), di piccole dimensioni e forma perlopiù rettangolare (il termine deriva appunto dal "plin", ovvero il pizzicotto che viene dato per chiuderlo). Unici in tutto il Piemonte, e tipici del paese di Calliano in provincia di Asti, sono gli agnolotti d'asino, che si caratterizzano, a differenza di quelli standard, per avere il ripieno di carne d'asino.
Sia gli agnolotti piemontesi che gli agnolotti del plin sono inseriti nell'elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani, stilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e quindi tutelati secondo un disciplinare della Regione Piemonte. Pur potendo essere cucinati in diversi modi, sono quattro le ricette tradizionali:
  • con sugo di carne arrosto.
  • con burro, salvia e formaggio grana.
  • con ragù di carne alla piemontese.
  • in brodo di carne.
  • nel vino (solo in alcuni paesi dell'Alto Monferrato).
La ricetta classica non prevede la creazione di agnolotti piemontesi di magro: nel raro caso vengano prodotti, sono comunque denominati ravioli; allo stesso modo sono denominati ravioli gli agnolotti piemontesi contenenti un ripieno a base di fontina, comuni nel Canavese e nella Valle d'Aosta.
L'agnolotto è un piatto classico della cucina popolare piemontese: è infatti consuetudine utilizzare per il ripieno gli avanzi di arrosto dei giorni precedenti, triturati e mescolati fra loro, insieme a verdure, formaggio o altri ingredienti. Considerando questa origine risulta improprio parlare di una ricetta tradizionale per il ripieno, in quanto questo variava in relazione agli avanzi a disposizione; il fatto che questa sia da considerare l'origine più genuina dell'agnolotto è attestata dall'utilizzo del sugo d'arrosto per il condimento: questa ricetta infatti prevede di riutilizzare non solo la carne avanzata, ma anche l'intingolo dell'arrosto, coerentemente con la tradizione contadina che prevede di evitare ogni spreco.

Abbinamenti consigliati
Gli agnolotti piemontesi riempiono la bocca di tanti sapori e quindi dopo un po' bisogna lavare bene la lingua con dei vini rossi locali di origine povera.l:
  • Dolcetto d'Ovada
  • Dolcetto d'Alba
  • Barbera d'Asti
  • Barbera del Monferrato



Civraxeddas

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La Civraxeddas è una antica ricetta sarda dell'Ogliastra.

Informazioni Generali
Pecorino Sardo
Il Pecorino Sardo (DOP) è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta.

Storia
Il pecorino sardo è un formaggio di lunghissima tradizione storica culturale assieme all'allevamento della pecora che sull'isola ha tradizioni antichissime. Il Pecorino Sardo DOP è prodotto con latte di pecora sardo pastorizzato, caglio, sale, fermenti lattici e viene commercializzato in due versioni: una giovane (o fresco) ed una maturo (stagionato). Il pecorino Sardo DOP giovane ha circa 1-2 mesi, mentre quello maturo ha più di 6 mesi. Il Pecorino Sardo DOP si distingue da tutti gli altri tipi di formaggi prodotti in Sardegna, perché segue le direttive presenti all'interno di un disciplinare di produzione. Il disciplinare di produzione prevede alcuni obblighi, come quello di utilizzare solo latte di pecora sardo, oppure l'obbligo di utilizzare un determinato tipo di etichettatura che deve obbligatoriamente contenere il simbolo del consorzio di Tutela, che ha sede a Cagliari.
Il Pecorino Sardo DOP è l'unico formaggio prodotto in Sardegna a poter vantare questa denominazione. Tutte le altre varianti (pecorino prodotto in Sardegna, Formaggio Sardo, Formaggio di Pecora Sardo) hanno lo scopo di richiamare la denominazione DOP, senza però sottostare alle dure condizioni dettate dal disciplinare di produzione.
Il Pecorino Sardo DOP è stato, per parecchi anni, sponsor principale del Cagliari Calcio.

Ricetta
Ingredienti
Per 4 persone.

Per l'impasto
  • g. 200 di farina di grano tenero tipo "00"
  • g. 100 di farina di grano tenero tipo "0"
  • g. 180 di acqua
  • g. 10 di sale marino fine
  • g. 8 (poco meno di un panetto) di lievito di birra fresco
  • g. 10-15 di olio extravergine d'oliva
Per la farcia
  • Kg. 1 di patate
  • g. 150 di pecorino sardo
  • 1 cipolla gialla, non molto grande
  • 1 uovo
  • menta q.b.
  • 1 spruzzata di noce moscata
  • 1/2 spicchio d'aglio
  • ciccioli q.b. omissibili per un piatto più leggero
  • sale q.b.
Preparazione
Per l'impasto
  1. Setacciare la farina
  2. Sciogliere il lievito in acqua debolmente tiepida (max 25 gradi) e aggiungere l'olio
  3. Aggiungere metà della farina ed iniziare ad impastare sino a che si ottiene una preparazione omogenea anche se un po' liquida
  4. Aggiungere il resto della farina, il sale e continuare ad impastare per una decina di minuti
  5. Lasciare riposare l'impasto per c.a. 3 ore
  6. Aiutandovi con un altro po' di farina 00 dividete l'impasto in due parti e stendetelo con un mattarello fino ad ottenere delle strisce piuttosto sottili
  7. Tagliate le strisce formando quadrati di c.a. 8-10 centimetri di lato.
  8. Lasciate riposare le strisce su una spianatoia infarinata e dedicatevi alla farcia.

Per la farcia
  1. Lessare le patate per c.a. 30-40 minuti (dipende dalla dimensione delle patate) in acqua bollente (per evitare shock termici è bene partire con acqua tiepida o fredda)
  2. Sbucciare le patate bollenti (aiutarsi con dei guanti o con uno strofinaccio) e passarle man mano con uno schiacciapatate (usare la trafila piccola) formando una purea.
  3. Lasciare intiepidire la purea
  4. Nel frattempo tagliate a fettine sottili la cipolla, mettetele in poco olio bollente e lasciate soffriggere lievemente.
  5. Tritate finemente l'aglio e la menta e grattugiate il formaggio
  6. Aggiungete alla purea la menta, la cipolla soffritta, il pecorino, l'uovo, il sale, spruzzate con un poco di noce moscata ed impastate fino a che la farcia non diventi omogenea.
Assemblaggio e cottura
  1. Riscaldare il forno fino ad una temperatura di 230-250 gradi
  2. Mettere su ciascun quadrato di pasta un po' di farcia, sino ad esaurire farcia e pasta.
  3. Per ciascun quadrato di pasta: prendere gli angoli e ripiegarli verso il centro della farcia componendo un fagottino aperto
  4. Riporre i fagottini su una placca ben distanziati
  5. Mettere la placca in forno e cuocere per c.a. 15 minuti, dando un colpetto finale di grill per dorare le estremità dei fagottini
  6. Sfornare e lasciar intiepidire in ambiente ben aerato qualche minuto e poi servire


Fonduta al castelmagno

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La Fonduta al Castelmagno, analogamente alla fonduta al raschera è un ottimo piatto consumato così com'è, ma in realtà si tratta di un semilavorato. Questa fonduta dal sapore salato e molto profumato è perfetta come condimento degli gnocchi.
Nel cuneese gli gnocchi al castelmagno sono un piatto tipico e il modo migliore per realizzare questo connubio è proprio quello di fare una fonduta.
Il castelmagno è un formaggio di malga molto raro perché prodotto solo nei dintorni dell'alpe Chaslar a 1.800 metri nella valle omonima, non lontana dal capoluogo (Cuneo). Si presenta sempre in una forma stagionata ed ha la caratteristica di sbriciolarsi facilmente.

Informazioni Generali
Castelmagno
Il Castelmagno è un formaggio italiano a denominazione di origine protetta, prodotto nel territorio dei comuni di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana.

Descrizione
Si tratta di un formaggio a pasta semidura, erborinata, prodotto in forme cilindriche con diametro fra i quindici ed i venticinque centimetri, scalzo fra i dodici ed i venti e peso compreso tra i due ed i sette chilogrammi. La crosta, piuttosto fine, è giallo-brunastra, con varianti più scure a seconda della stagionatura, mentre la pasta è bianca o tendente al giallognolo, giallo oro se stagionata, con rare venature verdi dovute all'erborinatura.

Produzione
È prodotto principalmente con latte vaccino prodotto di due mungiture consecutive (serale e mattutina), talvolta addizionato con latte caprino od ovino in percentuali che non superano mai il 20%.
Il latte, dopo l'addizione di caglio di vitello, viene portato ad una temperatura variabile tra i 35 °C ed i 38 °C. Dopo la rottura della cagliata, si procede alla pressatura della forma ed al suo avvolgimento in un telo asciutto, viene appesa ed infine posta in contenitori appositi. Terminata questa prima fase, si procede nuovamente alla rottura delle forme, che vengono salate, poste in fascere cilindriche e pressate. La stagionatura avviene in locali freschi ed asciutti, oppure in grotte che presentino naturalmente queste caratteristiche.

Consumo
Il Castelmagno è utilizzato nella cucina piemontese per la preparazione di diversi piatti, primi fra tutti gli gnocchi di patate, conditi con formaggio Castelmagno fuso. È anche spesso gustato come formaggio da tavola, puro o con miele.

Storia
Il primo documento in cui viene citato esplicitamente è una sentenza arbitrale del 1277 con la quale si imponeva al comune di Castelmagno il pagamento di un canone annuale al marchese di Saluzzo, da effettuarsi in forme di formaggio Castelmagno anziché denaro.
Altro documento storico in cui viene citato il pregiato formaggio è un decreto di re Vittorio Amedeo II che ordinava, nel 1722, la fornitura di forme di Castelmagno al feudatario locale.
Al di là delle citazioni documentali, si ipotizza che la produzione del Castelmagno nella sua forma attuale sia iniziata intorno all'anno mille, anche se non si possono avere prove certe in questo senso.

Ricetta
Ingredienti
Per 4 persone:
  • 100 grammi castelmagno.
  • 100 grammi di panna.
  • 1 rosso d'uovo.
Preparazione
  1. Grattugiare finemente il formaggio per facilitarne la fusione con la panna, mettere in un piccolo tegame (14 cm.) dai fianchi alti e ricoprire di panna.
  2. Porre il tegame sul fuoco a bagnomaria e mescolare fino a che è completamente fuso e la miscela ha incorporato un poco di aria (si sente il rumore caratteristico scuotendo il cucchiaio).
  3. Quando la miscela è perfettamente omogenea spegnere il fuoco ed aggiungere il rosso d'uovo sbattuto con un goccino d'acqua, continuando a mescolare e rimettere per circa un minuto nel bagnomaria.
  4. A questo punto la fonduta è pronta per l'utilizzo che deve avvenire nei primi minuti immediatamente successivi, perché raffreddandosi tende rapidamente a raddensare.
Consigli e regolazioni
Se la fonduta appare troppo liquida è possibile aggiungere poca farina (1/2 cucchiaino) o un po' d'olio per raddensare.


Sukiyaki

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Sukiyaki (giapponese: 鋤焼 o più comunemente すき焼き; sukiyaki) è un piatto della cucina giapponese nello stile nabemono ("alla pentola").

Preparazione
Consiste di sottili fettine di manzo, tofu, ito konnyaku (in un formato simile agli spaghetti), negi (cipolletta), cavolo cinese, e funghi enoki tra gli altri ingredienti. Generalmente viene preparato nei giorni più freddi dell'anno ed è un piatto comune per le feste di capodanno (bonenkai).
Gli ingredienti sono lentamente bolliti in una bassa pentola di ferro, in una miscela di salsa di soia, zucchero e mirin. Prima di essere mangiati vengono immersi in una piccola ciotola di uova sbattute. Uno scherzo comune delle commedie giapponesi è che un sukiyaki passabile possa essere preparato con misero budget, specialmente se uno è povero.

Varianti
Come per altri piatti nabemono ogni regione giapponese ha una maniera preferita di cucinare il sukiyaki. Per esempio la salsa di soia, zucchero e mirin sono premiscelati nella regione del Kantō, mentre nel Kansai è consuetudine miscelare gli ingredienti al tavolo.
Sukiyaki, o semplicemente "suki" è anche il nome di un tipo di pasto consumato in altre regioni dell'Asia. Il nome può essere usato per un piatto remotamente somigliante al sukiyaki giapponese composto da spaghetti di riso, maiale e salsa "sukiyaki" fino a un piatto in cui vengono cucinati vari tipi di carne e vegetali insieme nella stessa pentola.

Storia
I bovini vennero introdotti relativamente tardi in Giappone, provenienti dalla Corea. Introdotti nel II secolo per essere utilizzati prevalentemente nella coltivazione delle risaie, a partire dall'introduzione del Buddhismo, nell'VIII secolo, i vennero considerati quasi esclusivamente come animali da lavoro, dato che uccidere un quadrupede per cibo era proibito dalle leggi buddiste. Solo ai soldati, durante le guerre, veniva data carne di manzo per rinforzarli prima della battaglia.
Ritornando dalla guerra con un appetito per la carne, i soldati la cucinavano sopra un aratro posto su carboni ardenti fuori dalla casa, dato che cucinare dentro la casa era considerato un sacrilegio e una dissacrazione della casa nei confronti della generazione più anziana. Da qui nasce il significato letterale di sukiyaki, ossia "grigliata () su un aratro ()". Solo dopo un contatto prolungato con l'occidente nell'era Meiji la carne di manzo perse la sua cattiva fama. In quel periodo il piatto si sviluppò nella forma attuale.

Quando un critico gastronomico viene nel tuo ristorante

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Quello che non sai delle recensioni gastronomiche è che i ristoratori non sanno che arriverà un critico quel giorno, che l'ansia e il terrore immediatamente prendono la cucina e che, in fondo, non tutti vogliono essere sulla guida Michelin.
Un ristoratore inglese ci ha raccontato, a patto di rimanere anonimo, cosa succede veramente quando un rinomato critico gastronomico entra nel tuo ristorante.
Non vogliamo che i critici vengano al nostro ristorante, perché di arrivare ai massimi livelli non ce ne frega niente. Tutto quello che cerchiamo di fare è essere un ristorante dove si mangia bene, in cui chi vive qui possa venire a prendersi un buon risotto quando esce dal lavoro. Non abbiamo mai cercato di farci un nome, non ci interessa.
I recensori dicono sempre che cerchiamo di essere "diversi", in qualche modo. Ma non è vero. Se non ti è piaciuto il nostro ristorante perché non avevamo le tovaglie giuste o il vino non ti veniva rabboccato di continuo, vaffanculo. Noi siamo così.
Ma mi interessa quello che pensano le persone intelligenti. Se qualcuno dice che ha ordinato il maiale, e il maiale era accompagnato da troppa composta di mele e troppe fette di mela, ci presterò attenzione ed è probabile che abbia ragione lui. Abbiamo sbagliato. Se chi recensisce il ristorante è una persona intelligente, la cosa terribile è che probabilmente ha ragione.
Ecco come ci prepariamo ad accogliere i critici gastronomici: non ci prepariamo. Di solito non sappiamo nemmeno quando verranno. Quello che facciamo è cercare di fare sempre del nostro meglio e, se non gli piace, mi dispiace ma almeno ci abbiamo provato. Sembra che io voglia fare lo sprezzante, ma è vero.
Non ci sono quasi mai soffiate. Quando una volta è arrivato un critico e ha chiesto da dove venisse il maiale, una cameriera part-time gli ha detto dal macellaio dietro l'angolo. Ma una volta, quando è entrato un critico famoso e qualcuno l'ha riconosciuto—facciamo finta che si chiamasse John—sono tutti andati nel panico.
Sono sempre su Twitter e cerco di tenermi aggiornato. Erano le 7.30 del mattino e stavo guardando l'account di John. Aveva twittato che era proprio lì fuori per un seminario e, per scherzo, io ho telefonato alla general manager e le ho detto di mettere tutti all'erta—John sarebbe venuto a pranzo. Se la stava facendo sotto, ma quando ho visto che smattava l'ho rassicurata, dicendole che non era vero.
Ero al mio altro ristorante e me l'ero completamente dimenticato. All'una e mezza mi arriva una telefonata dalla general manager, che aveva il giorno libero, perché qualcuno le aveva telefonato per dirle, "È appena entrato John, cazzo."
Aveva prenotato con uno pseudonimo e non me ne frega un cazzo di niente, gli avrei dato il tavolo migliore del ristorante e invece ha dovuto mettersi al piano di sopra—dove c'è solo un altro tavolo. Gli avrei riempito il tavolo di fiori e avrei fatto qualunque cosa perché vivesse l'esperienza migliore della sua vita. E invece.
Non siamo un ristorante stellato, siamo un bistro. Ho mollato tutto quello che stavo facendo, sono salito in macchina e ho fatto un percorso che normalmente prenderebbe 25 minuti—non scherzo—in 12 minuti. In 12 cazzo di minuti. Guidavo come un pazzo e non me ne fregava niente se il semaforo era rosso—passavo lo stesso.
Mi avevano detto dove era seduto ma non volevo che mi vedesse entrare. La cosa peggiore del mondo sarebbe stata che mi vedesse entrare: il proprietario che si palesa solo perché c'è lui.
Perciò mi sono fermato a due minuti dal ristorante, ho messo il cappuccio, la sciarpa e un cappello di lana nonostante fuori facesse un caldo tremendo. Sono entrato dal retro, in tempo per la sua portata principale.
Aveva già scelto, ed io ero massimamente scontento di quello che gli abbiamo servito. Quel giorno la salsa era una merda. Era una glassa di vino rosso ed era venuta sbagliata. Sapeva di caramella gommosa, era tremenda. Ci vogliono due giorni per fare quella salsa. Non potevo farci niente.
Arrivava il momento del dessert e ho chiesto al pasticcere di prepararmi un assaggio di ogni cosa sul menù perché volevo testarli prima che John ordinasse.
Avevamo lemon curd con gelatina di ribes nero. I ristoranti fighetti lo chiamano "pâte de fruits." L'ho sputato. Non so cos'avessero fatto, ma sembrava cacca di coniglio. Era duro come un sasso e sapeva di detersivo. Su cinque opzioni nel menù, è comunque sempre la scelta peggiore. Chi cazzo vuole il lemon curd?
L'ha ordinato.
Ero immobilizzato. Ci abbiamo solo messo qualche decorazione e abbiamo tolto la gelatina. L'ha mangiato.
Siamo tutti molto uniti al ristorante, anche con i clienti, e una donna che era al piano di sopra quando c'era John è venuta da me dopo che lui se ne è andato. Mi ha detto, "Mentre era lì, ho fatto una cosa."
Avevo già la testa tra le mani. Ho pensato, Che cazzo è successo?
Mi ha detto che qualcuno aveva fatto un gran casino nel bagno delle donne. Ha continuato, "John era con una donna e se lei fosse andata al bagno l'avrebbe visto e sarebbe uscita dicendogli che questo posto è sporco e terribile."
Mi ha detto di aver pulito la tazza e l'intero bagno. Le ho chiesto perché diamine l'avesse fatto, e mi ha detto che non voleva che il ristorante avesse recensioni negative.
Per le due settimane successive, la vita al ristorante è stata terribile. Tutti erano nervosi e si preparavano al peggio. Poi è uscita la recensione. A John eravamo piaciuti molto.
I critici sono spesso stati buoni con noi, ma non è sempre così (non fatemi parlare di TripAdvisor). Quello che succede con un critico è che poi tu che leggi hai solo il suo punto di vista, ma non sai cosa succede dietro le quinte al ristorante.
Non mi interessa quando la gente critica l'arredamento. Chissenefrega dei mobili in legno di pino—li ho ereditati quando ho comprato il posto e fanno schifo. Non avevo soldi e i pochi che avevo li ho spesi per un forno di seconda mano, perciò andavano benissimo. Ho appena speso migliaia di euro per un nuovo forno da pasticcere—così possiamo fare noi le brioches. Avrei potuto spenderli per i tavoli e le sedie, ma per me le brioches sono più importanti.
La cosa più importante di un ristorante è il cibo. Questa è la mia priorità.


Yakitori

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Lo yakitori (焼き鳥, scritto anche やきとり e ヤキトリlett. uccello alla griglia) è un piatto tipico della cucina giapponese, e consiste in degli spiedini di pollo.

Preparazione
Gli yakitori sono composti da pezzetti di pollo o da frattaglie dello stesso infilzati su spiedini di bambù e grigliati, di solito su carbonella Binchōtan. In Giappone, nei ristoranti di yakitori (yakitori-ya), si ritrova ogni possibile parte di pollo. È quindi possibile ordinare spiedini composti unicamente da parti di coscia, petto, cartilagine, pelle e altre parti, e il costo della pietanza cambia a seconda della parte ordinata. Di solito è possibile scegliere se farselo preparare salato, oppure con la salsa tare, fatta di mirin, sakè, salsa di soia e zucchero.

Varianti
  • momo (もも coscia di pollo)
  • negima (ねぎ間 cipolla e pollo)
  • tebasaki (手羽先 ala di pollo)
  • yotsumi (四つ身 pollo)
  • nankotsu (軟骨 cartilagine di pollo)
  • rebā (レバー fegato di pollo)
  • tsukune (つくね polpetta di pollo)
  • torikawa (とりかわ pelle di pollo)
  • atsuage tōfu (厚揚げとうふ tofu fritto)
  • enoki maki (エノキ巻き funghi avvolti in carne di maiale)
  • pīman (ピーマン pepe verde)
  • asupara bēkon (アスパラベーコン asparagi avvolti nella pancetta)
  • butabara (豚ばら pancia del pollo)


 
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